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47. Brucia!

Il nome Patricia era apparso sul display. Lettere bianche su sfondo nero.
Samuel aggrottò la fronte, perdendo il sorriso.
Una mano gli toccò il braccio. Era quella di Agnese che gli lanciò uno sguardo di incoraggiamento.
«Scusate, vado dentro a rispondere» si limitò a dire, serio.

Non appena fu in soggiorno avviò la connessione.
«Ciao, Patricia».
Non aveva idea di come rivolgersi a Trish. Si erano chiariti e salutati in modo civile, ma erano passati mesi ormai senza che né lei né lui avessero sentito l'esigenza di chiamarsi.

«Ciao, Samuel». Il tono di voce era secco, poco amichevole.
Lui attese.
«Ho rinunciato a lottare per te perché mi sembravi davvero innamorato di quella ragazza e ora vedo che invece esci allo scoperto con Isabel, che ti scopavi già quando stavamo insieme. Mi hai delusa, profondamente».
Trish aveva letto l'articolo.

Samuel si affrettò a smentire: «È tutto organizzato da Agnese, dovevamo sviare l'attenzione dei media da lei. Ne va della sua carriera di scrittrice per bambini».

Stavolta fu Patricia a restare in silenzio. La sentì sospirare e cambiare posizione.

«Isabel si è prestata al gioco, anche se non abbiamo più fatto sesso da quando sono impegnato con Agnese».

«Ok, ok, ti chiedo scusa, ma quando mi hanno mandato il link a quel servizio non ci ho più visto».
«Sei a Los Angeles?» la interruppe lui.
«No. Sono in Texas, da mia sorella».
«Come stai?»
«Meglio. Un po' più serena. Stare fuori dai social è stato determinante».
«Sono contento». Samuel non sapeva più come andare avanti. «Agnese si è trasferita qui per un po'». Di sicuro Patricia non aveva piacere a essere aggiornata su come stava proseguendo la sua relazione, ma a Samuel era uscito spontaneo.

«Lo ripeto. È davvero coraggiosa, la ragazza» replicò Trish con tono più amaro che empatico.

«Lo è, ha già messo in riga Carl».

«Io sono due mesi che non faccio sesso e non mi manca, per ora» gli confidò. «Ora ti saluto. Mia sorella mi reclama. Stiamo ridipingendo le pareti di casa».

«Fatti viva quando hai voglia di fare due chiacchiere o ti chiamo io».
«Va bene».
Chiuse la conversazione con la consapevolezza che non si sarebbero più sentiti, probabilmente.

Agnese era rimasta al tavolo con Carl e Isabel, che non si capacitava di come l'italiana potesse essere così tranquilla alla luce del fatto che Samuel stava dialogando con la sua ex. All'ultimo sorso di limonata sbottò: «Non sei curiosa di sapere cosa si dicono?»
«In parte sì, ma spetta a Samuel decidere se confidarsi, a meno che Trish non gli abbia chiesto di tenere il segreto».

La fiducia che Agnese aveva in Samuel stupì anche Carl. Era davvero una ragazza fuori dal comune. Ne aveva viste tante cercare di accalappiare il suo amico, ma tutte cadevano perché al di là del sesso non c'era nulla. Neanche il rispetto.

Samuel tornò e tutti e tre lo scrutarono, cercando di capire qualcosa dalla sua espressione.
Fu lui a rivelare il contenuto della conversazione. «Voleva farmi il culo perché pensava avessi già lasciato Agnese. Siamo stati molto credibili, dunque».

Dopo aver scattato un'altra immagine per l'Instagram di Isabel e scritto altre parole d'amore al posto suo, Agnese si poteva ritenere soddisfatta come primo giorno di lavoro, visto che doveva ancora firmare il contratto con le modifiche richieste.

Aveva in mente diverse idee per ampliare la popolarità social di Samuel, ma doveva andarci coi piedi di piombo, sapendo quanto lui non amasse in realtà essere così esposto.

Si scambiò il numero di telefono con Isabel e diede il suo anche a Carl. L'agente e l'attrice si congedarono.

«Che ne diresti di andare un po' in spiaggia? O a correre?» propose Samuel. «Domani invece riprenderei a lavorare».

«Va bene. Abituarmi a questo stile di vita così diverso dal mio non sarà facile, comunque» rifletté ad alta voce Agnese.

Il bip di una notifica sul telefono di lei catalizzò la loro attenzione: era un'e-mail di Gabriel Wallace.

«Hanno fissato la data di uscita del primo libro!» Saltellò contenta, «Mi scrive che hanno deciso di anticipare per diffondere meglio la prima storia di Miss Violet. Dovrò tenermi pronta per qualche intervista telefonica. Ne ha già fissate un paio».
«Ottimo!» commentò Samuel.
Agnese rispose subito all'e-mail con entusiasmo.
Il bip di una nuova notifica segnava un'ulteriore replica da Wallace.
Agnese sbiancò.
«La prossima volta dobbiamo controllare l'ora, accidenti! A Milano è notte fonda e lui non sa che io sono a Los Angeles».
Gli mostrò il display in cui Wallace si scusava per l'ora, pensando che Agnese fosse stata svegliata dalla ricezione della posta elettronica.
«Puoi sempre dirgli che sei in vacanza negli Usa col tuo fidanzato».
Lei rise, Samuel era goffo nel mascherare la gelosia verso quell'uomo. «Gli dirò che sono in vacanza, punto. Non c'è bisogno di sottolineare che sono fidanzata. Potrebbe insospettirsi».
Si avvicinò a Samuel, che aveva incrociato le braccia. «Non posso dirgli che sono fidanzata con l'uomo più bello, più prestante e più premuroso del mondo». Gli prese gli avambracci e li sistemò su di sé, per esserne avvolta.
Samuel la guardò, scettico, per poi posarle poco elegantemente le mani sui glutei.
«Ma che» aggiunse Agnese, «nonostante queste due indubbie qualità, ha talmente poca stima di sé o forse poca fiducia nella sottoscritta, da essere geloso di uno come lui». Lo baciò sulle labbra prima di allontanarsi.

Scrisse un rapido messaggio in cui rispose con la scusa della vacanza e Wallace rilanciò: "Se al ritorno avessi tempo per fare scalo a New York potresti passare alla Green Hill: organizzeremmo un'intervista in anteprima dal vivo con qualche giornalista a cui passeremmo il libro in anticipo. Di sicuro verrebbero meglio che al telefono".

Il volto preoccupato di Agnese indusse Samuel a sporgersi per sbirciare il telefono. Fece una smorfia: si era ficcata in un ginepraio per aver affrontato con leggerezza una sola e-mail. Si costrinse a convincersi che in fondo non sarebbe successo nulla di male se Agnese avesse preso un aereo per la Grande Mela fingendo di rientrare a Milano. Essere stupidamente geloso non gli impediva di volere il meglio per la sua fidanzata. 

«Vai, usa il mio regalo». Non gli sfuggi la scintilla di felicità negli occhi di lei, che l'abbracciò.
«Vuoi venire anche tu?»
«Troppo rischioso e poi non voglio fare il compagno ultra protettivo».
«Dopo allora gli rispondo con calma per concordare il giorno».

Si cambiarono per andare a correre e uscirono a distanza di sicurezza l'uno dall'altra, per non dare nell'occhio. Agnese notò quanti sguardi raccogliesse Samuel mentre trotterellava durante il riscaldamento. Era interessante, per ora, vivere insieme a lui senza essergli accanto all'esterno come avrebbe dovuto essere nella normalità. Si riteneva un'osservatrice privilegiata in quel momento. 

In soli due giorni di permanenza a Los Angeles aveva scoperto con piacere che l'estate era più fresca e asciutta rispetto a quella italiana, per cui, anche se stavano correndo sotto al sole, non stava soffrendo le pene dell'inferno come era sicura sarebbe accaduto a Milano, con l'afa che ti schiaccia e che ti appiccica i vestiti, amplificata dal rimbalzo sul cemento. La brezza fresca che arrivava dall'Oceano era un toccasana. 

La volta precedente non si era goduta l'atmosfera, preoccupata com'era di riuscire a intercettare Samuel: le sembrava di essere catapultata in un altro mondo dove, sotto le palme altissime, l'unica preoccupazione era pattinare, correre, fare surf, esercitarsi agli attrezzi di Muscle Beach, giocare a tennis o a basket, ma anche sorseggiare cocktail nei locali che si alternavano a negozi di articoli sportivi, abbigliamento, centri per tatuaggi. Il tutto abbellito da murales o facciate colorate. 

Samuel correva in scioltezza per non perdere di vista Agnese, che sembrava voler assorbire tutto dell'atmosfera rilassata dell'Ocean Front Walk. Andava più piano rispetto alla loro andatura milanese, persa a guardarsi attorno. Si fece superare, facendole l'occhiolino. La sua ragazza attirava qualche sguardo nella sua divisa da runner con solo un top sportivo, che lasciava scoperto l'addome, e i pantaloncini aderenti. Si concessero un'uscita di diverse ore fino al tramonto.

Quello a cui entrambi non avevano pensato era la protezione per la pelle diafana di Agnese. Quando rientrarono a casa, il colore dell'epidermide dell'italiana era passato dal bianco latte all'arancione di un astice. 

«Sono una stupida» commentò lei, una volta rientrati a casa. Samuel corse a prendere un doposole e si prodigò per spalmarglielo nelle zone più dolenti. 
«Fa meno caldo rispetto a Milano, ma siamo più vicini all'equatore rispetto all'Italia» le ricordò, faticando a trattenere una risata per il segno dell'abbigliamento sul suo corpo. «Il volo ti conviene prenotarlo tra qualche giorno».

Samuel cominciò a preoccuparsi quando Agnese cominciò a scottare sul serio. Anche il cuoio capelluto era arrossato e la sua fidanzata preferì mettersi a letto prima di cena.
Aveva gli occhi lucidi e non riusciva a stare sdraiata comodamente a causa della scottatura.
«Temo di avere la febbre» sbuffò. «Hai un termometro?»
Samuel non se lo ricordava. Dall'ultima volta che ne aveva avuto bisogno erano passati diversi anni.
Andò a cercare nel mobile del bagno e lo trovò dopo parecchi minuti, in una cesta, sepolto da altri medicinali probabilmente scaduti. Si promise di fare ordine non appena sarebbe finita l'emergenza.

Tornò di corsa in camera e vederla una maschera di sofferenza lo fece sentire impotente.
«Ecco, l'ho trovato».
Agnese lo invitò ad andare a cenare, ma non ne volle sapere.
Quando lei tolse il termometro lo guardò interrogativa. Gli mostrò 102.2 Fahrenheit e Samuel si allarmò. Le diede un bacio sulla fronte in fiamme, mentre il corpo era visibilmente scosso da forti brividi.

Samuel prese il telefono e fece la conversione: trentanove gradi Celsius.
«Cosa devo fare? Non ne ho idea! Chiamo un medico?» Samuel non riusciva a stare calmo vedendola con le labbra semiaperte e secche e lo sguardo appannato. Le strinse la mano sperando irrazionalmente che potesse passargli parte della febbre.

«Prendi dei pezzi di tessuto e bagnali nell'acqua fredda. Poi posameli sulla fronte e sui polsi» disse con un filo di voce.
Samuel sparì nella cabina armadio.
«Tessuto?» mormorò, grattandosi la testa «pezzi? Non ho nulla del genere in casa».
Disperato, prese una delle sue magliette e rientrò in camera, mostrandola ad Agnese. «Taglio questa».
Lei alzò il braccio per fermarlo. «Bastano dei tovaglioli di stoffa. Anche dei piccoli asciugamani».
Sei un idiota, perché non ci hai pensato?
Tornò con i tovaglioli già immersi in una bacinella piena d'acqua in cui aveva anche aggiunto del ghiaccio e si accomodò sulla sedia sistemata accanto al letto.
«Grazie. Mi dispiace non aver pensato a una crema solare e a un cappello».

Samuel posò con grande attenzione i panni freschi sulla pelle di lei e gli sembrò di scorgere un lieve sollievo sul volto della compagna.
Le tenne la mano fino a quando lei non si appisolò.

La preoccupazione gli aveva chiuso lo stomaco. Era stanco, ma non avrebbe mai dormito senza prima verificare di  nuovo la febbre, però non voleva svegliarla. La carotide pulsava rapida nel collo di Agnese. La sua ragazza sembrava agitata nel sonno. Le cambiò le pezzuole, cercando di non destarla. La casa era immersa nel silenzio, solo il respiro di lei, che ogni tanto si trasformava in un mugolio spaventato, interrompeva i pensieri silenziosi di Samuel. Controllò l'ora e si stupì: l'una passata.
L'amore è anche questo?
Le sue notti insonni coincidevano con il sesso occasionale, invece era la prima volta che stava vegliando qualcuno. Qualcuno che gli stava a cuore più di se stesso, stava scoprendo.

La camera da letto era illuminata solo dall'abat-jour e il riflesso di Agnese negli specchi amplificava la sua pena. Aveva sempre evitato di mettere quadri in camera sua, perché le vere opere d'arte le vedeva attraverso quella lastra argentata, ma quella volta, vedere riprodotta Agnese nella sua sofferenza, lo indusse a prendere una decisione drastica: avrebbe eliminato quell'arredamento.

Alle tre Agnese tornò ad agitarsi e stavolta non bastarono le carezze di Samuel sulla pelle lucida di sudore e coperta di piccole bolle. Con un tovagliolo bagnato le umettò le labbra. Il delirio la faceva parlare e quel «no, no, no» ripetuto erano frecce dolorose nel suo petto. Quando udì distintamente la parola «Marco» non ce la fece più.
«Agnese, ci sono io. Ci sono io...» Le baciò la fronte ancora calda e lei aprì gli occhi, disorientata.

Si guardò attorno. «Dovresti dormire, Samuel, che ore sono?»

«Non riesco, se tu stai male».

Agnese sfiorò con il pollice la ruga verticale che gli era comparsa tra le sopracciglia. «Sei corrucciato, rilassati». Gli sorrise e cercò di rassicurarlo. «Sto un po' meglio, non ho più i brividi, passerà. Sdraiati vicino a me, anzi, prima dammi da bere».

Lui corse a prendere un bicchiere colmo d'acqua e Agnese lo vuotò a piccoli sorsi.

«Hai avuto un incubo, straparlavi» la informò, mentre si posizionava sul letto, vicino, ma senza sfiorarla per evitare il contatto con la pelle ustionata. Prese il termometro e glielo porse per misurare di nuovo la febbre.

«Non ricordo». Agnese sospirò, guardando altrove e si giustificò «Scusami ancora per la situazione, a volte mi chiedo dove abbia la testa».

«Eri troppo distratta da me». Se la cavò con una battuta, che la fece sorridere.

Il termometro segnava l'equivalente di 37.8. Entrambi sospirarono di sollievo.

«Promettimi che ora dormirai» disse Agnese. Allungò le dita per accarezzagli il volto. «Sei stato un bravo infermiere». 

La mattina dopo la febbre era passata. Samuel andò in farmacia e comprò delle garze impregnate di medicinale per lenire la scottatura. Si premurò di portarle la colazione a letto. Agnese si sentiva molto meglio, ma aveva bisogno di restare in penombra.

«Niente giardino per qualche giorno, non parliamo della spiaggia» si raccomandò Samuel. 

«Stai tranquillo, se solo un raggio di sole colpisse la mia pelle penso che mi ridurrei in polvere come un vampiro».

Il pornoattore prese coraggio. «Oggi avrei dovuto lavorare. Ho fatto già l'annuncio perché era il giorno dell'incontro mensile con una specie di fan-aspirante attrice, sai che ogni tanto succede. Pensavo di annullarlo».

Agnese era lieta del fatto che lui avesse avuto quella delicatezza nei suoi confronti, ma non voleva essere un ulteriore peso. «Non se ne parla. Vai pure, magari chiamo Isabel a farmi compagnia se non ha nulla da fare e poi non sono moribonda, la febbre non tornerà più. Posso anche cominciare a mettermi al lavoro sull'altro compito per cui mi hai assunta».

Quando, qualche ora dopo, Isabel si presentò alla villa, per Samuel era il momento di andare a girare. 

L'attrice non riuscì a nascondere lo stupore per com'era conciata Agnese: rossa e piena di eritemi, alcuni talmente gravi da aver alzato la pelle, rendendola piena di pustoline. 

«Non commentare, lo so. Sono una stupida che non ha pensato alla differenza tra il sole di Milano e quello della California». Mimò un pugno sulla propria testa, con un sorriso.

«Io devo andare», disse Samuel, in imbarazzo. Era la prima volta che lavorava con Agnese nei dintorni.

Come a dar voce ai suoi pensieri, la sua fidanzata commentò «Dammi della matta. Mi fa ridere che stai per uscire e andare a farti una».

«Lo sei, ma ciò non mi impedisce di amarti». Le diede un bacio leggerissimo sulle labbra per non alimentare il dolore dovuto all'ustione. «Isabel, è nelle tue mani».

Quando Samuel uscì, la messicana tornò con lo sguardo su Agnese. Forse ci voleva un pizzico di follia per stare serenamente con uno come lui. L'attrazione sessuale era un conto, Isabel sapeva di essere stata una delle tante, ma diventare la sua compagna era una prova davvero difficile per la serenità mentale ed emotiva di chiunque.

«Onestamente non so come tu faccia...» Puntò i suoi occhi profondi in quelli di Agnese, «a sopportare tutto questo».

«Onestamente?» ripeté Agnese «Non lo so neanche io. Ma Samuel l'ho conosciuto così e mi è piaciuto a prescindere. Se cambiasse non sarebbe più lui. Ha dato prova di amarmi in diverse occasioni. Anche rifiutando di fare sesso con una bella ragazza come te, per esempio». Abbassò lo sguardo e Isabel si sentì una stupida, tanto che in uno slancio di affetto scattò per abbracciarla. 

«Ahi, ferma, ferma, le ustioni!»

I giorni di convalescenza trascorsero lenti. Agnese li passò a ricamare sulla finta storia di Samuel e Isabel su Instagram e a buttare giù le prime pagine di quello che sarebbe stato il nuovo film della casa di produzione di lui. Samuel si prese una pausa dal lavoro per restare a casa, alleviando la noia di lei nel non poter uscire e intervenendo sulle scelte di contenuto.

Quando il suo aspetto fu tornato accettabile, Agnese scrisse a Wallace che sarebbe stata a New York il 22 agosto, quattro giorni dopo l'invio dell'e-mail. Il suo agente le confermò poco dopo che aveva ottenuto l'intervista con tre giornalisti specializzati di riviste molto importanti.

La sera prima della partenza, Samuel si sentiva come se lei avesse dovuto allontanarsi per un viaggio di mesi. 

«Non ci vedremo solo per un giorno e una notte, dopodomani sarò già qui» tentò di rassicurarlo.

«Posso?» Samuel, con molta calma, provò ad appoggiarsi sul petto di lei. Agnese non si lamentò, le ustioni erano ridotte a un pizzicore sopportabile. 

«Lo so, ma sono più irrazionale che mai in questo momento. La tua carriera comincia sul serio». E tutto ciò che implica.

Lei gli accarezzò i capelli. «Saremo sempre noi, anche se dovremo fare ancora più attenzione». Comprendeva le paure del suo fidanzato, ma si stava realizzando ciò che aveva sempre desiderato, finalmente.

Il piacevole solletico su entrambi i capezzoli la riportò nell'immediato su quel letto. Samuel aveva approfittato della vicinanza al suo seno per prendere l'iniziativa. 

«Se non te la senti mi fermo, non mi sono dedicato a te per dieci giorni, posso aspettarne dodici». 

«Sii lieve».

Si salutarono nel giardino per evitare sguardi indiscreti all'aeroporto. 
Quando lei sparì per recarsi al controllo documenti, Samuel era ormai certo che, quando sarebbe tornata, nulla avrebbe potuto essere come prima. 

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