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39. Buon compleanno!

Agnese aprì gli occhi per richiuderli subito: dalle persiane filtrava una luce molto forte, la mattinata era già iniziata da parecchio. Guardò l'ora: le 11:27. Non aveva messo nessuna sveglia. Il sonno da recuperare era molto, per entrambi. Si stiracchiò per poi voltarsi verso Samuel. Stava ancora dormendo e la ragazza decise di non svegliarlo. Non ancora.

Restò a fissarlo qualche secondo, mentre era rilassato e inconsapevole. Era supino, ma con la testa girata verso di lei. Uno scultore non avrebbe saputo fare meglio nel dar vita al perfetto esempio di un uomo nelle proporzioni fisiche, nell'evidenziare i tratti anatomici, nelle spigolosità armoniche del viso. Agnese si crogiolò delle sensazioni della notte appena trascorsa, della dolcezza dimostrata da Samuel, dei passi avanti che avevano fatto come coppia, confidandosi segreti e paure.

Quando erano insieme sembravano protetti da una bolla indistruttibile, ma come era accaduto anche la prima volta dopo Los Angeles, la realtà avrebbe bussato insistentemente fino a rompere quella magia che si creava tra di loro. Tuttavia il giorno prima avevano creato una piccola corazza comune per difendersi dal resto del mondo.

Scese dal letto per andare a preparare la colazione, ma la voce di Samuel la fermò.
«Resta ancora un po' qui».
Si girò verso di lui, che era rimasto nella stessa posizione, ma con gli occhi aperti.
Tornò sul materasso cercando di ignorare l'alzabandiera mattutino evidente sotto il lenzuolo che gli copriva l'inguine.

«Mi sento come se mi fosse passato sopra un treno e poi di nuovo in retromarcia» bofonchiò Samuel.
«Sarebbe notte dalle tue parti, ora. Te l'avevo detto che avremmo dovuto dormire di più. Invece...»
«Invece è stato fantastico e se vuoi possiamo anche ricominciare».

Agnese alzò gli occhi al cielo, ridendo. «Hai il numero di qualche collega italiana? Così allenti un po' la pressione che ora è tutta su di me», ma se a parole si lamentava, il suo corpo si stava riavvicinando a lui.
«Vado a preparare la colazione» gli disse mentre accarezzava la sua durezza. La sua vendetta poteva iniziare.

Lo sentì lasciarsi andare a un «No» con la "o" prolungata per almeno dieci secondi. Aveva capito.

«Puoi portarmi dove vuoi oggi, non sarò distratto come ieri. Però mi devi dare un po' di tempo per comprare qualcosa per cambiarmi, perché nel trolley avevo indumenti solo per la serata a Las Vegas». Avevano terminato la colazione, che Agnese aveva trasformato in un brunch, visto l'orario.

«Va bene, poi tornerei qui attorno alle sette così ci prepariamo per la festa». La mezza smorfia di Agnese al termine della frase non sfuggì a Samuel, che non riuscì più a stare zitto. «Si può sapere perché non sei contenta per stasera?» La sua ragazza gli restituì un'espressione sorpresa. «Pensavi che non me ne sarei accorto?»

«Ho solo un po' paura di uscire allo scoperto pubblicamente...» confessò di getto Agnese, distogliendo lo sguardo.

Samuel la raggiunse, chinandosi per intercettare i suoi occhi. «Ti vergogni di me? Posso capirlo, sai».

Agnese cominciò a balbettare che non era vero.

«Il mondo prima o poi verrà a sapere che sei la mia compagna. Per me non c'è problema, ma per te è più difficile. La gente sembra aperta e libera, ma in realtà ha un sacco di pregiudizi su chi lavora nel campo del sesso. Se stasera vuoi andare da sola non c'è problema, ti aspetto a casa».

«No! Devo affrontare questa cosa e forse la serata mi darà la spinta per iniziare a capire come farlo». Agnese pensò anche ai suoi genitori, ma non era quello il momento. Si promise di riparlarne con lui l'indomani. Insieme, ne era sicura, avrebbero trovato il modo.

Gironzolarono per una Milano che iniziava a svuotarsi come ogni fine settimana estivo. «Di solito il sabato c'è molto più movimento, ma siamo a luglio e i milanesi si spostano al mare. Hanno seconde case in Liguria, soprattutto, che è una regione raggiungibile in circa un'ora e mezza di auto» spiegò Agnese a Samuel mentre arrivavano davanti al Duomo. «Lo so, è scontato, ma non potevo non portarti qui. Questo è il simbolo della città, anzi la madonnina che è sulla sua sommità. Hai voglia di salire? Ci sono un po' di scale, ma ne vale la pena».

«Ecco uno dei casi in cui essere un metro e ottantacinque non è un vantaggio» sbuffò Samuel, alle prese con lo stretto cunicolo che saliva verso il tetto del Duomo. Agnese non ebbe il coraggio di dirgli che si poteva prendere anche l'ascensore. Quando però sbucarono all'aperto, Samuel si lasciò andare a un fischio di approvazione. «Mi domando come possano aver costruito qualcosa di così grandioso senza tutta la tecnologia di oggi. Pensa solo ai calcoli per farlo stare in piedi» commentò.
Camminarono tra le guglie, ammirando la foresta di pinnacoli. Samuel tirò fuori il telefono e guardò Agnese. «Me lo concedi un selfie stavolta?» Si sistemarono in modo da mostrare anche il panorama che si poteva godere dall'alto.

Agnese guardò il risultato tra le mani di Samuel e le sovvenne che non l'aveva più visto con lo smartphone in mano. Memore che nella precedente fuga non aveva avvisato nessuno della sua destinazione, chiese: «Carl sa che sei qui?»

«No, ma l'ho avvisato che non sarei stato raggiungibile per un po' e che mi sarei fatto vivo io».

«Intanto mi farebbe piacere avere il suo numero, così nel caso ti succedesse qualcosa saprei chi chiamare. Credo che lui ti sia più vicino di chiunque altro o sbaglio?»

Samuel si diede dell'idiota per non averla avvisata del suo arrivo. Il senso di colpa aveva provocato un danno collaterale a cui non aveva pensato. Se lui era stato male non osò pensare cosa fosse passato nella testa di Agnese dopo un giorno e mezzo di silenzio.

«Hai ragione». Le mostrò il contatto in modo da consentirle di salvarlo.

«Sarà comunque preoccupato per te. Quando torniamo a casa ti puoi attaccare al wifi e magari puoi mandargli un messaggio o telefonargli». Samuel annuì. Agnese non aveva tutti i torti.

«E tu non mi chiedi lo stesso? Avere il numero di qualcuno nel caso io sparissi?» La richiesta di Agnese lo mise con le spalle al muro. Lui aveva già il numero di Chiara, ma lei non lo sapeva.

«Certo, mandamelo via WhatsApp, così lo salvo quando torniamo a casa».

Rientrarono nell'appartamento in lieve ritardo rispetto alla tabella di marcia. Samuel aveva fatto incetta di vestiti e Agnese lo aveva preso in giro più volte: "Sei peggio di una donna!" e "Pensi di fermarti qui per un mese?" le frasi più gettonate. Lui non ribatté come avrebbe fatto di solito perché in realtà stava pensando a tutt'altro: non aveva comprato nessun regalo per lei e l'essere a mani vuote, nel giorno che precedeva il primo compleanno trascorso insieme, lo metteva di cattivo umore.

«Ora sei tu che devi dirmi cosa succede». Raramente Agnese metteva il broncio e Samuel non sapeva se sbottonarsi oppure no. Ricordò la regola della sincerità, che tanto aveva contato nel loro rapporto e si confidò. «Domani compi gli anni e non ho nessun regalo per te».

L'espressione accigliata della sua donna si sciolse in un sorriso dolce. Agnese si avvicinò per abbracciarlo. «Ti pare che mi importi del regalo quando ti ho qui con me?»
«Lo so, ma mi sento comunque in difetto».
«Se ti fa stare male ti posso assicurare che avrai modo di rimediare nei prossimi giorni. Io comunque dovrò andare a lavorare, quindi avrai del tempo libero da impiegare nel modo che preferisci».

«Ci sto».

Samuel si appartò in camera per chiamare Carl, mentre Agnese si stava preparando in bagno. Calcolò che a Los Angeles fossero le dieci e mezza del mattino.
Il suo agente rispose al primo squillo. «Si può sapere dove cazzo sei finito, stavolta?»

«Sono felice di risentirti, Carl».

«Smettila di fare ironia. Ti sei fottuto il cervello, amico. Elizabeth mi ha raccontato e per fortuna ha accettato di proseguire il tour da sola, accompagnata da me, naturalmente. Sta andando alla grande. Stai pure dove sei, possiamo fare a meno di te».

Samuel conosceva la tattica di Carl. Decise di farlo arrabbiare sul serio. «Perfetto. Ci vediamo tra un mese, allora».
Allontanò il telefono dall'orecchio per evitare di essere investito dalle urla del suo amico. «Sei proprio uno stronzo! Dimmi dove ti sei nascosto e giuro che non svuoterò il tuo conto in banca durante la tua assenza».

«Sono a Milano». Lo disse con il sorriso sulle labbra, attendendosi la seconda ondata di insulti.

«Cristo! Non so se sei andato perché il tuo uccello ti ha portato lì o perché hai deciso di non dargli più retta».

«Ti assicuro che funziona tutto alla perfezione e che non mi sono bevuto il cervello. Tornerò meglio di prima, ma dirò basta alle colleghe che puntano a scoparmi fuori dal lavoro».

«Fai come vuoi, basta che non creiamo altri problemi per la tua carriera».

Il suo agente si stava riferendo ad Agnese, ma preferì sorvolare. Non voleva tirare troppo la corda. Sapeva che Carl non vedeva di buon occhio la sua relazione, ma non doveva metterci il naso. Quella era la sua vita privata.

Agnese entrò in camera completamente nuda e con un asciugamano che le avvolgeva la testa. Si avvicinò alla cassettiera ed espose, chinandosi, la sua parte più nascosta alla vista di Samuel. Prese la biancheria e tornò in bagno.

«Ehi, ci sei ancora?»

Samuel era rimasto imbambolato a godersi quel momento e aveva completamente dimenticato di essere al telefono. «Sì, ma ora devo andare. Devo prepararmi... stasera festeggiamo il compleanno di Agnese».

«Conosco quella voce, buona scopata».

«Sono in punizione. Devo scordarmela, almeno per stasera».

La risata di Carl echeggiò potente. «Amico, sei proprio fottuto!»

Impiegarono pochi minuti per arrivare da Bobino. Chiara e le amiche li stavano aspettando fuori dal locale. Agnese si presentò mano nella mano con Samuel. Gli occhi del gruppetto erano tutti concentrati su di lui anziché su di lei. Come dar loro torto? Samuel sembrava uscito da una rivista, bello nella sua semplicità, indossando una camicia blu di lino e pantaloni beige.

«Vedo solo donne, stasera sarai il gallo nel pollaio» disse Agnese quando erano ormai a pochi passi da loro.

«Niente di diverso dal solito, quin- Ahia!» Agnese, ridendo, gli aveva appena rifilato una gomitata sul fianco.

«Accetto tutto, ma con le mie amiche no, eh!»

«Di' loro di sbavare di meno» commentò Samuel, soffocando una risata. Tutte avevano la bocca semiaperta mentre lo stavano squadrando da capo a piedi. Individuò subito Chiara, la ricciolina di cui aveva il numero e di cui aveva visto l'immagine su WhatsApp. Insieme a lei c'erano altre tre donne: una bionda alta quasi quanto lui, una mora dai capelli corti con un ciuffo tinto di bianco e una ragazza dai tratti orientaleggianti e la pelle lievemente olivastra.

«Ciao ragazze!» Agnese lasciò la mano di Samuel per abbracciare le amiche e poi si dedicò alle presentazioni. «Ecco Rober-» si sentì stringere la spalla come una morsa e non fece in tempo a terminare la frase. Proseguì in italiano «...Samuel. Immagino che Chiara vi avrà già raccontato tutto. Lui è... insomma... stiamo insieme». 

Le amiche, Chiara compresa, restarono interdette per un attimo dall'atteggiamento di entrambi: avevano notato la gomitata di lei e il modo in cui lui le aveva fatto cambiare modo di presentarlo, tuttavia lo scintillio divertito negli occhi della coppia contrastava con quei gesti.
Fu Chiara a rompere il ghiaccio. «Nice to meet you». Gli tese la mano strizzando velocemente l'occhio per fargli capire che il loro segreto non sarebbe stato rivelato e Samuel fu lesto a stringerla.

«Queste sono Sara, che giocava a pallavolo insieme a me, Daniela, una mia compagna del corso di scrittura e Analyn, la figlia di un dipendente dei miei genitori con cui ho passato tanto tempo da ragazzina» indicò Agnese. Sara, la bionda, disse qualcosa in italiano che Samuel non comprese. «Sara non sa molto bene l'inglese, quindi tradurrò io per lei» gli spiegò la sua ragazza. «Analyn ha origini Filippine e lo parla come se fosse madrelingua, mentre Chiara e Daniela se la cavano, magari cerca di parlare più lentamente del solito».

Si accomodarono nello spazio loro riservato: quattro divanetti bianchi con al centro un tavolino. Il giardino era gremito di gente. Alcuni, rilevò Samuel, già parecchio su di giri. L'atmosfera però era piacevole: al centro del giardino una pista da ballo con tanto di palla a specchi come nelle discoteche di una volta e due isole per il bar.

«E così fa il pornoattore...»
Agnese quasi sputò il cocktail che aveva appena iniziato a sorseggiare.
Sara si era rivolta all'amica indicandolo con la testa. 

Samuel aveva intuito che parlassero di lui. Anche se non capiva praticamente nulla di italiano, sapeva come si pronunciava la sua professione. 

«Possiamo parlare d'altro, per favore?» la implorò Agnese. «È per questo che non avete portato i vostri fidanzati tu e Daniela?»

Sara alzò le spalle con un sorriso. «No. Chiara ci aveva detto che forse avresti preferito una serata tra donne, visto che non sapevi che fine avesse fatto, così si sono organizzati diversamente. E comunque non capita tutti i giorni di incontrare uno come lui, sono solo un po' curiosa...»

Samuel odiava non comprendere cosa stessero dicendo e protestò con Agnese, che rispose: «Vuole sapere della tua professione».

Dopo venti minuti la scrittrice avrebbe voluto essere altrove. Sara aveva fatto germogliare altre domande tra le amiche, persino Analyn, che era sempre così educata e pudica, sembrava interessata, anche se non aveva fatto domande e Agnese si stava districando a tradurre di incidenti sul set legati, trucchetti e altre amenità che Samuel stava sciorinando tutto fiero e senza pudore.

Quando Chiara andò a prendere l'ennesimo giro di bevande e le altre ragazze si dedicarono a recuperare del cibo, Samuel riportò lo sguardo su Agnese e si accorse della sua aria annoiata. 
In effetti non sembrava la sua festa di compleanno, era stato lui il protagonista sin dall'inizio e da egocentrico qual era, quando si trattava di sesso e del suo lavoro, non si era accorto che la serata stava prendendo una piega a lei non gradita.
Le prese la mano, riportando la sua attenzione su di sé. «Pensa a quando sarò io a doverti aspettare alle presentazioni dei tuoi libri o ad assistere alle interviste che ti faranno».

 «Mi chiederanno di te, invece che dei miei lavori, lo so già» rispose Agnese, che era tornata a sorridere. 

La musica, da sottofondo lounge per l'aperitivo, cambiò in qualcosa di più ritmato. Il dj aveva cominciato con un mix di classici della discomusic anni settanta e ottanta. Chiara tornò al tavolino rossa in viso, posando i due bicchieri che aveva portato per Samuel e Agnese: «Quello con lo spicchio d'arancia sul bordo è l'analcolico per Samuel, ma ora, cara, vieni a ballare con noi».

Agnese non ebbe il tempo di replicare perché l'amica la prese per un braccio e la trascinò sulla pista, facendole svolazzare il vestitino di strass che aveva scelto per la serata.

Le due si buttarono in mezzo alla pista, raggiungendo Sara, che spiccava per l'altezza. Analyn invece tornò a sedersi. «Tu non balli?» chiese Samuel.

Lei scosse la testa, guardandosi i piedi. Era carina, pensò lui, ma di una timidezza disarmante. «Così conosci Agnese da tanto...» provò a rompere il ghiaccio.
Analyn gli mostrò i denti bianchissimi, che spiccavano sulle labbra scure. «Abbiamo passato i pomeriggi dei primi anni di scuola insieme. I suoi genitori lavoravano entrambi al bar e mia madre, visto che faceva la casalinga, si è occupata anche di lei. Siamo coetanee, per fortuna. Quando poi mamma ha avuto mio fratello, spesso facevamo i compiti direttamente al bar».

Samuel tornò a guardare Agnese che si dimenava, finalmente divertita, insieme a Sara, Daniela e Chiara. I suoi movimenti non erano studiati per essere sensuali o per mostrarsi. Conosceva sin troppo bene quando una donna ballava per farsi guardare più che per se stessa, come stava facendo Chiara, per esempio. Agnese aveva un buon senso del ritmo e saltellava in modo armonioso, concentrata a interagire con le amiche. La stangona bionda, invece, faceva oscillare la treccia con cui aveva raccolto i capelli in modo quasi ipnotico, ma l'altezza non favoriva la fluidità dei gesti. Daniela era quella più brava nei passi, sembrava aver studiato quasi una coreografia, anche se teneva in mano ancora il suo bicchiere.

«Agnese si merita il meglio». La voce flebile di Analyn lo riportò su quel divanetto. Tornò a guardare la ragazza filippina, che sembrava aver preso coraggio tanto da fissarlo negli occhi.
«Mi ha aiutato tanto. Ero appena arrivata a Milano da un piccolo villaggio. Non sapevo una parola di italiano e a scuola facevo fatica, molta. I compagni non interagivano molto perché non rispondevo. Il mio carattere non aiutava. Non riuscivo a buttarmi nel pronunciare le poche frasi che avevo iniziato a conoscere. Se ho superato le difficoltà è stato grazie a lei, che ha continuato a coinvolgermi e a giocare con me».

Le dita di Analyn si rilassarono, dopo aver stretto la sua gonna per tutto il tempo del racconto.

«Hai ragione, se lo merita. Non so se sono io il meglio per lei, immagino che dopo quello che ho raccontato prima anche tu avrai dei dubbi, ma ti assicuro che forse è questo grande contrasto che c'è tra le nostre vite a rendere così speciale la nostra alchimia».

Analyn spalancò gli occhi. Samuel immaginò che non lo ritenesse capace di riflessioni così profonde. Il pregiudizio aveva accecato anche una brava ragazza come lei, ma del resto lui non aveva fatto grandi sforzi per sganciarsi dal suo "personaggio" parlando senza filtri del suo lavoro. 

«E tu perché non balli?» gli chiese lei.

«Non vorrei essere ancora al centro dell'attenzione. Sicuramente qualcuno mi riconoscerebbe e non voglio rovinare la festa di Agnese».

«Forse però è meglio se la raggiungi, ci sono un paio di ragazzi che stanno ronzando attorno a loro da qualche minuto». Gli indicò la pista con un gesto rapido. Questa volta fu Samuel a stupirsi: non la riteneva così fine osservatrice. Non sembrava aver prestato molta attenzione a ciò che stava succedendo laggiù, mentre parlavano.

Due tipi stavano ballando molto vicini alle ragazze. Si prese qualche secondo per osservare la scena. Poi si appoggiò al divanetto. Analyn assunse un'espressione interrogativa.

«Stai tranquilla, è Chiara ad averli attirati. I due probabilmente si stanno anche sfidando per chi se la porterà a letto stanotte. Sinora è quello più alto ad avere più possibilità, vedi come lei ogni tanto lo sfiora mentre si muove?» Analyn aveva aperto la bocca, stupita.

Come a suffragare la sua teoria, dopo pochi minuti Chiara avvolse le sue braccia sul collo del ragazzo su cui Samuel avrebbe scommesso e cominciò a strusciarsi su di lui. L'altro ripiegò sull'isola-bar. 

«Tu non balli, Samuel?» Daniela era tornata al divanetto per controllare il telefono.

«Non stasera, sono un po' stanco». Strizzò l'occhio ad Analyn, che sapeva il vero motivo e lei gli restituì un sorriso grato. Forse era riuscito a conquistare la sua fiducia.

A mezzanotte una torta coperta di panna con delle candele scintillanti venne portata al loro tavolo. Il gruppetto si riunì. Agnese fu sommersa di regali e fu oggetto di fotografie mentre posava davanti al dolce e spacchettava i doni. La neo ventinovenne arrossì quando vide il contenuto di quello di Chiara: un babydoll nero trasparente con intimo in pizzo coordinato.

«Quando mi hai detto che era venuto a Milano ho pensato che ti sarebbe servito». L'amica giustificò così l'acquisto.

«Mettetevi un po' vicini voi due». Sara invitò la coppia a farsi immortalare. La serata era migliorata e Agnese era tornata di buon umore. Non era molto abituata a bere e l'alcol aveva sciolto le inibizioni. Quando Samuel si avvicinò al suo viso, con la mano lo voltò verso di lei e lo baciò senza pensare al fatto che la stessero guardando tutte. Sentì gli urletti di approvazione delle sue amiche mentre la bocca di Samuel, che era inizialmente rimasta bloccata dalla sorpresa, cominciava a muoversi per rispondere al contatto. 

«Mi è venuta voglia di andare a casa e vederti con quel completino» si distaccò un momento per sussurrarglielo sulle labbra.

Agnese lo guardò con malizia. «Chi ti dice che la tua punizione sia finita?» Non credeva neanche lei a ciò che stava dicendo.

Il gruppo si salutò all'una e mezza. Chiara se ne andò accompagnata dal tipo conosciuto sulla pista. 

Agnese e Samuel camminarono stretti l'uno all'altro fino a casa mentre un lampo, seguito da un tuono, li sorprese proprio mentre entravano nel portone. «Faceva troppo caldo, un temporale è quello che ci vuole» disse Samuel.

«Già, adoro fare l'amore quando fuori piove». 

«Oh, mi piace questa tua versione così "diretta"». Samuel non resistette e le baciò il collo mentre Agnese stava cercando di infilare la chiave nella serratura.

«Devo riequilibrare la tua versione romantica e poi lo vedo come un anticipo di quello che sarà il tuo regalo». 

«Sai che ti dico? Quell'intimo me lo mostrerai un'altra volta». Si chiusero l'uscio alle spalle con Agnese che aveva già una spallina del vestito tirata giù. Samuel la prese in braccio e la portò in camera da letto mentre sentiva il respiro di lei aumentare e i suoi baci farsi audaci. Lo scroscio della pioggia che si riversò copiosa quella notte coprì solo parzialmente i loro gemiti. 

Il suono del campanello svegliò Agnese. Un leggero mal di testa era affiorato nell'istante in cui aveva aperto gli occhi. Controllò l'ora e si sorprese che fosse quasi mezzogiorno, ma del resto si erano addormentati quasi all'alba. Diede un'occhiata a Samuel, che stava ancora dormendo, e si alzò per andare a vedere chi fosse. Immaginò un vicino, visto che il drin era quello della porta di casa. Si vestì velocemente senza badare all'intimo. Quando aprì e vide i suoi genitori per poco non ebbe un mancamento.

«Il portone era accostato. Auguri, tesoro!» Sua madre avanzò di un passo per entrare. Agnese era talmente impietrita che non fece nulla per fermarli. Suo papà aveva tra le mani la confezione di una torta e Dora portava un paio di sacchetti. Avevano appena messo piede nell'ingresso quando la porta della camera si aprì mostrando Samuel, nudo, con l'erezione mattutina in bella vista.

Il pornodivo si bloccò mentre il tonfo della scatola della torta, caduta a terra, risuonò nel silenzio innaturale sceso tra loro.

Dora non aveva smesso un secondo di fissare Samuel a bocca aperta. Agnese era diventata del colore della divisa di Babbo Natale. «Ehm... mamma, papà, vi presento Robert, il mio ragazzo».

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