7. Alea iacta est
Electra Rossi osservava le lapidi di fronte a lei con un misto di angoscia. Così bianche e ordinate, le tombe le davano un senso d'immobilità e severità.
Si mosse controvoglia affondando i piedi nel manto erboso.
Il cimitero di Woodlawn si trovava nel Bronx, e lei non capiva come mai avesse dovuto fare tanta strada all'alba, per incontrare la persona che le doveva dei soldi e soprattutto perchè avesse scelto un cimitero come luogo d'incontro.
Guardò l'orologio, che le confermò che la persona che aspettava, era in ritardo di quaranta minuti. Si era stancata di quella storia.
Era il terzo appuntamento che prendevano e non rispettava.
Voleva andare via, avrebbe rinunciato ai soldi ma ora quel posto le metteva ansia. Iniziò a camminare verso l'uscita. Il sentiero che si apriva dopo una curva con gli alberi dalle poche foglie cadenti era l'unica compagnia. Il grigio intorno era monocromatico e la nebbia le faceva da contorno.
Passo dopo passo, respirava a fondo senza guardarsi intorno, concentrata sull'aria che uscendole dalle labbra formava nuvolette. C'era stato un brusco abbassamento delle temperature in quei giorni e ora aveva freddo per via del suo abbigliamento non adatto.
Le era arrivato un sms che le dava appuntamento lì, aveva indossato subito il primo blue jeans e la prima camicia che le era capitata davanti aprendo l'armadio, aveva preso quasi al volo un giubbotto di pelle nero, una borsa a tracolla e senza avvisare era partita. D'altronde non vedeva chi avrebbe potuto chiamare, visto che non aveva proferito parole ad anima mia viva di quello che aveva fatto.
Nessuno sapeva che si era messa nei guai, solo per potersi pagare una macchina nuova e inoltre la situazione non era tanto lecita.
Né il suo fidanzato che credeva che l'acconto di diecimila dollari ,che aveva ricevuto, dei totali trentamila dollari, come pagamento del suo lavoretto, erano il regalo di pensionamento di suo padre. Né i suoi genitori che erano ignari di tutta la vicenda.
Arrivata al cancello percorse i pochi metri che la dividevano dal suo pick-up grigio. Chiuse le sicure e accese il climatizzatore: un fiotto di aria calda investì l'abitacolo, dandole subito un senso di sollievo.
Rabbrividì, scrollandosi di dosso un po' di aria gelida che le si era posata fin sulle ossa. Ingranò la prima e iniziò a muoversi, voleva andare via da quel posto prima possibile. Era nervosa, l'avevano presa in giro, usata e lei lo aveva permesso.
Immersa nei suoi pensieri, guidava senza realmente vedere la strada col manto grigio e gli alberi spogli.
Sentì il suono di un messaggio e prendendo dalla borsa il cellulare; attivò il display tramite e cliccò sull'icona a forma di lettera. Sapeva che era pericoloso usare il telefono alla guida, ma leggere un messaggio non poteva essere fonte di guai.
"ALEA IACTA EST" recitava il testo dell'SMS.
Era latino, l'aveva riconosciuto perché lo aveva studiato a scuola quando viveva ancora in Italia.
"Il dado è tratto", una citazione di Giulio Cesare.
Aggrottò la fronte non capendone il senso, fece attenzione al numero che lo aveva inviato era anonimo. Cosa significava quel messaggio?
Presa dai suoi pensieri alzò gli occhi e vide un'auto di grossa cilindrata, forse un fuoristrada venirle incontro sulla sua stessa corsia. La strada era stretta, ma c'era spazio per due auto.
Inizio a suonare il clacson con foga. Il guidatore dall'altro lato non accennava a spostarsi, perciò decise di sterzare e cambiare corsia di marcia anche se si ritrovava contromano. Ma nel momento stesso che lo fece, l'auto si spostò sull'altra corsia ritrovandosi di nuovo davanti a lei.
Si spaventò: solo un pazzo, un ubriaco o un drogato poteva fare una cosa del genere.
Lo spazio tra loro si accorciava sempre di più; voleva fermarsi ma si accorse che i freni non funzionavano. I fari dell' altra auto, sempre più vicini sembravano due occhi malefici che la sfidavano.
Sterzò di nuovo e presa dal panico, perse il controllo del veicolo. L'auto iniziò a girare su sé stessa. Sfondò il guard-rail e si ribaltò, facendo un paio di capriole su sé stessa.
La donna batté la testa più volte sul volante; un sopracciglio le sanguinava copioso, e aveva dolori forti al naso e alla testa.
Stava cercando di riprendersi e rimanere lucida ma vedeva appannato e gli occhi volevano chiudersi per forza.
Scrollò la testa liberandosi dalla morsa della cintura e dell'airbag che era scoppiato. Non riusciva a pensare a nulla, solo al fattp di e solo di essere viva.
Alzò gli occhi e davanti a sé e notò la sagoma di una figura umana. Non riusciva a distinguere chi fosse, incappucciata com'era e la mente ancora annebbiata. Ma ebbe paura.
La paura è un avvertimento. Mette in allarme i sensi; senti che sei in pericolo ancora prima che qualcosa accada. Si muove dentro come un serpente viscido, fino a prendersi ogni spazio e trasformarsi in terrore.
E se diventa tale sei fregato.
Gli occhi sbarrati erano puntati sulla sagoma scura davanti a lei; aveva qualcosa nella mano destra, reggeva una tanica e alzatala iniziò a versare del liquido ambrato sia intorno che sopra la macchina.
Si allarmò, era benzina. Così agitata cercò di aprire le portiere, ma non si aprivano. Forse si erano bloccate per il ruzzolare dell'auto
Le idee iniziarono a divenire confuse per l'ansia; non sapeva cosa fare. Si muoveva come un animale in gabbia. Tentò di rompere i vetri ma non aveva nessun attrezzo che potesse aiutarla. Iniziò a battere convulsamente le mani sui finestrini, voleva richiamare l'attenzione della figura che continuava a spargere carburante sul veicolo. La figura non si voltò e si allontanò di pochi metri senza degnarla neanche di uno sguardo.
Il tempo rimase sospeso, la mente vuota in balia degli eventi, mentre copiose lacrime le scorrevano sulle guance.
Sbarrò gli occhi, con le mani appoggiate al finestrino, implorava la figura di aiutarla. E poi tutto divenne rallentato, i secondi si espansero, come quando si vede un film e si scorre lentamente una scena. Forse il suo cervello stava cercando di rubare al destino qualche attimo di vita.
Aveva sbagliato. Ingorda e avida si era data da sola una condanna di morte. Avrebbe potuto fare una vita semplice, ma aveva voluto di più e questo era il risultato. Non aveva scampo.
La figura si voltò verso lei e accese un fiammifero, lo porse al suo sguardo e la luce che ne emanò fu sufficiente per distinguere il suo volto.
Era rabbia e odio, pazzia e cattiveria, uniti in uno sguardo malefico e un ghigno divertito. Vide poi la fiammella volare nella sua direzione.
Il dado era tratto, tutto era deciso.
Pochi secondi e il fuoco le divampò intorno. Il calore divenne insopportabile, le lacrime le scendevano incandescenti dalle palpebre.
Chiuse gli occhi e chiese perdono a tutti quelli a cui aveva fatto del male. Le fiamme divennero sempre più vicine e alte. L'abitacolo divenne la sua tomba. Non riusciva a respirare. Si guardò intorno senza fare nulla.
Aveva perso. Respirò a fondo per l'ultima volta poi strinse gli occhi. Fino a divenire buio, oblio, morte.
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