Oh my Gods: Dei & Mortali pt.2
Era inutile cercare di insistere: ci saremmo persi l'accoglienza. Decidemmo perciò di fare un giro dell'istituto. Assomigliava ad un locus amenus per chiunque: le aule erano grandi e luminose, rivestite di vetrate e teloni colorati da cui i raggi solari filtravano tinti delle più belle sfumature, tutte tendenti all'oro-porpora, ma erano anche poche dato che molte lezioni si svolgevano all'aperto; i giardinetti tutti intorno erano deliziosi, con grandi alberi sempreverdi che adornavano le recinzioni, tutti uniti da sentieri di ciottoli con piccoli laghetti sparpagliati qua e là; Psiche notò che nel ritrovo della sezione dei mortali, l'enorme cortile posteriore, c'era addirittura un mini-labirinto.
Tra fontanalle, panchine abbracciate dai rampicanti, aiuole fiorite e siepi ben curate spuntavano qualche statua qua e là, alcune bianche come il marmo, altre più rosee e colorate, tutti illuminate dalla stessa aurea epica che avvolgeva la scuola: gli occhi di pietra degli dei (ma anche di eroi) raccontavano il loro passato e la loro rinascita, i loro amore e il loro dolore (talvolta anche entrambi nelle stesso momento) le loro vittorie e le loro sconfitte, entrambe ottenute con fatica. In quelle espressioni bloccate nel tempo miti e leggende si materializzavano simili a sogni: correvi come loro, piangevi come loro, avevi paura come loro, combattevi come loro. E loro erano come noi. Le loro fatiche e le loro imprese rimanevano immutevoli e gloriose nella mente di chiunque gli ammirasse: immortali nella memoria e fragili nella realtà. Psiche sembrava esserci arrivata prima di me: Dei e mortali si assomigliavano più di quanto non volessero far credere.
Seguivamo quelle ombre fantastiche ammaliati, in un silenzio tombale, finché non arrivammo in un giardinetto che dava su una spaziossisima sala interna. Passammo i primi minuti lanciando dei sassolini nello stagno (Psiche era bravissima a farlo), contando le libellule di passaggio e conversando del più e del meno, ad esempio:
«Cosa fate voi Dei per divertirvi?»
«Non eri tu quella che sapeva tutto?»
«I libri certe cose non le spiegano!»
Ci riflettei un attimo, poi risposi: «Le stesse cose che fate voi... forse, che cos'è che fate voi?»
«Beh dipende, alcuni iniziano già da ragazzi a lavorare, nel tempo libero possiamo leggere, imparare altre lingue, suonare, ballare o-»
«OH NOI STESSI COME SEI NOIOSA... dimmi un po'-» e quí mi si abbozzò un sorrisetto genuino sul viso senza che me ne accorgessi: « Come va in vita sentimentale?»
Mi aspettavo di vederla diventare più rossa della mia giacca quando invece rispose sicura e un po' divertita «Perfavore non parliamone: UNA TRAGEDIA GRECA!»
«OH NO ZUCCHERINO ADESSO MI DEVI SPIEGARE TUTTO»
«Beh diciamo che... è un po' complicato...» borbottò guardando il terreno un po' sconfortata. Strinse i pugni sui fili d'erba, l'espressione le divenne un po' piú corrucciata rovinandole i tratti gentili.
«Hey non volevo obbligarti mi dispiace...» e mi avvicinai un po' di più a lei sfiorandole le dita per sbaglio: «Non devi dirlo per forza se non vuoi, anzi cambiamo argomento se ti fa piacer-»
«Qualcuno ci ha provato... con me... qualche volta» la sua voce tremava un po' ma cercava sempre di mantenere un tono autoritario: «N-non erano molte, n-non sono quel tipo di persona, ma qualcuno c'era
«Solo che a me non interessava, l'amore intendo. Volevo solo starmene per conto mio, giocare come gli altri bambini, crescere come le altre ragazze. Ma a quanto pare qualcuno nel mio regno mi considera carina, a me fa piacere ma esagerano sempre... Mi danno nomignoli stupidi, mi paragonano a una dea, ad Afrodite addirittura... E-e questo mi mette a disagio e mi causa non pochi problemi»
«Del tipo?» chiesi dolcemente, per non farla sentire in soggezione.
La sua espressione divenne cupa. Sbatte il pugno sul suolo, sentí il tonfo rimbombarmi dentro, il vento aumentare improvvisamente: «Tipo le mie sorelle» pronunciò con la potenza di un terremoto, un'onda anomala sovrastava tutto dall'interno schiantandosi dritta nella sua voce: «Mi odiano: sono invidiose e mi rendono la vita impossibile. Mettono in giro strane voci sul mio conto, costringono le persone a non essere mie amiche: sono state loro a chiudermi nello sgabuzzino... E adesso chissà come staranno ridendo facendo le gatte morte con quelle divinità del vento-» aggiunse stringendo i denti per la frustrazione.
«Ma io posso essere tuo amico, se vuoi» mormorai soprapensiero prendendo un suo dito e rigirandomelo tra le mani. Era un gesto spontaneo che facevo da quando ero bambino: lo faceva anche la mamma con me quando ero arrabbiato. «Oh scusa, non l'ho fatto apposta» e lo lasciai immediatamente. Lei mi fissò allibita, come se fosse sorpresa quanto me del fatto che tutta la sua ira scomparí in un secondo. Continuava a scrutarmi, le sue iridi erano traballanti. Poi mi abbracciò. AWWWW ADORAVO QUANDO QUALCUNO LO FACEVA! Di rimando anche io la strinsi forte a me, poggiando la guancia sulla sua spalla: odiavo essere nano.
Poi, un po' piú quieta, continuo a chiedermi delle usanze degli Dei e mi accennava le loro. Era curiosissima e non si lasciava sfuggire un dettaglio. Era divertente conversare con lei, riusciva a sopportare tutti i miei scleri sugli dei e le dee più fregni dell'Olimpo e, anche se all'inizio non lo dava a vedere, le interessava qualcosina di gossip. Ci trovammo subito ed è stato strabiliante: non avevo mai fatto amicizia così velocemente.
Il dialogo si era spostato se fosse meglio comprare un boa di piume rosa o nero quando una figura dal fare minaccioso si avvicinò verso di noi. «Ehilá» lo saluto Psiche ormai tutta contenta, interrompendomi.
«Sei proprio una cogliona» proferí lui in risposta, poi continuò: «Sai in quante parti ho dovuto cercarti? Questo posto è enorme! E Atena è veramente incazzata con te»
«Hey non rivolgerti a lei con questo ton-»
«Mi dispiace» si scusò lei stringendosi nelle spalle: «Non lo farò più, te lo prometto Zefiro»
Il dio, altissimo e funesto, il viso angelico deformato, mi scoccò un occhiataccia come poche. Si avvicinò a me sbattendomi sul petto un foglio giallino e porgendone sgarbatamente uno uguale a Psiche. «Gli orari» setenziò subito dopo: «E cercate di non arrivare in ritardo questa volta. La lezione per voi primini è nell'aula di letteratura tra un'ora» Si girò e tornò da dov'era venuto, la giacca di pelle lo faceva sembrare un'unica macchia nera in un mare di colori vivaci.
«Lo conosci» chiesi a Psiche, un po' tradito: «Non mi avevi detto che non avevi amici?»
«Che c'è sei geloso?» chiese lei, di nuovo vispa come prima.
«SÌ, tu orami sei la mia bff, ti sei imbattuta in questa impresa e adesso la devi portare a termine!»
«Oh santo cielo quanto sei melodrammatico!» e mi scompigliò tutti i capelli.
«Ma come lo conosci?»
«Lui è le mie sorelle hanno amici in comune e durante l'estate è venuto a farci visita, le conosce da un po'. Anche se l'ho conosciuto quando ero piccolina: era scappato e si era ritrovato per sbaglio nel nostro regno nascondendosi nel nostro giardino per non essere trovato, lo vedevo dalla finestra e gli portavo da mangiare qualche volta. Ma stai tranquillo non credo che lui mi consideri sua amica, semplicemente mi giudica per come sono e non per il mio aspetto fisico. È un po' duro ma è il suo modo di fare: è un bravo ragazzo in realtà, non si è mai comportato male con me» E guardando l'orario aggiunse: «Guarda abbiamo un sacco di corsi insieme! Arte, due ore di musica consecutive, astronomia... Ah latino... beati voi dei che lo sapete già!»
Guardai anche io il mio foglio: dei e mortali avevano ovviamente materie differenti, come ad esempio volo o controllo dei poteri. Tuttavia la nuova preside, Atena, aveva fatto un bel lavoro per farci integrare con i mortali. Presi Psiche a braccetto e insieme ci dirigemmo verso l'aula di letteratura di ci sarebbe stata la nostra prima lezione. Lessi il nome del docente responsabile. Sbiancai. No...non poteva essere vero, avevo sicuramente letto male.
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Stavo. Per. Svenire. La classe era eccitata e nervosa insieme: non vedevano l'ora di iniziare. Ci pensò il nostro professore a riportare l'ordine in classe richiamandoci educatamente.
«Benvenuti a tutti ragazzi, sono contento di avervi nella mia classe oggi» iniziò con la sua voce dolce come il miele. Catturava inevitabilemente lo sguardo di tutti: era alto (questa cosa mi turba), biondo dagli occhi cristallini e bello come il sole. Aveva i lunghi capelli dorati raccolti un un tuppetto ordinato, jeans strettissimi e le maniche della camicia arrotolate: il sogno erotico di tutte le ragazze. La cosa fastidiosa è che poteva benissimo diventare anche il mio...
«Sono sicura di averlo già visto in qualche porno» bisbigliò una ragazza alla compagna di banco. Io mi rivolsi alla mia: Psiche lo guardava affascinata, per lei doveva essere un pozzo di cultura, se solo sapesse...
«Io sono Apollo, il vostro docente di letteratura, arte, anatomia e tiro con l'arco e sono quí per illustrarvi il programma che porterò insieme a voi quest'anno» esordì.
Mi seccava ammetterlo ma Apollo era bravo, cioè rendiamoci conto APOLLO. Lo stesso che a capodanno si ubriacò così tanto da vomitare nel portaombrelli di casa nostra, QUELLO CHE SI STAVA PER SCOPARE IL SUO RAGAZZO NELLA CAMERA DA LETTO DOVE C'ERO IO NELLA CULLA! Tuttavia sembrava essersi dato una calmata... spiegava molto bene, troppo e tutti erano interessati, anche se credo che quello sia a causa della camicia sbottonata appena. Ci descrisse come il programma di quell'anno era focalizzato ad ottimizzare le ore di studio per diventare un Dio perfetto e ad interagire con i mortali dopo la loro semi-segregazione allo stato primitivo. Ecco spiegato perché avevamo così tante ore in comune: alla fine mi andava bene, significava che avrei visto Psiche più spesso. Inoltre i più brillanti tra i mortali potevano vincere quella che era una vera e propria borsa di studio e lavorare sull'Olimpo! Oooh e poi c'erano così tanti corsi aggiuntivi... Psiche si iscrisse subito a quello di teatro, si vedeva che era appassionata e poi chi non vorrebbe un professore come Dioniso!
La giornata passò rapidamente tra una risata e l'altra e l'introduzione delle varie materie scolastiche ma, al momento di tornare a casa, Apollo, cioè il professore (faceva ancora strano dirlo) mi fermò dicendo: «Eros, dobbiamo controllare il tuo modulo d'iscrizione puoi fermarti cinque minuti?»
«Certo» risposi io, salutando Psiche e dirigendomi verso la cattedra, sulla quale il dio si sedeva disinvolto accavallano le gambe e con una marea di cartacce in mano.
Il silenzio fu interrotto da qualcuno che sbatté la porta violentemente (mi spaventai così tanto che mi spuntarono le ali e Apollo si mise a ridere), buttò lo zaino coperto di spille e disegnini in unagolo e prese posto vicino alla finestra.
«Alla buon'ora Zefiro» esclamò il prof visibilmente seccato della sua presenza, una nube temoplaresca di malumore che oscurò quel sole splendete. Si vedeva che i due non andavano molto d'accordo, forse perché era sempre Apollo a metterlo in punizione. Tuttavia si limitò a guardarci male e a mandarci sentenze silenziose.
«Tua madre ha dimenticato alcune informazioni fondamentali, dobbiamo cercare di rimediare al più presto o non potrai stare quí, quindi appena torna a casa avvisala o chiama tuo padre non so»
«Lui lavora» lo interruppi per sbaglio, un sacco di piume iniziarono a volarmi intorno: «Ci sono un sacco di guerre dai mortali... è sempre impegnato e la mamma torna sempre a notte fonda...»
I suoi occhi cristallini furono scossi da un moto di compassione nei miei confronti: OH NO ADESSO PENSERÀ CHE SONO UN DISADATTATO SOCIALE! Poi, mi rassicurò: «Umh, vabbé vedremo di risolverlo domani in segreteria, sono sicuro che qualcuno riusciremo a contattare... Ok ragazzi potete andare»
Anche Zefiro sembrò sorpreso: «Ma non sono passati nemmeno 5 minuti!»
«Sono stanco ed ho un appuntamento» guardò fuori dalla finestra, lì dove era parcheggiata una tamarrissima auto sportiva placcata d'oro (apprezziamo l'impegno dai...). Vicino a questa un uomo, magrolino e lentiginoso controllava le notifiche sul suo cellulare. I capelli che parevano batuffoli. Apollo rimase a guardarlo sdolcinato, con gli occhi a cuoricino. Zefiro sembrava più che altro sorpreso e socchiuse la bocca. Poi terminò: «Inoltre sono 6 anni che continuo a metterti in punizione e non impari niente, é uno spreco di tempo per entrambi»
Stavamo tutti per uscire dalla porta quando il dio del sole si fermò improvvisamente. «Emh, tutto appost-»
Lanciai un urlo. L'elastico che conteneva i capelli scoppiò facendoli levare in aria come serpi di metallo, i vestiti si strapparono per la troppa pressione. Gli occhi bianchi, vacui, con le iridi rivolte verso l'interno mentre una strana aurea scarlatta che sapeva di sangue gli volteggiava intorno propagandosi per tutta la stanza. La sua bocca si mosse da sola pronunciando parole incomprensibili: la dolce voce era irriconoscibile, profondissima e bassa a livelli inumani. Era un misto tra lingue sconosciute, sibilii confusi e ululati terrificanti. Rimasi pietrificato proprio davanti al suo viso sfigurato.
Il corpo gli si riempì di graffi iniziando a levitare, un rivolo di sangue gli colò dal naso. Negli occhi bianchissimi scorrevano disegni confusi, raffiche di colori veloci: una nube vermiglia e poi tutto nero. Come era iniziato tutto sparì e il mostro, un tempo un dio bellissimo, cadde a terra sollevando una nuvola di polvere.
Io rimasi fermo lì, dove avevo assistito a tutta la scena, le ali spalancate; Zefiro era stretto vicino all'uscio, lo zaino vicino alla faccia; Apollo a terra, rannicchiato in posizione fetale che scagliava lamenti acuti di dolore piangendo sangue. Chiuse gli occhi: gli tornarono le iridi limpide. Si mise a sedere, tremante
«'usate- n-non olevo...» provò a pronunciare con la voce impastata, quasi assente. Ingoiò un groppo: «s-paventarvi...» si asciugò il volto sporco con la manica della camicia, la testa fra le mani: la sentivi pulsare dall'esterno.
Passarono interminabili momenti di silenzio in cui gli unici rumori udibili erano i singhiozzi soffocati di Zefiro, circondato nelle sue ali candide e cobalte che vedevo per la prima volta. Fu il primo a parlare: «M-mi aveva p-promesso... che n-non l'avrebbe più fatto...» scoppiò di nuovo nei singhiozzi.
Apollo, gli replicò di rimando flevole: «L-lo sai che non posso controllarli, nessuno può controllare gli orac-» una strana melma nera gli fuodiuscí dalla bocca e si accasciò a terra nuovamente dolorante.
«M-MA STANNO CAPITANDO SEMPRE PIÚ SPESSO...» iniziò l'altro: «MI FA PAURA!»
«Che- che cosa è successo?» chesi con un verso acutissimo.
«C'è u-una materia che non insegnamo più ai nostri alievi» narrò quello che più che un dio sembrava un morto, la guancia appoggiata al pavimento: «Divinazione: un'arte tanto potente quanto oscura. Incredibilmente difficile da controllare e da padroneggiare... I-io sono l'unico che ci riesce senza restarci secco, M-ma come vedi queste sono le conseguenze»
Notando il mio sguardo confuso Zefiro cercò di spiegarmi in parole semplici: «H-ha appena predetto un oracolo»
«E cosa diceva?» domandai ormai più curioso che spaventato. Mi pentii subito di averlo chiesto.
«M-morte» rispose il dio con un briciolo di forza: «Un omicidio avverrà tra mura di questa scuola...»
Minchia raga ho appena realizzato di averla fatta un po' troppo viscida sta cosa però vabbé. CHE DIRE COME VI AVEVO PROMESSO SPANNUNG SU SPANNUNG e niente scusate gli errori grammaticali ma è da ore che scrivo e non mi va di correggere.
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