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Capitolo 15 • Insicura

L'iPod di Riccardo riprodusse musica fino alle due del mattino.

I suoi genitori non erano mai stati troppo rigidi sugli orari e non gli avevano mai imposto un coprifuoco, semplicemente perché potevano fare affidamento sul buon senso del ragazzo e ne erano consci; l'unico punto su cui erano caparbi era l'eleganza nell'abbigliamento e nei modi durante gli incontri con i loro amici importanti, soprattutto sul piano economico.

Non che l'avesse mai trovato troppo complicato: bastava mantenere il profilo basso, evitare di proferire parola per quanto possibile, concordare in tutto e per tutto con i suoi genitori e con chi stavano cercando di impressionare positivamente. Negli ultimi tempi, aveva dovuto anche fingere che le ragazze poste al suo fianco non fossero state piazzate abilmente dalle amiche di sua madre.

Per qualche secondo, aveva anche avanzato l'ipotesi che i loro piani potessero funzionare, perché alla lunga avrebbe anche potuto trovare compatibile a sé una di quelle ragazze carine e composte che non si facevano sfuggire nemmeno mezza parola al momento sbagliato. Perfino i sorrisi erano calibrati e posti a dovere.

Inevitabilmente, Riccardo immaginò Angelica al posto di quelle signorine confezionate con tanto di fiocchetto sopra: sarebbe parsa immediatamente la più bella e radiosa in una di quelle sale sfarzose, per il semplice motivo che la luce che emanava non era effetto di polvere illuminante, ma dal suo animo gioioso e allegro. E la luce che proiettavano i suoi occhi non poteva essere paragonata a meri cosmetici, che fossero marchiati Chanel piuttosto che Guerlain.

Si addormentò cullato dalla voce da soprano di Andrea Bocelli, con quel scintillio di lei ancora in testa.

Angelica, invece s'era addormentata molto prima, ma fu anche costretta a svegliarsi presto, considerando che era sabato mattina: avere un fratellino in casa significava adattarsi ad orari improponibili, fare da mamma all'occorrenza, subordinare le proprie esigenze a chi non era ancora capace di frenare capricci e necessità. Fu così che alle nove del mattino venne solleticata al viso da una piuma e scattò in piedi, rischiando di tirare una testata a Michele.

Il bambino rise.

- Ma si può sapere cosa ronza in quella testolina?! Sono solo le nove! - strillò la sorella, trattenendo a malapena una marea di parolacce.

- Io ho fame. - disse Michele.

Angelica assottigliò lo sguardo, serrando al contempo la mascella.

- E non puoi andare a mangiare da solo? - domandò, furiosa.

- Non ci arrivo ai biscotti. - si lamentò il fratello.

Lei si alzò con lentezza, svogliata al massimo.

- Esistono le scale, Michele. - puntualizzò, uscendo dalla propria camera con il bambino al seguito.

- Non so dov'è la scala.

- Esistono le sedie che puoi usare come scale. - precisò - Usa la fantasia, Michele. Ingegnati. Dimostrami che sei intelligente e capace di fare le cose da solo.

Michele si rattristò un po', ma capì che Angelica non sarebbe stata sempre disposta a correre in suo aiuto nel momento in cui la pallida luce del sole gli consentì di mettere a fuoco il viso della sorella, il viso di chi era ancora abbracciato al sonno nella mente ed era stato strappato dal letto contro la propria volontà. Aveva visto di peggio sul volto di sua madre, pensò, ma non si soffermò oltre a riflettere perché a breve sarebbe iniziato uno dei suoi cartoni animati preferiti e non poteva perderselo.

Afferrò il pacco di biscotti, riempì una delle sue tazze dei supereroi con il latte e accese la televisione.

Angelica si trascinò di nuovo in camera e cadde sul letto a peso morto. Ci mise un po' a rigirare le coperte nel modo giusto, ma finalmente si era ricreato quel tepore in cui amava crogiolarsi ogni volta che poteva e dormicchiò un paio d'ore.

Si perse in inutili viaggi tra i social attraverso tutorial di ragazze americane, video di situazioni tipo, polemiche nei commenti sotto foto osé e messaggi con le amiche che aveva lasciato a San Raffaele.

Registrò un certo distacco che, in realtà, si era aspettata: non frequentare più gli stessi ambienti e le stesse persone era un fattore alienante troppo forte da sconfiggere, se unito al continuo scorrere della vita per entrambe le parti, con nuove conoscenze e una nuova agenda da ricreare per l'una e nuovi pettegolezzi e impegni via via più numerosi per le altre. Era così che doveva andare, si disse Angelica, rassegnandosi a perdere quell'armonia piacevole che aveva trovato con le ragazze della vecchia città; si augurò quantomeno di guadagnare rapporti migliori, soprattutto con Beatrice.

Andò a casa sua alle quattro e sua madre, che stava stendendo i panni, non se ne sarebbe neanche accorta, se lei non avesse urlato che stava uscendo.

Girare con la mappa sul telefono e gli occhi puntati maniacalmente ai cartelli che indicavano le vie non era esattamente comodo, ma Angelica si convinse che doveva imparare ad assumere qualche punto di riferimento per potersi orientare ed evitare di chiedere sempre passaggi e informazioni ai passanti.

- Ci hai messo un'eternità! - la accolse Beatrice, ridacchiando.

- Sì, be', non sono passata spesso da queste parti. Sai com'è, mi sono trasferita da poco. - osservò Angelica, con ironia.

- Ah, sì? Giura, non l'avrei mai detto! - fu la risposta a tono.

Angelica assunse lo sguardo provocatorio di quando stava per scagliare una delle sue cattiverie, seppur prive di serietà.

- In effetti, non so se sono arrivata all'indirizzo giusto. La tizia che devo sistemare è un po' più simpatica di te.

Beatrice scosse la testa, divertita, come a dire che la sua amica era incorreggibile.

- Entra, viperina. - la invitò.

Angelica varcò l'ingresso e restò di stucco: sembrava la casa di un artista, con tutto il disordine, la molteplicità dei colori accostati, i mobili un po' particolari e delle tempere sparse su un tavolino basso.

Un uomo di media statura, calvo e con gli occhiali rotondi si presentò in quel momento, con le mani imbrattate di colori e i vestiti dimessi ugualmente macchiati. Era uno di quelli dall'aria felice, seppur chiaramente nel suo mondo.

- Ciao! - salutò allegramente.

Niente di più diverso dall'algida madre di Riccardo, impeccabile dalla testa ai piedi.

- Ciao, io sono Angelica. - sorrise la ragazza.

- Be', io sono Giovanni e ti dò il benvenuto in questa casa. Se vi serve qualcosa, ragazze, sono di là nel mio studio. - rispose il padre di Beatrice, fornendo un largo sorriso e un rapido congedo.

Evidentemente, Beatrice aveva già parlato al padre della sua nuova amica.

- Non mi avevi detto che tuo padre è... un artista?

- All'occorrenza. Architetto di professione, ma appassionato anche di pittura e vasellame. Ha conquistato mia madre con dei bellissimi vasi. - raccontò Beatrice, con voce tenera.

- E tua madre è... ?

- In Lapponia, a prendersi cura degli orsi polari.

- Perché?

- È una ricercatrice. Non ha mai saputo resistere a questa sua passione e mio padre la ama, quindi non le ha mai impedito di realizzare la parte più spontanea di sé. Averla a casa infelice ogni giorno è peggio che saperla felice tra gli orsi polari per un paio di mesi, perché tornerà piena di vita. E so che te lo stai chiedendo: non è facile convivere con questa sua scelta. Inizialmente, odiavo che trovasse semplice abbandonarci per mesi interi a noi stessi, ma non capivo quanto fosse viscerale questa sua necessità di essere a contatto con gli animali, soprattutto quelli in via d'estinzione. È un po' una paladina delle specie a rischio. - spiegò Beatrice.

Angelica annuì. In mezzo minuto si era già imbattuta in una quantità di informazioni esorbitante, ma fu grata di riceverle, perché fu più immediato costruire un quadro generale di Beatrice e della sua famiglia; di conseguenza, le sarebbe stato meno arduo capirla.

Osservando i capelli dell'amica, ora sistemati in voluminosi e splendenti boccoli color mogano, comprese che nessuna madre le aveva spiegato che ogni capello va trattato secondo le sue esigenze peculiari, ma che solo la parrucchiera si era presa la briga di curarsi davvero della sua chioma.

- Interessante. Pensa che mia madre svolge l'esaltante e rischioso compito di firmare carte su carte in ufficio e partecipare ad entusiasmanti riunioni in cui vecchi decrepiti parlano alla velocità di un bradipo. Molto più emozionante, fidati. - ironizzò.

- Ti credo, allora. - rise Beatrice.

Le ragazze si recarono nella camera da letto e Angelica pensò a quale trucco eseguire.

- La tua parrucchiera è stata brava ad acconciarti i capelli. Non ti sei fatta consigliare un prodotto che che ti definisca i ricci? È un peccato lasciarli crespi e molli: Nicola deve avere voglia di guardarli, giocarci, magari infilarci le dita in mezzo mentre vi baciate appassionatamente...

- Ehm... Ho una mousse che mi aveva regalato un paio di mesi fa, ma non mi ricordo mai di usarla... E quelli che si baciano appassionatamente sarete tu e Riccardo. Nicola neanche si presenterà stasera.

- Ma stai scherzando?! Gli trancio via i genitali, se non si presenta! - scattò Angelica.

Beatrice era convinta che fosse tutto un sogno, a partire dallo shopping, al nuovo look dei capelli e al trucco che la sua amica stava per farle. Non era minimamente convinta che sarebbe servito, perché quelle come lei non avevano mai fortuna in amore e non riuscivano ad attrarre davvero i ragazzi. Non era esuberante e appariscente come Angelica. Non aveva il coraggio di puntare i riflettori su di sé, né di dare spettacolo quando erano gli altri a porla al centro della scena.

Tuttavia, non fermò l'energia prorompente della mora, che smanettava con sorprendente abilità fra pennelli e polveri di cui Beatrice ignorava persino l'esistenza. Le sembrava tutto eccessivo.

Lei non era quella gran bella ragazza sui tacchi con un vestito che le fasciava il seno; lei non si svegliava con i boccoli perfetti che le accarezzavano le spalle né aveva mai azzardato a mischiare così tanti cosmetici su occhi, viso e labbra. Le labbra, poi! Color magenta, per contrastare il verde dell'abito.

Ma dove pensava di andare lei, la timida e insicura Beatrice, quella che per diciassette anni si era nascosta dietro spesse lenti di vetro e pesanti volumi di carta perché aveva paura di farsi notare? Quella che studiava sempre, non conosceva nemmeno una delle discoteche e dei locali nominati dai suoi compagni e non aveva la più pallida idea di che sapore avesse un Bloody Mary? Dove pensava di andare così in tiro, senza il coraggio che richiedeva portarne il peso?

Perché tra essere belli ed essere affascinanti c'è una differenza: saper sfoggiare le proprie qualità.

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