3. Chi sei?
Gloria aveva aperto gli occhi, svegliata da un oblio senza sonno. Appena le palpebre aprendosi avevano dato luce alle iridi castane, l'incubo era tornato. Non era stata la sua immaginazione. Era tutto reale.
Si sentiva senza forze e debole, tanto da non poter muovere neanche un dito. Guardava i medici, come chiunque altro le fosse attorno ma non riusciva a vederli realmente.
C'era qualcosa che non riusciva a ricordare. Qualcosa che la faceva stare male.
Qualcuno la lavò e lei si diede a quelle cure amorevoli come se fosse stata una bambina. Grata dell'acqua che le scorreva sulla pelle, calmandola. Gioì del caldo conforto dato da una camicia da notte pulita. Chiuse gli occhi quando una delle infermiere le sistemò i capelli, accarezzandola. Poi osservò in silenzio la flebo che gli veniva cambiata prima di fissare con la mente completamente vuota un punto oltre la finestra.
Lei si chiamava Gloria Shell, aveva otto anni e amava tanto la sua mamma.
Qualcuno bussò alla porta e subito dopo, una donna bionda accompagnata da un uomo dalla carnagione e capelli scuri, entrò nella stanza. I due fecero qualche passo avanti, fermandosi di fronte a lei e le disse con voce calma e pacata:
«Gloria, sono il detective Summer Lewis e lui è il mio collega Mark Ruiz.» Summer guardò la ragazza, cercando di capire cosa stesse pensando
«siamo qui per le indagini che riguardano il tuo rapimento. Vorremmo farti delle domande»
Gloria spalancò gli occhi, iniziò a piangere e a fare il segno del no con la testa. Chi erano quelle persone? E sua mamma dove si trovava? Rapita? No, lei era solo una bambina!
«Non so di cosa parlate, stavo giocando con i miei amici al parco mentre aspettavo la mamma. Dov'è la mia mamma?» piangeva, tremava e continuava a ripetere «mamma, dove sei mamma?»
In un impeto di sconforto, scivolò a terra e si accovacciò in posizione fetale. L'infermiera accorse ma la ragazza si strappò la flebo e continuò a piangere disperata, dondolandosi.
Summer e Mark restarono impietriti, si guardarono in faccia sconvolti e poi cercarono di dare una mano all'infermiera, ma Gloria divenne una furia. Si alzò, iniziò a urlare e a spaccare tutto quello che le capitava a tiro. Prese un vaso con le margherite bianche che le aveva portato l'infermiera quella mattina, per dare un po' di allegria alla stanza, e che aveva poggiato sul davanzale lanciandolo con foga verso Summer. L'agente riuscì a schivarlo, colpendo poi la porta dietro le sue spalle e rompendosi in mille pezzi. Fece qualche passo avanti incerto e si aggrappò alle tende di cotone celeste appese alla finestra, strappandole e urlando. Poi si voltò verso gli agenti che la osservavano impietriti. Aveva negli occhi un lampo omicida: rabbia e odio divamparono come una fiamma. Puntò la sua furia verso Mark che voleva avvicinarsi per fermarla. Con forza lo spinse a terra e mettendosi a cavalcioni su di lui cercò di strangolarlo.
Gli urlava in faccia:
«Dov'è mamma? dov'è?» mentre le sue mani solo un attimo prima tremanti e deboli, divennero una tenaglia sul collo dell'agente.
Mark non riusciva a respirare, incredulo di tanta forza. Era grande e grosso, e lei una ragazzina minuta che pochi minuti prima non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Incominciò ad annaspare, mentre Gloria gli stringeva in una morsa mortale di più il collo.
Summer cercò di fermarla tenendola prima per le spalle, non riuscendo a spostarla cercò di allargare le mani della ragazza con le sue, ma anche usando tutte le sue forze non ci riuscì. Poi, finalmente, l'infermiera che si era allontanata per chiamare aiuto rientrò accompagnata da un medico e altri due colleghi. Ci vollero tutti e tre per bloccarla e allontanarla dal poliziotto. E dopo un po', il medico riuscì a sedarla.
*
Mark era in corridoio, ancora sconvolto per quello che era accaduto. Stava per essere strozzato da una ragazzina di diciotto anni. Guardava Summer che parlava al cellulare con il comandante Morgan e continuava a toccarsi il collo irritato. Gli avevano dato una pomata per alleviare il rossore ma il segno che gli aveva lasciato la ragazza era violaceo e sapeva che si sarebbe trasformato in poco tempo, in un livido scuro.
Era entrato in polizia a ventitré anni, subito dopo l'Università e ne aveva viste di tutti i colori ma mai aveva vissuto un'esperienza del genere. Quando era stato aggredito, la ragazza non era lucida, lo sapeva. Si vedeva lontano un miglio che non voleva colpire lui. Ma chi vedeva? Chi erano i suoi aguzzini?
I colleghi affidati al caso avevano perlustrato da cima a fondo il monolocale della giovane senza trovare indizi particolari. Eppure, dopo quella mattina si ripromise del fatto che sarebbe andato lui stesso a dare uno sguardo. Ne doveva sapere di più, molto di più. Voleva aiutarla e poi, sentiva il dovere di rimanere vicino alla collega. Aveva la sensazione che questa storia avrebbe portato molti problemi, non voleva lasciarla sola.
Summer gli si avvicinò mentre chiudeva la telefonata. Era ancora sconvolta, e preoccupata per il collega non sembrava passata. Facevano squadra ormai da cinque anni, si erano sempre guardati le spalle a vicenda ma stavolta non era riuscita ad aiutarlo. Questo la faceva sentire in colpa.
«Come ti senti?» gli disse preoccupata. Mark la guardò negli occhi, era confuso, non sapeva che dirle.
«La mia mente oscilla tra un chi cazzo me lo ha fatto fare di entrare in polizia e cavolo lì dentro c'è Hulk!» provò a sdrammatizzare. Summer sorrise. Poi ripensò a qualcosa che aveva letto in un libro:
"Una madre può avere una forza sovrumana se suo figlio è in pericolo."
Aveva stentato a crederci, ma adesso sapeva che era vero. Per istinto una madre tende a proteggere in qualsiasi modo i suoi cuccioli. Gloria era stata strappata da sua figlia, torturata, lasciata a morire chissà cos'altro. Forse, la regressione allo stadio infantile era dovuta alla paura e allo shock dei maltrattamenti subiti ma se non ricordava nulla e pensava di essere una bambina, come avrebbero potuto aiutarla? Il tempo passava e loro non sapevano dove sbattere la testa.
In centrale i colleghi stavano lavorando senza sosta per trovare qualche indizio, seguendo il segnale gps dello smartphone della ragazza ma ci sarebbe voluto tempo, e il loro, stava per finire. Stava riflettendo ancora su come muoversi, quando il medico di turno la chiamò:
«Agente Lewis?» disse affacciandosi dall'uscio della porta della giovane paziente. Summer si voltò e il dottore continuò:
«Gloria si è svegliata. È più calma e potete parlargli ma nonostante sia sedata andateci piano.»
I due agenti si guardarono in faccia prima di entrare, speravano entrambi di ricavare qualche informazione utile al più presto.
La camera era stata sistemata. Gloria era seduta sul letto e Anna, l'infermiera che era stata presente, la notte che era arrivata, le stava tenendo la mano.
Summer le si avvicinò cauta. Aveva il cuore che le batteva forte, non sapeva cosa aspettarsi.
«Vorrei aiutarti a trovare la tua mamma. Ti va di raccontarmi tutto?»
Gloria alzò finalmente lo sguardo. Aveva le lacrime agli occhi, il viso pallido risaltava le labbra sottili color ciliegio, screpolate e secche. Anche la punta del naso era arrossata e la fronte spaziosa era solcata da un lungo taglio. Dava davvero l'impressione di una bambina, piccola com'era.
«Io non ricordo nulla.» si lamentò in un sussurro. Una lacrima le scese verso la guancia. Summer la guardò, non sapeva cosa fare e il tempo ormai scarseggiava. Doveva inventarsi qualcosa. Prese una sedia e si sedette di fronte alla ragazza, imitando i gesti di Anna. Iniziò col carezzarle il braccio, incoraggiata dall'infermiera, creando così un contatto fisico. Sulle prime Gloria sembrò riluttante ma a mano a mano che Anna le sorrideva, la ragazza sembrò calmarsi. Era il momento giusto, in qualche modo c'era riuscita. Adesso non le restava che sperare che Gloria ricordasse tutto.
«Gloria, io sono qui per te, ricordalo. Adesso, raccontami tutto dall'inizio!»
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