Il gelo è l'amante della solitudine
Mi scivoli tra le dita
come se fossi miele
Il gelo è il miglior compagno per l'uomo solo. È una carezza sul viso di fuoco, una stretta attorno a un cuore crollato. Porta con sé l'odore di sconfitta, di perdita, di fallimento. Abbraccia chi di abbracci non dispone, si conficca come spine nel costato di chi sente solo solitudine. È un bastardo, a volte, perché può congelare la gola e screpolare le labbra.
Ma è l'unico amico concesso all'uomo senza amore. L'unico disposto ad amarlo, a donargli una parte di sé. L'unico disposto a consolarlo di notte, ad asciugare le sue lacrime rendendole ghiaccio, a sussurrargli dolcezze all'orecchio penetrando nei polmoni come brezza leggera.
L'unico amico, l'unico amante.
Il gelo lascia baci umidi sulla bocca, e non chiede mai nulla in cambio. Fa tremare le gambe, corre lungo la schiena come labbra, abbandonando dietro di sé una serie di brividi. Non spezza cuori, li ghiaccia, li protegge.
Il gelo, quella sera, è il miglior amico di Simone.
Il ragazzo lo lascia entrare dentro di sé respirandolo, facendo posare brina sui propri polmoni. Gli permette di travolgerlo, di farlo tremare nella sua giacca scura. L'unica arma nemica a cui si rivolge per contrastarlo, è una sigaretta. Sigaretta che gli brucia tra le labbra, la cui fiamma morirà troppo presto, lasciandolo in balia di quell'aria così piacevole, così sconfortante.
Simone espira del fumo.
La nuvoletta grigia vola via, trasportata dallo stesso vento che gli massaggia le guance. Plana su mille edifici, copre mille luci, si allontana da quel terrazzo sporco e spoglio le cui ringhiere odorano di ruggine e sconfitta. Simone la tortura, poi, quella famigerata ringhiera. La carica di tutto il suo peso, vi cade su con i gomiti, sperando che lo protegga da una caduta nonostante la sua visibile fragilità.
Simone, povero ingenuo. Si fida delle cose deboli, si appoggia sempre a colonne che stanno per crollare. Si aggrappa a corde logorate, a relazioni rovinate, a persone frantumate. Spera di salvarsi anche così, salvando qualcun altro.
Ma non funziona mai.
Le corde si spezzano, le relazioni sbiadiscono, i pezzi delle persone si disperdono. Di loro non rimane nulla, poi, se non il ricordo.
L'amore muore. L'amore regredisce, l'amore si allontana. L'amore è una scintilla troppo forte, troppo corta, che esplode e poi si spegne. Non ne esistono di uguali a lei, seppur di scintille ne esistano milioni. Sono tutte diverse, tutte uniche, tutte inimitabili.
Dopo che muoiono, le scintille, non tornano mai com'erano prima.
Eppure, a volte tornano lo stesso. Con un taglio di capelli diverso, con intenzioni differenti. Indossando un paio di jeans, proprio la sera di Capodanno, ad una festa tra amici mentre tu stai ballando. Tornano e ti bloccano, ti fermano in mezzo la stanza con i loro occhi scuri. Ti incatenano a loro, nonostante siano diverse, perché brillano di una luce troppo simile per non catturarti.
Tornano, ti fanno impazzire, spariscono di nuovo. Ti portano ad allontanarti da una festa la sera del 31 Dicembre, perché non ce la fai più a vedere tutta quella luce. Ti costringono a stare al buio, al gelo, a rifugiarti nel fumo di una sigaretta.
Si spengono, di nuovo.
E ti lasciano nuovamente solo.
La scintilla di Simone ha un nome. È un nome particolare, da riconoscere nelle folle. È un nome che vibra bene in bocca, che ha il sapore dell'amore e del sesso. È un nome che significa Dio, ma che ha il viso e il sorriso di un diavolo.
Manuel.
Il petto di Simone si graffia al solo pensiero. È una scintilla che gli si è spenta sulla pelle, quella, che lo ha guardato in faccia prima di andare via e arderlo vivo. Un intero fuoco, la forza delle fiamme che una volta bruciarono Roma, così accecanti da farlo piangere, lacrimare, singhiozzare.
Manuel.
L'angelo volato via. Peggiore di Lucifero, per certi aspetti, che si è allontanato contro la sua volontà.
Manuel. Che lo ha lasciato solo, fiammeggiando nelle sue stesse lacrime. Il cui ultimo bacio è stato un addio, amaro, acido. Le cui labbra non ha più toccato, la cui voce non ha più sentito.
Manuel.
Che è tornato la sera di Capodanno, decidendo di imprigionarlo proprio in quel piccolo, sporco locale. Che lo ha osservato attraverso una sala, brillando di scintille, soffocandolo con la sua potenza e conducendolo verso il buio.
Dio.
Guarda come mi hai ridotto.
Simone schiaccia la cicca in un posacenere su un tavolo lì accanto. Ora, non ha più armi contro il gelo.
Si sfrega le mani. Maledice più volte la sua decisione di qualche ora prima, che lo ha portato a lasciare i guanti a casa.
Tanto starò al caldo, si è detto.
Ride istericamente al solo pensiero.
Osserva Roma, deglutendo del ghiaccio. Il terrazzo non si trova molto in alto, è solamente al secondo piano; pertanto, non gli è possibile scambiare le luci artificiali per lucciole. Restano, per lui, semplicemente lampade.
Il suo sguardo si alterna fra cielo e terra.
Segue le linee create dalle costellazioni, cerca il calore in corpi troppo lontani per fornirglielo. È una notte di luna piena, ma persino lei non riesce a compensare il freddo. Se ne sta lì, malinconica, ad osservare il suo dolore senza poter fare nulla.
Che tanto, nessuno può farci nulla.
La scintilla si è spenta, e non scalda più.
All'improvviso, un pensiero si palesa nella sua mente. Circondato dalla nebbia di una cantilena–tre, due, uno–gli ricorda per quale motivo si trova in quel locale, che tipo di evento avrebbe dovuto festeggiare. La musica, proveniente dalle scale, è ovattata, ma abbastanza alta per comunicargli che un altro anno è già passato.
Un altro anno speso a sforzarsi di amare, senza successo.
Un altro anno sprecato.
Simone sospira. Dalla sua bocca esce del fumo gelido, testimone delle basse temperature che gli tengono compagnia. Infila una mano in tasca, mentre il cielo si riempie di rombi e colori.
Fuochi d'artificio.
Scintille.
Tira fuori dalla giacca scura un pacchetto lungo e rossa. Su di esso spiccano luci, colori, sfumature. È la cosa più vicina al calore di cui Simone dispone.
Bastoncini scintillanti.
Lentamente–perché ha le dita congelate, e non riesce a muoverle–ne estrae uno dal cartone. Lo fissa per un attimo mentre poggia la scatola sul tavolo. Se lo rigira tra le dita, e un poco se le sporca di nero.
Non gli importa.
Con un gesto veloce, afferra il proprio accendino, e avvicina la fiamma alla punta del bastoncino. Lo fissa per un attimo, con le labbra gonfie e schiuse.
Poi, esplode. È una pioggia di scintille, che scende pian piano verso la sua mano. Gli illumina un po' il viso, il giusto per cancellarvi quell'aspetto spettrale. Disegna i contorni del suo profilo splendendo, mentre Simone si riappoggia nuovamente alla ringhiera con entrambi i gomiti. Osserva la luce a poco a poco consumarsi, accompagnata dai botti circostanti.
Accenna un sorriso, piccolo ma genuino.
Buon anno a noi, piccola scintilla.
È proprio quando quest'ultima sta per abbandonarlo, che Simone sente qualcosa muoversi dietro di lui. Sono i passi leggeri di un'ombra, il volo del fumo. I respiri pesanti di chi ha avuto freddo per troppo tempo e sta andando a cercare calore nell'unica fonte che lo ha nutrito in precedenza.
Il cuore di Simone inizia a battere forte.
Già sa.
"Pure te co' ste stelline, eh?" esordisce una voce, avvicinandosi.
È la voce.
"Chicca è ossessionata da ste cose," prosegue, tranquilla. "non o' so perché però. Che c'hanno de tanto speciale? Non so meglio i fochi d'artificio?"
Manuel si colloca esattamente accanto a lui. È nella stessa posizione, e ha la testa ruotata abbastanza per guardarlo.
Simone ha una stella in mano, eppure Manuel guarda lui.
L'effetto che gli fa, a distanza di anni dalla loro separazione, è sempre lo stesso.
Trema.
"No," riesce a trovare la forza di rispondere. "non so speciali quanto queste."
L'ultima scintilla si spegne.
Manuel solleva un sopracciglio, ma Simone non lo nota. Ha gli occhi immersi nella notte.
Tutto per non guardare lui.
"E perché no?"
Il tono è quello di un bambino. Si perde nelle ombre, una richiesta sacra e intelligente. Simone ha gli occhi lucidi, ma forse è solo il freddo.
Respira profondamente.
"Perché i fuochi d'artificio so' lontani. Queste, invece, so' vicine."
La mente di Manuel pare fermarsi un attimo. Forse è perché fa troppo freddo, forse si è raffreddata troppo. Fatica a trovare una risposta sufficientemente intelligente, adeguata; lascia che domini il silenzio, per qualche attimo.
Il suo cuore, intanto, funziona fin troppo bene.
E al contrario di tutte le aspettative, si sta sciogliendo.
"Però se spengono più in fretta." afferma Manuel infine.
Le implicazioni dietro quelle parole sono subdole, calcolate. Simone si morde un labbro fino a farlo sanguinare. Si sente il protagonista di un quadro dalla pittura scadente, troppo scura per mostrare colore. Grigio, infimo, fermo.
Neanche una goccia della loro luce in quella marea di sfumature.
Sono solo la brutta copia di quello che erano una volta.
"Tutte le cose belle alla fine si spengono–eppure, noi ci fermiamo ad ammirarle comunque. È questo il punto, Manuel."
Come gli affreschi che si rovinano. Come i colori che si schiariscono, l'aria che si inquina, la terra che si sporca. Le cose belle diventano macchie, si rovinano.
O forse siamo noi a rovinarle.
Manuel arriva a questa conclusione tornando indietro. Ripercorrendo strade, vicoli, memorie. Gioca con i suoi ricordi per un po', alzando lo sguardo verso il cielo. Nelle pieghe dell'universo, fra uno spazio e l'altro, giura persino di vedersi,più giovane, più felice. Lui, Simone, un bacio salato al mare e il suono di una risata. Le notti passate sotto le stelle, le giornate al parco, prima che tutto si rompesse, il risultato di un'unica crepa in quel vetro.
Manuel e le sue paranoie, Manuel e la sua carriera, Manuel e la sua lontananza.
Manuel il fumo che vola via, e si rigenera in un'altra sigaretta.
"Posso provare?" domanda d'un tratto. Lo fa travolto dall'attrazione, più che dalla curiosità stessa. Trova in questa domanda un modo per comunicare con l'altro, per tenerselo più.
E lo sa, che sta sbagliando. Che è tutto finito, che la scintilla non torna nella stessa forma.
Eppure, sente il bisogno di legarsi a Simone per sempre.
O per l'ultima volta, almeno.
Simone, dal canto suo, per la prima volta quella sera si volta. Lascia che i suoi occhi gioiscano della penombra, che scolpisce i tratti di Manuel come se fosse Michelangelo.
Una statua in marmo puro, ecco.
È ciò che è Manuel quella sera. Tanto bello quanto vulnerabile.
Tanto immobile quanto trasportabile.
Simone non risponde, inizialmente. Si limita a fissarlo finché può. Imprime i suoi lineamenti nella mente, scava a fondo per incidersi quell'attimo per sempre. Il tempo scorre, e la luna su di loro è ancora triste.
Il cielo è scuro, e Roma anche.
Ma le stelle ancora splendono.
Alla fine, Simone annuisce flebilmente. Ruota l'intero corpo verso il tavolo, vi poggia il bastoncino consumato e riprende in mano la confezione nuova. La apre, con dita delicate e gentili.
Manuel osserva battendo i denti per il freddo.
Ora che non sono più soli, il gelo non è più un amico.
"Ecco, tieni." mormora Simone qualche secondo più tardi, porgendogli uno dei bastoncini. Le loro dita si sfiorano nel processo, ed entrambi deglutiscono elettricità.
La voce di Simone si presenta a Manuel come poesia; e Manuel ama la poesia.
"Grazie." sussurra in risposta.
Non sa neanche perché parlano piano, poi.
Ci sono solo loro, e la loro piccola scintilla.
Con un debole movimento–quasi non captabile, in realtà–Simone annuisce. Poi, tira fuori l'accendino, e illumina il bastoncino che Manuel tiene saldo in una mano. La luce brilla tra loro, sgargiante, e se Simone si sporgesse giusto un po' la sua giacca ne uscirebbe bruciata.
Eppure, Manuel non da cenni di cedimento. Non si sposta, non rivolge le scintille altrove. Le tiene lì, fra loro, come se potesse servire a qualcosa.
Come se loro fossero in grado di aggiustarli.
"Avevi ragione, Simò," constata. La sua voce sa di miele, è dolce e appiccicosa. Entrambi osservano le stelle scendere, senza osare guardarsi. Senza osare sorridersi, come avrebbero fatto una volta. "so' belle. So' proprio belle."
"E tra un po' si spegneranno."
Manuel alza lo sguardo. Incontra gli occhi di Simone, e nel frattempo sgrana i suoi. In quella luce calda, tutte le emozioni sono scovabili.
Persino le lacrime trattenute.
"Si. Tra un po' si spegneranno," ripete Manuel, scavando negli occhi dell'altro. "ma rimarranno belle lo stesso. Rimarranno belle sempre, pure quando ne accenderai altre. E in quelle poi potrai vederce queste. Perché le scintille so' corte, Simò, ma so tutte uguali."
Ma Simone non è d'accordo. Scuote il capo, nega. Non esiste nulla di simile a tanta bellezza. Ogni bellezza è unica, inimitabile nel suo genere.
E una volta spenta, è per sempre.
"Non puoi riaccendere un bastoncino consumato." sostiene allora, introducendo la sua prima e unica argomentazione.
Stranamente, con questo Manuel si trova in accordo.
"No," conferma, tranquillo. "non puoi. Ma ne puoi accende' n'altro, e fa' finta che è la stessa cosa per un po'."
La scintilla giunge alla fine del suo percorso. Si spegne, muore tra loro come la prima volta. È lì, allora, che Simone si rende conto di qualcosa di importante.
Le scintille non sono tutte uguali. Alcune brillano di più, alcune scappano via e si perdono nel vuoto. Alcune sono più frizzanti, altre più flebili e meno energetiche.
Ma tutte, tutte, sono meravigliose.
E tutte, arrivate alla fine, cessano di scintillare.
"Manuel..."
Il sussurro arriva gelido sul naso dell'altro. Simone non lo ricorda neanche, il momento in cui sono finiti così vicini. Sa solo che ha il fiato corto, la pelle che improvvisamente brucia, le guance rosse e non più per il gelo. Il respiro pesante, il petto in affanno, il nodo in gola.
Sono tutte sensazioni che condividono, quando le loro labbra si trovano a pochi centimetri di distanza.
Manuel fa cadere il bastoncino a terra. Con questo cade anche il terrazzo stesso, forse l'intero palazzo, forse tutto il cielo. Cade il tempo, cadono i dipinti, cadono le statue e le scintille. Sono vicini, tanto vicini, troppo vicini. Un passo in più, e si scotteranno.
Come se non lo avessero già fatto abbastanza, poi.
"Simò," sibila Manuel, chiudendo gli occhi e respirando il suo respiro. "accendiamone n'altra. E facciamo finta che sia la stessa cosa per un po'."
Simone non ha nemmeno la forza di replicare. Le sue labbra sono separate, i suoi polmoni bloccati, come se la mano di Manuel si fosse posata su di loro invece che sulla sua guancia. La accarezza delicatamente, sfrega via il gelo su di esse.
Si sporge verso l'alto, e fa collidere le loro bocce.
È un bacio danzante. Manuel deve stare sulle punte, proprio come una ballerina. Governa lui il ballo, mente le labbra di Simone si muovono in maniera scomposta e confusa. Approfondisce i movimenti, fa entrare in contatto le loro lingue, strappa un gemito di piacere all'altro quando gli tira debolmente i capelli alla nuca.
Simone è ipnotizzato, ci mette un po' a rispondere. Non crede neanche che sia reale, che stia veramente di nuovo baciando l'amore della sua vita. Che l'universo gli abbia concesso quest'ultima possibilità, quest'ultimo assaggio di felicità.
Inizialmente, pensa che sia tutto un sogno.
Diventa reale quando Manuel gli riscalda il collo con una serie di baci umidi. Diventa reale quando lo spinge contro il tavolo, e lui è costretto ad afferrargli i fianchi per reggersi. Diventa reale quando il gelo si mescola al calore, le scintille ai pezzi di ghiaccio, i gemiti allo scoppiettio dei botti di capodanno. Diventa reale quando Manuel succhia sulla sua gola, sussurra il suo nome contro la sua pelle, e lo porta a stringersi ancora di più a lui.
Il ringhio che fuoriesce dalla bocca di Manuel quando Simone gli tira i ricci è famelico. Lo assaggia come una bestia che è stata privata del suo cibo preferito per troppo tempo. Si gode quegli istanti come fossero gli ultimi in cui gli è permesso di vivere, di respirare.
Forse, poi, è proprio così.
Con estrema velocità, Manuel risale la mascella di Simone. Arriva al mento, lecca, gli morde il labbro inferiore. Poi, si avventa di nuovo sulla sua bocca, e Simone lo riceve pronto.
Le loro rispettive mani si muovono in entrambe le chiome. Simone si siede, allarga in po' le gambe, il giusto per farci passare Manuel. Quest'ultimo, punta un ginocchio nel punto giusto, costringendo l'altro a gettare la testa all'indietro.
Manuel sorride contro le sue labbra.
"Me sei mancato tanto, Simò." bisbiglia.
Simone rabbrividisce.
"Stamo a fa na' cazzata," risponde, sempre a un centimetro da lui. "è proprio n'enorme cazzata."
Manuel inclina un po' la testa. Lo guarda con occhi da cerbiatto, irresistibili. Ha le iridi colorate di desiderio, di amore.
"Un'ultima notte, Simò," gli dice, quasi pregandolo. "concedimi solo un'ultima notte."
Strati di vestiti li coprono entrambi, e fa troppo freddo perché possano toglierseli. Manuel questo lo sa bene, perciò non fa altro che non sia baciarlo. Scopre mille universi nuovi in quelle labbra, teorie e cieli mai considerati prima. Gli passa le mani ovunque, strusciando contro giacca e pantaloni, ma la lana e i jeans cominciano a stare stretta a entrambi.
Ben presto, quindi, si rendono conto che quello non è abbastanza.
Manuel, a quel punto, si stacca.
"Simò..."
"Andiamo a casa mia."
L'ordine viene impartito con leggera severità. Manuel annuisce, incapace di dire si no. Semplicemente, si lascia prendere per mano e trascinare via.
Non pensa al domani. Non pensa nemmeno agli anni spesi da soli, al fatto che sia la loro ultima notte. Si abbandona alla mano fredda di Simone, alla prospettiva di una cucitura sulle loro ferite.
E lo sa, certo che lo sa.
Sa che tra qualche ora sarà costretto ad alzarsi, e a lasciarlo di nuovo. Sa che è giusto così, perché non sono destinati a brillare insieme.
Sa che brucerà all'inferno, e che porterà Simone con lui per una notte intera.
Non gli importa.
Per ora, spegne tutto, cervello e scintille. La luna su di loro è ancora angosciata, sola, fredda.
Lo sarà per l'eternità.
Sul tavolino del terrazzo, poi, giace abbandonata una confezione di bastoncini scintillanti.
E forse, se l'avessero portata con loro, avrebbero avuto a disposizione qualche scintilla in più.
***
Questa roba era partita come fluff in realtà, Poi l'ho trasformata in angst, e alla fine mi sono fatta prendere un po' la mano.
Scusate, fa un po' schifo ma è il delirio di una giornata troppo caldo.
Grazie per avermi letto, come sempre. Vi voglio bene.🤍
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