8. Addio
Il velivolo aveva accumulato circa mezz'ora di ritardo.
Agnese stava masticando caramelle da qualche minuto per evitare il fastidio alle orecchie che ogni volta le dava il cambio di altitudine.
Samuel temeva di perdere il volo successivo.
Non appena scesero sotto al livello delle nuvole, tutti coloro che potevano guardare dal finestrino si lasciarono andare a un mormorio di stupore.
New York era investita da una tormenta di neve.
L'annuncio del comandante era stato chiaro e anche gli assistenti di volo avevano avvisato: c'era la possibilità di essere dirottati altrove.
Dopo aver atteso per almeno venti minuti volando sopra la Grande Mela, l'ok all'atterraggio al Jfk venne accolto dai passeggeri con enorme sollievo.
«Vuoi dare un'occhiata? Sembra di essere in Alaska». Samuel indicò il finestrino e Agnese si sporse verso il vetro per la curiosità.
Si rese subito conto dell'errore fatto: era praticamente spalmata addosso a lui.
Il paesaggio innevato scorreva sotto di lei, con gli isolotti e gli edifici completamente bianchi, in contrasto con lo scuro dell'Oceano, acuito dalla scarsa luce del tramonto. Lo stava guardando ma non vedendo realmente, impegnata com'era a cercare di respirare in modo normale. Era riuscita a tollerare la vicinanza, però invadere lo spazio vitale di Samuel, sentire il suo profumo, sfiorarlo, era quasi più complicato che farsi stringere la mano durante le turbolenze.
«Accidenti, è... è bellissimo».
Quando pronunciò la parola bellissimo si voltò verso di lui e per un attimo le sembrò di sognare. Lui le stava sorridendo e si convinse che fosse solo per lei. In quel momento Agnese stabilì che, nonostante tutto il ben di Dio che era Samuel P. Bond, anzi, Robert Davis nella sua prestanza fisica, fosse proprio il modo di ridere così aperto ed espressivo a farle perdere la testa più di ogni altra cosa.
Per Samuel averla invitata a guardare fuori dal finestrino era stata una mossa dettata dalla volontà di condividere ancora qualcosa prima di scendere dall'aereo. Sentirla così vicina lo destabilizzò. Agnese sembrava emozionata, ma quando si girò a guardarlo mentre pronunciava la parola "bellissimo", il pornoattore per un attimo sognò che lo dicesse a lui e non al panorama.
Si limitò a sorriderle. Quello era il momento di giocarsi tutto. Nove ore insieme non gli erano bastate.
«Tra poco saremo a terra» esordì, mentre lei tornava composta.
«Già...» replicò lei con un sospiro.
«Le nostre strade si dividono».
«Eh sì...» Gli sembrava dispiaciuta?
«Mi farebbe piacere sapere come ti è andato il colloquio, domani».
Agnese ebbe un tuffo al cuore. Divisa tra il desiderio di accontentarlo e il timore di alimentare ulteriormente la scintilla, cercò di prendere tempo usando l'umorismo.
«Ti aggiornerò scrivendo un commento sotto uno dei tuoi video su PornHub».
Samuel rise di gusto. «Credo sia il rifiuto meno elegante che abbia mai ricevuto da una donna».
«Allora vuol dire che non sono l'unica a non averti dato il numero di telefono» ribatté lei.
Lui avrebbe volentieri testato l'abilità di quella lingua lunga in altri frangenti. Cambiò tattica: «Non vuoi sapere se Carl ha sguinzagliato l'Fbi per sapere dove sono finito?»
«Va bene, dammi il tuo numero» rispose Agnese, insospettendolo.
Scosse la testa. «So già che non mi chiameresti mai».
«Non ti arrendi, eh?» commentò lei. Era lusingata da questo tentativo insistente, ma non si faceva illusioni, anzi, era convinta che Samuel l'avrebbe dimenticata non appena sarebbe tornato alla sua vita. Anche per questo, cedette.
Si scambiarono i contatti non appena l'aereo spense i motori.
«Ti salverò come Robert, almeno non farò figuracce nel caso mi dovessi chiamare mentre sono a una presentazione circondata da mamme e papà».
«Neanche mia madre ormai mi chiama più Robert» protestò lui, battendo platealmente il palmo della mano sulla fronte.
«Vorrà dire che tu nella mia rubrica sarai Violet, visto che è il tuo nome d'arte» replicò con un ghigno soddisfatto.
In pochi minuti si ritrovarono a terra nel gelo di New York.
«Allora... addio» lo salutò Agnese, mesta. Aveva un groppo in gola come se dovesse salutare qualcuno a cui era legata da tempo. In quel momento non riusciva a concentrarsi né sulla situazione meteo né sul fatto che doveva affrettarsi verso il controllo dell'Esta, il documento che aveva richiesto online per poter entrare negli Usa.
«Ci facciamo un selfie insieme?» le domandò Samuel. «Per ricordare questo viaggio un po' speciale». Anche lui stava temporeggiando, mentre avrebbe dovuto cercare il terminal del proprio volo, che rischiava di perdere.
Il gesto di diniego di Agnese gli riportò il morale sotto i tacchi. Abbassò le spalle, sconsolato e incapace di proseguire. Aveva ottenuto il suo numero di telefono, ma faceva fatica a lasciarla andare.
Lei si accorse dell'effetto che ebbe il suo rifiuto e si affrettò a giustificarsi. «Non abbiamo bisogno di una foto. Sai che i ricordi più belli sono quelli non impressi da qualche parte? Perché la memoria li conserva con più cura».
Gli sfiorò il braccio, ritraendosi subito, e si voltò, costringendosi a non guardarlo per un'ultima volta. Si avviò a passo sostenuto verso il controllo passaporti. Nonostante ciò che la aspettava l'indomani avrebbe voluto che quel viaggio non fosse mai finito.
Samuel restò impalato fino a che non la vide sparire tra la gente, incurante di tutte le foto che alcuni fan gli stavano scattando senza neanche chiedere. Era confuso, ma aveva una certezza: non voleva che quella fosse l'ultima immagine di lei a restare nei suoi pensieri.
Prese il telefono e tolse la modalità aereo. Venne inondato dalle notifiche, ma non aveva voglia di leggere i messaggi, né di rispondere. Voleva solo tornare a casa e riprendere la sua solita vita. Si fece forza e aprì la chat WhatsApp con Carl. Ignorando ciò che aveva scritto il suo agente, gli scrisse: "Sono a New York in attesa del volo per Los Angeles. Non preoccuparti, non sono morto. Ti chiamo quando arrivo a casa".
Rimise il telefono in modalità aereo e si avviò verso l'area delle partenze dove avrebbe trovato il numero del gate del suo volo.
Agnese aveva le lacrime agli occhi e non era per il freddo. Il cuore pompava forte nel petto mentre si avvicinava alla postazione sorvegliata dalla polizia. «Sei una stupida» sussurrò a se stessa. Riconsiderò le opzioni che si era prefigurata quando era in bagno e aggiunse quella che stava provando in quel momento: la scintilla tramutata in incendio devastante che avrebbe lasciato terra bruciata per mesi.
Mentre era in coda ripensò a come si era sentita bene in quelle nove ore: con Samuel era riuscita a raggiungere il grado di confidenza e complicità che si ha con un amico di lunga data, oltre all'immediata attrazione che aveva provato nei suoi confronti. Un mix esplosivo che non le era mai capitato nella vita. Aveva avuto diversi ragazzi, ma nelle sue relazioni aveva prevalso o l'aspetto puramente fisico-sessuale o il tentativo mai riuscito di tramutare l'amicizia in qualcosa di più, rovinando il rapporto in via definitiva.
Passato il controllo, andò a recuperare il bagaglio. Ingannò il tempo dell'attesa collegandosi al wifi dell'aeroporto per scrivere ai suoi genitori e a un paio di amiche di essere arrivata sana e salva.
Aveva appena riposto l'Iphone nella borsa per prendere la valigia sul nastro trasportatore che sentì una suoneria diversa dalla solita: era quella delle chiamate via WhatsApp.
Cercò di recuperare il telefono alla cieca, frugando senza successo nella borsa, mentre con l'altra mano stava trascinando il trolley.
Chi era dall'altra parte doveva avere proprio urgenza di parlarle, visto che continuava a far suonare il telefono.
Si fermò per potersi aiutare anche con l'altra mano. Quando girò il display per controllare se fosse un contatto conosciuto, per poco il telefono non le sfuggì dalla sorpresa.
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