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Oh My Gods: Finale

ALLORA COMMENSALI LA STAVATE ASPETTANDO O NON LA STAVATE ASPETTANDO!? LO SO SONO RESUSCITATA DOPO UN MESE CON QUESTA STORIA MA HEY MEGLIO TARDI CHE MAI. E siccome come Afrodite quest'oggi mi sento particolarmente generosa ho deciso anche di mettervi l'epilogo qui su scleri mito fantastici (volevo usare una strategia di marketing tipo quella dei dlc, cioè mettere la storia qua ma l'epilogo e I prequel degli altri personaggi nella raccolta così sareste stati obbligati a comprarl- LEGGERLA, SARESTE STATI OBBLIGATI A LEGGERLA *risata malvagia*)

Però ho realizzato che tutti i geni del marketing fanno schifo ed io non voglio fare schifo quindi arriverà a breve (E PER BREVE SI INTENDE VERAMENTE BREVE QUESTA VOLTA)

ALLORA CHI È LA VOSTRA AEDA PREFERITA!? Ok basta tutto ciò sta sfiorando nel cringe, adesso ritorno acida, tutto normale e iniziamo che sicuramente non siete venuti qua per leggere gli spazi autore, so...

Ps: scusate gli errori ortografici ma il capitolo l'ho scritto tra sta notte e sta mattina quindi potete ammirare la voglia di vivere esattamente. Correggerò in giornata e se trovate errori segnalateli così facciamo anche morire qualche professore di grammatica nel frattempo








Camminavamo da ore ormai anche se non sapevo dire quante: quel giorno infatti il sole si era levato molto in ritardo, meno radioso del solito. Il lamento del dio si sentiva un po' debole ovunque e la morte del suo amato pareva aver svuotato il mondo. Ironicamente una sorte simile mi sarebbe capitata se...

«Sta attenta!» esclamai afferrando fiaccamente Psiche per un fianco ed impedendo che cadesse a terra. Lei mi guardò disperata con gli occhi rossi dal pianto (sempre se si potevano ancora definire occhi), la pelle nera poiché inghiottita dal rovo di spine che si espandeva fino al suo petto.

«Amore...» sussurrò senza voce, aggrappandosi ai miei vestiti. Le forze le volarono via appena pronunciò quel nome, disperdendosi in quel vento che faceva frusciare le foglie degli alberi in fiore, le spighe di grano ancora verdi, i fili d'erba che ci solleticavano le dita: la vita di quelle campagne serene ma desolate, abitate solamente dal silenzio. E la terra stessa, desiderosa di potere proprio come un despota, non soddisfatta di aver già preso la giovane vita di Giacinto, adesso bramava anche quella piccola anima che non aveva mai avuto paura, né degli Dei né dei mortali, dipinta di tutte le sfumature che il tramonto gentilmente le elargiva e che la rendevano ancora più bella nonostante il corpo stremato dalla stanchezza, l'aspetto quasi invecchiato e una maledizione sul cuore. La terra reclamava anche Psiche.

«Psiche, Psiche alzati!» gridai squotendola un po' per riportarla alla realtà: «PSICHE ABBIAMO GIÀ PERSO GIACINTO, NON PERMETTERÒ CHE MUOIA ANCHE TU»

Sembrava che le mie parole la raggiungessero come un eco lontano, sovrastate dalla morte, la quale le faceva capolino. E Psiche le sorrideva amorevolmente, nemmeno di essa aveva paura. Il suo sguardo vacuo puntava il sole che, per quanto accecasse, non poteva competere con il suo bagliore. E ben presto, da essere dipinta di cielo, iniziò a tingersi di terreno, di sporco.

«Psiche... NO!» dissi stringendola a me, cercando con una fatica sovraumana di strapparla al suolo. Infilai la testa nell'incavo del suo collo che profumava ancora: no non potevo perdere la sua essenza, la sua bellezza, i suoi colori. Non potevo e basta. Iniziai a riempirla di baci, a farla alzare per camminare ancora in quelle lande senza meta nonostante anch'io ero sempre più debole, sempre più maledetto.

All'improvviso, aggrappandosi alla vita con tutta se stessa, mi alzò il viso con entrambe le mani e iniziò: «Perché voi Dei dovete sempre renderci le cose più difficili...»

«NON DIRLO NEANCHE PER SOGNO, TU NON MORIRAI QUA»

«Ma è così che devono andare le cose»

«IO LE CAMBIERÒ, NON POSSO PERDERE ANCHE TE PSICHE, NON POSSO» e scoppiai in lacrime: «Non poss-» affondai nel suo petto accasciandomi sopra di lei.

«No Amore, tu non sei quel tipo di dio: non sposteresti mai mari e monti, tempo e fato per realizzare un tuo desiderio, tu non cadresti mai così in basso.

No, non guardarmi così, perché tanto lo sai che sono solo questo: un desiderio... Il desiderio egoista di un dio buono, una scelta sbagliata, una promessa impossibile da mantenere. Non scuotere la testa in quel modo...»

«Non è vero, NIENTE DI QUELLO CHE DICI È VERO»

«Sarebbe comunque finita così lo sappiamo: i mortali muoiono e quelli amati dagli dei muoiono giovani... Ma sai non mi pento nemmeno per un secondo per quello che abbiamo fatto, per quello che siamo stati. Potrebbero maledirmi altre mille volte ma rifarei tutto ciò che ho fatto altrettante mille»

«TU NON MERITI DI MORIRE»

«E tu non meriti di ricevere la metà dell'amore che dai. Voi Dei e le vostre tragedie... io non voglio essere la tua. Va via da qui-»

«No»

«Scappa»

«NOOO!» e un urlo inumano scaturí dalla mia bocca capace di far scappare tutte le belve e gli uccelli. Un urlo da gelare il sangue, da far fermare il battito, da far svuotare l'anima. Psiche se ne stava andando tra le mie braccia e il colpo di grazia glielo avevo dato io.

«P-perché voi Dei continuate a-ad odiarci, a far- a farci queste cose o-orribili anche se... anche se noi non smettiamo mai di amarvi» e le finí il respiro, abbandonando il palmo con cui mi stava accarezzando il volto: il tepore che usciva piano piano dalle sue dita.

Dilaniato dal mio stesso dolore mi posai sopra il suo busto e ancora cinto dalle sue braccia e le presi per mano: «Sai la mamma mi ha detto che un tempo non era così» strinsi questa più forte, poi continuai:

Mi disse che un tempo Dei e mortali si piacevano, si amavano. Ma poi qualcosa cambiò... non si sa di preciso cosa... forse una maledizione come questa, forse perché le persone cambiano o forse perché semplicemente non si piacevano più.

Mi disse che i mortali invidiavano gli Dei tanto quanto gli Dei invidiavano i mortali, proprio perché potevano morire e quindi potevano anche vivere. Loro, invece, esistevano e basta. Vedevano i loro amati invecchiare, diventare polvere e dare le proprie speranze alle nuove generazioni a cui si affezzionavano di nuovo e il ciclo ricominciava da capo.

Mi disse che gli Dei non potevano provare veramente amore, perché l'amore invecchia anche se non muore, mentre loro, gli Dei, erano costretti a esistere per sempre dannatamente giovani, dannatamente belli e dannatamente dannati. Ecco, forse gli Dei hanno iniziato a fare queste cose orribili ai mortali perché si erano stancati dell'amore. Ma sai Psiche, io sono comunque un Dio e credo fermamente che, se tu resterai al mio fianco, non riuscirei mai a stancarmi dell'amore»

Chiusi gli occhi, la sua mano calda fu l'ultima cosa che sentii. La sua mano e un colpo di vento.

.
.
.

Mi risvegliai con un fiume di luce addosso, in un morbido letto di lenzuola appena lavate e piume. Non capivo ancora bene dove mi trovassi ma soprattutto non percepivo la presenza di Psiche. Aprii la bocca per parlare ma una figura antropomorfa in controluce mi interruppe spiegando: «So cosa stai per chiedere e non preoccuparti: l'ho portata in una stanza più grande e sono riuscito a rallentare la maledizione. Ma temo che non durerà ancora per lungo: la spina di Afrodite sta per raggiungere i suoi organi vitali, abbiamo ancora qualche ora al massimo»

La spina certo! Effettivamente era da molto che non la controllavo ma incredibilmente, toccandomi il polso, notai che non c'era nessuno rovo.

«Il tuo invece sono riuscito ad annullarlo: sei un dio dopotutto, non puoi certo morire...» aggiunse quello leggendomi nel pensiero con un macabro sarcasmo. Quella figura snella e slanciata, incredibilmente giovane, mi era familiare e la sua voce, adesso melliflua, ancora di più. Tuttavia così confuso com'ero non riuscivo ad abbinare quelle sensazioni a un volto.

Egli si girò per un istante contemplando con gli occhi umidi il letto dove mi trovavo: la sua sagoma divenne visibile, accarezzata dalla penombra che sempre seguiva la luce. Lo guardai negli occhi, quelli che ormai conoscevo a memoria e lui, come se gli avessi appena dato un permesso, corse verso di me, spaccando quella barriera che sembrava dividerci, ed atterrò tra le mie braccia.

Puzzava di morte e per quanto la sua pelle azzurrina fosse pulita e morbida si intravedevano ancora le chiazze di sangue sulle goti, sulla fronte, agli angoli della bocca. «Ti sei svegliato, o per tutti gli dei, sei salvo! Non sai quanta paura ho avuto, per entrambi, io non potev-» iniziò Zefiro ma io lo interruppi:

«Tu...»

«Eros...»

«TU NON TI DEVI PERMETTERE DI PARLARE, HAI CAPITO?»

«Ti prego, perdonami...»

«COME POTREI PERDONARTI, HAI UCCISO UN UOMO ZEFIRO, LO HAI UCCISO! E LEVA LE TUE LURIDE MANI, SCHIFOSO! HAI RESO NOI, CHE TI ABBIAMO COPERTO, TUOI COMPLICI»

«Mi dispiace...»

«NON PARLARMI MAI PIÙ! NON OSARE TOCCARMI, NON GUARDARMI NEMMENO: LA TUA FACCIA MI DISGUSTA... DOVE HAI PORTATO PSICHE!? IO NON MI FIDO DI TE, FAMMELA VEDERE COSÌ POTREMO ANDARCENE»

«E DOVE ANDRETE SENTIAMO? La faresti solo peggiorare, non sottovalutare i poteri di tua madre, specialmente le maledizioni»

«LEI NON È PIÙ MIA MADRE E NON HO CHIESTO LA TUA OPINIONE»

Mi ributtò sul talamo bloccandomi i polsi per farmi calmare anche se continuavo a dimenarmi: e sinceramente mi sarebbe piaciuto continuare se non fosse stato un pazzo omicida (e se non gli avessi sputato in faccia).

«Io lo so cosa pensi... cosa pensi di me... cosa tutti pensano di me» setenziò lui con i riccioli che gli nascondevano gli occhi.

«Dov'è Psiche?» domandai sforzandomi di tenere la voce ferma, questa volta non avrei pianto, non avrei mai più pianto per lui, per nessuno.

«PENSI CHE IO NON SAPPIA COME CI SI SENTA!? CHE NON PROVI NULLA? CHE NON ABBIA RIMORSI!? NON SOLO I MORTI PROVANO SENTIMENTI EROS-»

«NON È CIÒ CHE TI HO CHIESTO»

La mia mano si mosse da sola e senza che me ne accorgessi gli tirai un pugno in pieno stomaco, di nuovo. Zefiro boccheggiò dolorante soffocando i suoi singhiozzi nelle lenzuola: «Sono un mostro...» borbottò tra se.

Lo scrutai dall'alto con fare impassibile: lo odiavo, oh se non lo odiavo, ma non volevo fargli male. Cercai di tirarlo su, di metterlo a sedere ma pareva un corpo vuoto, morto. Mi faceva così schifo, ma allo stesso tempo così pena nel vederlo ridotto in questo modo: destinato ad una misera esistenza, forse anche peggiore della morte stessa. «Non sei proprio un mostro, sei soltanto... come tutti gli dei. Nemmeno Apollo era un santo, nemmeno io lo sono, nessuno lo è» affermai dopo un lungo silenzio fatto di sospiri e boccate d'aria, dopo essermi calmato.

«Non meritavo la tua protezione»

«E Giacinto non meritava la morte ma a quanto pare abbiamo entrambi constatato che questo mondo fa altamente schifo»

Mi fissò sorpreso, come se non avesse mai visto tutta questa sicurezza dentro di me. In seguito abbozzò un sorriso tra le lacrime e prese ad accarezzarmi le ali color avorio. Inaspettatamente si raddrizzò e si abbandonò in un lungo, silenzioso abbraccio, continuando a vezzeggiarle fino alle scapole dalle quali spuntavano. Io lo lasciavo fare inizialmente perché ero sorpreso e non sapevo come comportarmi, eppure quella indecisione divenne sempre più piacevole, più nostalgica. Ricordai i pomeriggi passati nella reggia di Psiche, un paradiso molto, molto lontano: ricordai delle risate, delle carezze, dei baci; dell'amore che regnava sovrano, l'unico tiranno meritevole di comandare.

«Anche a te hanno fatto male? Quando ti sono spuntate da piccolo intendo» pronunciò ed ebbi un fremito mentre iniziava a grattare. Feci leggermente cenno di sì con la testa, mi aggrappai alle sue braccia: la verità è che mi era mancato. Una parte di me voleva scrollarselo di dosso, un'altra voleva rimanere lì per sempre e non pensare ad altro. Forse aveva ragione, forse gli dei non erano così diversi l'uno dall'altro dopotutto... In fondo era vero, aveva tolto una vita, ma adesso stava cercando di salvarne un'altra...

«Zefiro giuro su tutto ciò che ho di più caro che tornerò da te e riaffronteremo la questione» affermai tutto d'un fiato, allontanandolo un po' a malincuore: «Ma perderemo un'altra mortale se non fermiamo la maledizione in tempo ed ho bisogno di vedere Psiche: lo capisci?»

Posai la mia mano sulla sua guancia rilasciando un potere, una frenesia nuova che non mi apparteneva. I suoi occhi iniziarono a tingersi di spruzzi magenta, proprio come quelli di mia madre, vuoti, quasi ipnotizzati. Non l'avevo mai fatto prima d'ora: i-io... io potevo sedurre le persone...

Ci risvegliammo entrambi, io tremendamente imbarazzato e lui molto confuso. Non riuscivo a guardarlo in faccia, desideravo solo nascondermi sotto terra, fino a raggiungere gli Inferi.

«A-allora come hai trovato questo posto?» chiesi rosso in viso: adesso non vedevo veramente l'ora di correre da Psiche.

«E' un posto particolare, l'ho scoperto per caso quando... mentre volavo. Ha molti affari buffi sai? Sembra quasi...magico» spiegò :«La camera di Psiche si trova al secondo piano, primo corridoio a destra» e non lo feci nemmeno finire che già mi incamminai nella direzione indicatami. Zefiro faceva veramente schifo con le descrizioni, un "posto particolare" non si addiceva per niente a quel luogo: l'imponentissima reggia era un dedalo di sale e corridoi (alcuni addirittura nascosti) tappezzati da lussuosissimi arazzi e stendardi abitati da eroi e creature mitologiche rossi e neri, ricordandomi le classiche ceramiche greche. Questi si muovevano da una stoffa all'altra, danzando o combattendo oppure indicandoti dove andare (anche se Medea pareva indicare di proposito vicoli ciechi). Gli attrezzi più comuni come vassoi, scope o stracci invece si muovevano da soli: dovetti seguire un bicchiere di bronzo pieno di latte per trovare Psiche.

La sua stanza era dietro uno stendardo vuoto, come se aspettasse di essere riempito e l'interno emanava un flebole bagliore violaceo. Psiche era distesa su un talamo candido interamente ricoperta da bende e garze, circondata da veli di seta bianca: mi ricordavano la mia vecchia casa, il tempio di mia madre, prima che venne considerata una dea debole e cadde in disgrazia. Un centinaio di farfalle le svolazzavano intorno riempiendo ogni angolo della camera. Mi chiedevo come una persona in quelle condizioni potesse rimanere così bella.

«Psiche sono io, riconosci la mia voce?»

«C-chi... chi sei tu?»

Sbiancai un momento, poi Zefiro spalancò la porta scacciando tutte le farfalle presenti: «Il rovo le ha toccato aree molto delicate del cervello, potrebbe aver perso la memoria, o almeno quella più recente. Probabilmente si ricorderà della sua identità, ma forse non sa di averci incontrati»

«Quindi in poche parole...» cercai di metabolizzare, ma il dio del vento concluse per me: «Non sa chi siamo, non ricorda tutto ciò che ha vissuto. Ma forse è un bene: gli Dei ci metteranno di meno a rintracciarci»

«Chi sei tu?» ripeté con un filo di voce, probabilmente in preda a un delirio. Le carezzai il palmo della mano: non poteva aver perso tutti quanti i ricordi, tutto ciò che avevamo passato. No, ne ero certo, l'amore non funziona così, non si basa solo sulla memoria, c'era sicuramente altro. Un legame per esempio, un collegamento che lei forse poteva ancora sentire. E quando la sua mano si rilassò nella mia, fidandosi di me come se mi conoscesse da sempre, ne ebbi la conferma.

«Oh non badare a me sono solo un semplice uomo» mentii. Zefiro aveva ragione, non doveva conoscere la mia identità o gli Dei ci avrebbero scovati immediatamente: «Vedi questo è il mio castello ed io sono il tuo amante, il tuo sposo»

«Il mio amante?» socchiuse gli occhi confusa: «E... da quanto ci conosciamo?»

«Ti... ti ha trovato Zefiro, il vento dell'ovest» continuai indicandolo.

«Eri scappata di casa, ti trovavi nelle vicinanze di una pericolosissima rupe. Furono le tue sorelle a portarti lì» aggiunse lui per rendere più credibile il mio racconto.

«Ah, sì... le mie sorelle... Effettivamente sono insopportabili ahah! Continua»

«Solitamente di giorno ho un sacco di faccende da sbrigare, così vengo a trovarti di notte. Ogni notte vengo da te ed ogni notte... beh, puoi immaginare...» fortunatamente, essendo senza ali e in controluce, non poté vedere le mie goti diventare color porpora.

«Ogni notte...»

«Ogni notte»

«E perché adesso non ricordo nulla?»

«Hai avuto un... piccolo incidente»

«Che tipo di incidente?» era incredibile come anche in fin di vita riuscisse ad essere così curiosa.

«Beh diciamo solo che abbiamo scatenato l'invidia degli Dei»

«Che cosa!?»

«No, no resta sdraiata! Tranquilla. Gli dei ci invidiano perché... beh perché ci amiamo. Ci amiamo veramente tanto»

Psiche sorrise.

«Gli dei sono invidiosi dei mortali... » recitò poi tutto d'un fiato: «Qualcuno mi disse una cosa del genere una volta, ma sembra passato così tanto tempo...»

«A proposito di tempo» si intromise nuovamente Zefiro.

«Ho un piano» affermai risoluto: «Andrò sull'Olimpo, spiegherò la situazione e chiederò l'aiuto di Zeus, il re degli Dei»

«Ne sei sicuro? Afrodite ha già una pessima reputazione, questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso, potrebbe essere bandita dall'Olimpo»

«Tranquillo so quello che faccio. Afrodite mi ha usato, mi ha ingannato ed ha utilizzato il suo potere su di me troppe volte ormai: ma non verrà bandita, né Psiche morirà, né puniranno te. Sistemerò tutto» ero ormai fuori dalla porta, diretto a passo spedito verso la finestra più vicina.

«No, non puoi farlo è pericolosissimo!» sibilò Zefiro seguendomi in corridoio. Mi afferrò inaspettatamente il polso ed anche la sua espressione cambiò, come se nemmeno lui sapesse il motivo del suo gesto: «N-non... non voglio perdere anche te»

«Non mi perderai, te lo giuro» le nostre facce erano incredibilmente vicine, illuminate dalla luce d'oro. Oh dei, io... certo che non volevo perderlo! Cercai di tenere un tono fermo e riprendendo le parole di Pische annunciai: «Nemmeno io voglio essere la tua tragedia. La nostra è una fiaba, avremo un lieto fine, vedrai»

Predendomi il viso tra le dita tremanti sussurrò spaventato: «Parli come se fossi il più potente tra gli Dei! Come se fossi capace di fare tutto!»

«Oh Zefiro» mormorai passando un dito sulle sue labbra morbide: «Stai parlando con l'amore, io sono il più potente tra gli Dei» e detto ciò lo baciai, in segno di buona fortuna. Subito dopo spiccai il volo.

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Tuttavia la nostra non era l'unica tragedia in corso. In una casa così mal ridotta da sembrare abbandonata, su un divanetto pieno di briciole e polvere circondato da veli vermigli, una divinità affondava il suo viso nelle coperte ricordando una scena di tanti anni prima. Aveva i capelli lunghi, mossi e dorati come il sole che quel pomeriggio aveva terminato prima il suo corso. Sarebbe stato l'uomo più bello di tutti i tempi se il suo viso marmoreo non fosse stato sfregiato dal pianto: gli occhi rossi e gonfi, le guancie arrossate, le braccia e le spalle colme di graffi e di morsi, probabilmente autoinflitti.

«Oh, povero, miserabile, ingenuo Apollo!» esclamò una donna al suo fianco con falsa apprensione, accarezznadolo dolcemente. Un'altra bellezza perduta nel tempo: la dea Afrodite.

«Ah no, effettivamente ingenuo non è un aggettivo che ti si addice: tu lo sapevi già giusto?»

Apollo, il dio del sole, le tirò un'
occhiataccia , colma più di disperazione che rabbia. «Oh non guardarmi così» lo riprese l'altra: «Prima Dafne, poi Coronide e la lista potrebbe allungarsi di un bel po'. Apollo tu sei maledetto fattene una ragione, cosa ti faceva pensare che questa volta sarebbe stato diverso. Gli Dei non possono amare i mortali. Gli Dei non possono amare. Mai. E pensare che sei anche il dio degli oracoli: avresti dovuto prevederlo»

«Tu non puoi capire, TU NON PUOI PROPRIO CAPIRE... LO AMAVO COSÌ TANTO, DA COSÌ TANTO TEMPO. E IL VENTO ME L'HA PORTATO VIA, QUEL MALEDETTO VENTO DELL'OVEST!» ma aveva in corpo così poca forza che l'unica cosa che riuscì a fare fu tirare un fiacco pugno a un cuscino.

«TACI APOLLO! NON AZZARDARTI MAI PIÙ! NON ACCUSARE GLI ALTRI DEI SENZA DELLE PROVE!»

«MA IO L'HO VISTO!» continuò nelle lacrime: «Io l'ho visto... Non crederai forse... N-non crederai che sia stato io ad ucciderlo vero?»

«Certo che no, razza di idiota. Lo sai che ti crederei sempre e starei sempre dalla tua parte qualsiasi cosa accada... Qualsiasi cosa» poi dopo essersi calmata ed aver fatto un respiro profondo aggiunse: «Anche io non sopporto quel dio del vento. È figlio di quella miserabile di Eos, come potrei sopportarlo? Ma non abbiamo comunque prove o testimoni che possano garantire per te, quindi...»

«Tuo figlio era là, con la mortale Psiche. Gli ho visti mentre lo proteggevano: sembrano tutti e tre molto legati... Credo che siano innamorati» annunciò Apollo, anche lui più calmo, dopo aver preso un fazzoletto.

Poi di punto in bianco rise, rise come un folle.

«Quei tre mi ricordano proprio noi alla loro età... quando non avevamo nessun tipo di maleficio, quando potevamo amare ancora»

«L'amore è sempre stato un maleficio, Apollo»

«Allora perché ne hai lanciato un'altro? La spina addirittura... deve richiederti molto sforzo»

«Non ne voglio parlare» replicò la dea corrucciata smettendo di consolarlo. Apollo si girò con la testa verso il soffitto, come se fosse pieno di stelle.

«Sai, molto tempo fa eravamo nella stessa situazione... curioso, non trovi? La storia si ripete sempre...

Io ero innamorato di un altro se ben ricordo... E se non fosse stato per il tuo consiglio, probabilmente a quest'ora nemmeno lo avrei conosciuto, Giacinto intendo»

«Ti saresti evitato dolori e sofferenze»

«Mi sarei evitato l'amore» sussurrò piano. Una lacrima solitaria gli bagnò il volto: «A volte mi chiedo se valga veramente la pena amare, amare così tanto da prosciugarti l'anima, da svuotarti completamente sapendo che alla fine andrà comunque tutto male, che ci sarà solo tristezza e... dolore»

«Non ne vale la pena fidati, so cosa significa amare così tanto da essere catapultata fuori dal mondo, da prosciugarti l'anima» si riferì ad Adone, ad Ares e a tutti gli altri amanti divini o mortali.

«Secondo me no, invece. Questo non dimostra proprio che un'anima ce l'abbiamo?» si chiese tra sé e sé, tornando a piangere per le sue stesse parole.

Nessuno dei due parlò per un po'.

«Il punto è Afrodite, eri così bella quando anche tu avevi un'anima, quando amavi, quando esortavi le persone a dare il meglio di loro stesse. Eri la protettrice dell'amore, ora invece sembri la sua acerrima nemica»

«È errato: sono una sua schiava»

«E non pensi che sia il momento di riscattarti?»

La dea lo squadrò con un occhiata interrogativa: «Che intendi?»

«Tu non sei gelosa della mortale. Tu sei gelosa del loro amore» spiegò Apollo steso ormai sulle sue gambe, ancora ad ammirare il cielo di cemento: «Libera i ragazzi dalla maledizione: hanno fatto così tanto, se lo meritano! Ritorna ad essere giovane e bella, ritorna ad essere la vera dea dell'amore! Spezza la catena: dimostra che dei e umani possono ritornare in armonia, dimostra che l'amore può essere qualcosa che ti riempia e non soltanto qualcosa che ti svuoti»

Afrodite spalancò gli occhi, che le si fecero lucidi: «Tu...»

«Non punire gli altri per le pene che hai sofferto tu» Apollo cercò di suonare convincente in quel suo stato questi pietoso: «Ironico detto da me...»

«Tu... resti un idiota!» esclamò Afrodite sull'orlo delle lacrime.

«Ma sono il tuo idiota preferito» concluse l'altro: «E sai che ho ragione, come al solito»

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.

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Dopo qualche minuto dalla partenza di quello strano uomo che raccontava di essere il suo amante, Psiche iniziò a farfugliare sovrapensiero: «A-afrodite.. Afrodite»

Non aveva visto il suo corpo, ma sembrava giovane e bello, molto molto bello, bello come un dio. Persino a pochi passi dalla morte gli ingranaggi del suo cervello non riuscivano a smettere di girare: pensava, formulava ipotesi e provava a collegare i frammenti di memoria rimasti.

«Cosa hai detto?» domandò cortese il dio del vento, Zefiro, che l'aveva gentilmente salvata e guarita. Eppure chissà come si era fatta tutte quelle ferite. Poi notò la spina sottopelle.

«Afrodite» ripeté: «N-non so il motivo ma credo che in tutto questo c'entri Afrodite. La spina... è sicuramente collegata a lei, la rosa è il suo fiore sacro se non ricordo male... ed anche quello strano ragazzo... sicuramente è collegato a lei»

Zefiro che ormai non riusciva più a nascondere come prima alcuna emozione, la guardò sbalordito. Aveva fatto centro.

«D-devo andare da Afrodite» borbottò mettendosi a sedere con fatica.

«No devi restare qua a riposare!» la esortò il suo protettore.

«Morirò non è vero?» domandò ad un tratro, sentendoselo da dentro.

Zefiro non rispose abbassando lo sguardo ma lei capí: «Sì, sicuramente morirò. A-allora devo proprio andare da Afrodite. C'entra qualcosa in tutto questo ed io voglio fermarlo... voglio fermare tutto. Non so chi sia quel ragazzo, ma mi è familiare: credo seriamente di amarlo anche se non ricordo il suo nome. Probabilmente anche lui è un dio, questo spiegherebbe molte cose»

«Potrebbe esserlo»

«Allora portami da Afrodite»

«Ho promesso di proteggerti»

«Hai fatto molto più di ciò che hai promesso e te ne sono infinitamente grata, ma proprio per questo devi portarmi da Afrodite!»

Il dio cedette alle richieste e spiegò: «Afrodite è troppo debole per venire nel mondo mortale: negli hanni ha perso richieste, ha perso seguaci ed ha anche quasi perso il suo posto sull'Olimpo. L'unico modo che hai per incontrarla è visitare tutti i suoi templi, fare sacrifici e dimostrare che sei degna»

«Degna di cosa?»

«Di suo figlio» pronunciò controvoglia l'altro. Si aspetto che Psiche saltasse in aria o che svenisse o comunque una reazione umana. Invece restò calma e pacata, fisso l'orizzonte di fuoco fuori dalla finestra ed affermò più risoluta e debole che mai: «Allora devo proprio andare»

«Sei consapevole che è un'arma a doppio taglio, vero? Se non riuscissi a convincerla ti ucciderebbe...»

«Credo di avere gli Dei dalla mia parte e soprattutto... credo nell'amore. Sono sicura che riuscirà a convincerli e loro mi aiuteranno... Ma non abbiamo tempo o sbaglio dio del vento?»

La ragazza si appoggiò saldamente al capezzale del letto dandosi lo slancio. Per un momento sembro aver trovato l'equilibrio ma poi cadde malamente in avanti. Zefiro corse a soccorerla, ma lei rifiutò l'aiuto riprovando a mettersi in piedi. Questa volta andò un po' meglio: usò tutta la sua forza rimanente per rimanere in piedi senza vacillare nemmeno un pochino. Provò a fare un passo avanti: tutto bene sembrava. Ma in seguito, quando lasciò l'appoggio, ondeggiò pericolosamente e pallini neri e colorati le apparvero davanti agli occhi.

Zefiro a quel punto la posò di nuovo sul letto ed affermò: «Non riesci a fare nemmeno un passo! Come pensi di poter fare il giro dei templi di Afrodite!?»

Psiche strinse i pugni sulle lenzuola ma prima che potesse controbattere una voce femminile riempì la stanza. La vegetazione tutt'intorno fiorí e l'aria divenne calda e accogliente. Un profumo di rose e mirto accompagnava le rimbombanti parole «Non ce n'è bisogno, Zefiro figlio di Eos, eppure ti facevo più arguto»

«Afrodite!» esclamarono in contemporanea i due ragazzi.

«Esattamente»

Psiche provò a rialzarsi ma ormai le forze l'avevano completamente abbandonata.

«Che scena patetica» commentò la voce: «Ma del resto, io non sono proprio nessuno per parlare...»

«PROVA A SFIORARLE ANCHE SOLTANTO UN CAPELLO E-» iniziò il vento ma la dea lo interruppe: «E cosa? Cosa mi farai? Quanta insolenza, sei proprio insopportabile... Anche se sono debole sono comunque una dei dodici olimpi e tu sei soltanto un dio minore, un vento, vuoi anche che ti faccia un disegnino?»

«Tornando a noi» iniziò la voce senza corpo riferendosi alla giovane: «Hai detto che volevi incontrarmi a tutti costi, che volevi dimostrare il tuo valore per fermare la mia ira e sposare mio figlio»

Fece cenno di sì con la testa.

«Ma io sono ancora molto adirata con te, giovane Pische, cosa ti fa credere che non voglia reclamare la tua anima?»

«Perché sono disposta a fare qualsiasi cosa tu voglia»

«Qualsiasi cosa?»

«Qualsiasi» affermò lei decisa, gli occhi verdognoli fissi nel vuoto, come se riuscisse a vedere la forma della voce.

«Pf» sbuffò Afrodite: «Un tempo ti avrei fatto fare il giro di tutti i miei santuari e ti avrei fatto affrontare prove impossibili per un'insulsa mortale come te... dividere le granaglie più diverse in tanti mucchietti di egual misura, raccogliere il manto d'oro da ovini estremamente aggressivi, prendere l'acqua da una sorgente a strapiombo, su una montagna. Ti avrei addirittura fatta scendere negli inferi o magari ti avrei fatta addormentare per l'eternità, visto quanto ti piaciono i talami»

Psiche arrossì per le ultime parole ma non distolse lo sguardo.

«Tuttavia...» continuò la dea: «Non riesci nemmeno a camminare... aah mostra il braccio»

«Psiche non farlo, è una trappola!» l'avverti Zefiro.

«No...» rifletté invece lei porgendo lentamente il braccio con il rovo conficcato, scrutando il paesaggio fuori dalla finestra: «Guarda là, in lontananza... È un'aquila! Il simbolo di Zeus! Eros ce l'ha fatta, lo sapevo! Afrodite è qui per conto di Zeus il re degli Dei»

«In realtà è una storia lunga...» esordì la dea come se avesse fatto una specie di sorriso amaro: «Diciamo che non hai soltanto un dio dalla tua parte signorina. Anzi devo dire che hai superato le mie aspettative: volevo ucciderti sostanzialmente perché molti ti definivano più bella di me, ero gelosa lo ammetto. Ma a te non importava. Tu non te ne facevi niente degli ammiratori, dei complimenti, delle richieste di matrimonio. Me ne sono resa conto molto tardi: tu non sei solo bellezza, giovane Psiche, sei anche curiosità e intelligenza e devo dire che hai avuto fegato. Sei il gioiello dei mortali, saresti stata un'eroina perfetta, una degna protagonista dei miti... Eppure credo che te la caveresti addirittura meglio come dea»

I due ragazzi si guardarono sbalorditi. Non avevano parole, nessuno dei due.

«Ascoltami bene giovane Psiche» setenziò la dea riempiendo la sua voce di potenza: «Inizialmente ti ho lanciato una maledizione, ma ora voglio riscattarmi anch'io. Non voglio essere inferiore ad una mortale! Proprio per questo intendo darti la mia benedizione invece»

«Non morirò?» domandò Psiche sorpresa. Che domanda stupida, si disse. E pure dopo che le aveva detto di essere intelligente... In tutta risposta la spina si disintegrò in tanti granelli di cenere nera.

«Quanto a te divinità anemone, hai strappato la vita di un mortale ma ne hai salvata un'altra: ciò significa che non ti puniremo»

Zefiro tirò un sospiro di sollievo e cadde sulle ginocchia: «G-grazie... grazie mille...»

«MA!» riprese la dea che non amava essere interrotta: «Nemmeno io posso garantire per cosa farà Apollo. Oggi mi sento particolarmente buona quindi lascia che ti dia un consiglio: per un po' di tempo è meglio se eviti l'Olimpo, non si sa mai...»

«Lo farò! Grazie ancora di tutto»

«Prego. E adesso andate a recuperare mio figlio prima che precipiti in mare» e detto questo la sua presenza nella stanza scomparí.

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