53. Conferenza stampa
Wallace irruppe nella stanza pochi secondi dopo. «Scusate, scusate l'anticipo. Attendiamo i vostri colleghi prima di cominciare». Prese una sedia anche per Samuel, visto che non era prevista la sua presenza inizialmente.
Il pornoattore si sedette in modo disinvolto, ignorò l'agente di Agnese e concentrò il suo sguardo solo su una persona: Stephen Anderson.
Samuel non si riteneva un uomo vendicativo, ma quello che il giornalista stava facendo subire ad Agnese doveva essere punito in qualche modo.
La scrittrice non era altrettanto sciolta come il suo fidanzato. Si era accomodata tenendo la schiena più dritta del solito, sistemando le mani in grembo, continuando a lisciare i pantaloni in modo ossessivo. Ogni tanto alzava gli occhi nel tentativo di intuire le intenzioni dei reporter dalle loro espressioni, ma chi sedeva di fronte a lei sembrava non prestarle la minima attenzione: erano impegnati a chiacchierare tra loro, anche sorridendo, o a consultare il telefono, qualcuno era in piedi rivolto verso le finestre a godersi il panorama ormai notturno. Ad Agnese sembrava che fossero tutti ignari del dolore che aveva provato negli ultimi due giorni, per loro lei era solo "lavoro".
Si voltò verso Samuel, ma il suo fidanzato sembrava un felino concentrato sulla preda. Non aveva tolto gli occhi di dosso da un un uomo un po' sovrappeso seduto in prima fila che Agnese non riconobbe. Aveva i capelli tendenti al grigio pettinati all'indietro, non tagliati di fresco visto che terminavano arricciati sulla nuca e sul colletto della giacca di una taglia più larga, a giudicare dal difetto che faceva sulle spalle.
Si avvicinò e chiese se lo conoscesse, in preda alla curiosità. «Chi è quello?» gli sussurrò all'orecchio.
«Anderson» rispose, senza distogliere lo sguardo dall'autore dell'articolo che le aveva rovinato la vita.
Altri giornalisti arrivarono alla spicciolata, riempiendo la sala. Dei microfoni e dei telefoni in modalità registratore vennero posati sul tavolo e, dopo l'operazione, Wallace diede formalmente il via alla conferenza stampa, chiedendo di concentrare le domande su Agnese, se possibile, e che la casa editrice non avrebbe risposto delle dichiarazioni di Samuel.
Agnese cercò di estraniarsi da tutto, come le aveva suggerito il suo fidanzato, ma non era facile. Le richieste di chiarimento su come fossero andate le cose si susseguivano allontanandosi sempre di più dal fulcro della questione.
«Ci può raccontare come è successo?»
«Chi vi ha avvisati che stavate trasmettendo live?»
«Come ha conosciuto Samuel P. Bond?»
«In che rapporti siete?»
«Quante persone hanno visto il filmato?»
«In tanti pensano che l'abbiate fatto di proposito per pubblicità»
Agnese rispose nel modo più educato e veritiero possibile, facendo solo attenzione a non rivelare l'identità di Patricia. Si ricordò delle raccomandazioni di Chiara e mise in chiaro gli aspetti legali: «La trasmissione del video è stata un errore, ma colgo l'occasione per dire che la diffusione al di là del sito di proprietà di Robert Davis, cioè Samuel, è illegale, come specificato nel disclaimer. Per cui anche chi ha inviato le foto a PageSix ha commesso un reato».
«È la prima volta che fate sesso davanti alle telecamere? O nel privato vi piace rivedervi?» L'ultima domanda l'aveva posta Anderson e Agnese restò senza parole per qualche secondo.
Persino Wallace, che sino a quel momento era stato in disparte, intervenne: «Non credo che questo sia pertinente».
Samuel si mosse sulla sedia, ma Agnese gli fece un cenno rassicurante.
«Non sono affari tuoi, né dei tuoi lettori, né dei miei».
«Alcuni genitori ci hanno segnalato qualche frase all'interno dei testi dei libri che potrebbe indurre inconsciamente i bambini a pensare al sesso, precisamente a pagina quindici del primo volume e a pagina trentasette del secondo. Intendono denunciarla». Anderson affondò il coltello nella carne viva di Agnese, che iniziò a sudare. «Sono accuse totalmente infondate e mi tutelerò legalmente contro queste diffamazioni».
L'uomo si rivolse a Samuel. «Ti senti in colpa per aver portato in modo così plateale l'attenzione sulla vostra relazione e per aver interrotto l'ascesa della tua ragazza?»
«Per favore, ora basta, lasciamo spazio alle domande degli altri colleghi». Wallace provò a stoppare il giornalista, ma Samuel lo ignorò. Si alzò in piedi e appoggiò i palmi delle mani sul tavolo. Fissò i presenti uno a uno, terminando con Anderson. «Se mi sento in colpa? Credete che questo video non crei disagio anche a me? Ah no, intanto sono abituato a mostrarmi mentre scopo in ogni posizione, vero?» Il sarcasmo con cui aveva pronunciato l'ultima frase creò qualche imbarazzo tra i presenti, che distolsero lo sguardo.
Agnese non voleva che Samuel fosse coinvolto in questo modo. Era in parte colpa sua, certo: se non l'avesse portata in studio il seguito non sarebbe mai successo, ma tutto ciò doveva restare tra loro, non essere l'oggetto di domande pubbliche.
«Quindi la vostra relazione non è in pericolo?»
Agnese guardò Samuel. Pur avendolo rassicurato, gli occhi di lui tradivano il timore che potesse finire tutto. Non le aveva creduto sino in fondo, probabilmente. Eppure non riusciva a prendersela con lui. Non dopo quello che avevano passato, non dopo quello che Samuel le aveva raccontato la sera prima. Gli prese la mano, non facendo caso ai flash dei fotografi presenti. «No. Non lo è» rispose Agnese.
Samuel per un attimo aveva temuto che lei ci avesse ripensato. Quelle domande avrebbero messo a dura prova anche il personaggio più scafato. Quando Agnese gli aveva stretto la mano davanti a tutti, però, gli aveva dato la conferma di quel ti amo detto solo due giorni prima.
«Basta così. La conferenza è finita». Wallace era visibilmente sulle spine e aveva deciso di interrompere un interrogatorio da trasmissione tv di infimo livello. Qualche mormorio di protesta si levò dai giornalisti, ma l'agente della Green Hill non volle sentire ragioni.
«Fermatevi nel mio ufficio, per favore» disse a Samuel e Agnese, mentre li precedeva nel corridoio. Chiuse la porta alle loro spalle e si sedette di nuovo alla scrivania. Quando tornò a guardarli la scrittrice aveva gli occhi lucidi e Samuel le stava accarezzando i lunghi capelli.
«Perdonami, Agnese. Non avrei dovuto accettare l'ordine dell'editore. Avrei dovuto prevedere che sarebbe andata così con Anderson». Le sue scuse non avrebbero cambiato molto le carte in tavola, ma riteneva fosse giusto farglielo sapere.
«Non importa, Gabriel. Dovrò farci l'abitudine in questo periodo, temo». Era così diversa, pensò l'agente, dall'Agnese combattiva che aveva fatto fermare quel taxi. Sembrava invecchiata di qualche anno: non era truccata e il pallore dell'incarnato aveva assunto una colorazione tendente al grigio. La vitalità degli occhi era affievolita come una fiamma a corto di combustibile.
«Cercherò di fare il possibile per mettere a tacere tutto questo. Per quanto riguarda le denunce paventate da Anderson, purtroppo devo confermarti abbiamo ricevuto anche noi diverse e-mail di genitori che ci segnalavano passi dei libri vedendoci messaggi subliminali inesistenti. La casa editrice si tutelerà e non farà mancare sostegno anche a te in questo frangente».
Agnese si alzò, sulle spine. «Accetto le tue scuse, Gabriel. Ora però voglio solo andarmene. Ci sentiamo...» Non sapeva bene se lui sarebbe stato ancora il suo agente, visto che la casa editrice intendeva di fatto scaricarla, pur mantenendo il contratto.
«Sicuramente ci aggiorniamo dopo l'uscita degli articoli» rispose Wallace, che si voltò verso l'uomo che lo stava fissando non certo in modo conciliante: «Samuel, mi spiace come siano andate le cose».
«Anche a me». Il pornodivo non fece il gesto di stringergli la mano e Gabriel si limitò ad alzare l'avambraccio per un saluto.
Richiuse la porta, si sedette alla scrivania e riprese il bloc notes su cui si era appuntato i nomi dei vari capiservizio delle testate che avevano partecipato alla conferenza stampa. Aprì il cassetto dove conservava il cibo di emergenza e tirò fuori una scatola di biscotti. Si tolse la cravatta e fece partire la prima telefonata. Sarebbe stata una serata molto lunga.
Sull'ascensore Agnese si lasciò abbracciare da Samuel. Il petto del suo fidanzato vibrava mentre parlava. «Avrei voluto rovesciare il tavolo e buttare quei microfoni addosso ad Anderson. Forse l'avresti gradito di più? Non sono stato abbastanza efficace nel difenderti. Sembravo un pesce lesso. Non ho neanche la possibilità di vincere in un duello retorico».
«Invece sei andato bene così, Samuel. Nonostante tu sia parte in causa della situazione, questa cosa riguarda me e inoltre non eravamo in campo neutro, ma nella sede della mia casa editrice. Sarebbe stato controproducente reagire».
Una volta arrivati al piano terra, Agnese non poté fare a meno di pensare che quella sarebbe stata la sua ultima volta in quella sede. Non ci sarebbero state altre firme.
Si voltò guardando il grattacielo e le sovvenne la promessa che aveva fatto a Samuel. «Aspetta!» Lo fermò.
Lui la guardò con sguardo interrogativo. Agnese estrasse il telefono dalla borsa. «Ti avevo detto che ci saremmo fatti una foto insieme se fossimo ricapitati qui, no?» Le stavano venendo le lacrime agli occhi, ma cercò di ricacciarle indietro.
«Agnese...» Samuel aveva la voce rotta dalla commozione. «Non ha senso ciò che mi stai proponendo».
Lei scosse la testa, risoluta. Si sistemarono sotto l'illuminazione artificiale per ottenere un po' di luce.
«Questa è scattata proprio per te e per nessun altro». Agnese prese il telefono e allungò le braccia. Samuel la cinse da dietro. Lei appoggiò la testa sulla sua spalla mentre lui le stava dando un bacio sulla fronte. Non era certo il bacio che aveva immaginato, ma andava bene così. Premette il tasto.
Si riguardarono e Samuel restò colpito da come, pur con gli occhi chiusi, Agnese riuscisse a mostrare la sofferenza, con le sopracciglia aggrottate, ma anche la fiducia che aveva in lui, a giudicare dal lieve inarcamento delle labbra in quello che sembrava quasi un sorriso.
«La stampiamo per ricordarci di questo momento difficile. Un giorno, magari, riusciremo a riderci su» disse lei.
Entrambi non avevano molta fame, ma si costrinsero a cenare. Scelsero un anonimo ristorante di cucina fusion non affollato. Agnese si rese conto solo all'uscita dal locale di non essersi neanche preoccupata di chiedere a Samuel che hotel avesse prenotato.
«Dove dormiamo stasera?»
Lui rise, mentre trascinava l'unico trolley che avevano portato come bagaglio. «Pensavo che non me l'avresti più chiesto. Volevo quasi proporti una panchina di Central Park».
«Scusa, ero un po' con la testa altrove» si giustificò, con l'umore un po' meno grigio.
«Hai voglia di camminare?»
«Va bene».
Agnese prese Samuel a braccetto, ma senza l'imbarazzo della volta precedente in cui si erano trovati a passeggiare per New York.
Si ritrovarono a costeggiare il polmone verde della Grande Mela e alla scrittrice sembrava proprio di vivere un déjà vu. Quando arrivarono nei pressi dell'albergo dove si erano salutati undici mesi prima, Agnese si fermò e gettò le braccia al collo di Samuel. «Questa è una tattica per farmi alternare pianti di dolore a pianti di gioia?»
«Mhh, solo per far vedere al concierge che quella volta in cui mi sono autoinvitato nella tua stanza non era per una botta e via».
«Avrei voluto ucciderti in quel momento, ma anche sprofondare dalla vergogna. Ti aveva riconosciuto!»
Samuel temette di aver compiuto un errore enorme di valutazione. Rievocare quell'episodio avrebbe potuto far ripiombare Agnese nello scoramento della situazione in cui erano finiti, ma tirò un sospiro di sollievo quando la sua fidanzata proseguì nel raccontargli ciò che aveva provato quella sera.
«Quando sono uscita dal bagno e ti ho trovato addormentato sul letto con il tuo pene ben sveglio ho pensato di essere vittima di uno scherzo beffardo del destino. Eri così bello...» sospirò.
«Quando mi hai svegliato, trovarti così vicina mi ha destabilizzato; eri stupenda» aggiunse lui.
«Per fortuna il destino non ha dato retta alle nostre remore. O a quest'ora non staremmo insieme» commentò Agnese.
Entrarono nella hall. Al bancone dell'accoglienza c'era una donna di mezza età, non il ragazzo della volta precedente.
Fu Samuel a gestire la procedura. Quando furono chiusi nella stanza si sdraiarono vestiti sul letto, sfiniti.
«Domani vedremo cosa uscirà su di noi...» disse Agnese.
«Mi sembra che Wallace sia più dalla nostra parte rispetto a quando abbiamo messo piede là dentro oggi pomeriggio, magari si è reso utile per ammorbidire un po' la stampa» rifletté Samuel, ad alta voce.
Agnese aggiornò i genitori e le amiche, Isabel compresa, su come fosse andata. Scrisse anche un messaggio a Patricia, mentre Samuel era in bagno, confidando solo a lei che era stata molto dura.
Quando toccò ad Agnese prepararsi per la notte, Samuel chiamò Carl. «Ho partecipato, ma sono stato in disparte. La casa editrice non ha gradito la mia presenza. Quell'Anderson è una vera spina nel fianco».
«Hai fatto bene a tenere un profilo basso. Non vogliamo che si aggiungano altre situazioni incresciose oltre a quelle che si sono già create. A proposito, tutta la comunità del porno di Los Angeles è pronta a comprare i libri di Agnese, se servisse».
«Vedremo come si evolveranno le cose. Domani sapremo come ci avrà dipinti la stampa e a poco a poco capiremo anche come reagirà la gente, al di là degli scandalizzati della prima ora».
La porta del bagno si aprì e Samuel salutò Carl, promettendo che l'indomani o il giorno successivo si sarebbero ritrovati a Venice per discutere il da farsi.
Si infilarono sotto le coperte. Samuel attese che Agnese si avvicinasse, come spesso capitava, per cercare il calore del suo corpo quando le lenzuola erano ancora fredde, ma quella volta la sua fidanzata restò sulle sue. Da quando vivevano insieme lei aveva preso l'abitudine di usare una sua t-shirt come pigiama, però New York non era Los Angeles dal punto di vista climatico.
Cercò la sua mano per stringerla e la trovò non certo tiepida.
«Puoi avvicinarti se hai freddo, non farò degenerare le cose come spesso accade».
Non facevano l'amore dalla sera incriminata e Samuel non avrebbe saputo prevedere quando sarebbe successo di nuovo. Agnese sembrava affettuosa, ma come traumatizzata da quel punto di vista.
Siccome lei non si decideva fu lui ad avvicinarsi, senza però osare altro.
«Grazie, Samuel» Agnese non disse di più, ma si accostò in modo da appoggiare il suo fianco a quello di lui. Fu lei ad addormentarsi per prima: la sua mano perse forza nella presa.
Era un buon segno, sperava.
L'indomani mattina si svegliarono non troppo presto per prendere l'aereo. Samuel aprì gli occhi e si trovò di nuovo Agnese sistemata addosso. Evidentemente l'inconscio della sua fidanzata cercava di mandare un messaggio che lei non riusciva ancora a cogliere. Raggruppò i suoi capelli sparsi sulla schiena nel tentativo di destarla senza troppi traumi fino a che lei non biascicò il suo buongiorno.
Si erano promessi di non comprare giornali o guardare siti web sino al loro rientro a Los Angeles per evitare di volare con la voglia di replicare agli articoli o comunque di cattivo umore.
La temperatura era scesa di qualche grado a causa della pioggia. All'aeroporto qualcuno li stava guardando con molta insistenza, sghignazzando. Samuel cercò di guidare Agnese lontano da sguardi o commenti troppo espliciti, sperando che non si accorgesse di essere al centro dell'attenzione.
Quando furono a bordo tirò un sospiro di sollievo. Erano sistemati in business, in mezzo a persone più interessate ai loro laptop che a ciò che li circondava.
Dopo il decollo Agnese si rilassò. Era lei seduta nel posto vicino al finestrino e si distrasse guardando il panorama.
«Beh? Adesso non sono più interessante?»
La scrittrice sorrise prima di voltarsi. Samuel si era preparato un finto broncio che lo faceva sembrare ancora meno credibile.
«Prima o poi scriverò una favola ispirandomi al tuo narcisismo-egocentrismo» disse Agnese, appoggiandosi con la testa alla sua spalla.
«Una favola per adulti, spero» commentò lui.
«Scemo».
Atterrarono senza troppi scossoni e presero un taxi. Una volta a casa si misero comodi sul divano con i telefoni in mano.
«Qualsiasi cosa leggeremo saremo forti» sentenziò Agnese con voce stentorea. Non ci credeva neanche lei, ma voleva dare un segnale a se stessa e a Samuel.
«Non ci faremo schiacciare» aggiunse lui.
Attivarono i device in contemporanea e i rumori delle notifiche durarono per qualche minuto.
«Wallace mi ha mandato la rassegna stampa» riferì Agnese.
Samuel si sistemò in modo da vedere anche lui ciò che aveva inviato il belloccio, con l'adrenalina a mille.
Gran parte degli articoli si limitava a esporre i fatti, focalizzando l'attenzione su ciò che aveva detto Agnese riguardo le possibili denunce verso chi avesse diffuso illegalmente parti del video. La maggior parte dei giornali aveva optato per mettere le foto di entrambi in conferenza stampa. Arrivarono alle testate del gossip, constatando quanto amassero rovistare nel torbido.
Anderson aveva rincarato la dose ricostruendo le biografie di Agnese e Samuel dipingendo lei come una scrittrice dai mille segreti piccanti, riportando qualche frase che si erano detti durante il video, mentre Samuel era il ritratto della dissolutezza. «Quel bastardo ha cercato i miei genitori» disse lui, quando vide un virgolettato attribuito al padre. «Non sento mio figlio da quando ha deciso di vendersi al porno» lesse Agnese.
«Non devono essere coinvolti anche loro. Chiamo mia madre». Samuel sembrava sconvolto.
Era la prima volta che Agnese gli sentiva fare una telefonata a casa.
Lui si allontanò e la scrittrice decise di non lasciarlo solo. Non voleva fargli mancare il suo sostegno alla luce di quanto lui la stava supportando.
Il telefono di Agnese squillò quando stava per entrare in camera da letto. Era un cellulare italiano che non conosceva. Si allarmò perché in Italia era l'alba.
Mentre Samuel stava cominciando a parlare con la madre, Agnese rispose titubante: «Pronto?»
«Agnese Ravera? Sono Donato Benedetti di Dagospia, è disponibile per un'intervista?»
Uno scoglio non poteva arginare il mare: lo diceva anche una canzone.
L'eco del video era arrivato anche in Italia e probabilmente anche a tutti coloro che la conoscevano.
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Come ho accennato in bacheca i nostri due protagonisti mi stanno facendo fare un percorso leggermente diverso da ciò che avevo pensato per loro. Il finale sarà lo stesso, ma la strada ha subito una deviazione. Spero che tutto ciò risulti di vostro gradimento e credibile. Mi sono sforzata, pur nel dramma, di mantenere un po' di leggerezza in alcune battute. Stona? Il vostro parere sincero mi aiuta in questa fase.
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