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Capitolo 8

Capitolo 8

L'unica cosa rimastagli di Sigyn era una sciarpa di seta che tratteneva ancora il profumo dolce della sua pelle. Loki l'aveva stretta tra le dita valutandone la consistenza alcune sere dopo che lei se n'era andata. Sedeva stravaccato su una poltrona, con le gambe allungate sopra un tavolino basso. Cercava un trattato di storia e il suo sguardo era caduto sulla stola sottile. Il primo impulso era stato quello di calpestarla, stracciarla, gettarla nell'ampio camino dove guizzavano le fiamme. Non gli riuscì, ma non osò nemmeno accertarsi davvero se quel pezzo di stoffa sapesse ancora di lei. Non desiderava rievocare il suo ricordo e sapeva benissimo che l'unico modo per liberarsi definitivamente e per sempre della sua ombra era cancellarla dalla testa. L'odore di Sigyn sapeva delle notti in cui il desiderio di possederla l'aveva avvelenato tanto da spingerlo fin sulla soglia della sua stanza o del tempio per fissare i suoi occhi grigi sgranati per lo stupore, le labbra schiuse e invitanti. Serrò con più forza le dita attorno a quel lembo d'eterea stoffa rosa immaginando di vederlo bruciare nel caminetto. Nella penombra rischiarata appena dal fuoco ricreò la scena nella sua mente mille volte – lui che lanciava la stola tra le fiamme e guardava la seta bruciare, distruggendo ogni traccia di lei, scacciando via il suo fantasma. Giurò che l'avrebbe fatto, ma chiuse gli occhi e poggiò la testa sullo schienale della poltrona. Era un bugiardo, dopotutto.

Le sere erano trascorse una dopo l'altra, trasformandosi in settimane e poi in mesi. Era certo di non ricordare più che profumo avesse la pelle di Sigyn – bastava non pensarci e confonderlo con quello di un'ancella che non le assomigliava affatto o di Sif stessa e poi stordirsi con l'idromele, le battaglie e i viaggi. Nessuna delle sue amanti, però, si svegliava e, non trovandolo nel letto, lo raggiungeva sulla terrazza spazzata dal vento per cingergli i fianchi e posare la fronte sulla sua spalla. La notte, certo, a volte lei tornava. Veniva a reclamare le attenzioni che lui si rifiutava di darle durante il giorno, quando la estrometteva dai suoi pensieri e scuoteva la testa per scacciarla dalla sua mente. S'infilava negli incubi che avevano per oggetto l'orrore che per lei, solo per lei aveva affrontato, incantevole ed eterea come la ricordava, sfacciata come era stata solo poche volte. Non la chiamava per nome nemmeno in quei momenti, ma spesso si svegliava con un sussulto e la sensazione di averla stretta tra le braccia fino a pochi istanti prima. Solo che Sigyn era perduta così come era stata intoccabile.

Un principe come lui, che ambiva a sedersi sul trono di Odino, non avrebbe dovuto commettere un errore così plateale e assurdo, eppure non era nella natura di Loki pentirsi di qualcosa che aveva scelto di fare volontariamente. Assumersi la responsabilità di azioni decise in fretta apparteneva al suo carattere fiero e pragmatico di giovane uomo abituato a comandare armate. Di pirata che non sapeva accontentarsi dei tesori che già aveva e ne bramava continuamente altri. O desiderava per sempre quelli che le Norne avevano scelto di negargli.

Si sciacquò la faccia con l'acqua gelida del torrente presso cui si erano accampati. Thor stava dando da mangiare ai cavalli e, vedendolo finalmente sveglio, lo interrogò. "Quanto abbiamo? Tre giorni?"

Loki piegò le labbra in una smorfia tirata. "Non più di due, temo."

"Beh, potresti raccontare che abbiamo trovato un grosso cinghiale a cui dare la caccia," propose l'altro. "Non sarebbe la prima volta."

Sul viso affilato dell'ingannatore si affacciò un mezzo sorriso. "Poi dovremmo scovarne davvero uno. O dire che ce lo siamo fatti scappare."

Thor alzò le spalle. Il problema non lo riguardava – come era possibile non riuscire a cacciare un animale da esibire come trofeo? – e, grazie alla sua immensa tracotanza e alla smodata fiducia in se stesso, era sempre portato a credere che il fato filato per lui fosse pieno solamente di occasioni fortunate, fatte apposta perché le cogliesse. L'atteggiamento di Loki gli risultava spesso sgradito, perché il fratello, al contrario suo, agiva sempre con una circospezione ragionata e selvatica al tempo stesso. Rifletteva su ogni possibile variabile ed era sempre pronto a frenarlo, individuando tutte le falle e i pericoli presenti nei suoi piani spesso azzardati. L'ingannatore non era pavido, anzi: in più di un'occasione le sue trovate erano state giudicate molto più che folli e audaci e, per Thor, non esisteva un compagno d'avventure migliore di lui, anche se non aveva nessuna intenzione di dirglielo. Il fatto era che Loki, prima d'agire, doveva valutare ogni potenziale rischio. La sua cautela era indispensabile affinché i colpi di testa di Thor non generassero disastri giganteschi: si erano trasformati in una squadra perfetta – o lo erano stati da sempre, abituati com'erano a giocare insieme prima, a combattere l'uno al fianco dell'altro poi.

"Ci penseremo quando sarà tutto finito," liquidò la questione Thor.

Loki si avvicinò al suo cavallo carezzandogli il muso e cogliendo l'occasione per rimettergli la sella. "I corvi di nostro padre ci hanno già intercettati."

"Ma Heimdall ci coprirà. E questa sembra, a tutti gli effetti, una battuta di caccia. Lo hai detto anche tu."

Loki si voltò nella sua direzione e annuì impercettibilmente.

La sera prima erano entrambi più che brilli quando aveva fatto il suo ingresso il messo proveniente da Vanheim. Scherzavano e ridevano prendendosi in giro, accaldati per il troppo idromele ed esaltati da una notizia che attendevano da anni, ma che, forse, non li avrebbe stupiti. L'inatteso straniero era un uomo piccolo, basso e tarchiato, vestito modestamente nonostante il rango, che prima di porgergli rapidamente una pergamena arrotolata li aveva scrutati con un misto di odio e rispetto. Vedendo il sigillo, Loki aveva inarcato un sopracciglio sorpreso; gli era fin troppo noto, perché il suo studio aveva pullulato per anni del medesimo timbro in ceralacca. L'idromele aveva improvvisamente smesso di fargli girare la testa e si era ritrovato, lucido e con un sudore gelido a scorrergli lungo la schiena, a chiedersi perché. Mandò via il messaggero con un cenno del capo e quello fu ben felice di assecondarlo, non prima, però, di avergli lanciato un'altra occhiata in tralice che non lo stupì particolarmente. Lingua d'Argento sapeva di portarsi dietro una fama nera; se ne faceva un vanto, crogiolandosi all'idea d'incutere rispetto e terrore nei suoi avversari. Veniva guardato con sospetto perché era troppo abile col seiðr e per quella capacità spaventosamente efficace di rigirarsi in bocca i discorsi piegando al suo volere re e imperatori. Facevano paura la rapidità con cui maneggiava le sue lame affilatissime e la violenta precisione dei suoi fendenti. Anche la sua ferocia in battaglia era ben nota, perché si mischiava con una sagacia lupesca che raramente lasciava scampo. Non brillava della stessa luce di Thor, ma nei Nove Regni gli venivano riconosciuti molti meriti, forse più che ad Asgard. Qui, gli evidenti difetti sembravano offuscare le ben note virtù. Loki era troppo subdolo, sfacciato ed eccessivamente dedito allo studio delle arti magiche, ma, soprattutto, spesso agiva in maniera efferata, come quando aveva corrotto un'ancella facendola diventare la sua amante.

Anche Thor, accanto a lui, aveva riconosciuto lo stemma inciso. "Che aspetti ad aprirla?"

"Io e Sigurdr non abbiamo questioni irrisolte," era stata la risposta decisa dell'ingannatore, pronunciata guardando diritto davanti a sé.

"Potrebbe riguardare lei. O tutti noi." La mano di Thor si era posata sulla sua spalla, trasmettendogli una stretta fraterna che voleva essere d'incitamento o storpiarlo, a seconda dei punti di vista. "Fratello," proseguì il tonante, "non pensare nemmeno di andarti a rifugiare in qualche anfratto per leggerla da solo."

L'ingannatore si tese. Non desiderava che l'altro fosse presente nel momento in cui avrebbe rotto lo stemma, ma sapeva che sarebbe stato complicato e pericoloso liberarsene. Se solo quel messo idiota avesse avuto la delicatezza di attendere che fossero a tu per tu, prima di dargli la missiva, avrebbe potuto leggere con calma. E decidere. Agire per proprio conto non gli dispiaceva, anzi: gli consentiva di muoversi liberamente senza che nessuno lo giudicasse o si mettesse in testa di contraddirlo od ostacolarlo. "Hai mai sentito parlare di corrispondenza privata?" sibilò.

"Loki," l'avvertì Thor abbassando di un tono la voce. "Non ho voglia di rimediare alle tue cazzate. Non stasera."

"Le mie cazzate!?" L'ingannatore stirò le labbra in un sorriso feroce e privo di divertimento per poi irrigidirsi. "Stiamo davvero parlando di ciò che faccio io, Thor?" domandò avvicinandosi. "Chi è incapace di controllarsi, a chi ho dovuto salvare la vita solo una settimana fa? Rammentamelo, te ne prego," concluse sarcastico.

"Chiudi quella bocca," lo zittì Thor spazientito. "Perché rifiuti il mio aiuto, adesso? Sono stato sempre dalla tua parte."

Loki incassò male l'ordine e, forse, anche il rimprovero che sapeva d'ingratitudine. Contrasse la mascella e puntò addosso all'altro il suo sguardo verde e insolente. "Ti atteggi già a re di Asgard?" domandò con una calma che celava a malapena il fastidio.

Il dio del tuono non lasciò che il tono beffardo dell'ingannatore lo scalfisse. "A possessore di Mjollnir, a fratello maggiore."

Lo conosceva da tutta la vita. Ricordava l'origine del suo ghigno e il suono della sua voce quando non era ancora roca e maschile. Non colse, però, la scintilla ferina che illuminava gli occhi dell'altro sempre più spesso – un giorno, incrociando le sue armi con quelle del fratello, l'avrebbe vista, scoprendo un'ira che Loki era stato bravo a celare o, forse, lui non aveva scorto nonostante l'evidenza. Non sarebbe mai riuscito a sciogliere tale dubbio, ma quella sera l'ingannatore era ancora l'alleato migliore che avesse mai avuto e nessun sospetto gli velò il cuore, anzi. Era irritato. Agire da solo era sciocco e rappresentava una perdita di tempo inutile.

Loki scosse la testa e alzò il mento quasi volesse sfidarlo. "Non ho bisogno del tuo aiuto," decise.

"Ah no?" Il primo figlio di Odino incrociò le braccia al petto. "Non è strano ricevere una lettera col sigillo di Vanheim proprio oggi!?"

L'altro proruppe in una risata fredda e canzonatoria. "Hai paura?"

"E tu credi nel caso?"

"Allora, se ci tieni, aprila e leggila pure," si stizzì Lingua d'Argento. "Con quel gran bastardo di Sigurdr non ho niente a che spartire, te lo ripeto." Con un movimento rapido delle belle dita di mago, Loki ruppe il timbro e porse la pergamena arrotolata al fratello.

Thor si mise a leggere e, dopo un minuto interminabile di silenzio, gli allungò la missiva. "Riguarda te."

Il dio dell'inganno deglutì e con gli occhi scorse rapidamente le righe scritte con una grafia rotonda, alta e pomposa. Sugli ultimi paragrafi si soffermò per più tempo, quello che bastava a valutare il da farsi mentre s'inumidiva le labbra sottili. "Stasera tutti festeggiano, compreso nostro padre. Partirò immediatamente, nessuno ci farà caso. È un ottimo momento per andare a caccia," l'avvisò lentamente.

Thor si passò una mano tra i capelli e masticò un'imprecazione. "Verrò con te. Sarà più plausibile. E poi, forse potrebbe servire un chiamate aiuto."

Loki scosse il capo senza rispondere nemmeno alla battuta dell'altro. Thor credeva che la sua sola presenza sarebbe bastata a risolvere ogni cosa. Riteneva che evocare folgori e dare pugni a destra e a manca fosse la chiave di tutto. Credergli era facile: non si era mai stupito che i Tre Guerrieri e tutti i capi delle armate Æsir lo considerassero il giusto successore di Odino e vedessero naturalmente nella sua figura una guida. Per trascinare le folle lui doveva parlare, convincere, irretire, ammaliare. A Thor bastava esistere e mostrare con quanta abilità riusciva a far volare un tronco più lontano di tutti. Assottigliò le palpebre come se volesse metterlo a fuoco: perché voleva accompagnarlo? Per ricoprirsi ulteriormente di gloria e proteggere lui, il fratellino furbo e dalla lingua lunga? Perché non credeva che, da solo, ce l'avrebbe fatta? O per tenerlo d'occhio in nome di una primogenitura capace solo di mettere in evidenza quanto Thor fosse un principe arrogante, eccessivamente spavaldo, cocciuto e incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse il lanciarsi a testa bassa contro i propri avversari? Loki non rispose né a se stesso né al fratello. S'incamminò lungo i solenni corridoi del palazzo seguito dall'altro. E lui, che difetti aveva lui? Era degno di succedere a Padre Tutto? Non era ugualmente arrogante e sfacciato, come tutti gli Æsir? Non desiderava primeggiare, esattamente come Thor? Non si faceva beffe dei suoi avversari, non incantava i suoi interlocutori con un'efficacia spaventosa? Gli Æsir non cantavano con soddisfazione le sue gesta, non ridevano orgogliosi rievocando i trucchi abilissimi con cui aveva contribuito a rendere Asgard grande? Gli tornò in mente Sigyn, quando arricciava le labbra e scuoteva la testa dicendogli che sì, lui era davvero il principe di un popolo di pirati arroganti e antipatici e poi, di seguito, il sorriso di lei, aperto, solare, largo. E le labbra morbide e i capelli d'oro.

"Noi siamo i grandi principi degli Æsir. Combatteremo insieme anche questa volta," gli mormorò Thor fiero e soddisfatto, bramoso di dimostrare una volta di più la sua potenza.

"Ma certo," rispose Loki distante, con la mente già altrove.

Erano partiti subito dopo, cavalcando quasi tutta la notte e concedendosi solamente qualche breve ora di riposo prima dell'alba. Il viaggio si era svolto perlopiù in silenzio, come se l'oscurità e l'idromele avessero seccato i palati di entrambi. Loki era per sua natura loquace – spesso fin troppo – e adorava punzecchiare il fratello; in un altro momento, l'escursione notturna sarebbe stata l'occasione ideale per una serie di scherzi e battutacce, ma la lettera di Sigurdr gli aveva messo addosso un malumore palese ed evidente. Solo al mattino, dopo che i corvi di Odino li avevano individuati con i loro occhi piccoli e neri, i due principi avevano ripreso il discorso interrotto la notte precedente ragionando sul da farsi.

"In effetti, la nostra è una caccia. Quel vecchio impiccione di Heimdall non avrà nemmeno bisogno di mentire a Odino," osservò acutamente Loki finendo di stringere la sella. Montò a cavallo con un movimento fluido e spronò l'animale con un colpo deciso dei talloni.

"Piantala di avercela con lui," lo redarguì il dio del tuono infilando uno stivale nelle staffe.

L'ingannatore, già partito al trotto, si voltò increspando le labbra in una smorfia. "È lui che dovrebbe piantarla di avercela con me."

"Se fossi meno bugiardo, calcolatore e infido," ribadì Thor, "o gli tirassi qualche scherzo in meno e, soprattutto, se non cercassi sempre di agire per conto tuo, di nascosto... beh, allora forse..."

"Se ho agito da solo è perché non potevo fare altrimenti," fu la replica secca di Loki.

Il primo figlio di Odino si voltò verso il fratello seguendone il profilo diritto. "Non volevi che lo sapesse perché era un piano assurdo."

La risposta fu accompagnata sfoggiò un sorriso sbieco eppure luminoso. "Non lo sono sempre tutti?"

Un appuntamento segreto non poteva che svolgersi in un luogo defilato, posto possibilmente a metà strada tra due regni. Ásaheimr era un susseguirsi di fiordi da cui spuntavano montagne imponenti dalle cime perennemente ricoperte di neve, piantate nel terreno come fossero i denti del gigante Ymir – e così, in effetti, recitavano le antiche leggende; una volta, Loki aveva ironizzato sul fatto che costui dovesse avere un'arcata veramente mostruosa, per aver creato le catene di cui erano ricche soprattutto le terre degli Æsir, degli Jotnar e, in misura minore, dei Vanir. Aveva peggiorato la cosa beffandosi dell'aspetto probabilmente grottesco e spaventoso della figura mitica. Era stato irriverente e Odino lo aveva punito, ma lui non si era pentito affatto – non ritrattava mai niente di ciò che usciva dalle sue labbra sottili e beffarde, preferendo convincere i suoi interlocutori a dargli retta alla luce di nuove considerazioni, che a ignorare quanto detto in precedenza. Il cielo era grigio: uno specchio d'argento che si rifletteva nel mare stretto tra le scogliere e le montagne, puntellato dal verde cupo degli abeti che arrivavano fin quasi alla rena. Thor disse che nel giro di qualche ora sarebbe piovuto. Loki registrò la bellezza offerta del fiordo e la sua imponenza, ma senza dimostrare alcuna enfasi evidente. I suoi occhi mobili e verdi parevano catturati principalmente dalla struttura circolare di fronte a lui, alta e massiccia Erano a diverse miglia dal confine settentrionale con Vanheim; per raggiungerne la capitale avrebbero fatto prima a usare il Bifrost o a intraprendere la via del mare, come fatto anni prima.

I figli di Odino videro due uomini completamente avvolti nei loro mantelli di lana avvicinarsi a loro. Il più alto si tirò giù il cappuccio che gli copriva il volto. Era Sigurdr. Il suo aspetto tradiva le preoccupazioni, il dolore e l'orrore che lo avevano segnato negli ultimi anni, ma Loki, osservandolo, non provò alcun tipo di pietà. Il suo petto era carico solo di rancore e, di questo, non se ne stupì affatto. Il padre di Sigyn si era tramutato in un vecchio stanco, segno tangibile di come l'effetto dei pomi di Iðunn scemasse di fronte alla sofferenza. Ma il Vanir era il solo e unico responsabile della propria sventura. Lo sapeva il principe di Asgard come lo sapeva l'uomo di fronte a lui. Negli occhi di Sigurdr non c'erano gioia o sollievo: nonostante nella sua lettera avesse pregato l'ingannatore di raggiungerlo, la sua vista gli era intollerabile. E l'Ase non si aspettava niente di meno.

"Speravo che mi avresti ascoltato," gli confessò l'uomo con una voce mesta che non apparteneva al ricordo che il dio dell'inganno aveva di lui.

"La mia è perlopiù curiosità, Sigurdr," sostenne severo Loki. Lo squadrò da capo a piedi con malcelato disgusto. "Il tempo non è stato clemente con te, vecchio," notò crudele.

"Stavolta dici il vero," ammise l'altro. "Ma non è per me che siamo qui."

L'ingannatore non replicò. Sollevò il mento come se volesse sfidare l'antico alleato, mentre Thor prendeva la parola al posto suo. "Spicciati. Dicci perché hai scritto."

"Le mie figlie servono gli Antenati in questo tempio," spiegò Sigurdr. "Tutte. Anche Sigyn."

Loki non mostrò alcuna reazione. Il nome di lei gli scivolò sulla pelle come se non significasse nulla. Quando prese la parola sotto lo sguardo attento del fratello e del Vanir lo fece con una tranquillità spiazzante. "Ma è quello per cui è nata, a sentire te. Perché mi dovrebbe riguardare, come mai mi hai chiesto di provvedere?"

Il vecchio sospirò. "Le ancelle vivono possedendo lo stretto indispensabile. Non hanno a loro disposizione beni né ricchezze. È grazie alla carità altrui se possono servire gli Antenati."

"Lo so. Io le chiamerei donazioni, piuttosto," lo interruppe Loki girandogli attorno come un lupo con la preda. "Fatte dalle famiglie che provvedono ampiamente a mantenere anche all'interno di questi presunti luoghi di povertà e penitenza uno stile di vita a volte principesco. Mi sbaglio? Non è forse vero che le ancelle più anziane e ricche vivono circondate dagli agi? I loro vestiti hanno forme e colori mortificanti, ma sono fatti di velluto e con le lane più pregiate. Ostentano una povertà inesistente," terminò con una smorfia.

"Le abitudini secolari spesso entrano anche nel mondo spirituale, sì," ammise Sigurdr.

La replica dell'Ase fu una risata canzonatoria. "Ma c'è ben poco di spirituale, qui."

Il Vanir s'incupì e raddrizzò le spalle fino a quel momento curve. Chiamare lo sfacciato figlio di Odino per chiedergli quel tipo di aiuto era un'umiliazione che aveva tentato fino all'ultimo di evitare. Era convinto che Loki avesse accettato d'incontrarlo solo per il piacere sottile di vederlo piegarsi e supplicare, come già era stato costretto a fare in passato. "Quanto ancora vuoi allungare la lista dei tuoi sacrilegi, principe di Asgard? Siamo qui perché tu hai profanato ciò che apparteneva agli Antichi."

"Oh, di molto," ghignò l'Ase divertito stirando le labbra sottili e perfide, "se fosse utile a qualcosa, brucerei fino alle fondamenta questo posto orrendo."

Sigurdr s'irrigidì terrorizzato. Aveva riconosciuto la verità nel tono fintamente ilare dell'altro. "Sarebbe un altro dei tuoi gesti sconsiderati."

L'ingannatore provò un piacere evidente nel vedere la paura velare gli occhi del Vanir. "Lascia che ti dia un consiglio, vecchio mio. Bada a ciò che hai fatto tu. Cosa c'entro io con le ipocrisie di un culto che serve solo a schiavizzare delle ragazze?"

"Sigyn vive qui, ma la sua esistenza è più povera e misera delle sue compagne. Non recupererà mai il prestigio che aveva quando l'hai portata via. È impura, è stata la tua amante e ne pagherà per sempre le conseguenze. Tutto ciò che posso versare per lei viene incamerato in offerte volte a placare gli Antenati. L'inverno vicino al confine è lungo e rigido. Hai commesso un sacrilegio per cui non esiste il perdono. E lei... lei non ti scriverà mai per chiederti aiuto."

Loki incrociò le belle mani di mago dietro la schiena. Non pensò alla decisione di Odino di cui, in fondo al petto, forse conosceva già la risposta né alla stola di seta chiara. Una pioggia sottilissima e fastidiosa iniziò a cadere su tutti loro.

"Questo avete fatto alla scintilla? Voglio una prova che lei è qui."

L'angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori, vi ricordo che questa storia è presente anche sul mio ACCOUNT EFP: listatela o recensitela anche lì <3

I miei piani variano di minuto in minuto, come quelli di Loki. Perdono!

Anzitutto, sono in fibrillazione/estasi/paura/terrore per la nuova serie su Loki (l'ho condivisa ovunque, sia su fb che su Twitter. Seguitemi ♥, ho lo stesso nome.

Poi, una parola sul capitolo: siamo ancora nel momento presente, in cui Loki e Thor si dileguano da Asgard dopo la notizia dell'imminente incoronazione. La scena era troppo lunga per inserire la parte relativa al passato, ma non temete: ci sarà occasione molto, molto presto.

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un'Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po' della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive. Non vi mangio e sono quasi le due di notte. Posto a quest'ora, ebbene sì (domani mattina rileggerò sperando di non aver scritto aberrazioni).

Parafrasando l'infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che "solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno" Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po' di divertimento... c'è la mia pagina facebook ♥ . Ah, mi trovate pure su Twitter ;)

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce "Sigyn" su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

Abbiate pietà che sto postando nel cuore della notte e dormirò circa cinque ore. Vi giuro che le prossime sono "Tesori" e "Accordo."

A presto e grazie per tutto l'affetto/sostegno/cose,

Shilyss


Come visto qualche capitolo fa.

Come già detto in precedenza: questa parte della storia è ambientata prima del banno di Thor da Asgard: la caratterizzazione del personaggio risente di questo fatto e appare volutamente come spaccone e arrogante. Nella storia si fa riferimento alla caccia, alle pellicce e a cose simili: ovviamente non rispecchia la mia opinione

"Ma come, sono déi e gli fai dire le male parole?" Sì, perché sono due fratelli di pari età che stanno litigando. Del resto, anche Dante nella Commedia unisce un linguaggio aulico con uno più becero, quindi se lo fa il padre della lingua italiana chi sono io per contraddirlo? Nessuno <3. In più in Thor: Ragnarok Lok, vedendo Thor, dice "oh, cazzo."

Mi riferisco alla cosmogonia norrena.

Mi riferisco al viaggio menzionato nei capitoli precedenti.

Per Iðunn vi rimando alla mia storia "Del dolce sapore di una maledizione."

Tiè è la prima volta che uso la citazione della minuscola clip del Super Bowl ♥ è tutto il giorno che la condivido/retwtitto, fateme fangirla' pure a me.

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