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52. Conseguenze

Agnese era crollata a terra, svenuta. Il telefono che aveva in mano era scivolato ai piedi di Isabel, accorsa con tutti gli altri per soccorrerla non appena si erano resi conto dell'accaduto.
L'attrice stava vedendo la scena al rallentatore. Samuel era chino su di lei in preda al panico, mentre Carl e Patricia le avevano tirato su le gambe.

Dallo smartphone dell'amica si sentiva qualcuno gridare. L'agente della Green Hill era ancora collegato. Raccolse l'apparecchio. «Agnese non può rispondere, ora. È svenuta».
«Chi parla? Beh, svegliala, perché deve venire subito qui a New York».
L'insensibilità di Wallace infiammò Isabel, che vide rosso come un toro nell'arena. «Sono una sua amica, ci siamo visti a Los Angeles e non ti permetto di parlarle in questo modo, belloccio dei miei stivali!» Aveva appena usato il soprannome che gli aveva dato Samuel. «Il video non era certo voluto ed è stato diffuso per errore. Quindi lei non ha colpe e anzi sta già scontando abbastanza l'umiliazione di essere stata vista».
Si sarebbe candidata all'Oscar da sola, ma Wallace non mollava. «Non mi importa, mi importa del fatto che abbiamo già ricevuto delle telefonate di genitori imbufaliti, che ci stanno chiedendo se nei libri per caso non ci siano dei messaggi subliminali legati al sesso e sono passati solo venti minuti dalla pubblicazione dell'articolo». La voce dell'uomo era salita di un'ottava.

Isabel avrebbe scagliato il telefono contro il muro, ma riuscì a trattenersi. «La salute di Agnese è più importante in questo momento, altrimenti rischi che a New York venga il suo fantasma. Sei il suo agente? Trova il modo di bloccare le notizie e ora, scusa, non ho più tempo per te: la mia amica ha bisogno di me». Interruppe la comunicazione mentre Gabriel stava ancora protestando.

Si avvicinò. Patricia commentava il suo belloccio nel tentativo, malriuscito, di far sorridere Samuel. Il suo ex datore di lavoro aveva gli occhi lucidi mentre sventolava le mani davanti alla faccia di Agnese e mormorava parole che somigliavano allo spagnolo, probabilmente in italiano.
Dopo pochi secondi la scrittrice aprì gli occhi.
«Ci riconosci?» disse Carl.
«Sei svenuta» la informò Patricia.
«Non era un sogno, vero? La storia di PageSix...» sussurrò Agnese.
«No, ma non è questo l'importante, adesso. Chiamo un medico e vediamo come stai». Samuel provò a imporsi, ma la sua ragazza lo rassicurò. «Ho avuto solo un sbalzo di pressione. Non ho praticamente dormito e arrivo dalla tournée».
«Agnese, mi hai fatto perdere qualche anno di vita, lo sai?» confessò Samuel.
«Devi riposare per prepararti ad affrontare questa battaglia» intervenne Isabel. «Ho sistemato Gabriel, per il momento, ma a quanto pare ti vuole a New York il prima possibile».

Agnese era ancora sdraiata sul pavimento, frastornata. Il bip di diverse notifiche cominciò a risuonare dal suo telefono. Isabel diede un'occhiata, erano commenti su Instagram e Facebook di persone che avevano letto l'articolo. Insulti da parte di genitori scandalizzati si alternavano a frasi maliziose e approcci sessuali da parte degli uomini.
«Forse sarebbe meglio se sparisse per un po' dai social» propose, porgendo il telefono a Samuel. Il pornodivo diede una rapida scorsa ai messaggi e ringhiò la sua disapprovazione.
«Sì. Ci penso io. Agnese, ti porto in camera così puoi riprenderti con calma». Anche il telefono di Samuel squillò, facendolo imprecare. Carl andò a recuperarlo. «Elizabeth» rivelò.
Era stata lei a linkare a Samuel l'articolo poco prima.
«Dille che la richiamo, ora non posso».

Prese in braccio la sua fidanzata e la portò nella stanza.
Patricia e Isabel li seguirono. «Agnese, ti porto qualcosa di tonico? Acqua e zucchero?» chiese la messicana.
«Va bene, grazie». Il pallore sul suo volto era meno preoccupante rispetto a pochi minuti prima.

Era la prima volta che Patricia metteva piede nella stanza di Samuel da quando si erano lasciati. Gli specchi non c'erano più. Al posto di quello frontale era appeso un ritratto di Agnese. Nella stanza non c'erano grandi segni della presenza dell'italiana nella sua vita, ma il fatto che Samuel avesse eliminato gli strumenti per guardarsi mentre faceva sesso la diceva lunga.
«Se vuoi posso intervenire io sui social. Sono esperta a limitare commentatori molesti» propose la bionda.
Samuel guardò Agnese, che annuì e aggiunse «pensavo di poterti ringraziare come si deve per ieri sera e invece accumulo ulteriori debiti».
Patricia alzò le spalle e cominciò ad armeggiare col telefono.
«Resta qui, devo fare un paio di chiamate» le chiese Samuel.

Tornò da Carl, che era di nuovo seduto sul divano e si era acceso un sigaro. Il suo protetto lo guardò storto. «Non commentare. So che non si può fumare qui, ma direi che per oggi puoi fare un'eccezione». 
Samuel riprese il telefono e si diresse verso il giardino per chiamare Elizabeth.
«Sai che ho già ricevuto un'offerta per voi due?» Il pornodivo si fermò. Carl soffiò il fumo. «Duecentomila dollari».
La porta che dava sul giardino venne sbattuta con più veemenza del solito.

«Siete nei casini?» Elizabeth non si premurò neanche di salutare. 
«Secondo te?»
«Volevo solo sincerarmi di come stessero le cose. Non vorrei che tutto ciò precludesse a un tuo ritiro dalle scene».
«In questo momento vorrei solo riavvolgere il tempo fino a ieri sera, ma spero di poterla superare».
«Buon per te. E per me. In ogni caso volevo solo dirti che qualche spezzone di video sta girando in qualche chat su WhatsApp e Telegram. È arrivato anche al nostro amico regista».
«Stai ancora con lui?» Samuel cercò di reprimere la rabbia per come la situazione fosse ormai fuori controllo.
«Finché non trovo niente di meglio...»
«Ora ti saluto. Devo pensare alle prossime mosse»
«Ok... e... Samuel, volevo dirti che se tu scopassi nei nostri video come hai fatto in quello avremmo il doppio delle visualizzazioni. La gente apprezza molto ciò che si avvicina il più possibile alla realtà».
«Beth... non è proprio il momento».
«Ok, Ok. Ci sentiamo».
Samuel riattaccò, scuotendo la testa. Elizabeth era di un'insensibilità rara, anche se in parte involontaria.

Si avvicinò all'amaca e fece partire la seconda chiamata.
«Samuel P. Bond, che piacere sentirti!» La voce di Anderson era miele che trasudava veleno.
«Cazzate. Ti rendi conto quello che sta provocando il tuo articolo? Agnese si è sentita male e la sua carriera è rovinata. Quel video è stato trasmesso per errore».
«Non sono affari miei. Sei tu che non sei stato sincero. La tua storia con Isabel Ruiz era un falso per coprire la tua vera compagna. Sei stato bravo, mi hai ingannato bene. Mi ero fidato di te anziché della mia fonte, ma ho fatto male, evidentemente. Per fortuna quella fonte ha pensato di mandarmi qualche fermo immagine del video che avete girato per dimostrarmi che aveva ragione e tutto è stato chiaro».
Samuel cercò di ricorrere all'autocontrollo che solitamente metteva quando era in azione per non venire subito.
«Mettiti nei miei panni. Agnese sarebbe stata sotto i riflettori per altri motivi e i suoi libri non avrebbero avuto questo successo».
«Non è colpa mia se la società americana è così bacchettona. Io faccio solo il mio lavoro. Il titolo è forte, ma oggi tutto si misura sui click, mio caro Samuel. Lo sai bene anche tu. Avrei voluto anche io fare giornalismo di inchiesta e vincere un Pulitzer, invece sguazzo nel fango del gossip».
«Ti chiedo almeno di spiegare che si tratta di un video finito sul web per errore. Dai pure la colpa a me, se qualcuno deve averne la responsabilità».
«Voglio un'intervista esclusiva a voi due» disse Anderson.
«Non se ne parla. Agnese non sta bene e l'esposizione mediatica non la farà certo guarire».
«Chiamami quando starà meglio. Buona giornata, Samuel».
Il giornalista riattaccò.

«Samuel, chiede di te». Patricia lo aveva raggiunto in giardino. Il viso del suo ex era tirato come mai l'aveva visto. «Credo sia ora che torniamo tutti a casa e vi lasciamo un po' in pace». Patricia aveva già indossato il trench. «Carl e Isabel stanno ancora monitorando i siti, ma è una partita persa in partenza, ribadisco».
Samuel le porse il suo telefono. «Riprendimi. Faccio l'annuncio per il sito e per i social».
Nel video di un minuto e mezzo Samuel si limitò a chiedere col cuore in mano un favore ai suoi fan: «Ieri sera ho fatto uno sbaglio che rischia di costare caro alla persona a cui tengo di più nella mia vita. Ho diffuso per errore un video in cui compare la mia fidanzata. Lei non c'entra nulla e in questo momento sta già pagando le conseguenze di questo sbaglio. Vi prego di non diffondere quel live o fotografie tratte da quel video. Ve lo chiedo per favore».
Trish stoppò la registrazione. «Hai detto lo stretto necessario. Il messaggio è efficace. Io vado, ora».
Si avviò verso la porta del giardino.
Samuel la raggiunse prima che la aprisse. Le mise una mano sulla spalla, facendola voltare. «Patricia, sei stata eccezionale. Io non so come ringraziarti. Ho sempre sbagliato con te e invece tu sei stata così-»
Lei lo interruppe, mettendogli un dito sulle labbra. «Basta, Samuel. È meglio che tu non parli». Gli fece un sorriso. «Sono felice di esservi stata utile. Quello che sta vivendo Agnese la segnerà per tutta la sua esistenza, anche se minimizzerà, anche se ti dirà di no. Sii il suo sostegno e non mollare. Saranno tempi duri per voi due anche come coppia».
Samuel l'abbracciò. «Buon ritorno a casa. Se ti capitasse di tornare a Los Angeles, chiama».
«Agnese ha voluto a tutti i costi il mio numero. Ci siamo scambiate i contatti». Patricia si distaccò e uscì dalla villetta.

«Andiamo pure noi. Carl si è offerto di darmi un passaggio». Anche Isabel e il suo agente erano pronti per tornare a casa.
«Riposatevi e pensate a come limitare i danni. Io cercherò di darvi il maggior supporto possibile, anche via social» disse l'attrice.
Carl si limitò a dargli una pacca sulla spalla. Era la prima volta che non si lasciava andare a battute sarcastiche, un comportamento che preoccupò ulteriormente Samuel.
«Ci sentiamo, sì».
Chiuse la porta e tornò in camera.

Agnese era seduta sul letto, con la schiena appoggiata sulla morbida testiera. Stava fissando lo schermo del telefono facendo scorrere compulsivamente il pollice.
Samuel si sedette vicino a lei. Le accarezzò l'avambraccio e con delicatezza provò a toglierle l'apparecchio dalla mano. «Questo sarebbe meglio che tu non lo guardassi per un po', non credi?»
«Devo chiamare Gabriel» si limitò a rispondere, trattenendo l'oggetto. «Vorrei che restassi qui, mentre gli telefono. Non sono sicura di me».
Samuel le prese il volto tra le mani, costringendola a guardarlo. «Agnese, tu sei molto più coraggiosa di me. Non dimenticarlo. Io ti darò tutto il mio sostegno, ma non perdere te stessa. Reagisci. Il vantaggio di questa storia è che non dovremo più nasconderci, no? Ti vogliono a New York? Stavolta non possono impedirmi di accompagnarti».
Agnese annuì e fece partire la chiamata. Samuel le teneva stretta l'altra mano.

«Domani presentati a New York. Dobbiamo fare una conferenza stampa, visto che stiamo ricevendo innumerevoli chiamate da lettori e giornalisti. Compra il biglietto e fammi sapere quando arrivi. Così fissiamo l'orario».
La freddezza con cui Wallace le stava dando istruzioni ebbe un effetto più devastante per Agnese rispetto a una sfuriata piena di insulti.
«Ok... ti scrivo un messaggio a breve».
Riattaccò e aggiornò Samuel. «Dobbiamo andare a New York domani. Cioè, io devo».
«Ti pare che io ti lasci andare da sola?» rispose Samuel senza mollare la sua mano.
Agnese guardò di nuovo il telefono. «Dovrei avvisare i miei genitori e le amiche, almeno» disse con voce strozzata. Le si inumidirono di nuovo gli occhi.
«Ora è notte laggiù, lo farai più tardi. Hai voglia di uscire un po', prima di cena? Facciamo una passeggiata, anzi, prendo la macchina e ti porto in un posto. Non abbiamo mai avuto occasione di passare troppo tempo insieme fuori casa per preservare ciò che ora invece è noto».

La premura con cui Samuel stava cercando di tirarle su il morale ebbe l'effetto di acuire il  malessere di Agnese, che tornò a piangere. «Scusami. Sarebbe un sì, anche se non sembra». Gli fece un sorriso bagnato.

Lui si avvicinò e la strinse a sé. Non parlarono mentre restarono abbracciati per minuti.
Samuel cercò di farle capire che avrebbe potuto contare su di lui, che non sarebbe mai fuggito. Le mani di lei aggrappate alla sua maglietta, mentre il respiro tornava normale dopo le lacrime, gli suggerivano di star agendo nel migliore dei modi possibili. 
«Prenoto l'aereo e un hotel e poi andiamo» le sussurrò all'orecchio.

Sarebbero partiti l'indomani mattina alle 7:30, con arrivo previsto nella Grande Mela alle 3:50 del pomeriggio. Wallace aveva stabilito la conferenza stampa a un orario comodo anche in caso di ritardi: le sette di sera. Non aveva voluto sentire ragioni sull'ipotesi di rinviarla al giorno successivo. 

La serata era limpida. Agnese guardò il cielo: le luci di Venice, pur meno impattanti di quelle di Downtown, impedivano la vista delle stelle. In quel breve tratto percorso tra la casa e il mezzo camminò malferma sulle gambe. Doveva reagire, voleva reagire, ma non sapeva se ne avrebbe avuto la forza. 

Samuel guidava lentamente. La musica dell'autoradio era un sottofondo alle piccole annotazioni da guida turistica che lui cercava di dare ad Agnese ogni volta che passavano accanto a qualche villa di personaggio famoso, che fosse Quentin Tarantino o Ben Affleck. Agnese appoggiò la testa al finestrino, osservando l'alternarsi di lampioni e palme altissime in una successione quasi ipnotica. «Qui abita la sorella maggiore di Isabel, anche se non sa di esserlo» disse Samuel riferendosi a Salma Hayek, facendo sorridere Agnese. Stavano salendo a poco a poco, percorrendo Mulholland Drive. Samuel trovò uno spiazzo dove non erano sistemate altre auto e parcheggiò. 

«Hai voglia di scendere? Ci appoggiamo alla ringhiera». Lui fece il giro dell'auto per aprirle la portiera. Le prese la mano e la condusse vicino al ciglio della collina, protetta dal parapetto e la aiutò a scendere delle scale che terminavano in un piccolo spiazzo ancora più panoramico. Agnese respirò a pieni polmoni l'aria fresca della sera, ascoltando il frusciare delle foglie degli alberi che li circondavano. Los Angeles, ai loro piedi, offriva una vista mozzafiato. I grattacieli spiccavano per altezza in un mare di luci colorate, alcune anche in movimento: le auto sulle principali arterie della metropoli. 
Samuel si posizionò accanto a lei. «Non sembra tutto diverso da qui?» Agnese lo guardò, ma lui continuò a fissare il panorama. «Cerchiamo di non farci schiacciare. Cerchiamo di vedere le cose con una prospettiva diversa. Ne usciremo. Anche se ora tutto sembra crollarci addosso».

Agnese non si attendeva un tale discorso. Samuel era bravo a farla ridere, ma questa volta sembrava attingere ad aspetti della sua indole che non le aveva mai mostrato. 
«Da quando sei così saggio?» Stavolta fu lui a voltarsi, incontrando gli occhi che tanto amava, arrossati e distrutti da ore di pianti, ma tornati vivi per un breve istante.
«Sto solo cercando di esternare ciò che penso quando mi dedico alla meditazione, quando mi rilasso. Non l'abbiamo mai fatto insieme e forse potrebbe farci bene». Agnese posò la mano sulla sua. Lui la sentì di nuovo gelida. «Hai freddo?» Lei scosse la testa, ma Samuel si posizionò alle sue spalle, avvolgendola con le braccia. 

Sei una stupida.
Samuel stava facendo di tutto per sostenerla e lei non sembrava dimostrargli quanto in realtà gli fosse grata. I suoi sentimenti si erano come rifugiati in un forziere chiuso nella parte più nascosta del suo animo e neanche lei sapeva dove trovare la chiave per liberarli. Era già successo dopo la rottura con Marco, ma adesso il meccanismo di autodifesa era scattato in modo ancor più profondo.
Ripensò alle parole di Samuel e un'intuizione le fece venire altri brividi. «Da cosa cercavi di fuggire tu?»
Il respiro di Samuel si fece più profondo, mentre le baciava la testa. «Dal giudizio di mio padre».
Agnese si girò per guardarlo negli occhi, in una muta richiesta di sapere, ma non osando chiedere.
«Non ha mai digerito la mia scelta di fare il pornoattore. Non ha mai voluto i miei soldi. Non lo sento da quando mi sono trasferito qui, o meglio, ho provato a tornare a casa una volta, ma mi ha cacciato via. Mia madre ogni tanto mi scrive o mi chiama quando lui non c'è, ma il suo silenzio è la presenza-assenza più pesante nella mia vita. Del resto si vergognava e osteggiava la mia condotta disordinata già ad Alsip. Non dovevo attendermi qualcosa di diverso, però sono andato avanti cercando di non farmi schiacciare dal peso di sapere cosa pensa di me».
Agnese era sconvolta, non immaginava che Samuel nascondesse una situazione così complessa. Provò a immedesimarsi e l'assenza del sostegno di una persona cara alle sue scelte, discutibili o meno, le fece mancare il terreno sotto i piedi. Era fortunata ad avere sempre avuto dalla sua parte i suoi genitori, anche quando avevano saputo della sua relazione con Samuel. 

L'apatia di Agnese era stata dissipata dalla confessione. La sua fidanzata lo stava guardando con una nuova consapevolezza. 
«Oh, Samuel» mormorò prima di alzarsi in punta di piedi e baciarlo.
Ritrovare le sue labbra a distanza di quasi ventiquattrore dal loro ultimo contatto intimo lo scosse a tal punto che impiegò qualche secondo prima di reagire. 
«Credevo che non mi avresti mai più baciato, sai? Te l'avrei raccontata prima questa storia, se avessi saputo» commentò lui, distaccandosi dopo qualche minuto.
Agnese rise, dandogli un pugno sul braccio. «Solo tu sei in grado di dire queste cose dopo un momento così intenso».
Gli mise le mani tra i capelli, scrutando il volto illuminato dal riverbero delle luci della città. «Torniamo a casa. Mi è venuta fame. Domani cercherò di essere forte. Per me e per noi».

Dopo cena Agnese prese coraggio e chiamò i suoi genitori. Riuscì a non piangere mentre raccontava loro cosa era successo. Dora si dimostrò comprensiva e concentrò la sua rabbia sul giornalista più che sulle persone che avevano diffuso il video sulle varie piattaforme. Quando fu il momento di salutarsi sua madre si lasciò andare alla commozione. «Tra cinque giorni ci rivedremo, non vedo l'ora di riabbracciarti». 
Agnese si era completamente scordata che aveva prenotato da mesi il suo rientro in Italia per le feste natalizie e sperava che ciò che era accaduto non le impedisse di tornare dai suoi affetti.
Quando fu il turno di Chiara, la sua amica fu molto meno morigerata nelle reazioni, ma anche più professionale. «Quei bastardi che hanno ripreso il filmato, pur essendo diffuso per errore e cancellato in corso d'opera, potrebbero essere perseguiti, sai? La proprietà del video è solo di Samuel. Inoltre il codice rosso, come si chiama qui da noi, è normato anche negli Usa. Se chi ha fatto il furbo risiede negli Stati Uniti potrebbe trovarsi una bella denuncia sulle spalle. Controlla i termini di utilizzo dei video di Samuel. Agnese, inchioderemo ognuno di loro alle proprie responsabilità».  
«Ma potrebbero difendersi dicendo che il video sia stato trasmesso volutamente da noi».
«Non se dichiarate pubblicamente l'errore, credo. Sei anche tu un personaggio noto grazie al successo dei tuoi libri».
«Samuel ha fatto un appello sui suoi canali qualche ora fa e domani terrò una conferenza stampa a New York».
«Perfetto. Tienimi informata e sii forte».

Quando fu il momento di andare a dormire a entrambi non parve vero di ritrovarsi nello stesso letto dopo la terribile notte precedente. Si guardarono a lungo, poi Agnese non si avvicinò a lui con la solita invadenza. Nonostante fosse di umore più combattivo e meno pesante grazie alle parole di Chiara e avesse disattivato, su consiglio di Samuel, le notifiche dei social dal telefono, quello che aveva visto le era bastato per riproporsi davanti ai suoi occhi anche se aveva le palpebre chiuse. "Certo che è proprio una bella tr***tta questa", "Ha un gran bel c**o da sfondare", "Le tette sono troppo piccole, potrebbe rifarsele" erano i commenti meno offensivi che le tornavano in mente. Dall'altro lato chi la conosceva per i suoi libri aveva iniziato a insultarla per essere "dedita al sesso sfrenato", "un'italiana che avrebbe dovuto tornarsene a casa", "un tentativo maldestro di farsi pubblicità perché i suoi libri fanno schifo". In privato aveva ricevuto fotografie di peni, numeri di telefono, ma anche insulti ancora peggiori, soprattutto da donne: "Pom***ara da quattro soldi", "Brucerò i tuoi libri", "Una pu***na esibizionista che punta ai padri dei bambini fan di Miss Violet".

Nel buio della camera da letto Samuel sentì Agnese agitarsi. Le prese la mano e trovarla tremante lo sorprese. Si girò verso di lei, preoccupato. «Ehi, che succede? Ci sono io, stai tranquilla». Provò a rassicurarla accarezzandole i capelli.
Agnese aprì gli occhi, che si stavano già inondando di lacrime e benedisse l'oscurità. «Sto solo ripensando a quelle frasi che ho letto oggi. Non lo faccio di proposito, ma è come se si fossero marchiate a fuoco nella mia memoria».

Samuel ricordò le parole di Patricia e si avvicinò ancora di più. Il lieve respiro di Agnese gli solleticava la pelle. «Piano piano le estirperemo». Mimò il gesto di toglierle qualcosa dalla fronte. Si prese cura di lei fino a che non si addormentò.

La mattina successiva si presentarono all'imbarco puntuali. Quando furono seduti fianco a fianco in attesa della partenza, si lanciarono uno sguardo d'intesa.
Agnese non aveva una Settimana Enigmistica con cui ingannare il tempo, ma non le importava in quel momento. Quanta acqua era passata sotto i ponti in quegli undici mesi. 
Il velivolo aveva iniziato a muoversi sulla pista. Agnese chiuse gli occhi.
«Hai sempre paura del decollo?» chiese Samuel stringendole la mano. 
«Sempre». 

Atterrarono a New York dopo oltre cinque ore di volo e quattro turbolenze che avevano fatto sussultare Agnese e ricordato a Samuel quanto fossero state determinanti per entrare in confidenza con lei in quel viaggio che non avrebbe mai dimenticato. 
Presero un taxi diretti alla sede della Green Hill e furono accolti dalla segretaria che ormai Agnese aveva imparato a conoscere. Quella volta però nell'occhiata che le diede c'era qualcosa di simile al disgusto. La donna si accorse dopo un secondo che era accompagnata da Samuel e aprì la bocca senza emettere suono. Si riprese dopo un momento. «Aspettavamo solo la signorina Ravera, veramente».
«Visto che sono parte coinvolta in questa storia forse è meglio sia presente anche io» replicò Samuel, ruvido, senza usare il suo solito charme nei confronti del gentil sesso.
La donna diede loro le spalle senza troppo garbo e li portò nell'ufficio di Wallace. 
Indossava la solita camicia bianca, ma stavolta aveva anche la cravatta blu che riprendeva il colore della giacca. 

«Siediti, Agnese» disse l'agente, freddamente, senza alzare lo sguardo dalla scrivania.
Il rumore di due sedie distinte spostate sul pavimento catalizzò la sua attenzione.
«Che ci fa lui qui?» gridò, mentre la segretaria stava richiudendo la porta. Due occhiaie profonde e scure segnavano gli occhi celesti.
Le mani di Samuel diventarono bianche da quanto stavano stringendo i braccioli della seduta. 
«Abbiamo pensato che fosse meglio venire insieme e dare tutte le risposte in via definitiva. Samuel ha già fatto un appello sui suoi canali social e professionali per spiegare che si è trattato di un errore. Vorremmo ribadirlo davanti ai giornalisti» spiegò calma Agnese.
Wallace si alzò in piedi, scuotendo la testa. «Pensi che dire la verità placherà quelli che ci hanno già restituito le copie vendute alla reception? Emily ne ha una pila alta così, di là». Con un gesto della mano indicò un'altezza superiore a quella della scrivania. 
«La verità, sì» ribadì convinta Agnese «e se non accettano che io possa essere innamorata e fare sesso con un pornoattore, non sono persone degne di acquistare neanche una pagina dei libri di Miss Violet». 
Gabriel tornò a sedersi, mettendosi le mani nei capelli.
«I piani alti chiedono di raccontare che è stato un errore dovuto a una serata troppo allegra dopo i festeggiamenti per la fine del tour. La tua immagine non sarà completamente ripulita, ma presto le persone si dimenticheranno di questo episodio, almeno così sperano. Ah, inevitabile che i tuoi libri non saranno più spinti in modo così plateale. L'editore intende onorare il contratto di pubblicazione per i cinque libri tradotti dall'italiano, ma scordati presentazioni, firmacopie eccetera. Poi si vedrà a seconda delle vendite».

Se le avesse tirato un pugno probabilmente le avrebbe fatto meno male. In ogni caso la sua carriera poteva dirsi finita. La realtà delle cose era ormai chiara. Il treno della sua vita era ormai lanciato a tutta velocità verso uno scambio che l'avrebbe fatta deragliare, ma lo avrebbe fatto a testa alta. Lo comprese in quel momento. Avrebbe dovuto riorganizzare la sua esistenza, trovarsi un nuovo lavoro senza essere alle dipendenze del suo fidanzato.

«Quindi, se ho capito bene, vi fa gioco raccontare la bugia di una follia notturna invece che parlare di un sentimento vero?» Samuel aveva parlato per la prima volta e con grande autocontrollo.
L'espressione eloquente di Wallace fece scattare Agnese.
«Samuel, andiamocene. Non intendo stare qui un minuto di più». 
Il pornodivo non se lo fece dire due volte e si alzò.

«Ehi, ehi, aspettate, non fare stronzate, Agnese. I giornalisti arriveranno a minuti». Quella donna aveva il potere di distruggere ogni sua pianificazione. Wallace si alzò, piazzandosi davanti alla porta. «Non hai scelta, la casa editrice ti rovinerà» provò a ricattarla, in preda al panico.
«Sono già rovinata, cosa credi? La verità o nulla». 
«Fammi fare almeno una telefonata». Wallace era sudato.
«La conferenza è nel solito posto?» Agnese non attese un secondo e si diresse verso il fondo del corridoio insieme a Samuel. «Aspetta, pronto? Sì... è un gran casino».
La voce affannata di Wallace svaniva mentre a grandi passi si stava dirigendo verso la porta della grande sala dove era stata intervistata mesi prima. 
Aprì la doppia anta e restò per un attimo bloccata. Non si aspettava di trovare già una decina di giornalisti seduti dall'altra parte del grande tavolo di cristallo. Quattro cameramen erano in piedi accanto ai loro attrezzi di lavoro sostenuti da solidi treppiedi. 
Tutti puntarono lo sguardo su Agnese e Samuel.

L'attenzione del pornodivo venne catalizzata dall'unica figura che riconobbe tra i presenti. Stephen Anderson era seduto in prima fila con un sorriso che non prometteva niente di buono.












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