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Oh my gods: Amore

Un gemito di dolore gli fece chiudere gli occhi, non permettendo alla madre di pulire a fondo e trattare le ferite del figlio. Era sull'orlo delle lacrime.

«Non permetterò a nessun altro di trattarti così: guarda come ti hanno ridotto, tutto sporco e pieno di lividi, ti hanno anche storto un'ala! Non hanno umanità... stupidi guerrieri! Appena tornerà parlerò con tuo padre, oh eccome se parl-» iniziò la stessa, ma venne interrotta da un lieve colpo al ventre: il giovanissimo dio, niente di più che un ragazzino basso e smilzo dalle piccole ali ipersensibili, le era corso incontro stringendosi a lei, nascondendo le sue lacrime nel morbido tessuto roseo del peplo, perché si sa: gli dei non piangono mai.

«Oh Amore...» esclamò l'altra piegandosi sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza. Lo guardò negli occhi, quei profondissimi occhi marroni, marroni come terra viva, come lo scheletro degli alberi, illuminati da un morbido raggio di sole e non dalla scintilla d'eccitazione di fronte a guerra e sangue. Lo baciò dolcemente sulla fronte, coccolandosi insieme a lui nel paradiso che erano le loro stanze, così grandi e perlacee che sembrava quasi di trovarsi sulle nuvole. In seguito gli scostò alcuni riccioli dal volto e affermò con la determinazione delle onde e la delicatezza della spuma: «Da oggi Eros sarai un dio dell'amore! Niente più battaglie e niente più allenamenti suicidi, useremo solo libri e conoscenza. Sarò io stessa a istruirti nella maniera più corretta, ti illustrerò tutte le cose che so e capiremo insieme quelle che ancora non so»

Il bambino sorrise tra le piege del vestito, asciugandosi gli occhi umidi con il polso ed ammirando la profonda bellezza, sia di aspetto che di cuore, di sua madre, niente meno che Afrodite. Lei gli carezzò il viso paffuto, sfiorandogli il naso scherzosamente e aggiunse: «Ci sono tanti modi per essere potenti oltre il combattere Amore e tu, di cuore così puro e di sangue così nobile, diventerai di certo un dio molto potente, ne sono convinta!

Ma ricordati Amore che tutta la nostra potenza deriva degli uomini, uomini che abbiamo il compito di proteggere e far prosperare, rimproverare quando esagerano, premiare per le loro buone azioni. Ricordati che noi non siamo niente senza di loro, ricordati che saremo solo mostri senza amore»

In lontananza vidi una delle statue sonnambule, una giovane Afrodite, volteggiare nel prato non curando il panico e la disperazione che danzava insieme a lei tutt'intorno. Ad un certo punto si posò accanto al busto di mio padre, Ares il dio della guerra, che invece sembrava godere alla vista di tutta quella violenza. Guardando quella singolare accoppiata mi chiesi come potessero essere collegati guerra e amore, orrorre e bellezza. Ma in fondo la maggior parte delle guerre non nasce dall'amore? E non è proprio l'orrore a farci apprezzare la bellezza? E cosa c'è di più pericoloso di un guerriero scalfito dal potere di un amore, magari non ricambiato.

Ciò che successe quella sera era un po' questo: un ragazzo selvaggio, indomabile come il vento, dentro il quale infuriava un sanguinoso combattimento tra sentimenti opposti. Il desiderio tirò un fendente in pieno petto al buonsenso, il senso dell'onore schivò abilmente un attacco proteggendosi con il suo poderoso scudo, l'orgoglio tirava giavellotti all'impazzata mentre il rimorso veniva trafitto da uno di questi.

Tra tagli nello stomaco e lividi sul cuore, Zefiro pareva più trascinarsi per inerzia che camminare sul prato, verso la fonte di quel piacere irrefrenabile, colui che era stato la sua ossessione per così tanti anni. Ed i suoi occhi cristallini, ma incredibilmente vacui e privi di anima, simili a quelli di un fantasma, sembravano aver finalmente trovato la preda che tanto bramavano. E con una lussuria che tremava dentro di lui dalla testa ai piedi donando nuova vita a quel corpo semi-morto, annunciò balbettando: «G-giacinto! N-non sai quanto h-h-ho aspettato questo momento, io... io ti ho cercato dappertutto!»

«Zefiro! Oh sei tu Zefiro! Dobbiamo cercare di uscire di quí, ma questo posto è così grande... Dobbiamo avvisare qualcuno, dobbiamo avvertire Apoll-»

«NO!» lo interruppe subito, poi ritrasformando la sua voce gli si avvicinò e carezzandolo piano piano, come se avesse paura di rovinare così tanta bellezza, mormorò: «P-possiamo farcela anche da soli, ti farò uscire io di qua!»

«Ma qualcuno potrebbe farsi male: HANNO SCAGLIATO UNA FRECCIA CONTRO IL PALCO IO L'HO VISTO» si buttò le mani nei morbidi capelli strappandoseli a ciocche, si accovacciò nascondendo l'angelico viso nelle ginocchia, il respiro gli si fece sempre più corto in quello che era ormai un evidente attacco di panico.

«Appunto per questo... » continuò Zefiro infilandosi tra le sue braccia ed alzandogli il mento «... dobbiamo assolutamente portarti via da qui! Apollo è un dio, qualunque cosa accada se la caverà! Tu invece sei un mortale e se ti accadesse qualcosa...»

Con un tono incrinato e affranto gli si abbandonò addosso avolgendosi tra i suoi candidi arti, cercando di ricoprirsi il più possibile del suo profumo, facendo scorrere le sue labbra sulla pelle nivea e delicata quasi come quella di un fiore. Ma Giacinto lo tirò via con uno strattone e le iridi rimpicciolite ma leggermente disgustate.

«PERCHÈ» esplose il dio del vento dopo l'ennesimo rifiuto, dopo l'ennesima battaglia persa: «PERCHÈ GIACINTO? PERCHÉ NON CAPISCI QUELLO CHE IO PROVO PER TE! Tu eri così bello, così gentile, L'UNICO CHE ERA RIUSCITO A TRATTARMI COME UNA PERSONA E NON COME UNO STUPIDO DIO DELLE GROTTE IGNORANTE E SELVAGGIO! TU ERI L'UNICO CHE MI FACEVA SENTIRE AMATO, PROTETTO: TU MI ASCOLTASTI E MI CAPISTI QUANDO GLI ALTRI NON FACEVANO ALTRO CHE RINCHIUDERMI PER ORE IN ENORMI AULE VUOTE COME SE POTESSE SERVIRE A QUALCOSA!

Ed io la lezione l'avevo imparata già la prima volta, quando tu ti trovasti lì per caso... Ma ho continuato a fare a modo mio, a comportarmi all'opposto di come mi dicevano di fare, a passare ore interminabili da solo, tutto questo per la minima possibilità di rincontrarti di nuovo... Ogni volta che quella maledetta porta si apriva speravo immensamente di rivederti»

«Zefiro-»

«MA NON SEI MAI PIÚ ENTRATO! MI HAI ABBANDONATO PURE TU, COME TUTTI GLI ALTRI!»

«Zefiro dobbiamo trovare Apollo!» gli disse il bel mortale aggrappandosi al colletto della sua giacca strappata. A quel punto qualcosa nel dio scattò: i suoi bulbi oculari si riempirono di tenebre, le sue ali divennero minacciose e taglienti come tante piccole lame argentee, le vene ribollivano di sangue dorato bruciando dappertutto. Ormai colmo di una potenza sovraumana si scollò di dosso Giciacinto buttandolo per terra con una semplice spinta.

«Apollo» tuonò minaccioso, lo sguardo elettrico e completamente folle, i capillari rotti negli occhi, il vento imbizzarrito che aumentava i suoi già notevoli poteri. Si alzò in aria, grigio come una nube temporalesca, scatenando folate di vento così sottili da essere quasi impercettibili, ma così potenti da decapitare una persona. Quando ruggí un gelo stantio uscí dalle sue labbra screpolate: «APOLLO, SEMPRE APOLLO. Ogni volta che quella maledetta porta si apriva speravo immensamente di rivederti... Ma tu non entravi mai. ENTRAVA SEMPRE LUI, APOLLO! Pensava di essersi affezionato a me, pensava addirittura di conoscermi... TU HAI SEMPRE PREFERITO APOLLO, PERCHÈ!? PERCHÈ GIACINTO? COS'HA LUI IN PIÚ DI ME, COSA? SE É PIÚ POTENTE LO SUPERERÒ, SE É PIÚ BELLO CERCHERÒ DI MIGLIORARE ANCHE IN QUELLO! APOLLO È UN DIO SCIOCCO CHE NON SI PRENDE LE SUE RESPONSABILITÀ, CHE FA SCELTE INUITLI E INSENSATE, UN EGOISTA VANITOSO CHE PENSA SOLO A SE STESSO: QUANDO SARAI VECCHIO TI DIMENTICHERÀ, COME HA FATTO CON TUTTI I SUOI AMANTI!»

«NON OSARE DIRE QUESTE CATTIVERIE» sbraitò di rimando Giacinto la cui rabbia aveva preso il sopravvento sulla paura. Anche lui piangeva, anche se cercava di nasconderlo: «Apollo sa essere una persona gentile, premurosa e affidabile. È ossessionato dal bello, è vero, ma è proprio grazie a questo che riesce sempre a vederlo negli altri. E nemmeno lui è perfetto, ne è pienamente consapevole: ha fatto scelte sbagliate in passato, ma non si demoralizza mai e cerca sempre di andare avanti in qualche modo: Apollo non fa mai due volte lo stesso erorre e non si stancherebbe mai di me!»

«E COME FAI AD ESSERNE SICURO? TU NON HAI MAI VISTO IL VERO VOLTO DI UN DIO, NON ASSOMIGLIAMO MINIMAMENTE A VOI: APOLLO È UN MOSTRO, PER LUI SARESTI SOLO UNO DEI SUOI NUMEROSSISIMI AMANTI, IO INVECE TI TRATTEREI COME LA DIVINITÀ CHE MERITI DI ESSERE!»

«Perché lui mi ama. Sono sicuro che non si stancherebbe mai di me perché mi ama.» affermò Giacinto, la voce salda tra i graffi e rimbombante nelle nuovole. Il vento aumentava la sua forza e la sua velocità eppure le sue parole rimanevano inchiodate in aria «Nello stesso modo in cui io amo lui»

«IL SUO NON È AMORE» Gridò l'altro sovrastandolo, gli occhi bianchi che piangevano oro, l'aspetto terribilmente deformato.

«PERCHÈ IL TUO COS'È? IO PER TE SONO SOLO UN'OSSESSIONE, UN DESIDERIO»

«LUI FINIRÀ PER UCCIDERTI! APOLLO È MALEDETTO! E SE IN UNO DEI SUOI ATTACCHI PROFETICI PERDESSE IL CONTROLLO? NON CI HAI MAI PENSATO? CON ME INVECE DIVENTERESTI IMMORTALE»

«P-preferirei... PREFERIREI MORIRE PIUTTOSTO CHE PASSARE L'ETERNITÀ CON TE!» strillò piangendo ed agrappandosi saldamente al suolo.

Le mani del dio si strinsero in modo così stretto da sbiancarsi le nocche, nelle sue iridi una luce diversa. «P E R C H É!?» e si buttò in picchiata sull'amato ferendolo gravemente: per la prima volta la sua vista non risuciva a dargli pace, anzi aumentava quel formicolio nervoso, caotico che gli scorreva dentro, quel senso di caos e insoddisfazione che lo faceva innervosire ancora di più, quell'insaziabile sete di sangue. Gli riempí il viso di pugni, schiaffi, graffi, qualsiasi cosa gli passasse per la mente, sputando e sbraitando nel frattempo come un animale inferocito, un predatore primordiale. E continuò prendendolo a morsi, macchiandosi il viso del suo sangue, strappandoli i vestiti e martoriando anche il suo petto con gli artigli, le zanne, qualsiasi oggetto appuntito che riuscisse a trovare: e i gemiti soffocati del povero ragazzo non erano altro che una dolce nania per le sue orecchie.

«GUARDATI STAI MORENDO! DOV'È APOLLO? PERCHÉ NON È VENUTO A SALVARTI? SAREBBE UN VERO PECCATO SE IL SUO POVERO CUCCIOLO PERDESSE QUEL SUO BEL FACCINO? NO!? N O!?» gridò girando lievemente la testa ed avvicinandola pericolosamente a quella dell'altro moribondo sul prato. Poi il suo sorriso psicopatico iniziò a chiudersi leggermente divenendo ancora più iqiuetante: «DIMMI» «DOV'È» «IL TUO» «EROE!» pronunciò deviato alternando ad ogni parola un colpo.

«e-efiro...»

«DIMMI» «CHI» «TI» «SALVERÁ»

«T-ti reg-... preg-»

In seguito, con un gesto repentino, afferrò alla cieca uno degli attrezzi sparpagliati li intorno dalla massa di studenti che scappava avanti e indietro: un pesantissimo disco di pietra. Lo levò al cielo coprendo completamente la luna, come un sacerdote alzava il ferro prima di colpire dritto al cuore la sua vittima sacrificale. La povera preda, sedentata, sanguinante ed irriconoscibile, lanciò un ultimo disperato ululato al cielo completamente nero: un grido sguainato, acuto, terrificante invase il campo, la selva poco distante e tutto ciò che c'era dietro. Un grido sgraziato e stonato, un grido pieno di sofferenza, di desolazione, una visione di morte. La profezia di Apollo si compiva: un omicidio sarebbe avvenuto tra le mura di questa scuola...

«SE IO NON POTRÒ AVERTI» setenziò Zefiro a denti stretti «NESSUN ALTRO LO FARÁ» e, con tutta la veemenza che aveva in corpo, scagliò il disco sopra la sua testa, spaccandogli il cranio.

Una gioiosa ebrezza prese nuovamente il sopravvento sulla sua influenzabile mente: la vista di quel corpo inerme lo inebriò di un tale piacere, una goduria mai provata prima... Mentre quel disco insanguinato rotolava ferso di noi, il dio scoppiò in un riso insano, interrotto da piccoli orgasmi provocati dalla seminuditá del cadavere.

Psiche svenne per il troppo disgusto o per il troppo dolore. Io non riuscí nemmeno a tenermela più stretta, pietrificato com'ero dalla surreale scena: mi sentivo come se avessi incrociato il mortale sguardo di Medusa. Contemplai quel macabro scenario, quasi ritualistico, con la bocca spalancata, dalla quale, dopo un repentino ritorno alla realtá, uscí un groppo enorme e soffocato. Rigurgitai tutto quanto alla vista di quella schifezza.

Anche Zefiro sembrò essere ritornato alla realtá, la sua faccia bella come quella di un tempo ma indelebilmente sporca, il suo aspetto antropomorfo, i suoi occhi limpidi e azzurri. Il suo sorriso a trentadue denti divenne una di quelle maschere teatrali passando, per varie fasi intermedie, a una espressione colma  di pura disperazione e ribrezzo. Si toccò il viso pallido, poi le mani vermiglie: urlò scacciandò un nemico invisibile nel vuoto, indietreggiando per tutto il campo. Si rimise in piedi barcollando, incerto se scappare, piangere o vomitare anch'egli.

Il suo sguardo cercò frenetico qualcosa tra i boschi, dietro la tribuna in pietra, vicino agli edifici incrociando il mio. Esprimevano una sola parola: aiuto.

«Giacinto! Giacinto dove sei!? Ho portato subito in salvo gli studenti di medicina, stanno tutti bene, manchi solo tu! Giacinto riesci a sentirmi! DOVE SEI?» invocò una voce fin troppo conosciuta.

La mente di Zefiro scrutò tutto in fretta senza pensare: prima verso di me, nella penombra, poi la salma in mezzo al prato, la voce preoccupata e supplichevole sempre meno distante, infine di nuovo me.

«E-Eros, io... a-aiutami ti prego... ti-» pronunciò in un sussurro lontano, scoppiando in un pianto silenzioso.

«TESORO RISPONDIMI, DOVE SEI? SCUSA SE NON TI HO AVVISATO, PENSAVO DI AVERTI DIETRO, STAVO PORTANDO AL SICURO I RAGAZZI... GICINTO RISPONDIMI, SU TORNIAMO A CASA!»

«E-eros-»

Entrai nel panico, non sapevo cosa fare, in che direzione muovermi, da che parte guardare.

"Ricordati che tutta la nostra potenza deriva degli uomini, uomini che abbiamo il compito di proteggere e far prosperare, rimproverare quando esagerano, premiare per le loro buone azioni. Ricordati che noi non siamo niente senza di loro, ricordati che saremo solo mostri senza amore"

«GIACINTO ADESSO BASTA, MI STAI FACENDO PREOCCUPARE!»

«Per favore Eros... Amore... n-non so che cosa ho fatto...»

«Vieni qui!» bisbigliai impaurito, le parole uscivano da sole senza che io potessi controllarle.

«C-cosa?»

«Vieni quí ho detto, veloce!» ripetei e, acchiappandolo per il polso, lo trascinai nell'oscuritá con me, nascondendolo tra le mie ali, assicurandomi che Psiche rimanesse incollata al mio fianco.

Nel buio Zefiro cantilenava a se stesso, come un vecchio giocattolo impallato: «I-io non ho fatto n-niente, è stato tutto un sogno, t-tutto un sogno... Io-»

«Smettila!» esclamai mutandolo.

«GIAC-» un richiamo interrotto ci sfiorò la pelle, poteva essere una rassicurante carezza o, come nel nostro caso, una lancia in pieno petto: la guerra era finita, ma a che costo?

«Giac... G-giacinto...» il suo nome attraversò mari e monti facendo piangere gli alberi che si muovevano inanimati nell'aria nuovamente immobile: i fiori si chiusero timidi, un po' come stavo facendo io nel mio rifugio morbido e pieno di piume; le lucciole smisero di brillare, in segno della vita che si era spena poco prima vicino a loro; la luna si ricoprí nel suo manto di nubi torbide, chiudendo il sipario dell'ultimo atto di quella tragedia, lasciando la notte solo alle stelle. Persino la terra, vecchia e rugosa, strinse quel giovane a se come un caro amico che tornava da un viaggio lunghissimo, facendoli trovare una casa calda e accogliente, serbando per lui i migliori onori.

La luce accesa nel cuore del dio radioso si affievolí come una candela, lasciando il mondo per la prima volta in assoluto senza luce. Si avvicinò leggermente, sperando fino all'ultimo di non avere per l'ennesima volta ragione, di non credere alla manzogna proiettata dai suoi occhi languidi.

«Aa-» boccheggiò incerto emettendo lamenti senza suono, allungando la mano verso quel volto irriconoscibile ma che sorrideva ancora, come se percepisse la sua presenza. Sul suo viso una catena di smorfie che nemmeno i più talentuosi scultori potevano pensare di immortalare.

Cadde sulle ginocchia, con piannucolii e gesti senza contesto, senza aver metabolizzato ancora l'accaduto, vivendo quella scena dieci volte più lentamente.

«A-amore... svegliati dai... Apri gli occhi» lo esortò sottovoce, accocolandosi vicino. «Su, è tutto finito, è tutto finito... torniamo a casa...» continuò prendendolo tra le braccia, scostandoli i capelli dal viso, ripulendo con le maniche dei vestiti il volto scarlatto, sfiorando il suo naso con il proprio.

«Ssh, non avere paura, ci sono io adesso sono tornato, non ti lascerò mai più! Hai capito? Non ti lascerò mai più!» le lacrime iniziarono a scendere vertiginosamente, bagnando il viso senza vita dell'amato. Apollo lo strinse a se, baciando appassionatamente le sue labbra fredde, troppo fredde «NON TI LASCERÒ MAI PIÚ!»

In quell'istante tutta la terra e tutto il cielo ebbero un sussulto al cuore, l'istante in cui capí e la sua mente divagò altrove per fuggire, invanamente, dall'angoscia che si diffondeva come una macchia di nero inchiostro, l'istante in cui il suo poderoso corpo perse tutte le forze che riuscivano ad animarlo, l'istante in cui lanciò uno strillo ancora più crudele di colui che è in procinto di incontrare la morte, così fine ed elegante, ma di colui che sa di dover continuare a vivere senza amore.

E tutto l'amore provato, vissuto, perduto si fece sentire forte e chiaro in quella voce, vanitoso, entrando forzatamente nelle orecchie delle altre persone per prendersi il suo tanto atteso momento di gloria. Sentí Zefiro sussultare e morire piano piano, dilaniato dalla furia della disperazione. Percepí Psiche contorcersi in quel suo sonno agitato mentre la guerra adesso era scoppiata dentro di me, distrutto poiché non sapevo scegliere da che parte schierarmi.

«CHI È STATO?!» si spolmonò il dio, continuando a non lasciare il corpo inerme del mortale, ucciso dalla gelosia di un dio, ravvivato dall'affetto di un'altro, il quale unico peccato era stato amare, semplicemente amare; amare di giorno, di notte, di nascosto, amare così tanto da perdere la testa, da dimenticarsi della vita tanto fragile e breve di quella gioventú che, come un fiore molto bello, dura poco prima di appassire. «CHI È STATO A FARE QUESTO?» ripeté iracondo struggendosi nei suoi ricordi.

«E-eros io non so cosa ho fatto... ti giuro che non so cosa mi sia preso...»

Perché lo stavo facendo? Perché stavo proteggendo un traditore, un assassino? Come potevo, dal canto mio, provare ancora qualcosa per un essere tanto spregevole? Come potevo sapere se il suo pentimento era sincero e non una tecnica per manipolarmi? Come potevo essere indeciso tra il giusto e il sbagliato in una situazione tanto precisa e lampante: come potevo rimanere omertoso davanti a un uomo distrutto che chiedeva giustizia simpatizzando per uno che nemmeno se la meritava?

"Ricordati che noi dei veniamo venerati dai mortali, ma siamo i primi a dover venerare gli altri..."

«AVANTI SO CHE SEI QUI, NON PUOI ESSERE ANDATO TANTO LONTANO! PERCHÉ L'HAI FATTO, PERCHÈ L'HAI UCCISO? NON TI AVEVA FATTO NIENTE: ERA SOLO UN GIOVANE MORTALE, PERCHÈ UCCIDERE UN GIOVANE MORTALE!? GUARDA COME L'HAI RIDOTTO, GUARDA COME LO HAI FATTO SOFFRIRE, IO NEMMENO LO RICONOSCO, NEMMENO LO RICONOSCO! LO HAI SFIGURATO BRUTTO BASTARDO!» tastò il terreno a tentoni, cercando di aggrapparsi a qualche cosa per non cadere in un abisso, quando acchiappò tra i vari oggetti l'arma del delitto. Quasi non credette ai propri occhi, la bocca spalancata e le lacrime che scorrevano come torrenti impetuosi: «UN DISCO DA LANCIO, IL MIO GIACINTO UCCISO DA UN DISC-» si aflosciò senza peso per terra, le parole per la prima volta gli morirono in gola, soffocate dalle memorie di quel posto: se quel campo potesse parlare infatti, avrebbe raccontato la storia dei due giovani che rimasero fino a tarda sera in un angusto sgabuzzino, a sistemare dischi e attrezzi per un motivo futilissimo, del giovane confuso che aveva seguito, per l'ennesima volta, soltanto il suo istinto, avrebbe raccontato della loro rabbia, dei loro litigi, della gelosia provata per l'un l'altro, ma anche del loro altruismo, dei loro baci rubati nella loro primavera della vita.

«Sono un mostro...» concluse l'altro, il portavoce della morte, nel momento in cui realizzò la sua scelleratezza.

Ma io cosa dovevo fare? Chi dovevo ascoltare!?

"Ricordati sempre di fare del bene, o mio giovane, inesperto Amore, perché solo facendo del bene ti potrai salvare dalla crudele bellezza che questo mondo ti offre. Ricorda che la gentilezza è sempre stata la forma più nobile di potenza"

«COSA È SUCCESSO, TUTTO APPOST... » disse una voce femminile bloccandosi, seguita da una discreta folla, allarmata per il clamore.

«Fatemi passare, FATEMI PASSARE HO DETTO! C'È MIO FRATELLO LÍ!» esclamò un'altra donna, bella come la luna, che al contrario cercava di farsi spazio tra la folla: "tranquillo fratellino, non c'è niente di cui avere paura, tutto si sistemerà" pensò tra sé e sé, fermandosi anche lei a quella penosa vista: un dio dalle mani sporche di sangue, chino su un corpo gelido, che impugnava un disco sporco anch'esso. «Oh Apollo, di nuovo...» mormorò portandosi le candide mani alla bocca e gli occhi lucidi.

«No, non sono stato io, NON SONO STATO IO DOVETE CREDERMI» e si liberò immediatamente delle prove.

La folla terrorizzata, nauseta e accusatrice alzò un brusio fastidioso, pungente, che ti entrava dentro anche più delle urla precedenti. Uno innescava il dubbio a un altro, qualcuno appoggiava, qualcun'altro difendeva, altri ancora tornarono indietro per poi arrivare con altre persone o scomparire per sempre. Atena, lucida e autoritaria anche davanti a una scena del genere, commentò: «Apollo dovresti venire con noi...»

«NO! NON SONO STATO IO, LASCIATEMI! VOGLIO STARE CON GIACINTO, VOGLIO STARE CON GIACINTO...» setenziò dimenandosi da quel mare di braccia e gambe che cercavano di trattenerlo, di portarlo via da lì.

«Mi uccideranno, mi faranno a pezzi...» pronunciò Zefiro dondolandosi avanti e indietro, sull'orlo di una crisi.

Mi temavano le gambe, chiusi gli occhi cercando di evadere dal mondo, come facevo quando una situazione non mi piaceva, come facevo sempre. Ma quel buio era troppo accecante, quel mormorio troppo forte e non faceva altro che farmi agitare di più, animare le paranoie di Zefiro e togliere valore alle ardenti lacrime di Apollo.

"Ma ricordati anche che l'amore può nascere da una scelta sbagliata... L'amore è egoista per natura"

«PER FAVORE QUALCUNO, ALMENO UNO MO CREDA! NON SONO STATO IO, NON FAREI MAI UNA COSA DEL GENERE! IO LO AMAVO, IO LO  A M A V O»  poi i suoi occhi scintillarono, quando videro i miei «EROS! EROS HAI VISTO TUTTO! DIGLI CHE NON SONO STATO IO! DIGLIELO EROS! AIUTAMI TI PREGO!» sputò fuori mente veniva sempre più inghiottito, come una bestia al macello, e ad ogni parola il suo tono perdeva sempre più vigore, divenendo rauco e graffiato. E poi vide l'altro... «Tu... TU! CHE IL TUO IGNOBILE GESTO NON VENGA DIMENTICATO DAL FATO! MALEDICO TE, LA TUA FAMIGLIA E TUTTINI TUOI DISCENDENTI: CHE LORO NON POSSANO MAI TROVARE PACE NELL'AMORE, NE ORA, NE MAI! CHE SOFFRANO COME STO SOFFRENDO IO PER COLPA TUA! EROS L'HAI CATTURATO, EROS LASCIALO ANDARE, DIMOSTRA CHE NON STO DICENDO IL FALSO!»

Il mio sguardo indeciso brancolò arrivando fino a lui, sempre meno potente... «Eros...» allungò un braccio, stanco, nella mia direzione, il viso coperto dai capelli spettinati, l'espressione ormai apatica, anche lui l'ennesimo organismo senz'anima.

Tra le lacrime vidi la sua figura aurea scomparire nel vento...

"Non avere paura di essere quello che sei: semplicemente Amore"

Strinsi Zefiro forte forte a me, soffocando i suoi affanni nel mio petto, aiutandolo a sollevare quel peso, prendendomi la sua parte di oscurità. Anche le nostre anime, complici, vennero compromesse divenendo più tetre della pece, mimetizzandosi per quel secondo che bastava con l'ambiente esterno.

«Non c'è nessuno qua» affermò una solida voce maschile, appartenente a qualcuno che pareva lontanamente un dio guerriero...

«Eros, grazie...» bisbigliò la divinitá anemone commossa.

«Non parlarmi più» esordí sputandogli ai piedi: «Non osare parlarmi un altra volta sporco verme» e detto questo fuggii, lesto, verso le campagne lontane, verso il regno dei mortali. Lì solo sarebbe stata al sicuro Psiche, la spina mortale le era quasi arrivata al petto.













Bene, che dire vado a suicidarmi dopo questa

Comunque fun fuct la figura del "soldato" (cioé Ares) si era accorto sia di Zefiro che nel figlio, ma ha deciso comunque di coprirlo

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