Capitolo 9
"Se la incontrassi, le faresti del male. Di nuovo," sentenziò Sigurdr torvo. La pioggia continuava a cadere insistente e leggera, fastidiosa e gelida.
Loki gli puntò addosso i suoi occhi lupeschi. "Mi stai chiedendo dell'oro," puntualizzò a denti stretti. "Oro per aiutarla," proseguì, ma in gola aveva un'altra parola, una che l'avrebbe ferita mortalmente e che la sua mente acutissima e scaltra aveva comunque pronunciato. "Davvero pensi di potermi chiamare e pretendere che non mi accerti con i miei occhi della situazione?"
"Sei responsabile di quanto le è successo. L'hai portata via da me, dalla sua famiglia, dal suo destino," ricordò il vecchio con una voce bassa e cantilenante, segno inequivocabile di come avesse pronunciato quella stessa invettiva un numero infinito di volte – dal giorno in cui Sigyn era salita sul drakkar degli Æsir con ancora l'abito rosso del banchetto indosso.
Loki scattò verso Sigurdr con un gesto rapido e violento, tanto inaspettato che il Vanir non fece in tempo nemmeno a cacciare un grido. L'ingannatore lo aveva afferrato per una spalla e stordito con un colpo al fianco capace di mozzargli il respiro, per poi tirargli i capelli affinché esponesse la gola pulsante. Su quella premette l'affilatissima lama di un pugnale.
"Tieni a freno il tuo odio per me, vecchio," sibilò. "Hai osato pensare che io, Loki di Asgard, fugga dalle mie responsabilità? Sono il figlio di Odino, non uno qualunque dei tuoi patetici Vanir." Fece una pausa, ma senza lasciar andare l'uomo. "È viva grazie a me."
Immobilizzato, Sigurdr provò a cercare con lo sguardo Thor. Il principe era accigliato, ma pur intuendo le intenzioni del fratello fino ad allora non aveva fatto nulla per fermarlo, e non c'era da stupirsi per questo. Lui sapeva ogni cosa e, nonostante disapprovasse, aveva seguito Loki fino in fondo, rifiutandosi di abbandonarlo. Erano una squadra. "Basta così, fratello," intervenne il dio del tuono. "Sigurdr, non puoi chiedere il suo aiuto senza una garanzia. Noi figli di Odino siamo pronti a prenderci ogni responsabilità, ma non siamo degli idioti."
Loki non liberò immediatamente Sigurdr. Lottò contro l'impulso di premere più a fondo la lama e vendicarsi dell'uomo; sarebbe stato piacevole vederlo soffocare nel suo sangue zampillante e osservarlo morire. Dovette compiere uno sforzo immane per lasciarlo andare – non era nella sua natura inquieta quel tipo di clemenza e della sua ferocia incontrollabile era cosciente da tempo. Da quando Thor, l'impulsivo e guerrafondaio Thor, a volte lo scuoteva per il braccio dicendogli che era inutile infierire. Era come se il caos di cui era portatore lo avviluppasse a sé, ghermendolo e scatenando una furia che, a mente fredda, a volte Loki stesso trovava spaventosa.
Forse era per questo che non era ancora degno di succedere a Odino; suo fratello, per quanto ugualmente spavaldo e molto meno razionale, non trascendeva mai laddove lui oscillava verso l'oscurità. Un giorno non sarebbe più riuscito a trattenersi e la sua ira sarebbe stata totale, mescolandosi a un'inquietudine che alcuni avrebbero liquidato come follia, ma che in realtà aveva origini più dense e oscure e complesse.
Deglutendo mollò la presa e diede uno spintone al vecchio per allontanarlo da sé. "Facci strada," ordinò.
Sigurdr gli rivolse un'occhiata carica di odio, paura e di un'accusa che l'Ase non volle leggere. Con le dita nodose si massaggiò il collo e la spalla rialzandosi a fatica, per poi incamminarsi con passo malfermo vero le mura del tempio, seguito a breve distanza dai due figli di Odino.
Thor mise una mano sulla spalla del fratello. "Credi che incontrarla sia una buona idea?" mormorò facendo attenzione che il Vanir non lo udisse.
Loki piegò le labbra in una smorfia amara. "Vederla. Non incontrarla. Ha scelto."
Il dio del tuono annuì e tramutò la stretta in una pacca fraterna sulla schiena: un gesto d'incoraggiamento che voleva dire molto più dei bei discorsi cui non era certo avvezzo – sono qui, dalla tua parte, non ho dimenticato.
Il tempio era stato costruito senz'altro dai giganti di ghiaccio, in uno dei rari momenti di pace tra loro e gli Æsir. Loki ne osservò le volte a sesto acuto sfiorando con lo sguardo la lavorazione dei capitelli, lo stato di conservazione degli affreschi stratificati gli uni sopra gli altri. Registrava dettagli, individuando nelle figure sbiadite le storie raccontate sulle volte e sulle immense pareti che li circondavano. Ostentava una rilassatezza che non era altro se non una maschera indossata ad arte, capace di ingannare tutti tranne Thor: a lui non sfuggirono il volto tirato e la mascella contratta, né gli occhi mobili e guardinghi del fratello. Il nervosismo del primo figlio di Odino era evidente. Riteneva giusta la posizione di Loki, ma varcare le porte della costruzione era una pretesa che puzzava di profanazione. Erano lì per osservare e accertarsi che Sigyn non fosse morta da un pezzo, d'accordo, ma preferiva l'azione all'esplorazione e tutta quella faccenda lo innervosiva: un conto era combattere contro mostri, giganti, eserciti, troll o un insieme variegato di tutte queste cose, un altro era immischiarsi in faccende di magia e di mistero. Giunsero in un'immensa sala riccamente decorata e più sontuosa delle altre: ovunque c'erano candelabri in bronzo alti come un uomo e reliquie contenute in magnifiche teche di cristallo e bronzo. L'aria era satura dell'odore intenso della cera, dell'incenso e di qualche altro intruglio che veniva bruciato. I due Æsir occhieggiarono incuriositi in direzione dei tesori – erano pur sempre pirati, dopotutto, ma la loro attenzione fu presto catturata dalla figura di un uomo che avanzava deciso verso di loro. Per un momento, l'unico rumore distinguibile fu quello dei loro passi che rimbombavano sul marmo rosso come le pareti; una strisciante sensazione di pericolo percorse la schiena di entrambi. Avevano consegnato ogni arma all'ingresso, ma il dio del tuono era assolutamente certo che il fratello si fosse casualmente dimenticato qualche pugnale addosso. Scommise che lo nascondeva nello stivale.
Nel momento in cui l'uomo li aveva quasi raggiunti, aprì le mani rivolgendo in alto i palmi. Loki assottigliò le palpebre, valutandolo con un dispetto a malapena celato. Thor comprese immediatamente il perché e fu scosso dallo stesso brivido che tese i muscoli dell'altro. Ecco il proprietario del serraglio. I capelli completamente bianchi e le sottili rughe che gli incorniciavano lo sguardo rendevano difficile stabilire la sua età, mentre l'aspetto ascetico non celava la forza palpabile unita a una personalità volitiva. L'abbigliamento sontuoso, composto da una lunga tunica di broccato finemente decorata e un mantello di pelliccia fulva, era un chiaro indizio della sua posizione all'interno del tempio.
"Ecco i coraggiosi figli di Odino," sorrise loro. "Sono Kalfr, il custode degli Antenati," si presentò.
Sigurdr, che era un passo avanti a loro, si chinò a terra fino a toccare con la fronte il pavimento di marmo, ma i due Æsir non lo imitarono.
"Ecco il padrone di casa," esordì invece Loki con una nota ilare e giocosa che contrastava col suo ghigno sbieco.
"Siamo qui perché Sigurdr ci ha chiesto aiuto per sua figlia Sigyn," spiegò Thor prendendo la parola. "Vogliamo solo accertarci che stia bene."
"La scintilla sta bene. Questa è la sua casa," sospirò Kalfr con un sorriso. "Quella in cui avrebbe dovuto vivere senza che gli affari del mondo la turbassero," osservò fissando Lingua d'Argento.
"Se non fossimo intervenuti sarebbe morta," ricordò l'ingannatore.
"Sigurdr ha senz'altro sbagliato nello stringere un patto così orrendo," concesse il monaco. "Le sue azioni hanno provocato dolore – ho pregato a lungo gli Antenati affinché aveste pace."
Il principe cadetto fremeva. "Ne siamo lusingati. Dov'è lei? Voglio vederla."
"Sigyn vive una vita di meditazione, preghiera ed espiazione. Incontrarti la turberebbe."
Thor lanciò un rapido sguardo al fratello. L'ostentata calma di Loki lo impensieriva. Si trattava di una maschera tenuta saldamente su da un sorriso beffardo e appena accennato, pronto però a esplodere in una risata sarcastica e cattiva. Lo vide scoprire i denti bianchi e regolari e allargare le braccia in un gesto conciliante e sicuro rubato a Odino in persona.
"Lo immagino, ma ho portato da Asgard un sacco pieno di oro e di gemme, Kalfr. Per lei."
Gli occhi scuri dell'altro fissarono la bisaccia colma che l'Ase si era slacciato dalla bandoliera valutandone a mente il peso.
"Tu non la stai salvando," precisò. "Rimedi alla profanazione che hai fatto, principe. Apprezzo la tua buona volontà, tuttavia." Kalfr corrugò la fronte ed emise un lungo sospiro. "Potrai vederla e parlarle attraverso la grata, come tutti gli ospiti. La manderò a chiamare e dopo andrete via."
"Ti aiuterei volentieri a spaccare ogni pietra di questo posto," ammise Thor per spezzare la tensione e dimostrare al fratello una vicinanza che non era solo fisica, ma anche d'intenti.
Loki gli rivolse un'occhiata rapida e attenta. "Continuo a sostenere che sarebbe uno spettacolo magnifico," sibilò tetro. "Ma dubito che nostro padre ne sarebbe contento."
Il parlatorio era a pochi passi da loro, in un locale spoglio cui si accedeva passando per un lungo corridoio, affrescato con cupe danze macabre volte a ricordare come anche gli Æsir fossero destinati a morire. Alcune figure apparivano scrostate, altre fissavano i due giovani principi con le loro pupille senza luce dai colori sbiaditi. Scheletri abbigliati come guerrieri e principi e regine ballavano in eterno sbeffeggiando i vivi e ogni loro desiderio terreno, conquista, sogno. L'ingannatore ne studiò i volti uno per uno, annotando mentalmente tutti i dettagli che avrebbero permesso una corretta interpretazione dei soggetti raffigurati come il colore dell'abito, le rune che decoravano una particolare spada, le armi impugnate, perdendosi per un momento nell'intrico di figure rovinate. Con gli occhi cercava anche le tracce di una profezia antica: una contro cui si era scontrato e che gli aveva strappato via un pezzo d'anima, lasciandolo esposto e furioso, preda di visioni e incubi. E lui non era – non poteva essere – vittima di niente, neanche dell'orrore inenarrabile che si annidava tra le radici marcite dell'Yggdrasill. Era il figlio di Odino nato per essere re e comandare. Eppure, le figure rappresentate negli affreschi continuavano a fissarlo con le loro espressioni indecifrabili piatte e immobili, con i loro visi più lunghi di quanto non avrebbero dovuto essere. Cacciò via una serie di pensieri scomodi giusto in tempo per prestare attenzione a Thor.
"Non c'è nessun piano, nemmeno uno dei tuoi trucchi?" l'incalzò quello. Il tonante sperava, dentro di sé, che il fratello si liberasse dalla tensione che gli gravava sulle spalle sempre diritte e regali, rivelando la gelida furia che a volte gli scintillava negli occhi verdi.
"Ha scelto d'andarsene," rispose invece l'ingannatore con voce secca e fare spiccio. "E non sono qui per rimangiarmi quanto le ho detto. Salvarla non è nei programmi – l'ho già fatto una volta."
"Loki, avanti, non crederai che..."
"Non ci provare," l'avvertì Lingua d'Argento. Si era fermato e aveva parlato con un tono basso, roco, privo di qualunque vena divertita o giocosa, carico, invece, di una nota sinistra, come le sue pupille chiarissime. Non era certo la prima volta che Loki si rivoltava in tal modo contro il primo figlio di Odino, anzi. Accadeva sempre più spesso, ogni volta che il dio del tuono, forte della sua primogenitura e dei diritti che gli derivavano da Mjollnir, lo ammoniva, contraddiceva o gli intimava di stare al suo posto e di chiudere la bocca. Suo fratello mal tollerava ricevere ordini in generale, da lui in particolare. In battaglia o nelle situazioni di pericolo erano capaci d'intendersi con uno sguardo soltanto, ma quella connessione spettacolare era figlia di uno scontro perenne, fatto di affetto, competizione, rivalsa e molto altro ancora. Erano uniti da un legame complicato e strettissimo, che spesso doveva trovare il suo sfogo in una serie di litigate violente e feroci che si concludevano davanti a un paio di corni d'idromele con le nocche spaccate, qualche contusione sparsa e un paio di lividi piuttosto evidenti.
Il fatto era che Loki non gli riconosceva naturalmente alcun ruolo specifico e non dava per scontato che Thor dovesse essere il capo della combriccola: da sempre lo sfidava, lo punzecchiava, ignorando totalmente qualsiasi tipo di autorità, facendo fin troppo spesso di testa propria. Adorava combattere con lui e partecipare alle sue avventure, ma da pari. Se l'altro voleva circondarsi di una banda di adulatori e fare lo spaccone, che facesse pure. C'erano Sif o Fandral o Hogunn per questo. Con lui se lo poteva scordare.
Così come Lingua d'Argento riconosceva i limiti caratteriali del fratello, neanche a Thor sfuggivano i suoi molti ed evidenti difetti, primi tra tutti l'orgoglio e l'insana abitudine a voler sempre raggirare il prossimo. Fu tentato di scaraventarlo al muro e spaccargli la faccia, ma riuscì a trattenersi: in fondo, il male che, presto, Loki avrebbe inferto a se stesso sarebbe stato peggiore di qualsiasi pugno sul naso.
"Fai quello che ti pare, idiota insolente," decise. Così lasciò che il fratello lo superasse per raggiungere, finalmente, la sala troppo ampia dove avrebbe incontrato Sigyn. Una più spoglia, con i muri dipinti di un color ocra sbiadito e l'intonaco rovinato, avvolta in una penombra opprimente e fastidiosa.
L'ingannatore aggrottò la fronte: l'ambiente era diviso a metà da una fitta grata e il rumore sordo che facevano i suoi stivali calpestando il pavimento gli suggerirono che ogni sospiro o parola scambiati con l'ancella sarebbero stati amplificati dall'acustica della stanza. Lei ancora non c'era. Loki si fermò a pochi passi dalla fitta rete di ferro e guardò verso la porticina da dove l'avrebbe vista comparire. Fu tentato di dirle perché Sigurdr lo aveva chiamato. Assaggiò ognuna delle frasi da rivolgerle come si trattasse di un buon sorso d'idromele, pregustando il sarcasmo feroce che le avrebbe riversato addosso fin quando fu raggiunto da uno scalpiccio leggero. Lo aveva voluto lei, eppure.
Se n'era andata per obbedire a un padre ingiusto e vile. Raddrizzò la schiena e attese che comparisse. Serrò la mascella quando vide palesarsi tre figure, strinse le palpebre quando due di esse rimasero sulla soglia, nascoste, e una, sottile e cauta, avanzò verso la grata.
Ricordò com'era quando aveva deciso di portarla via con sé, ad Asgard. L'abito rosso, i folti capelli color dell'oro tenuti a malapena a bada da un paio di trecce laterali, il collo lasciato libero da ogni gioiello, le braccia tintinnanti com'era nell'uso di Vanheim. Aveva pensato che fosse bella. Osservandola oltre la rete di ferro cercò nel suo volto pallido lo sguardo fiero e impertinente che l'aveva colpito, ma Sigyn, più magra di quanto ricordasse, evitava di guardarlo. Il vestito che indossava non era quello tipico delle ancelle, ma uno informe, di stoffa più grezza, che nascondeva il corpo spossato. I begli occhi grigi, prima sottolineati dalla polvere nera che ne esaltava la sfumatura ardesia, erano segnati dalla stanchezza, i capelli costretti in una treccia severa che lasciava involontariamente libere alcune ciocche chiare. Si chiese perché non gli puntasse addosso quel suo sguardo sfacciato e inquisitore, dove fosse finito il suo spirito altero, di principessa, come mai rimanesse a pochi passi da lui, senza dirgli una parola. Possibile che le punizioni e le mortificazioni subite l'avessero piegata così tanto?
Esibì un sorriso forzato e si avvicinò di un passo per seguire la linea delicata del naso, per riappropriarsi dell'immagine di lei che arricciava le labbra offesa. "Mia signora, quanto tempo. Le preghiere ti consumano?" ghignò – insinuò. Come avevano osato ridurla così, come era riuscita a ridursi così.
Sigyn, finalmente, alzò il capo verso di lui e impallidì, aggrappandosi alla grata con le dita sottili. "Loki," boccheggiò, "perché sei qui?"
Non lo aveva apostrofato con lo stesso tono insolente che usava ad Asgard quando, pur essendo un ostaggio, godeva di una libertà mai provata prima; c'era una sfumatura diversa nella sua voce, una che l'eco della stanza catturò con sé e che Loki colse, ma non seppe come interpretare. Ebbe un presentimento oscuro, ma lo ignorò. L'acutezza di pensiero per cui era famoso in tutti i Nove Regni era offuscata dall'ira e dall'orgoglio bruciante. Ecco come mai sul momento non volle considerare che l'ancella lo aveva riconosciuto solo sentendolo parlare. Preferì dirsi che fosse sotto l'effetto degli intrugli del tempio – sentì lo stomaco contrarsi in un groviglio basso e oscuro, a quel pensiero.
"Avevo delle questioni ancora aperte con Sigurdr," le confessò crudele e impietoso. "Stavolta l'ho ascoltato io."
Si avvicinò di più al telaio di ferro tanto da posare sopra il metallo la pelle e respirare il suo odore indimenticato, dolce e inebriante, sentire su di sé il suo respiro rotto. Lei era tesa, sconvolta. L'Ase poggiò le dita sopra le sue e l'ancella non si mosse, ma quel contatto fece tremare entrambi di rancore e desiderio e nostalgia. Loki non poteva immaginare che Sigyn non fosse più in grado di distinguere il verde chiarissimo dei suoi occhi nemmeno da quella distanza. Sembra che io debba pagare per te, per averti avuta. Pare che mi spettino i compiti di un marito o di un amante o di entrambi. Che ironia. Ricordò Kalfr e il suo sorriso sicuro e pensò che il custode si stesse divertendo alle sue spalle. Decidere d'incontrarla non era un'opzione o un capriccio, ma un passaggio inevitabile, per quanto insidioso. Era l'unico modo per riuscire a dimenticarla, a estirparsela dall'anima fingendo che non fosse mai esistita. Ecco quello che avrebbe dovuto fare un re. Privarsi d'ogni inutile debolezza a qualsiasi costo.
C'era stato un tempo in cui aveva creduto che assecondare impulsi e passioni fosse l'unico modo per liberarsene. Non aveva funzionato.
Scelse con cura le parole. "Sembra che io debba pagare per aver offeso gli antenati," le rivelò a denti stretti, sfiorandole con la mano libera la guancia serica e violando, per l'ennesima volta, le distanze tra loro. Di nuovo l'antica e irresistibile tensione li scosse insinuandosi sotto la pelle, infiammando loro le vene e i nervi.
Sigyn non riuscì a fuggire da quel tocco né a lasciare la grata: sussultò quando le dita di Loki le accarezzarono le labbra e pensò che fosse crudele, come la sua voce secca e roca.
"Eravamo in due. Non devi dare più niente agli antenati," sostenne fiera. "Ho lasciato il tuo mondo."
C'era stato un tempo in cui si era sforzato di resisterle: lei aveva preso possesso della sua testa trasformandosi in un'ossessione, in un bisogno che non si era placato nemmeno quando l'aveva tenuta finalmente tra le braccia. Si ripromise di bruciare una volta per tutte la stola di seta che teneva in un angolo dimenticato della sua stanza, ad Asgard.
Dietro la grata che avrebbe potuto facilmente distruggere col seiðr, c'era la donna per cui aveva lottato e versato il proprio sangue di principe e futuro re. Ghignò, immaginando per un momento, uno solo, di portarla via. Solo che Sigyn aveva scelto la sua vocazione e lui, Loki di Asgard, era troppo orgoglioso e fiero per dimenticare che la decisione di andarsene e di diventare un'ancella spettava unicamente a lei. Che vivesse la vita che credeva di meritare.
"Ma il tuo mondo non ha lasciato il mio. Sigurdr non è della stessa opinione. È venuto a cercarmi, supplicandomi di salvarti un'altra volta, scintilla," spiegò beffardo. "E ora so il perché," aggiunse. "Che ti fanno, qui? Per cosa ti fanno pregare?"
Il viso di Sigyn scolorì improvvisamente. Tentò di allontanarsi e fu allora che l'Ase s'accorse definitivamente che gli occhi di lei seguivano la sua voce e non il suo sguardo. Loki deglutì, ma non chiese. Non era ancora il momento.
Se l'ancella fosse riuscita a cogliere la tensione che congelava le labbra sottili dell'ingannatore, a riconoscere almeno una delle ombre che gli velavano lo sguardo, avrebbe compreso e gestito meglio l'incontro. Poteva, certo, indovinare parte di ciò che Loki pensava dal tono spiacevole con cui parlava di Sigurdr, ma l'assenza quasi totale della vista e lo sgomento provato nel ritrovarlo all'improvviso a pochi passi da lei – così diversa e prostrata rispetto alla donna che lui aveva conosciuto e amato – la resero più cieca di quanto già non fosse. Non poteva spiegare o giustificare o difendersi. Lui avrebbe potuto capire e perdersi.
"Per favore, lascia questo posto e ignora tutto il resto. Dimentica me," concluse, sforzandosi di mantenere un contegno che avrebbe voluto, in realtà, abbandonare. Lui non sapeva ancora niente, altrimenti la sua reazione sarebbe stata diversa – più furiosa. Sconvolto, l'avrebbe accusata di tradimento, lei, che gli era stata così disperatamente fedele da rinunciare a lui, a loro, alla libertà. Loki era un'ombra indistinta, una macchia sfocata di cui non riconosceva più i tratti. Era una voce ammaliante e carica d'ira, incapace di consolarla e di confessarle la delusione che gli graffiava il petto. Poteva sentire l'orgoglio di cui l'ingannatore era intriso nel modo in cui imprigionava le dita tra le sue. Era e sarebbe rimasto per sempre il pirata sfacciato che l'aveva portata via dalla sua casa, ma anche colui che era riuscito a salvarla, impedendole di finire immolata a quanto di più oscuro c'era nei Nove Regni. Un qualcosa contro cui Loki si era scontrato e che aveva esaltato il suo naturale cinismo, accentuato il suo modo spregiudicato di guardare il mondo e le cose, abbassato, forse prima del tempo, il suo personale confine tra il bene e il male. Si era sempre fregiato di aver agito esclusivamente per la propria gloria personale, per la corrosiva sete di sapere che lo animava, eppure. Prima che potesse annegare nella nostalgia, lo sentì abbandonarsi a una risata secca e sarcastica, che gli uscì dal petto mentre ancora teneva le dita intrecciate alle sue. Com'era il sorriso di Loki? Le sue labbra sottili e astute si allargavano in un ghigno sbieco, che gli scopriva i denti bianchi e regolari dandogli un'aria furba, insolente e divertita insieme. Lo ricordava ancora.
"Era questo quello che volevi, mia signora? Sei libera adesso? Qui l'incubo è finito?" s'interessò. Avrebbe voluto dirle che era diventata insipida e scialba come una rosa appassita, ma scoprì con fastidio di trovarla incantevole anche così.
Sigyn serrò le labbra, continuando a sperare che non s'accorgesse del suo sguardo vuoto. "E i tuoi incubi, Loki, sono finiti? Mi basta sapere questo."
"I miei incubi non cesseranno mai più, temo. E quando diventerò re, troverò un modo per usare opportunamente la tua scintilla," le promise. La voce gli vibrava d'orgoglio e, lentamente, la lasciò libera, senza domandare cos'avesse spento i suoi occhi.
Gli tornarono in mente parole antiche, appartenenti a un'antica profezia. Sigyn gli aveva mentito.
L'angolo di Shilyss
Care Lettrici e Lettori,
QUESTA STORIA è PRESENTE ANCHE SUL MIO PROFILO EFP.
Abbiamo scoperto qual è stato il destino di Sigyn. Anche in questo capitolo siamo rimasti nel presente, ma. Abbiamo scoperto o confermato cose. Il dialogo tra Sigyn e Loki è stato complicato da scrivere e proseguirà anche nel prossimo capitolo, sappiatelo!
Tengo molto a questa storia, quindi spero di aver fatto un buon lavoro e che vogliate farmi sapere cosa ne pensate <3 per me è molto importante **.
Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito E/O VOTATO la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un'Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po' della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l'infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che "solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno" Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po' di divertimento... c'è la mia pagina facebook ♥ . Ah, mi trovate pure su Twitter ;)
Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce "Sigyn" su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Occhio che la settimana prossima torniamo (per davvero, stavolta) nel : non mancate <3
A presto e grazie per tutto l'affetto/sostegno/cose,
Shilyss
Riprende volutamente le frasi sopra.
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