Capitolo 13 • Gioco per due
(Fate partire la canzone da quando compare una foto più avanti nel capitolo)
Beatrice tornò a casa con le buste dei negozi in cui aveva fatto acquisti e una strana sensazione di gioia pura addosso. Laura, la sua amica più vicina fino ad allora, non aveva mai fatto tanto per lei, non si era premurata per organizzarle un appuntamento con il ragazzo che sognava da quelli che forse erano anni, non si era preoccupata di trovarle l'abbigliamento perfetto per l'occasione; Laura nemmeno sapeva dell'appuntamento.
Sorrise, riconoscente alla vita per averle messo Angelica sul cammino.
Quest'ultima, invece si trovava in difficoltà: come poteva farsi portare a casa da Edoardo senza dirgli perché aveva tanta fretta?
- Io... Be', ora dovrei tornare a casa. Mia madre arriverà a momenti e mi ucciderà perché ho lasciato mio fratello a casa da solo. - inventò sul momento.
Non che fosse del tutto falso: aveva scaricato ai nonni il compito di andare a prendere Michele a scuola e di sorvegliarlo fino al suo ritorno. Edoardo, però, non era tenuto a sapere tutto.
- Quanti anni ha?
- Sette. - rivelò Angelica.
Il ragazzo alzò le sopracciglia e mise il moto l'auto.
- Non potevi lasciarlo con qualcuno? È troppo piccolo per stare in casa da solo per ore.
- Non ho fatto in tempo ad organizzarmi... - si giustificò lei.
Grazie al magico potere dell'acceleratore, l'auto li portò davanti a casa di Angelica in pochi minuti.
Lei era sicura che Edoardo avesse violato almeno una dozzina di norme del Codice Stradale, ma non si lamentò.
Al suono dell'auto che si fermava, Michele si precipitò fuori di casa e rimase sorpreso nel non vedere sua madre, ma Angelica con un ragazzo che non era Riccardo.
Aggrottò la fronte.
- Ehi piccolo, come va? - gli si avvicinò Edoardo.
- Ange, ma questo chi è? - domandò il bambino, guardando la sorella.
- Lui è... Edoardo. Edoardo, questo è mio fratello Michele. Ora noi andiamo a fare un po' di compiti, sì? - spiegò lei, sbrigativa.
Edoardo, un po' offeso dalla freddezza del bambino, si ritrasse.
Guardò Angelica.
- Grazie per il passaggio e... be', per tutto. Soprattutto per la pazienza. - disse lei.
- Di niente... Ci vediamo domani, giusto? - verificò il ragazzo.
Lei si limitò ad annuire, di nuovo.
Non osava girarsi verso il fratello.
Edoardo salì in macchina e partì sgommando, sempre con quella scioltezza tipica del tuo stile.
- Non mi piace questo Edoardo. Tu ti devi fidanzare con Riccardo. - decise il bambino.
- Okay. - acconsentì Angelica, per evitare discussioni inutili. Sapeva quanto suo fratello potesse essere ostinato.
Rientrò e salutò i nonni, scusandosi per l'assenza e chiedendo loro di essere pazienti, perché doveva uscire di nuovo.
Si precipitò in camera e infilò nello zainetto un completino sportivo, poi si struccò, si rinfrescò e si cambiò, optando per una semplice maglietta a righe e un paio di jeans. Scrisse a Riccardo di venirla a prendere e, mentre spazzolava i capelli con lentezza, si accorse di essere stata una stupida a levare il trucco. Pigiò il dito sul tastino del telefono e comparve il messaggio di risposta, che le diceva che era praticamente arrivato: non c'era tempo per il trucco.
Inghiottita l'amara consapevolezza, uscì dalla propria camera pregando che andasse tutto bene. Decentemente, almeno.
Venne placcata da Michele ad un passo dalla porta di casa.
- Dove vai adesso? - domandò il bambino.
No, quella sera non l'avrebbe portato con sé. Era la sua serata.
Sospirò.
- Esco con Riccardo.
- Posso anche io? - quasi urlò Michele, improvvisamente felice.
Lei scosse la testa.
- Questa sera no, mi dispiace. Se vuoi, vieni a salutarlo. - propose.
Il piccolo non pareva del tutto contento, ma non protestò.
Angelica lo prese per mano ed uscirono.
Riccardo era poggiato contro la portiera dell'auto, una Volvo blu notte, e fissava l'orizzonte. Il sole stava porgendo i suoi saluti al mondo per lasciare posto ad una magica sera.
Volse gli occhi ai due e si domandò se lei non lo prendesse in giro: voleva portarsi dietro il fratello un'altra volta?
- Ciao. - salutò lei.
- Ciao...
- Riccardo! - lo interruppe il piccolo, con vivo entusiasmo.
Corse verso di lui e Riccardo lo accolse in un abbraccio impacciato. Non era abituato agli abbracci.
- Ehi, piano Hulk! - scherzò.
- Hulk? Io voglio essere Superman! - ribatté il bambino.
- Davvero? A me è sempre piaciuto Batman. - fece Riccardo.
Angelica non ne era sorpresa: il mistero e l'oscurità li rendeva affini.
- Forte! - commentò Michele.
- Bene, ora che ti sei ingraziato mio fratello, possiamo andare. Noi ci vediamo più tardi, Michi. - sorrise la sorella.
Il bambino insistette per creare un saluto speciale fra sé e Riccardo: battito di mani, stretta a pugno e spallata reciproca. Angelica sorrise.
Quando Michele uscì finalmente di scena, l'aria parve assumere una palpabile carica elettrica.
Angelica guardò Riccardo e lo trovò con gli occhi su di lei, alla ricerca di cosa gli era parso diverso quella sera.
Mentre ci pensava, salirono in macchina e lei si trovò immediatamente a proprio agio.
- Posso mettere la musica? - domandò.
- Certo. Sai come si fa? - fece lui.
Angelica gli lanciò uno sguardo piatto. Credeva che lei non potesse capire come mettere la radio in un'auto su cui non era mai salita?
E d'un tratto le sorse una domanda.
- Ma com'è che tu hai già la patente e la macchina? Se hai diciassette anni...
- Io non ho diciassette anni. Ne ho diciotto. Ho perso un anno di scuola da piccolo. - rispose Riccardo, con tono neutro.
Angelica non aggiunse nulla.
Accese la radio e cambiò stazione cinque volte.
- Riesci a trovare una canzone che ti piace o dobbiamo andare avanti così... ?
- Sono una donna forte e indipendente, ce la farò. - insistette lei, un po' autoironica.
Riccardo sorrise e alzò le mani per un secondo in segno di resa, poi le riportò sul volante e svoltò.
Angelica riuscì a trovare una canzone di suo gradimento proprio mentre Riccardo si accingeva a parcheggiare.
Non si accorse nemmeno che erano fermi nel garage della villetta dove lui abitava, un grazioso edificio le cui fondamenta risalivano a due secoli prima, con una rigogliosa vegetazione intorno i colori tenui ben calibrati fra loro sia all'esterno sia all'interno. La madre di Riccardo prediligeva la delicatezza nel gusto artistico e decorativo, per un arredamento di classe.
- Siamo arrivati, Angelica. - le fece notare Riccardo, con pacata gentilezza e un pizzico di ovvietà scherzosa.
- Shh! Finché non finisce la canzone, non ci muoviamo. - decise lei.
Il ragazzo ridacchiò. Era buio e non riusciva a vederla bene con il solo ausilio dell luci dell'auto, ma ricercava ancora quella nota di diversità che gli era saltata all'occhio prima.
Il suo sguardo scivolò sulla netta divisione fra i seni che evidenziava la cintura, ancora allacciata. Difficile definirne la taglia. Una terza, forse?
Non era quello che aveva notato inizialmente, comunque, quindi si disse frustrato per non essere ancora riuscito nell'intento.
- Ti è piaciuta? - domandò lei, spezzando il silenzio.
- Abbastanza. - mentì Riccardo, con tono di sufficienza.
Fu una fortuna che Angelica avesse voglia di commentare da sé la canzone, perché non gli fece altre domande. Si perse a parlare dell'artista, dei pettegolezzi più recenti sul suo conto...
Riccardo la condusse in casa propria con una lieve agitazione: era sicuro che sua madre sarebbe apparsa da un momento all'altro, ma non sapeva dove si trovasse suo padre. Era al telefono a parlare d'affari come se casa e ufficio non fossero due luoghi diversi?
- Ciao, Riccardo. Tu devi essere Angelica, invece! Benvenuta. - esordì infatti sua madre, con voce soave.
Angelica non si era aspettata di incontrare subito la madre di Riccardo, ma fece del suo meglio per sembrare carina e gentile, nonostante avesse uno zainetto in spalla invece che una graziosa borsetta e il viso privo di trucco invece di quei tocchi di luce che modellavano il volto della donna di fronte a lei.
- Grazie, è un piacere conoscerla. - sorrise.
- Mio marito non può venire, in questo momento, ma sono sicura che avremo modo di conoscerci tutti un po' meglio. Ora... Sì, ora forse è il caso che vi lasci. A presto! - si congedò la donna.
Riccardo, che teneva ancora Angelica per mano, le fece fare un giro rapido del pianoterra, poi la portò con sé al piano di sotto. Accese le luci.
Angelica guardò il ragazzo a bocca aperta: una scintillante piscina blu era scavata al centro della stanza, con i bordi illuminati dalle lucine gialle rotonde. Era uno spettacolo di bagliori e acqua nell'oscurità della notte.
- Wow. Sei proprio un poveraccio, Riccardo. - commentò, ironica.
- Sì, be', non è finita qui. Là in fondo c'è il campetto da basket. Sto per stracciarti come nessuno ha mai fatto, mia cara. - replicò lui, con aria di sfida.
- Allora è meglio che mi cambi subito. Non posso dare il meglio di me in jeans.
- C'è uno spogliatoio proprio qui, appena prima del campetto. Io faccio due tiri per scaldarmi, nel frattempo. - istruì Riccardo.
Lei infilò i pantaloncini neri, quelli aderenti che aveva usato per anni durante le partite di pallavolo, e la canotta sportiva rosa fluo. Sperava che Riccardo si facesse distrarre facilmente.
Lo trovò intento a palleggiare, di schiena rispetto a lei. Stava mirando al canestro.
Silenziosamente, si avvicinò e gli toccò il braccio facendo finta di prendere la palla.
- Ah, eccoti. - disse lui.
Si voltò a guardarla e non poté fare a meno di notare le gambe nude e uno scorcio di scollatura in vista. Intravedeva la curva fra i seni, appena appena, e dovette fare appello a buona parte del suo autocontrollo per non iniziare a fantasticare da subito.
Il suo obiettivo era dimostrarle quanto era bravo.
- Non lasci iniziare me? Mai sentito dire ladies first? - attaccò lei.
- Vuoi che sia io a strapparti la palla?
Riccardo fece un mezzo sorriso e le lasciò la palla. Angelica, sapendo di essere assolutamente scorretta, si voltò per palleggiare e fece il giro alla sinistra del ragazzo, che era ancora mezzo imbambolato in viso.
L'aveva provocato, chiaramente.
Le si avvicinò in pochi passi e la sovrastò con la schiena, aprendo le braccia sopra le sue per cercare di farla sbagliare.
Il profumo dei suoi capelli pervase dolcemente le sue narici e contribuì ad alimentare la parte più eccitata di lui. A quel punto, lei fece uno scatto all'indietro per spingerlo e balzare in avanti, ma lui fu più veloce: avvertì il contatto tanto desiderato e le bloccò il fianco con una mano.
Angelica, stupita, si fece trascinare indietro e Riccardo inclinò la testa verso il suo collo.
Fece un respiro completo, soffiandole sulla pelle.
- Ripeto: vuoi che ti strappi... la palla? - mormorò.
La s sibilò sonoramente e la p produsse il suono di una bolla che scoppia.
Angelica trattenne il fiato.
- Provaci. - lo sfidò poi, prendendo coraggio per sgusciare via dalla sua morsa e palleggiargli di fronte.
Avendo le ginocchia leggermente piegate, era inclinata un tantino in avanti e Riccardo si impose di non guardare la zona a bordo-canotta.
Fece qualche passo verso di lei, la quale indietreggiava di conseguenza.
- Siamo nella tua metà di campo. Sicura che vuoi indietreggiare ancora? - le fece notare.
Angelica non se n'era accorta. Puntò lo sguardo sul canestro lontano da lei, oltre la testa riccioluta di Riccardo, e studiò una mossa subdola per superarlo.
Finse di guardargli intensamente il collo, cedendo un po' alla finzione, e vide il pomo d'Adamo muoversi per una frazione di secondo. Sollevò gli occhi sulle labbra rosee di Riccardo.
Inspirò, lanciò un'occhiata rapida e maliziosa al ragazzo, poi corse a perdifiato con la palla al seguito.
Giunse davanti al canestro e sentiva di avere due secondi contati per tirare.
Nel momento in cui alzò le braccia, entrambe le mani sulla palla, percepì la presenza di Riccardo dietro di sé. La fragranza che lo caratterizzava - un po' al limone e un po' bergamotto o forse anice - stuzzicò il suo olfatto.
Prese una lunga boccata e lasciò quel mix di profumi permeasse a fondo i suoi polmoni, poi tirò.
La palla roteò sul bordo circolare del canestro per due volte, lentamente, prima di cadervi dentro con grazia.
Angelica saltò di gioia e si voltò a gettare le braccia al collo di Riccardo. Lui la prese prontamente e sorrise ai gridolini entusiasti della ragazza.
- Ho fatto canestro! Ho fatto canestro per prima! Ho vinto! - esclamò lei.
- Brava, mi hai dato del filo da torcere. - commentò Riccardo.
Angelica allontanò il capo dal suo collo, dove il profumo era fortissimo, mescolato ad un po' di sudore, e con le braccia sulle sue spalle lo guardò negli occhi.
- Tu dici? - lo provocò.
Riccardo non l'aveva mai avuta così vicina, così a stretto contatto col proprio corpo, e l'esperienza lo incantava. Osservò minuziosamente i suoi occhi castani, privi di trucco ma molto più brillanti del solito, gli zigomi rossi, un paio di nei minuscoli vicino al naso, le labbra color cremisi. Registrò il ritmo irregolare del respiro.
- Sei senza trucco. - sussurrò.
Angelica sgranò gli occhi, sorpresa. Fra tutte le cose che avrebbe potuto dire in quel momento, proprio quella aveva scelto?
- Non spaventarti, non è quel filo di trucco a cambiare tutto. Sei bella ora, tu al cento per cento, anche se un po' rossa - sorrise - come sei bella con le ciglia nere di un centimetro più lunghe.
Lei, che mai avrebbe immaginato un risvolto di quel tipo, si riprese.
- Grazie. E dire che puntavo sull'effetto ciglia finte che promettono sempre nelle pubblicità... - scherzò.
Riccardo avvertì la sua voce come una carezza e non smise di sorridere.
Sapeva già che avrebbe passato la notte a rievocare quella scena nella sua mente e a lasciare che le parole fluissero musicalmente dal suo io interiore alla carta.
Aveva le mani sui suoi fianchi, il suo viso ad un palmo di naso, la luce dei suoi occhi puntata addosso, le mani di lei, piccole in confronto alle proprie, sulle spalle e niente gli era mai sembrato tanto intimo quanto la loro vicinanza. Erano come sospesi in un'altra dimensione.
Angelica non si era mai sentita così viva, così pullulante di emozioni ed elettricità come in quel momento. E, anche se non aveva un'esperienza di vita lunga quarant'anni alle spalle, sapeva che momenti come quelli erano rari. Gli occhi verdi di Riccardo non guardavano i suoi, erano chini a sfiorarle la pelle ed accenderla di fuoco ardente.
Improvvisamente, faceva troppo caldo in quella stanza.
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