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41. Nodi al pettine

«Ah, sento che c'è qualcuna insieme a te e non sembra molto contenta. Era questo l'impegno improvviso?» La voce di Anderson si era fatta melliflua, fiutando una possibile notizia esclusiva.

«Mi dispiace, ma non sono affari che ti riguardano» ribatté Samuel con calma, «in ogni caso smentisco categoricamente ciò che ha detto Elizabeth. Non ho altro da dire».

«La tua nuova partner è stata la causa dell'abbandono del business del porno da parte di Patricia Bennett? È stato tutto così improvviso...» lo incalzò Anderson.

«Non ho parlato di nessuna nuova partner e ora scusami ma devo riattaccare. So che stai facendo il tuo lavoro, però non ho davvero nulla da dirti». Samuel premette l'icona rossa e si voltò verso Agnese, accigliato. «Si può sapere che ti è preso? Quello è uno squalo, vuoi finire su uno dei siti di gossip più famosi degli Stati Uniti?»

«Hai ragione, ma mi è venuto proprio spontaneo, insomma cosa è passato per la testa di Elizabeth?» Agnese si coprì il capo con il lenzuolo. Avrebbe dovuto stare più attenta d'ora in avanti.

«Pubblicità. Questo è ciò che cerca. Chiamerò Carl. Che ore sono a Los Angeles?»

«Troppo presto perché il tuo agente sia sveglio» rispose Agnese.

Il fruscio del tessuto fu seguito dall'occhio di Samuel, particolarmente scuro per la poca luce, spuntato dalla piccola apertura che si era creato con le mani. «È la prima volta che marchi il territorio e tutto questo, oltre ad avermi piacevolmente sorpreso, invece che infastidirmi mi fa eccitare parecchio».

«Scordatelo, Samuel. Non sono in vena. Avevi ragione da vendere quando mi hai ripresa. Dici che questo Anderson mollerà l'osso?»

Lui sbuffò, poi alzò la sua parte di lenzuolo e si coprì come lei fino alla testa con il telo di cotone. Erano come in un bozzolo.
«Non lo so, ma lo scopriremo presto. Monitoriamo il sito. Spero che Carl possa intervenire sia sulle manie di grandezza di Elizabeth, sia nel tenere i curiosi all'oscuro della mia vita privata».

Nel tardo pomeriggio si diressero verso parco Sempione per correre. Era la prima volta che stavano sperimentando un hobby in comune.
«Questo parco è lontano da casa, ma è troppo bello e ho pensato di portarti qui. Tu sei molto più allenato di me, quindi non prendermi in giro se non riesco a starti dietro» chiarì Agnese.

«D'accordo, non dirò che sei un culo molle» scherzò lui prendendo di mira proprio la parte anatomica che apprezzava di più in lei.

«Vorrei vedere, perché altrimenti puoi dimenticartelo a partire da adesso». Lei scattò in avanti, ridendo, cogliendolo di sorpresa.

A Samuel bastò poco per raggiungerla, poi si adeguò alla sua andatura che comunque era superiore a quello che si aspettava.
«A proposito, poi dovremmo fare un discorso...» Aveva intenzione di sondare il rapporto di Agnese con un sesso diverso da quello "classico", ma non sapeva come intavolare la conversazione.

Lei si fermò di botto, continuando a correre sul posto. «Ti pare che tu debba chiedermi se ho già avuto rapporti non vaginali mentre siamo a correre? Per fortuna sei tornato il solito, mi stavo preoccupando». Riprese ad avanzare lasciando Samuel perplesso. Lui cercò di correggere il tiro: «Non vuoi rispondere? Abbiamo sempre parlato di tutto... a me piacerebbe molto». Già sull'aereo Agnese gli aveva confessato alcuni aneddoti della sua vita sessuale con naturalezza e senza peli sulla lingua.

«In questo momento godiamoci la corsa».

Samuel era affascinato dai prati e dai laghetti che caratterizzavano il luogo, ma rimase a bocca aperta vedendo quello che Agnese aveva chiamato Castello Sforzesco. Una fortificazione solida e intatta, caratterizzata da una specie di torre centrale dove era sistemata l'entrata. Corsero attorno alla struttura massiccia e Samuel ne fu ammirato, tanto che le chiese di visitarlo nei giorni a venire. Il percorso non era troppo lungo, Agnese aveva accennato a circa tre chilometri e mezzo, ma era molto interessante per ciò che si poteva vedere. Lei gli stava facendo da guida anche correndo. Gli mostrò fiera l'arco della pace, posizionato dalla parte opposta rispetto al castello, descrivendogli sommariamente il significato del monumento: la volontà di testimoniare con un enorme arco trionfale in granito la pace raggiunta con il congresso di Vienna nel 1815.

«Dovresti farmi anche una lezione di storia perché non ho idea di ciò di cui tu stai parlando. Solitamente da noi si studia principalmente il passato del nostro Paese e dell'Europa ci insegnano ciò che successe prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo. Conosco i greci e i romani meglio che Napoleone, insomma» spiegò Samuel.

«Non mi hai mai detto che studi hai fatto» chiese Agnese col fiato corto.

«Ho lasciato il college dopo un anno di frequentazione. Non faceva per me. Vivevo ad Alsip, nell'Illinois, una cittadina di circa ventimila abitanti dove la Coca Cola ha una fabbrica. Ho cominciato a lavorare lì dentro. Gestivo gli ordini del magazzino a cui ero stato assegnato. Ero l'unico che ci sapeva fare con il computer tra i colleghi. Poi però ho mollato anche quell'impiego e a ventidue anni sono partito per Los Angeles. Avevo già il mio problema col sesso, come ti ho raccontato».

«E i tuoi genitori?»

«Non erano per nulla contenti... ma non me la sento di parlarne ora, se non ti dispiace».

Terminarono due giri di percorso. Agnese non aveva voluto mollare. Non appena si fermarono si piegò in avanti, con le mani sulle ginocchia.

«Io basta, se tu vuoi proseguire con qualche esercizio ti aspetto qui facendo un po' di stretching» soffiò.

«Ti va qualche addominale in piedi? Non abbiamo un telo per sdraiarci sul prato» propose Samuel.

«Tu mi vuoi morta, ho capito. E sia». Lo guardò storto mentre non aveva ancora ripreso la posizione eretta.

«No, ti voglio in forma per stasera. Ho deciso che ti porto a cena in un posto a tua scelta, naturalmente. Consideralo come il primo di una serie di regali che ti farò per il tuo compleanno» disse Samuel, trionfante.

«Come una serie di regali?» Agnese aggrottò la fronte.

Samuel non si stupiva più di quel tipo di reazione. La sua ragazza non voleva che lui spendesse i suoi soldi per lei. Non gli era mai capitata una donna che non apprezzava doni, cene o viaggi offerti a sue spese. Persino Trish, che era ricca forse più di lui, adorava quando prendeva l'iniziativa e le preparava sorprese anche parecchio costose.

Si avvicinò e la baciò sulla fronte. Era sudata, ma il suo effluvio, anziché urtarlo, lo stordì piacevolmente. «La cena è un regalo effimero, vorrei anche pensare a qualcosa di tangibile».

«Basta che non sia un altro dildo».

La serietà con cui lo disse lo fece scoppiare a ridere. «Come faccio a non dirti quella parola che mi hai chiesto di rimangiarmi?»

Arrivarono a casa e Agnese avvisò Samuel che ormai a Los Angeles erano le undici passate. «Mentre faccio la doccia potresti contattare Carl e magari anche Elizabeth. Quando toccherà a te lavarti penserò al ristorante da prenotare».

Prese coraggio e richiamò il numero di Carl dalla rubrica.
Il suo agente rispose dopo diversi secondi.

«Sei tornato?»

«No e non fare il furbo. Avresti dovuto avvisarmi».
«Avvisarti di cosa?» Il tono di voce del suo amico lo tradiva. Sapeva benissimo a cosa Samuel stesse alludendo.

«Spero che non sia stata una tua idea perché saresti licenziato all'istante».

«Senti, bello. Ha fatto tutto lei, ma che ti frega. Lascia che escano gli articoli. Pubblicità gratuita per il film. I vostri video hanno avuto un boom di visualizzazioni da quando lei ha mentito dicendo che scopate anche fuori dal set. Hai guadagnato mille dollari in un giorno. La First Lady mica deve saperlo».

«Intanto lo sa già e ha anche risposto per le rime ad Anderson, tanto che temo che si sia messo a caccia di scoop. Potrei anche accettare una finta relazione per calmare le acque, ma dovrei dimenticare l'aspetto più importante: non mi va di associare la mia immagine a una come Elizabeth. Mi ha raccontato un po' del suo passato ed è meglio perderla che trovarla. Trish era di un'altra levatura».

Sentì Carl sospirare. «Quindi, che facciamo? Non ci sono grandi alternative».

«Tienila a bada. Non deve parlare con nessuno se non sei presente. Ora la chiamo e le spiego come funziona. Se usciranno articoli su di noi pazienza, non alimenteremo altro materiale con foto insieme. Inizierò a farle girare video anche con altri. Intanto ho visto che ormai si è sciolta».

«Peccato. Facevate faville solo tu e lei. Il grande Samuel P. Bond ha paura di una ricaduta?»

«Carl, sai una cosa? Vaffanculo».

Non gli lasciò il tempo di rispondere e riattaccò. Il suo agente sapeva dove colpire. Aveva fatto passi da gigante e si sentiva più forte, ma il suo punto debole era sempre quello. Non temeva più Elizabeth, ma ciò che aveva rappresentato.

Si spogliò in attesa che Agnese lasciasse il bagno libero e si sdraiò sul materasso. Erano bastati due giorni per prendere familiarità anche con la camera della sua ragazza. Era abituato a viaggiare, spesso stava via anche diverse settimane quando non lavorava, ma la sensazione di essere a proprio agio in un letto diverso dal suo era arrivata più rapidamente del solito. Guardò le repliche dei girasoli di Van Gogh e delle ninfee di Monet che occupavano la parete accanto alla porta per trovare l'ispirazione e dire le parole giuste a Elizabeth, poi fece partire la chiamata.

«Chi non muore si risente, Samuel. Ti rendi conto che mi hai lasciata nuda e insoddisfatta a Las Vegas e non ti fai sentire da quattro giorni? Per fortuna Carl ha preso in mano la situazione».

Samuel chiuse gli occhi. L'arte, che amava tanto, non aveva funzionato per tranquillizzarlo.

«Avrai trovato sicuramente qualcuno che ti abbia fatta godere, ma non ti ho disturbata per parlare di questo».

«Oh, certo che sì. L'uomo della security non era dotato come te, ma si avvicinava parecchio e aveva una lingua magica».

Samuel si mise una mano sulla fronte. Sperava che la scopata di Elizabeth con quel gigante nero nel camerino non fosse stata scoperta dall'organizzazione. «Ti ho telefonato per dirti di non dire stupidaggini ai giornalisti. Io e te non abbiamo nessun tipo di relazione extra lavorativa. Mi ha contattato un giornalista di PageSix.com e ho già smentito».

«Samuel, non ti facevo così bacchettone. Sai quante visite in più hanno avuto i nostri video insieme in poche ore dopo che su qualche altro sito è uscita la notizia che sono la tua nuova partner dopo Trish? Tremila. Se PageSix cavalcasse l'onda sarebbe fantastico».

Beth non aveva tutti i torti, ma a Samuel non andava giù comunque. Decise di essere sincero, sperando che lei non rovinasse tutto. «Elizabeth, devi sapere che io ora sono impegnato con una ragazza che è fuori dal giro del porno; non è piacevole per lei vedermi associato a un'altra e neanche per me, onestamente. Tienitelo per te perché non vogliamo certo pubblicità per la nostra relazione, ma per questo ti chiedo di non fare più dichiarazioni a sproposito, anche se indotta magari dalle domande dei giornalisti».

«Ah, ora capisco tante cose, Samuel. Potevi dirmelo prima. Non avrei perso tempo con te. Ci ha già pensato un'altra ed è fortunata ad approfittare sia del tuo conto in banca, sia del tuo letto».

Samuel si alzò in piedi per camminare nella stanza: sentire parlare in questi termini di Agnese era assurdo alla luce del fatto che non si era messa insieme a lui per ottenere fama o ricchezza. «Per fortuna Agnese non è una come te che pensa solo al proprio tornaconto personale» ringhiò.

«Come hai detto che si chiama? Non è americana? E secondo te perché si è messa insieme a te?» La risata di Beth gli fece male «Perché sei un uomo colto? Perché sai cucinare? Samuel, pensavo fossi più sveglio».

«Elizabeth, vaffanculo!» Non resistette e chiuse la comunicazione.

«Ehi, che succede?» La voce di Agnese alle sue spalle lo fece voltare. La sua bella aveva i lunghi capelli sciolti ancora bagnati e un asciugamano avvolto attorno al corpo.

Non gli uscì nulla dalla bocca, ma lei capì ugualmente. «Era Elizabeth?»

Samuel annuì senza proferire parola, ancora scosso per quello che aveva appena ascoltato.
Era la pura verità quello che aveva appena ascoltato? Non hai fatto molto nella vita per renderti interessante al di là delle tue abilità nel sesso.

«Cosa ti ha detto?» Agnese si avvicinò, preoccupata. Gli accarezzò la guancia con una mano perché le sembrava lontano mille chilometri in quel momento. Samuel riportò lo sguardo su di lei e pareva che la stesse vedendo per la prima volta.

«Non è andata come pensavi?» Agnese non sapeva come confortarlo.

Samuel si perse negli occhi apprensivi di Agnese.
Non può essere così empatica nei tuoi confronti se mossa solo dalle motivazioni elencate da Beth.
«Ripetimi perché ti piaccio e perché hai deciso di metterti con me. Elizabeth ha detto delle cose e io ho bisogno di un'iniezione di autostima».

Agnese posò anche l'altra mano sulla sua guancia. Poi si alzò in punta di piedi e gli sfiorò il mento con il naso.
«La prima volta che ho sentito il tuo odore, su quell'aereo, è stata illuminante per capire cosa significa subire un colpo di fulmine». Serrò gli occhi mentre respirava la sua pelle. «E ancora adesso mi fa andare fuori di testa. Chiusa in bagno, lassù, mi dissi che avrei cercato di spegnere la scintilla che avevi provocato in me, ma come vedi il destino ha deciso diversamente».

Samuel sorrise ripensando al fatto che lui, in quel bagno, aveva deciso di fare carte false pur di ottenere il suo numero di telefono e che anch'egli era stato colpito dal profumo della pelle e dei capelli di Agnese.

«La tua avvenenza aiuta, non si può negare, ma sulla mia bilancia hanno contato di più quelle sere in cui abbiamo parlato per un'ora via WhatsApp» aggiunse Agnese.
Samuel rilassarò le spalle e lei decise di dirgli tutto, sperando che non si spaventasse. «Sei entrato così tanto nella mia vita anche da lontano, che non riuscirei più a immaginare come sarebbe la mia quotidianità senza di te».
Abbassò lo sguardo intimidita da ciò che aveva appena confessato, ma non fece in tempo a chiedersi se avesse fatto bene a esporsi così tanto perché Samuel la strinse così forte che temette di non riuscire più a respirare.

«Ho fatto bene a mandarla a fanculo» mormorò lui, rinfrancato, e si diresse verso il bagno.

Mentre stavano cenando in una delle ormai poche trattorie tipiche milanesi, Samuel le raccontò i dettagli delle due telefonate e Agnese, per la prima volta, si dispiacque del fatto che le persone vicine a lui tenessero così tanto ai soldi e al business.

«Comunque ci avrei scommesso che non avresti scelto un ristorante costoso o raffinato» commentò Samuel, mentre porgeva al cameriere la sua carta di credito.

«I ristoranti dove si spende moltissimo non ti riempono la pancia e io, dopo la corsa, avevo una fame...».

Ha dannatamente ragione.

«Ora che abbiamo finito la cena posso darti il mio secondo regalo».
L'espressione di enorme stupore che si disegnò sul volto di Agnese era impagabile e se la godette tutta.
Samuel prese il telefono e inviò sull'e-mail di Agnese quello che doveva.
La notifica arrivò subito sullo smartphone di lei, appoggiato sul tavolo.
«Non guardi chi ti ha scritto?»

Agnese strinse gli occhi fino a farli diventare due fessure. «Vorrei dirti di no per rovinarti la sorpresa, ma sono troppo buona per farlo».

Samuel apprezzava la sua schiettezza anche quando faceva dell'ironia. Tutto ciò la infastidiva, lo sapeva, ma era proprio questo a renderla ancora più speciale ai suoi occhi.

Agnese aprì la posta elettronica non avendo alcuna idea di ciò che vi avrebbe trovato. Erano stati insieme praticamente tutto il tempo. Come aveva fatto a trovare un regalo in così poco tempo?
Cliccò sull'e-mail "Happy Birthday" e quando ne scoprì il contenuto tornò a guardare Samuel, che stava sorridendo. «Tu sei pazzo. Non posso accettare» disse, scuotendo la testa commossa.
«Così non avrai scuse per non venirmi a trovare» replicò lui, sicuro.

Aveva scelto una carta regalo per volare da tremila euro, pagata online. Agnese avrebbe dovuto solo prenotare i velivoli a sua scelta.
«Samuel, è troppo. Non merito che tu spenda tutti questi soldi».

L'espressione della sua ragazza era quasi triste e Samuel si rese conto di quanto fosse distante da ciò che gli aveva descritto Elizabeth. Agnese era più preziosa di un diamante e lui avrebbe fatto di tutto per essere all'altezza del suo valore.
«Non sentirti a disagio, per favore». Intrecciò una mano alla sua. «Non pensare che sia immorale. È solo un regalo che ho fatto con grande piacere». Aveva bisogno di sdrammatizzare e gli venne un'idea. «Non lo faccio mica con secondi fini, tipo per farmela dare...»

Vide Agnese scandalizzarsi, ma tornare a sorridere. «Beh... in realtà vuoi che io venga a Los Angeles, quindi in teoria sì».

Samuel sentì la presa della sua donna farsi più salda. «E va bene, lo accetto. Grazie».

Tornarono a casa e si prepararono per andare a dormire. Samuel uscì dal bagno e trovò Agnese a letto tutta impegnata a scrivere su un bloc notes.

«Che stai facendo?» Si avvicinò per curiosare.

«Visto che domani riprendo il lavoro avrai un bel po' di tempo libero. Ti sto consigliando un po' di nomi di musei, palazzi, vie interessanti da visitare. Così non ti annoierai».

La premura di lei nei suoi confronti lo meravigliava ogni volta.
Analyn aveva ragione.

La sveglia suonò alle sette. Agnese spense con un bacio sulla guancia le proteste di Samuel sussurrandogli all'orecchio che avrebbe potuto dormire ancora e che gli avrebbe lasciato delle chiavi di riserva sul tavolo. Si stupì quando, dieci minuti dopo, entrò in soggiorno con un occhio chiuso e uno aperto, trascinando i piedi.

«Ti accompagno al lavoro» riuscì a dire, mentre la testa ciondolava ancora obnubilata dal sonno «ma ho bisogno di una flebo di caffè. Quello italiano sveglierebbe anche un ghiro».

A nulla valsero i tentativi di Agnese di convincerlo a desistere.

Quando si ritrovarono sotto il palazzo della Next Adv, il più alto tra quelli in piazza della Repubblica, un ampio slargo in cui gli spazi erano soprattutto riservati ad auto e biciclette salvo qualche aiuola che separava i sensi di marcia, Agnese si ritrovò a temporeggiare perché non aveva alcuna voglia di distaccarsi da lui, anche solo per mezza giornata.

«Stai tranquilla: non mi perderò, non farò casini, non mi annoierò». Samuel tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il foglio che Agnese aveva compilato con tanto entusiasmo.

Lei fece una smorfia. «Lo so, ma preferirei venire con te invece di rinchiudermi là dentro».

«Mi ritroverai qui alle tre in punto».

La mattinata, nonostante le premesse non fossero buone, si rivelò fruttuosa per Agnese, che trovò gli stimoli per essere particolarmente creativa.

La notifica di un'e-mail sul suo indirizzo personale la distrasse. Arrivava dalla Green Hill. Il cuore di Agnese accelerò di colpo mentre cliccava per aprirla. Il primo dei due libri era stato editato e impaginato. Agnese avrebbe dovuto rileggerlo e dare l'ok alla stampa. Il volume sarebbe servito come test per il mercato e all'inizio l'impegno di Agnese sarebbe stato soprattutto con i giornalisti specializzati e legato a qualche diretta sui social. Con la seconda uscita, prevista dopo un paio di mesi, sarebbe cominciata la tournée per gli Usa in vista del Natale. Il primo appuntamento era stato fissato per il 20 novembre a New York. L'ultimo il 15 dicembre. Agnese spalancò gli occhi quando vide quella data e la città associata: Los Angeles.
Uno scrittore o uno sceneggiatore di un film non avrebbero potuto fare meglio: nella città di Samuel e nel giorno del suo compleanno.
Aveva bisogno di una pausa. Si alzò dirigendosi verso il cucinino aziendale dov'era sistemata la macchinetta del caffè.

Non aveva fatto caso agli sguardi insistenti di Enrico, che aveva trascorso il fine settimana a cercare foto e video di lei insieme a Samuel P. Bond, non trovando nulla. La sua ossessione era arrivata a tal punto che aveva disdetto l'appuntamento con la stagista a cui aveva cominciato a interessarsi da circa una settimana. Si era persino iscritto al sito del pornodivo pagando anche una bella somma per l'accesso a tutti i contenuti premium. Inoltre aveva attivato un Google Alert sul nome di Samuel, in modo da non perdersi gli articoli che sarebbero usciti su di lui. Non riusciva a capacitarsi del fatto che una come Agnese potesse conoscere un tipo come Samuel P. Bond, ma soprattutto che potessero essere così in confidenza come aveva avuto modo di vedere il venerdì. Eppure la sua collega non sembrava essere una da mascherina e video porno. Il rifiuto di lei nei suoi confronti assumeva i contorni di un'onta ancora più grande.

Vide Agnese tutta sorridente dirigersi verso l'area relax e non resistette.
Si alzò e la seguì.

Agnese era indecisa se prendere un caffè o un cappuccino. Controllò l'ora, mezzogiorno, e optò per un caffè macchiato, una via di mezzo. Aveva appena premuto il tasto e dei passi alle sue spalle la distrassero. Una voce sin troppo conosciuta le fece drizzare i peli alla base della nuca.

«Mi sono sbagliato completamente su di te. Ho capito perché te la sei presa alla festa. Non credevo ti piacesse un certo tipo di uomo».

Enrico si era avvicinato tanto da invadere il suo spazio vitale. Poteva sentirne il respiro sull'orecchio.

Agnese chiuse gli occhi e contò fino a cinque per non girarsi e prenderlo a schiaffi ancora una volta. Decise che il silenzio fosse la risposta migliore per scoraggiarlo. La macchinetta emise il suono per segnalare che il caffè era pronto e la ragazza si avvicinò per ritirare il bicchierino.

Quando si voltò per tornare alla sua postazione, Enrico la stava guardando con un sorriso lascivo che le gelò il sangue.

«Non mi dici come hai conosciuto uno dei pornodivi più famosi degli ultimi anni? Vi ho visti, venerdì».

«Sono cose che non ti riguardano, Enrico» tagliò corto Agnese, sulla difensiva.

Gli passò accanto. Lui la bloccò prendendola per l'avambraccio. «Aspetta, dai... sono curioso, non fare la difficile... non riesco a comprendere come un tipo come lui sia riuscito ad arrivare a una come te».

Agnese contrasse i muscoli per bloccare la rabbia montante. «Un tipo come lui? Una come te? Ma cosa stai dicendo? E ripeto, non sono affari tuoi».

Enrico alzò un sopracciglio e la guardò con sufficienza. «Mi pareva tu fossi più selettiva, invece ti fai vedere in giro con uno che si sarà ripassato centinaia di donne. Evidentemente mi sono sbagliato».

Agnese fece un passo indietro, liberandosi dalla presa del collega che ormai non sembrava più quello di diversi mesi prima. «Solo perché mi hai vista in confidenza con Samuel pensi che io sia una facile? E cos'altro pensi?» La voce le tremava dal nervoso.

«Nulla, nulla». Enrico alzò le mani, come a discolparsi, ma non perse il sorrisetto di scherno.

Agnese si morse la lingua ma preferì non proseguire con la conversazione.
Tornò alla scrivania di pessimo umore. Enrico era riuscito a rovinarle la giornata. Nelle ore successive non fu brillante come nella prima parte della mattinata. Si sentiva giudicata in modo terribilmente superficiale. Lui non sapeva come fossero andate le cose con Samuel, ma aveva tratto conclusioni errate, basate sul pregiudizio legato alla fama del suo uomo.

All'ora di pranzo l'ufficio si svuotò, ma lei restò alla scrivania nel tentativo di terminare ciò che non era riuscita a fare. Ci riuscì alle tre meno cinque.
Inviò le modifiche del progetto al cliente e spense il computer. Non aveva pranzato e il suo stomaco brontolò. Tornò nell'area relax per prendere mezzo litro d'acqua in modo da riempire il vuoto con il liquido. Avrebbe mangiato qualcosa una volta uscita. Stava bevendo la prima sorsata quando sentì due voci parlare forte nel corridoio. «Te lo giuro, si fa scopare da Samuel P. Bond. Sembra una seria e posata, ma le piace prenderlo e anche bello grosso. Secondo me se le proponessi di fare una cosa a tre subito farebbe la ritrosa, ma te lo dico io, quella non vede l'ora. Fa tutta la santarellina, ma è troia dentro».

Enrico e Simone varcarono la soglia della stanza e non fecero in tempo a sorprendersi della presenza della collega di cui stavano parlando perché l'acqua fredda li investì all'istante. Agnese aveva appena svuotato su di loro tutta la bottiglietta.

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