Capitolo 18 • Giornata famiglia
Angelica si svegliò la domenica mattina al fragore di un oggetto sconosciuto che cadeva a terra. Si era trattato di un rumore esterno alla sua camera, perciò si sentì in diritto di ignorare l'accaduto e cercare di riprendere sonno.
Peccato che sua madre fosse in vena di sgridare a voce alta il piccolo Michele, che scoppiò a piangere come una fontana e, dopo aver battuto i piedi contro il pavimento, aprì piano la porta della camera di sua sorella.
Fece il giro del letto per guardarla in faccia, senza capire che stava solo fingendo di dormire.
Al primo singhiozzo, Angelica capì che non avrebbe finto ancora a lungo. Al secondo, si maledisse perché era sicuramente presto e avrebbe potuto dormire qualche ora in più. Al terzo fece finta di svegliarsi spontaneamente.
Mise a fuoco il fratellino e si commosse alla vista degli occhi grigi e lucidi incorniciati da lunghe ciglia scure.
- Che succede, Michi? - sussurrò.
Il bambino tirò su col naso e pianse senza fare troppo rumore, al che Angelica scostò le coperte e lo invitò a infilarsi nel letto con lei.
Non lo faceva spesso, perché non voleva abituare il fratello a troppi vizi e capricci, ma riteneva che sua madre fosse piuttosto anaffettiva e che coccolarlo un po' avrebbe compensato quella mancanza di dolcezza che invece era ancora necessaria, alla sua tenera età.
- Ho rovesciato i cereali per terra. - ammise il bambino, dopo un po'.
Angelica lo guardò e gli asciugò le lacrime con due dita.
- E dopo che è successo?
- La mamma mi ha sgridato. - proseguì il piccolo.
- Pensi che abbia fatto male a sgridarti?
Michele non rispose.
- Okay, cambiamo domanda: cos'hai fatto dopo aver rovesciato i cereali?
Di nuovo, non ci fu risposta.
- D'accordo, mettiamo caso che tu non abbia fatto niente... O che stessi piangendo. Non stavi risolvendo il problema, giusto? - ragionò Angelica con dolcezza.
Michele annuì.
- Ti spiego come devi fare, allora. Se combini un pasticcio, cerca di pensare a come rimettere tutto a posto. In questo caso, ti farò vedere dove teniamo scopino e paletta, così se capita di nuovo sai dove prenderli e inizi a migliorare la situazione. Va bene?
Michele si strinse contro il petto della sorella e manifestò la sua buona volontà con un flebile "va bene".
- Adesso non piangere più, è tutto passato. L'importante è che tu abbia imparato qualcosa di nuovo. Vuoi restare qui ancora un po'? - propose Angelica.
- Sì.
Rimasero lì, sotto le coperte, vicini vicini, per una mezz'ora buona, poi Angelica decise che non aveva senso tentare di riprendere sonno e insistette per fare colazione. Subito dopo, si diede da fare per mettere in ordine la stanza e impiegò ben due ore per rendere quel caos perfetto come le camere che mostrano nelle pubblicità delle aziende d'arredamento.
Durante i preparativi per andare a pranzo dalla nonna, si ricordò di rispondere finalmente a quel messaggio che aveva ignorato la sera prima.
Sto andando a pranzo da mia nonna, ma nel pomeriggio tardi dovrei rientrare a casa
Riccardo, che era in piedi da poco, balzò a sedere sul letto non appena comparve il messaggio.
Non stava sognando. Angelica aveva risposto sul serio.
- Riccardo? - bussò sua madre.
- Sì, mamma? Buongiorno. - rispose lui, lasciando che entrasse.
La madre era sveglia da ore, con tutta probabilità: era sempre stata piuttosto mattiniera e, soprattutto la domenica, sbrigava gran parte delle faccende mentre lui ancora dormiva. Si presentò davanti a lui vestita con la solita eleganza indosso, nonché trucco e capelli curati.
- Buongiorno, tesoro. Preferisci i toast o i pancake stamattina? - domandò.
- Toast. - decise lui, scattante.
La donna lo studiò per qualche istante.
- Particolarmente attivo oggi? Niente di più azzeccato: per la cena di stasera devi essere in forma. - gli ricordò.
Riccardo si passò una mano tra i ricci aggrovigliati, improvvisamente irritato.
Non poteva andare da Angelica, se ciò comportava essere assente alla cena di cui parlava sua madre. Saltare cene di quel tipo era fuori discussione: i suoi genitori gli avevano spiegato più volte quanto fosse importante introdurlo gradualmente nel loro mondo, per evitare che commettesse errori una volta solo in quella giungla di tacchi e gemelli da migliaia di euro.
- Lo sarò. - confermò infine.
- Benissimo. Il completo di Armani è in lavanderia. - si congedò sua madre, sorridente.
Riccardo avrebbe voluto alzarsi, andare da suo padre e urlargli in faccia che gli stava strappando l'adolescenza dalle mani. Aveva il diritto di andare a trovare una ragazza, di scrivere canzoni e di fare cazzate a scuola, come chiunque altro; perché invece aveva già iniziato a leggere tipiche mail di lavoro, a interpretare i discorsi degli amici e dei soci di suo padre, a valutare quale completo fosse più adatto per una cerimonia più o meno formale?
Era destinato a prendere il posto di suo padre un giorno, ecco perché. Doveva imparare a fiutare la scìa giusta nel mondo degli affari, a calcolare e prevedere, a muoversi con quella consapevolezza e nonchalance che aveva condotto suo padre alla fama nell'ambiente lavorativo.
C'era qualcosa in tutto quel dovere che Riccardo si sentiva stretto addosso. E forse era solo istinto ribelle da adolescente. Oppure impulso di sviluppare il proprio talento musicale, ignorando la noia di diventare imprenditore. O, ancora, era incapacità di sopportare un'altra ragazza che non fosse Angelica, quella sera, pur sapendo che doveva compiacere i suoi genitori.
Che ne dici di domani sera? Oggi ho un impegno con i miei
Inviato il messaggio, evitò di attendere con il telefono in mano come un idiota e si preparò per la colazione. Solo dopo si occupò di leggere la risposta.
Giornata famiglia, eh? Capisco... Domani sera può andar bene
Riccardo sorrise un minimo, poi digitò un "ottimo" in risposta.
Nel pomeriggio scese al piano di sotto della casa e passò dalla boxe a esercizi vari di tonificazione muscolare ad una sana nuotata, per concludere con un lungo bagno rilassante e rigenerante. La stanchezza l'avrebbe aiutato a sorvolare sulle chiacchiere dell'ennesima ragazza che avrebbe visto al proprio fianco quella sera.
Sua madre passò in camera a spruzzare del profumo e sistemare ogni dettaglio del completo che indossava, affinché fosse impeccabile.
- Non credo di avertelo detto ultimamente, ma sei diventato davvero bello, figlio mio. E non lo dico perché sei mio figlio, è che lo sviluppo ha fatto un gran bel lavoro su di te. Somigli tanto a tuo padre quand'era giovane, solo che hai i miei stessi capelli. - sorrise.
Riccardo si specchiò, ma non ne aveva bisogno per accettare che sua madre era sincera. Piuttosto che enfatizzare una falsità, sapeva che sua madre avrebbe scelto il silenzio. Invece era lì, in piedi, sorridente nel suo vestito verde chiaro, a dirgli quanto era diventato bello. Avrebbe tanto voluto farsi vedere anche da Angelica, così ben vestito e curato.
- Lascia che ti faccia una foto. - disse sua madre.
Lui non si sforzò troppo: un paio di scatti seri, qualcuno sorridente e via, ecco che sembrava quasi un modello. Sarebbe bastato un fotografo professionale e qualche ritocco alla luce per eguagliare i bellimbusti su GQ (Gentlemen's Quarterly) o Vogue Hommes.
Un'ora dopo era sull'auto nera di lusso insieme ai suoi genitori, diretto ad uno dei ristoranti che aveva imparato a conoscere bene ormai. Fece un cenno alla più anziana delle cameriere, una donna dai capelli rossi che aveva cercato di rivitalizzarlo con qualche battuta ogni tanto, quando lo vedeva particolarmente annoiato.
Quella sera il suo posto era in mezzo a ben due signorine: una certa Cecilia Prado e la ben nota Sofia Frola. Riccardo mascherò abilmente lo stupore di vedere Sofia Frola sedersi alla sua sinistra.
I ricci selvaggi di Sofia erano stati piastrati tutti, interamente, e coprivano la schiena altrimenti lasciata nuda dall'abito color borgogna, che rivestiva con morbidezza il seno e scendeva liscio fin quasi alle caviglie, rappreso solo in vita da un nastrino di stoffa. Era indubbiamente affascinante, con la forma all'insù del naso, le labbra tinte di un rosso opaco e i nei che punteggiavano la pelle qua e là, a rendere caratteristica quella bellezza di soli quindici anni.
Cecilia, invece, risplendeva di oro da capo a piedi: soffici boccoli color grano sulle spalle, abito dorato aderente sull'esile corpo longilineo, bracciali a volontà sul polso destro e scarpe finissime color oro. Occhi turchesi fissavano con scetticismo il menù.
- Mio padre sa che non mi piacciono i pettini di mare: perché diavolo li ha fatti mettere nel menù?! - si lamentò Sofia.
- Pensa che io sono celiaca e non posso mangiare metà di questi piatti. - le diede man forte Cecilia.
Riccardo trovò una spiegazione a quello sguardo critico, grazie a tale delucidazione.
- Io penso che mangerò tutto. - disse, percependo da sé quanto fosse comico dopo le loro lamentele.
Le ragazze, infatti, risero.
- Certo che sei proprio stronzo. Vorrei mangiare tutta la pasta che ti daranno. - fece Cecilia.
- Me la prendo io, volentieri! O forse è meglio se mangio solo la mia... Cazzo, rischio che mia madre mi strozzi, se si vede la pancia gonfia. - intervenne Sofia.
Fu il turno di Riccardo di ridere.
Inaspettatamente, la serata aveva qualche speranza di rivelarsi piacevole. E chi l'avrebbe mai detto, a giudicare dalle precedenti duecentonovantasei?
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