Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Tra luci e ombre

Allora, questa é una one-shoot che desideravo scrivere da molto tempo. Tutto é nato da quando in classe abbiamo letto l'uccisione di Patroclo nella guerra di Troia avvenuta grazie a tre colpi: uno di Apollo (slealissimo), l'altro di Euforbo (un troiano che non si caga nessuno) e l'ultimo di Ettore. Inutile dire che si é scatenata una rivolta contro Apollo ed io per prima concordo sul fatto che sia stato veramente un coglione. Peró a nessuno importa dei suoi sentimenti, nessuno ha mai pensato a cosa abbia provato in quel momento dato che uccidere una persona puó essere dura per qualsiasi dio che non sia Ares (anche se Zeus ha letteralmente ingoiato una sua amante ma dettagli) quindi vorrei provare a descrivere il punto di vista di Apollo. Tanto lo so che verrà una merda ma chissene.
.
.
.
Intorno a me c'era qualcosa, ma non capivo cosa stesse succedendo in realtà. Questo qualcosa girava freneticamente, era ovunque ma non riuscivo a percepirlo con precisione, mi tormentava, urlava, piangeva, strillava, moriva, uccideva, danzava, cadeva, si rialzava e continuava a girare di nuovo, sempre più veloce e sempre più forte. Mi faceva venire il mal di testa, avevo delle forti vertigini anche se non ero in cielo, mi faceva balzare il cuore nel petto come una percussione, mi faceva tremare le gambe che non ressero a lungo e si macchiarono di terra bruna e fango, mi spingeva a chiudere ermeticamente le palpebre per non guardare quell'abominio, anche se da guardare non c'era molto altro che colori scuri e soffusi, figure sfocate, ombre senza nome. Mi strinsi stretto stretto nelle spalle, continuai a non aprire gli occhi, affondai la testa nella mie ginocchia tremolanti strappandomi i capelli con violenza, con ancora in petto quella strana sensazione.

Ma che mi stava succendendo?

Per la prima volta ringraziai di non essere facilmente visibile ai mortali: solo vergogna meritava un dio come me in quella situazione.

Mi tappai le orecchie con le mani sporche per non sentire le urla che rimbombavano profonde nel vento, ma le udivo ancora dentro ed erano cattive, anzi crudeli. Per alcune provai pena, altre mi fecero venire la pelle d'oca: il mio cervello era frammentato, diviso in tanti pezzi fragili come schegge di vetro che non ci capivano più nulla.

Non avrei potuto neanche immaginare l'inferno della guerra. Non era certo la prima a cui assistevo, ma le avevo sempre guardate dall'alto, non comprendevo: al cielo non arrivavano le urla disperate dei guerrieri, le loro lacrime scarlatte, i loro gemiti soffocati; dal cielo non potevi odorare la puzza marcia del sangue, quellola ferrosa delle armi, quella stremata del sudore; dal cielo la guerra sembrava solo un gioco, un passatempo; dal cielo non ti rendevi conto di quanto potesse essere spietata la cattiveria umana.

Perció guardai il cielo. Era terribile, mai aveva raggiunto una tonalità tanto carminia, come a riflettere i fiumi di sangue che scorrevano sulla terra, ma il sole... il sole non brillava. Un enorme disco scuro davanti a lui si poneva comprendo sempre più la sua enorme circonferenza, forse perché anche il sole non voleva assistere a tanto schifo. Sentii una mano sfiorarmi la spalla nuda.

«Prima volta sul campo?» chiese una voce mascolina ma non aggressiva. Guardai la fonte di quella voce che se avesse urlato serebbe stato anche meglio. Era mio fratello Ares, bardato nella sua armatura bronzea, le piume dell'elmo che volavano nel vento, lo scudo macchiato in una mano e la lancia che luccicava anche senza luce nell'altra. Sembrava potente, fragoroso, nei suoi occhi infuocati vidi il furore della battaglia, parevano sorridere, come se godessero alla vista dello sterminio.

«Sai dovresti sbrigarti, più lo lasci in vita, più quell'eroe si crederà potente» mi disse risvegliandomi dai miei pensieri.

«N-Non posso» rigurgitai fuori a fatica.

«Ma devi farlo. Oggi Zeus ha misurato la vita di due prodi guerrieri sulla bilancia, l'Acheo é andato in basso, bisogna ucciderlo» spiegó in tono calmo e mellifluo che non gli si addiceva per niente.

«Fallo tu, sbaglio o hai già ucciso molte persone?» repplicai in una ventata di coraggio, accendo allo scudo sporco di chissà cosa.

«Comodo per te era mandare pestilenze stando comodamente seduto sul tuo carro, dio del sole! Ma ti sarai già accorto che la guerra, quella vera, é molto più terribile. Tu stoltamente hai scelto di schierarti con i troiani domatori di cavalli e ora devi pagarne le conseguenze: non puoi trainare sempre il sole o suonare sul Parnaso con le muse, é ora che tu ti prenda le tue responsabilità» sbottó lui, poi continuó indicando la mischia di guerrieri sotto le mura della città «Quell'Acheo é un temibile nemico dei troiani, quelli che hai deciso di vegliare, ma oggi é stata stabilita la sua morte: sei un ottimo arciere, non dovrebbe risultarti troppo complicato colpirlo»

Cercai di mettere a fuoco il soldato indicatomi da Ares: per un momento mi sebró il figlio di Peleo, Achille credo si chiamasse, ma non era lui. Non era così veloce, ma era resistente nella sua armatura massiccia, decimava uno a uno i soldati nemici mentre la sua voce sovrastava quella di tutti gli altri. Aveva una carica negli occhi, una scintilla focosa, che mi si rizzarono i capelli solo a guardarlo. I troiani morivano sotto al suo passo pesante, le loro ossa si spaccarono, divennero polvere, macchiarono i corpi inermi che, sotto alla sua spada, perdevano colore. Patroclo era il nome di tanto ardore.

Mi avvicinai lentamente per vedere meglio, indeciso nell'animo di troncare per sempre la vita di un giovane o salvarne altre cento, ma, qualunque fosse stata la mia scelta, sarei stato sporco lo stesso. Cosa dovevo fare? Perché dovevo scegliere? Perché proprio io?! Volevo girare le spalle, voltarmi e scappare per sempre, per la prima volta desiderai di essere un mortale perché era meglio morire puro che vivere essendo un assassino.

Accecato, ma anche rassicurato, da questi pensieri stavo veramente per scappare via ma a trattenermi era lo sguardo maligno del dio bardato che sorvegliava il mio lavoro. «Non provarci neanche» mi disse con gli occhi, leggendo i miei pensieri e il mio volto sbiadito.

Ma alla fine realizzai che non avevo scuse: io ero già seganto. Ero già portatore della morte di non so quante persone, oltre la peste all'accampamento, oltre ad aver aiutato i padroni di quei cavalli veloci che calpestavano i cadaveri: io ero già segnato da quando, da lassù, vidi la guerra per la prima volta e non feci niente per fermarla. Tutti eravamo macchiati. In quel momento mi crolló il mondo addosso come se la guerra fosse tutta colpa mia, come se tutto quel profumo di morte che mi inonadava i polmoni fosse colpa mia, eppure, sotto tutto quel peso, pensai che a quel punto era meglio salvare tante vite che una vita sola, indipendentemente dallo schieramento perché da quel giorno io, nella battaglia, non sarei mai più intervenuto.

Presi il mio arco dorato, anche quello brillava nel buio, sfilai piano una freccia dalla feretra, mai quel sibilio mi sembró tanto angosciante. Mi feci spazio tra le fiamme e i corpi dei caduti: ero alle sue spalle, una sleale posizione di vantaggio. Poteva un dio essere sleale con un umano pur essendo immortale? Ma in quel momento le regole e i buoni principi, così come i pensieri, si levarono in una nuvola di fumo. Chissà forse, almeno quelli, al cielo sarebbero arrivati.

Tesi la corda con la freccia annessa, un gelido freddo mi pervase l'anima.

Volevo aspettare che il sole si oscurasse del tutto: volevo evitare che lui mi vedesse, volevo evitare che tutti mi vedessero.

Mi asciugai un attimo la fronte sudata e presi la mira: puntavo alla nuca là dove il colpo sarebbe stato fatale.

Tutto sembrava già più scuro e anch'io mi sentivo così.

E poi, finalmente, il sole si spense.

Ci fu un innaturale silenzio, o forse ci fu solo nella mia testa.

Presi tutto il coraggio che avevo, ma era veramente coraggio se si trattava di uccidere?

La mia vista si offuscó, anche Patroclo sembró un po' spaesato.

La mia testa bacillava, voleva addormentarsi e svegliarsi da quel brutto incubo.

La mia mano tremó leggermente.

Poi tirai.

Il cielo si riaccese più rosso che mai, più vivido mentre, per la prima volta nella mia vita, sbagliai mira: lo colpì alla spalla. Fu in quel momento che i nostri sguardi si incrociarono e si incatenarono l'un l'altro in uno strano gioco di luci e ombre. Lui mi guardava sorpereso, le ciocche dei suoi capelli ribelli gli coprivano il viso, eppure riuscì a percepire tutto l'odio che mi riservó quando mi riconobbe. Era struggente. Anche io lo guardai apatico, nessuna emozione mi voleva riempire per quanto mi facessi venire il volta stomaco da solo. Mi voltai lasciandomi alle spalle quel macabro spettacolo e, dopo di me, altri due guerrieri colpirono il suo cuore audace. L'ultima cosa che vidi fu il suo elmo, prima luminoso, cadere nella polevere macchiandosi di sangue per la prima volta.

Ma mentre me ne andai, tutti gli occhi del cielo erano puntati su di me, nascosti dalle nuvole nere. Tutti mi videro, ma nessuno notó i miei occhi che divennero incredibilmente umidi. Era strano, non ero abituato a piangere. Eppure quella fu l'unica cosa che sentivo.

Crollai sul suolo, urlai contro gli Dei nefesti maledicendogli, maledicendomi di essere nato. Il mio urlo era selvaggio, per nulla intonato, non presi una nota. Urlai e in quel momento tutto ció che avevo represso riemerse, forte il doppio di prima.

Presi a pugni la terra, mi nascosi nella mia vergogna, sembravo ancora più patetico. Anche il mio arco cadde per la prima volta nella polvere macchiandosi: ora avevo i segni fisici del mio delitto.

Volevo solo scappare ma non riuscivo a muovermi, volevo solo chiudere gli occhi ma mi bruciavano tantissimo, volevo solo asciugarmi le lacrime dal viso e il sangue dalle mani, ma entrambi rimasero impressi sulla mia pelle, indelebili, volevo solo... gridare, ma le mie grida furono coperte dalle schiave disperate, dai soldati alleati, dal giovane Achille Pelide che, nella sua maestosità, si fece piccolo piccolo alla morte del suo compagno, cercando di tagliarsi la gola con il suo stesso ferro. Ci vollero due soldati per trattenere la sua ira.

E, in quel tappeto di voci, nessuno sentiva la mia che sicuramente non arrivó al cielo.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro