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Capitolo 34 • Palestra

La sera seguente, Riccardo ricevette una visita inaspettata.

- Riccardo, dobbiamo parlare.

Il padre era sempre stato troppo autoritario e austero per consentire l'instaurazione di un vero e proprio rapporto, perciò ogni volta che entrava nella camera del figlio provocava in quest'ultimo svariati interrogativi.

Da sdraiato che era si mise a sedere sul letto, mentre il padre rimase in piedi.

- Ho sentito che questa cosa della musica è seria per te. Secondo te a chi posso lasciare l'azienda, se inizi a strimpellare la chitarra?

- Da chi l'hai sentita? - domandò Riccardo.

Il padre prese atto della conferma che tale domanda implicava.

- Quindi è vero. Ma si può sapere come diavolo ti ho cresciuto? Molla la chitarra e non fare il cretino, Riccardo. - lo sgridò.

- Non c'è bisogno di offendere. - rispose il ragazzo.

- Ci siamo capiti? - ripeté il padre, gelido.

Riccardo strinse la mascella.

Avrebbe voluto urlare.

Il padre uscì dalla stanza e Riccardo imprecò. Com'era possibile?

La madre entrò qualche minuto dopo.

- Che succede, Riccardo?

- Papà ha scoperto delle canzoni. Ora che una casa discografica mi ha notato, mi dice di mollare. Capisci? - spiegò il ragazzo, frustrato.

- L'azienda...

- L'azienda può andare a farsi fottere, mamma! - sbottò Riccardo.

La donna rimase perfettamente composta.

- Non potevi pretendere niente di diverso, Riccardo. Io e papà abbiamo lavorato per anni al benessere di tutta la famiglia.

Una famiglia che nemmeno esiste, pensò Riccardo. Eppure, sua madre era l'unica a poterlo aiutare, probabilmente, quindi non gli conveniva rispondere male.

- Devo rinunciare in partenza alla mia passione per una stupida azienda? Continuate a tagliarmi le ali, prego. Tanto sono l'unico scemo che non vuole volare.

- A mente fredda mi darai ragione, Riccardo. E se non è così, allora devi maturare ancora un po'. - concluse la madre.

Privo di conforto, Riccardo si innervosì alla vista dell'iPod. Prese il telefono e chiamò Angelica.

Sarebbe stata l'unica a calmarlo davvero.

Lei non rispose.

- Vaffanculo! - imprecò.

Con Nicola fu più fortunato: non era impegnato con Beatrice.

Si incontrarono nel parco vicino a casa di Riccardo.

- Che succede, amico?

- Un casino. Quel pezzo di merda di Edoardo mi ha rubato il quaderno delle canzoni e mi ha chiesto di lasciare Angelica per riaverlo. Mio padre ha scoperto della musica e mi ha imposto di mollare proprio adesso che la casa discografica mi ha notato perché c'è il futuro dell'azienda in ballo. Ma sapesse che cazzo me ne frega dell'azienda!

Nicola gli passò una sigaretta.

- Bella merda. - commentò.

Si accesero le sigarette ed aspirarono, poi buttarono fuori il fumo.

- Com'è che Edoardo ha tirato su 'sto polverone? - domandò Nicola.

- Ma che cazzo ne so... Pensa che Angelica corra tra le sue braccia come una deficiente. Non ha capito niente di lei né delle ragazze in generale, a quanto pare. - replicò Riccardo.

- E se fosse stato lui a farlo sapere a tuo padre? Stronzo come si è dimostrato, ne sarebbe capace. - ipotizzò Nicola.

Riccardo non aveva calcolato quella possibilità.

- No, dai. Neanche lui con tutti i suoi contatti del cazzo può esserci riuscito.

- Però non hai altre spiegazioni plausibili. - obiettò Nicola.

Era vero.

Riccardo aspirò nicotina.

- No. - ammise.

- Angelica non sa niente?

- No. Non sa nemmeno della casa discografica. Volevo firmare un contratto prima di dirle qualcosa. - rivelò Riccardo.

Nicola espirò fumo.

- Dovresti parlarle. Può aiutarti. - suggerì.

- Non mi risponde al telefono.

Il biondo sollevò le sopracciglia.

- Hai fatto qualcosa per farla incazzare?

Riccardo scosse la testa. Non aveva fatto niente... Almeno credeva.

Salutò il suo amico con una confusione enorme in testa e non fece sonni tranquilli.

Angelica, dal canto suo, aveva ignorato le chiamate di Riccardo di proposito. Voleva guardarlo negli occhi e parlare di quello che non andava faccia a faccia.

Il mattino dopo era sabato e non c'era scuola, motivo in più per cui Angelica si aspettava che Riccardo sarebbe passato a casa sua.

Non accadde.

Si lamentò al telefono con Beatrice di tale situazione e ottenne conforto, ma non si sentì compresa. Beatrice e Nicola erano in sintonia perfetta e questo trapelava dal tono di voce della ragazza.

Irritata, Angelica ripiegò su Cecilia, che fu d'accordo per un allenamento extra.

Quella mattina in palestra c'erano molti ragazzi nell'area pesi e, notate le due belle ragazze, tentarono tutti di impressionarle.

- Riccardo è così, uno di quelli tormentati dentro. Non è il solito spaccone che fa errori grossolani, è più raffinato. Se c'è qualcosa che non va, ti conviene scoprirlo subito. - sentenziò Cecilia.

Angelica si sentì un po' più compresa e, di conseguenza, leggermente sollevata. Forse non era lei a farsi le paranoie. Un problema doveva esserci e andava risolto.

- Mi ha chiamato un po' di volte, ma speravo che sarebbe venuto direttamente a casa mia. - si lamentò.

- Se non ti va di rispondergli, almeno mandagli un messaggio per dirgli di venire a casa tua. Sì che non è come gli altri, ma rimane un ragazzo e a certe cose non ci arriva se non gliele dici chiare e tonde.

Nel frattempo, la velocità del tapis roulant aumentò per volere della bionda e Angelica vide il suo ritmo respiratorio e cardiaco messi a dura prova.

Rallentò gradualmente.

- È brutto non sapere cosa lo tormenta. Me lo chiedo di continuo ma non mi viene in mente niente. - proseguì Angelica.

- Okay, lo scoprirai. Adesso basta parlare di lui, guarda quanti figoni pronti a farci vedere i muscoli ci sono qui! - esultò Cecilia.

Angelica sorrise, perché l'entusiasmo della bionda era contagioso. Senza nulla togliere a Beatrice come amica, le era mancato un tipo di amica sicuro di sé ed euforico come Cecilia.

- Guarda quello di spalle. Ha una schiena... e delle braccia! Cazzo, scommetto che è un figo della madonna.

Il ragazzo elogiato dall'amica era Edoardo. Angelica se ne rese conto quando osservò i capelli, la forma della testa e il profilo. A confermare la sua intuizione subentrò il volto.

- È Edoardo, un mio amico di quinta al liceo. - sussurrò Angelica.

- Presentameli i tuoi amici fighi, ogni tanto! Egoista che non sei altro. - la rimproverò scherzosamente Cecilia.

La mora rise e attirò l'attenzione di Edoardo, che decise di raggiungerle.

- Ehi, anche voi qui?

- A quanto pare... - commentò Angelica, con tono ovvio.

- Certo! Noi amiamo venire in palestra. - si intromise Cecilia.

Edoardo le sorrise per cortesia e si presentarono.

Commentarono l'ampiezza della palestra e la difficoltà di fare pesi, poi Angelica decise che era abbastanza e che voleva un po' di privacy con la sua amica.

- È stato un piacere, Edo. Ci vediamo. - salutò.

Cecilia gli sorrise e sbatté abilmente le ciglia.

- Ancora un paio di minuti e mi avrebbe invitata a uscire, guastafeste. - rimbrottò, andandosene con Angelica.

- Non so se te ne sei accorta, ma...

- Sì che me ne sono accorta. Anche quando gli parlavo io, guardava te. Che palle. Lo sapevo che dovevo nascere mora. - sbuffò Cecilia.

Angelica rise.

- Onestamente, i tuoi capelli biondi non lo scambierei con nessuno, fossi in te. E non era quello che volevo farti notare, comunque!

- Quindi?

- Quindi l'istruttore ti fissava il culo con vivo interesse dallo stipite della porta cui era appoggiato. E sono sicura che non vorrebbe altro che uscire con te. - concluse Angelica, a bassa voce.

Cecilia cercò il soggetto della conversazione con lo sguardo e lo trovò alle prese con la sistemazione di alcuni pesi in fondo alla sala.

- Okay, guarda e impara, amica. - si rivolse ad Angelica con un occhiolino.

La mora fece da spettatrice ad un teatrino piuttosto divertente, oltre che sorprendente: Cecilia chiese all'istruttore di aiutarla a mantenere la posizione giusta su un macchinario che implicava l'apertura e la chiusura ripetuta delle gambe, portando i glutei verso l'esterno ed emettendo qualche verso simile ai gemiti da orgasmo quando opportuno.

Da lontano, fece cenno ad Angelica di andare. Un'ora dopo, quest'ultima ricevette un messaggio in cui Cecilia diceva che avevano limonato negli spogliatoi del personale maschile.

Angelica rise, incredula. A volte, era vero che bastava volerlo.

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