38. Uniti
Capitolo dedicato a @MiaKiddow una scrittrice che apprezzo molto, che nel frattempo è diventata anche un'amica e una delle fan principali della storia. Lei ha creato delle grafiche meravigliose (che ho raccolto in un capitolo apposito) tra cui anche una copertina alternativa molto, molto carina caricata ieri.
Agnese tornò da Samuel dopo essere incappata in Lucia ed Enrico. Con quest'ultimo non si erano più parlati dopo l'incidente della festa. Era trascorso quasi un mese e tra loro ormai sembrava esserci una guerra fredda. Il pensiero del collega occupò la sua mente giusto il tempo di aprire e chiudere il portone. Aveva il suo rapporto con Samuel da rinsaldare. Sperava che la rivelazione non fosse più grave dell'episodio di Trish.
«Eccomi» disse poco prima di arrivare al suo fianco.
Lui sfoderò uno dei suoi sorrisi e la strinse a sé.
Per quale motivo hai pensato di farti lasciare?
La lontananza da lei gli faceva compiere errori gravi di valutazione. Mentre si faceva guidare per strade sconosciute, che non riusciva ad apprezzare per il fardello dentro di lui, aveva maturato una certezza: ciò che aveva provato a Las Vegas non sarebbe successo se la loro frequentazione non fosse così sporadica. Non avrebbe mai forzato Agnese a fare passi affrettati, ma in quel momento capì che per lui averla vicina era fondamentale per evolvere come uomo restando però se stesso.
«E questa è la Basilica di San Lorenzo Maggiore, pare che sia la più antica d'Italia!» Agnese era entusiasta di fare da guida a Samuel, ma quando lo vide distratto per l'ennesima volta, assorto nei suoi pensieri, si fermò.
Samuel, che la stava tenendo per mano, si accorse del cambiamento con un attimo di ritardo.
«Ora ci sediamo e parliamo, perché non voglio arrivare a casa a braccetto con il tuo fantasma». Gli indicò una panchina di legno sull'erba nel prato che circondava il luogo di culto. Si accomodarono e Samuel osservò l'edificio: una costruzione bianca dalla forma circolare con altri stabili più piccoli color mattone.
«È bella questa chiesa, ha un'architettura che in effetti non ho mai visto prima» commentò.
«Samuel, sembri rispondere rallentato di almeno dieci secondi rispetto a quanto ti sto dicendo» sbuffò Agnese.
«Hai ragione, ma stavo pensando che l'idea di farmi lasciare sia stata una delle peggiori che io abbia mai avuto. Però devo raccontarti il mio peccato e ho paura che tu non mi assolverai». Usò parole legate alla religione, influenzato dal luogo di culto.
Agnese gli mise la mano sull'avambraccio, annuendo. Cercò di mostrarsi serena, ma dentro di sé aveva paura di non riuscire ad accettare quello che lui le avrebbe confessato.
«Non voglio girarci troppo attorno, ma a Las Vegas abbiamo fatto un extra nel privé: Elizabeth ha avuto un incontro ravvicinato con i fan. La serata si è scaldata parecchio». Prese tra le sue mani quelle di Agnese, temendo potesse sfuggirgli e si sorprese che fossero quasi gelide, nonostante in quel momento facesse molto caldo.
«Ho accettato un cocktail molto carico e sai che effetto mi fa l'alcol...» Sorrise mestamente, mentre tornò a guardarla negli occhi.
«Non vuole essere una scusa, ma certo ero meno presente. Mentre guardavo Elizabeth scopata da quella gente mi sentivo come se stessi assistendo a un film porno, non capitava da anni. Mi sono eccitato, la volevo e lei l'ha capito».
Agnese aveva gli occhi lucidi.
Non merita uno come te.
La ragazza si ritrasse. «Va bene. Non c'è problema. Spero che lei abbia soddisfatto tutti i tuoi desideri. Dammi solo un minuto per assorbire la notizia».
Si alzò, dandogli le spalle e Samuel capì che aveva frainteso. Si affrettò a raggiungerla. «Non abbiamo fatto nulla, o meglio, lei ci ha provato in modo molto esplicito, io ho avuto un momento di debolezza, ma alla fine non ho ceduto e me ne sono andato. Ho chiamato Carl, dicendogli di annullare le serate e ho preso il primo aereo per venire qui». In fondo aveva fatto un progresso rispetto alla sua fuga dall'Italia della scorsa volta: almeno Carl era stato avvisato, anche se non sapeva la sua destinazione.
Agnese si voltò verso di lui. Una lacrima le stava scendendo sulla guancia sinistra, ma l'espressione del suo viso era cambiata. «Samuel, ti rendi conto che mi stai raccontando di qualcosa che hai desiderato, ma che alla fine non è accaduta?»
Lui si sentiva comunque colpevole: non era riuscito a rendere l'idea dei pensieri di quella notte. Per la prima volta si era sentito sporco. Tuttavia, tecnicamente, Agnese aveva ragione e vederla sollevata lo rincuorò. «Posso?» Le tese la mano e lei annuì. Si avvicinò e la strinse a sé come non aveva mai fatto. «È che mi sento talmente idiota...»
Agnese rispose all'abbraccio cingendogli il collo. «Samuel, credo che non esista uomo sulla terra che non abbia avuto pulsioni nei confronti di qualcuna pur restando fedele alla propria compagna e succede anche alle donne, te lo assicuro. Per te poi è ancora più complicato, visto il mestiere che fai. La situazione immagino fosse veramente calda. Sono convinta, però, che qualche mese fa non ti saresti fatto problemi a scopartela». Lo guardò, per cercare la conferma della sua teoria e la trovò nel movimento della testa. «Quindi stai migliorando, in fondo, in fondo...». Non sapeva se lo stesse ripetendo a se stessa o a lui, ma aveva deciso di perdonarlo. Samuel si stava davvero sforzando di restare in carreggiata nei canoni di una coppia "normale" «...per farti assolvere dovrai dire cinque Padre Nostro e dieci Ave Maria!» aggiunse facendo il gesto della benedizione col segno della croce.
Aveva voluto concludere con una battuta per stemperare la tensione, ma quando cercò il suo sorriso trovò invece la sua bocca semi aperta in un moto di stupore.
«Non sai più ridere, Samuel?» Non fece in tempo a canzonarlo ancora perché lui le prese la testa e la inclinò per poter arrivare meglio alle sue labbra.
La baciò cercando di comunicarle tutta la sua gratitudine per come era lei e per come sapeva prenderlo, ma anche per dirle che non sarebbe mai più caduto. Agnese rispondeva con delicatezza, socchiudendo le labbra, e il verbo gli sfuggì spontaneo, incontrollato: «Ti amo».
Il corpo di lei fremette, ma non le lasciò il tempo di stupirsi perché tornò a baciarla, in modo meno casto. Samuel era nel bel mezzo di un turbinio di emozioni e pensieri.
Ti avrebbe perdonato anche se fossi andato sino in fondo. A parti invertite tu non ci saresti riuscito così facilmente.
Lei aveva reciso di netto il nodo gordiano delle remore che lui aveva sempre avuto a livello sentimentale.
Si distaccarono, senza fiato. Avevano dato spettacolo per diversi minuti.
«All'aeroporto avevi promesso che avresti pensato a dirmi qualcosa di figo... beh, ci sei riuscito» ammise Agnese sottovoce. Si guardò attorno e alcuni ragazzini li stavano fissando. La dichiarazione di Samuel era arrivata così inattesa che non sapeva come comportarsi. «È la prima volta?» sondò.
«Sì e non mi sono trasformato in una bestia. Ah no, forse era il contrario?»
Entrambi si sentivano più leggeri.
«Comunque stai correndo troppo, Samuel. Ritira ciò che hai appena detto» esclamò Agnese divertita, mettendo le mani sui fianchi.
Lui fu scosso da una risata che gli partiva dal cuore. «E pensare che avevo atteso trentasei anni... e adesso? Devo rimangiarmelo di già?»
Samuel non aspettò la replica di Agnese, le prese la mano e si avviò verso la chiesa. «Dov'è l'entrata?». Passarono in mezzo a un colonnato privo di copertura e dopo qualche decina di metri si ritrovarono davanti all'ingresso caratterizzato da tre arcate.
Agnese non riusciva a intuire le intenzioni di Samuel, ma si lasciò condurre. Entrambi alzarono lo sguardo, sovrastati dalla grandiosità della cupola priva di affreschi. Le panche sulla pavimentazione color ocra erano sistemate in modo da imitarne l'andamento circolare. Alla base la pianta centrale aveva invece una forma quadrata con quattro absidi.
Samuel si avvicinò all'altare principale e prese entrambe le mani di Agnese. «Il fatto che io non sia stato fulminato appena entrato qui dentro mi rassicura».
Lei lo redarguì con uno sguardo a metà tra lo scandalizzato e il malizioso.
«Vedere quella lacrima sul tuo viso e sapere di esserne la causa mi ha permesso di capire fino in fondo quanto tu conti per me e ti prometto che farò di tutto per evitare che accada di nuovo». Le baciò le dita, come a suggellare quanto appena detto.
Lei aveva di nuovo gli occhi lucidi e Samuel affrettò a rimediare. «Non iniziamo benissimo, però».
Agnese gli sorrise, dandogli un colpetto sulla spalla. Era emozionata come raramente le era capitato nella vita. «Andiamo a casa».
Fecero sosta in qualche negozio prima di arrivare all'appartamento sul Naviglio perché aveva deciso di preparargli una cena coi fiocchi. Quando passarono davanti a una farmacia, Samuel si fermò titubante. «Devo comprare una pastiglia per il mal di testa».
Agnese sghignazzò. «Non hai portato i preservativi?»
Si grattò la nuca. «Ti ricordo che arrivo direttamente da Las Vegas e sono venuto qui pensando che mi avresti lasciato».
Lei lo guardò con dolcezza. «Eri davvero convinto, allora».
Fu lei a mettere piede per prima nel locale. Fu lei a prendere la scatola di condom extralarge, consultandosi con Samuel se fossero adatti a lui. Fu lei a pagarli, evitando di fargli usare la carta di credito.
«Il farmacista mi ha guardato male, hai notato?» commentò lui quando uscirono.
«Avrà pensato che non sei in grado di comprarti una scatola di preservativi da solo».
Agnese era agitata, aveva più caldo del solito. Non avrebbe mai pensato di ospitarlo a casa sua. Neanche quando avevano deciso di fare coppia aveva immaginato un "loro" insieme a Milano.
Quando arrivarono al Naviglio, Samuel si guardò attorno. «Non è come Venice, ma qualcosa in comune c'è, no?»
«La parte più bella dei Navigli non è qui, ma più avanti. Ti mostrerò con calma».
Abitava in un palazzo dalla facciata anonima su una strada dritta e caratterizzata da un canale di acqua scura che però rifletteva la fila di edifici in successione lungo il marciapiede. Al piano terreno una successione di saracinesche chiuse e piene di graffiti che non potevano paragonarsi con quelli più artistici di Los Angeles.
Samuel aveva già visto gli interni grazie alle videochiamate, ma dal vivo era un'altra cosa.
«Perdona il disordine, ma stamattina non ero molto in me perché non sapevo che fine avessi fatto e non ho sistemato nulla».
L'ingresso dava direttamente in un soggiorno con un angolo cottura, uno spazio luminoso che la rispecchiava in pieno: semplice, ma con caratteristiche che lo rendevano unico. La piccola cucina, separata dal resto della stanza da un muro di vetro mattone abbellito con fotografie che ritraevano lei e le sue amiche, era caratterizzata dal color legno naturale che spiccava su un pavimento scuro. Sulla parete opposta c'era un divano non sistemato nei pressi di una televisione, come accadeva nella maggior parte degli appartamenti, ma vicino a scaffali pieni di libri e a un impianto stereo. Un tavolino basso era occupato da un computer portatile chiuso. Il tavolo da pranzo era ancora apparecchiato e Samuel si bloccò quando vide due tazze, due bicchieri, due piatti. Si era consolata con qualcuno perché disperata di non avere sue notizie? L'idea si diffuse nella sua mente rapida come un virus e scrollò la testa per scacciarla.
Era così concentrato sugli oggetti presenti sul tavolo che Agnese ritenne di giustificarsi. «Chiara ha dormito qui stanotte. Ero fuori di testa. Per questo ci sono così tante stoviglie».
Samuel si avvicinò e la abbracciò, cingendola da dietro. «Ho molto da farmi perdonare. Temo che la tua punizione sarà tremenda».
«Staremo a vedere. Intanto puoi metterti comodo, farti una doccia. Io preparo la cena, ma prima avviso Chiara che l'emergenza-Samuel è rientrata».
Le inviò un messaggio scrivendole che lui era arrivato a Milano e che era tutto a posto, non entrando nei dettagli, ma dopo pochi secondi fu Chiara a chiamarla.
«Ehi, cosa ti avevo detto? Sono felice per te. Ti ha detto quanto si ferma? Spero almeno sino a domani sera, perché sappi che ho organizzato una festa per il tuo compleanno. Anche se compi gli anni domenica, ho pensato che fosse meglio fare serata sabato e festeggiare allo scoccare della mezzanotte».
Agnese abbassò il telefono. Non era pronta a presentarlo alle sue amiche, ma dire di no le sembrava maleducato. Chiara poi era stata gentile a fermarsi a dormire da lei. Non l'aveva abbandonata nel momento del bisogno. «Va bene, dimmi poi dove e a che ora».
«Non ti faccio fare neanche troppa strada, ho prenotato quattro divanetti nel garden da Bobino. Un gran colpo di fortuna. Avevano appena disdetto una prenotazione quando ho chiamato».
Agnese si mise all'opera per dar vita al miglior riso all'onda che avesse mai fatto. Non era di certo un piatto estivo, ma ci teneva a far bella figura in cucina con una specialità tipica. Come secondo aveva scelto una classica cotoletta alla milanese, pensando che fosse di maggior gradimento per Samuel. Aveva avuto l'idea di preparare il brodo senza usare il dado, per cui le tempistiche sarebbero state più lunghe.
Andò a cambiarsi in camera, mentre sentiva lo scroscio della doccia. Il trolley di Samuel era aperto e i vestiti per il cambio erano appoggiati nel lato del letto dove lei non dormiva.
Samuel uscì dal bagno rinato. Era molto stanco per il viaggio e per il cambio di fuso orario e sotto la doccia si era detto che avrebbe voluto dormire un po' prima della cena; lavarsi con l'acqua fredda, però, era stato utile per fargli passare il sonno. Si rivestì e tornò in soggiorno, attirato da Agnese che stava canticchiando allegra. Si appoggiò alla parete e restò in silenzio a guardarla mentre era alle prese coi fornelli. Si era cambiata: indossava una t-shirt bianca e un paio di pantaloncini corti, ma si era anche attrezzata con un grembiule. I capelli erano raccolti in una coda alta e ondeggiavano ogni volta che lei si muoveva. Era talmente concentrata che non si era accorta di lui e Samuel poté godersi Agnese nella sua normalità per qualche secondo, emozionato perché nessuna, prima di lei, aveva mai cucinato una cena per lui.
Si avvicinò per curiosare e lei si voltò con un sorriso talmente radioso che il senso di colpa che l'aveva portato sino a Milano riaffiorò sotto forma di un nodo alla gola.
«Metto su il brodo per il risotto e poi abbiamo un po' di tempo per chiacchierare».
Samuel si diresse verso i libri. Curiosò tra le copertine alla ricerca di quello che avrebbe voluto trovare e quando finalmente ebbe tra le sue mani uno dei volumi scritti da Agnese, si accomodò sul divano e cominciò a sfogliarlo.
Il libro era in italiano, ma aveva qualche illustrazione e Samuel cercò di concentrarsi su di esse. Una in particolare lo colpì: davanti agli occhi aveva la famigerata Miss Violet, anche se era completamente diversa da quella dei suoi sogni: capelli violetti e un semplice e casto vestitino dello stesso colore. Era decisamente una ragazzina, troppo giovane per qualsiasi tipo di fantasia sessuale.
«Oh, hai trovato i miei libri!» Agnese si sedette appoggiandosi a lui.
«Sì, purtroppo posso apprezzare solo i disegni, però miss Violet me l'aspettavo un po' più grande».
«Non può essere più adulta perché l'ho studiata in modo che sia un'adolescente, una specie di sorella maggiore».
«L'avessi saputo non avrei mai avuto su di lei certi pensieri...» Samuel guardò Agnese con l'aria di chi la sapeva lunga e si godette l'espressione tra il sorpreso e l'inorridito della sua ragazza.
Lei gli prese il libro dalle mani, portandoselo al petto e accarezzandone la copertina. «Non guarderò più questi disegni con gli stessi occhi».
Lui era in vena di confessioni e si avvicinò al suo orecchio. «Tu non hai idea di cosa avevo sognato a New York la notte in cui ci eravamo detti addio. Solo che avevo mescolato te con Miss Violet e al mattino mi sono svegliato come un ragazzino alla prima polluzione notturna».
Agnese spalancò gli occhi: «Sei... sei...» Aveva perso le parole.
«Dimmi che non ti fa piacere il fatto che il mio inconscio ti pensava in modo così persistente e io esco da quella porta e vado a mangiarmi una pizza».
In tutta risposta Agnese posò il libro e si avvicinò. «Samuel, Samuel, la tua virile sicurezza ti porterà a compiere altri passi falsi se non stai attento». Gli baciò prima un angolo della bocca e poi l'altro, con la punta del naso cominciò a solleticargli la pelle, mentre con le mani si avventurava a sfiorargli il tessuto della maglietta. Le era mancato il suo profumo, che la inebriava come quel giorno sull'aereo.
Cercò di stare fermo e godersi le attenzioni della sua ragazza, una dolce tortura. Quando lei salì agilmente a cavalcioni su di lui, però non ce la fece più. Sfruttando il fatto che in quel momento lei era più in alto, iniziò a baciarle il collo. «Dio, quanto mi sei mancata!»
Agnese si sentì avvolgere nell'abbraccio e il suo piano di provocarlo per poi lasciarlo a bocca asciutta andò a farsi benedire. Era mancato molto anche a lei e il fatto che lui fosse così impaziente la rendeva felice. Si sentiva desiderata e di nuovo le sue paure vennero allontanate dalla vicinanza di Samuel. In un attimo lui le tolse la maglietta e il reggiseno, mentre lei si godeva i suoi baci inarcando la schiena.
«Prendi i preservativi e torna qui» ansimò.
Samuel eseguì l'ordine in un lampo, presentandosi anche senza vestiti. Trovò Agnese in piedi, di schiena, mentre si stava togliendo le mutandine. Si avvicinò e cominciò ad accarezzarla lungo tutto il corpo, godendosi i suoi brividi nonostante la calura estiva. La accompagnò sul divano e si dedicò al suo piacere, per cercare di farsi perdonare una volta di più nel modo che gli riusciva meglio. Vederla lasciarsi andare alle sue attenzioni lo riempì di gioia. Quando Agnese sembrò al limite tornò a sedersi e la riportò in braccio nella stessa posizione di quando avevano iniziato e lei divenne il suo prolungamento.
Fronte a fronte si abbandonarono l'uno all'altra finché il timer non avvisò che il brodo era pronto.
Agnese tornò a occuparsi della cena. Samuel voleva darle una mano, ma lei rifiutò categoricamente. «Stasera è una prova di cucina italiana per il tuo palato. Da domani potrai aiutarmi quanto vorrai». Le sovvenne che lui non le aveva detto quanto intendesse fermarsi. «Sempre che tu voglia fermarti qui...» chiese speranzosa.
«E tu? Mi vuoi tra i piedi per un po' di giorni? Non so... una settimana almeno?» Non aveva nessun piano preciso, non voleva dirle che aveva comprato il biglietto aereo per la mattina successiva pensando di tornare a casa ormai single, ma quando lei aveva esternato il timore, così almeno gli pareva, che potesse andare via così presto, aveva azzardato almeno una permanenza di sette giorni, anche se in quel momento avrebbe desiderato almeno raddoppiarli.
Agnese si voltò e incrociò il suo sorriso. «Sarebbe il più bel regalo di compleanno per me».
Samuel spalancò gli occhi, tremando perché non aveva idea di quale fosse il giorno in cui Agnese era nata.
Il terrore nelle sue iridi la fece ridere. «Li compio domenica, ma sappi che neanche io so il giorno del tuo compleanno. Perciò siamo pari». Si affrettò ad aggiungere, agguerrita. «Se non ti comporti bene ti spedisco in albergo, però».
«Il 15 dicembre».
«Allora sono ancora in tempo per pensare a un regalo! A proposito, Chiara ha organizzato una festa per domani sera in un locale non troppo distante da qui. Mi scocciava dirle di no, visto quanto è stata gentile con me. Credeva non ti saresti fatto più vedere, probabilmente. Quindi conoscerai le mie amiche».
Samuel interpretava ormai molto bene le sfumature della sua voce e qualcosa era appena cambiato in Agnese, ma non volle indagare.
«Questo è un riso all'onda allo zafferano!» Glielo disse in italiano e poi cercò di spiegargli in inglese perché si dicesse all'onda. Si era impegnata anche nell'impiattamento, cercando di rendere la presentazione il più appetibile possibile con qualche decorazione. Sperava che la mantecatura fosse ben riuscita, aveva imparato qualche trucco da sua madre, ma riprodurre le ricette non era sempre facile. Quando mosse il piatto per mostrargli la morbidezza dell'effetto onda, appunto, vide Samuel sinceramente sorpreso.
Lui ne prese una forchettata e Agnese capì cosa provavano i concorrenti di Masterchef. Era come un alfiere della cucina italiana in quel momento.
Samuel si godette il viso teso di Agnese e in un'altra occasione le avrebbe fatto uno scherzo, ma la sua ragazza aveva già vissuto troppe emozioni in quei giorni. «Molto buono!» sentenziò. Vide le spalle di lei rilassarsi.
Dopo la cena tornarono sul divano. Samuel riprese i libri di Miss Violet. «Non vedo l'ora di leggerli in inglese».
«Sono robe per bambini, c'è qualche avventura, ma non è niente di che... non credo possano essere interessanti per un adulto. Ti ringrazio per lo sforzo, comunque».
«Scherzi? Voglio vedere come te la cavi con la scrittura e come ti ho già detto penso che la letteratura per i bambini sia molto più complessa da scrivere rispetto a quella per adulti».
«Entro Natale dovrebbero uscire, quindi potrai giudicarmi».
«E potremmo festeggiare il mio compleanno insieme negli Stati Uniti, tra una presentazione e l'altra?»
«Spero di sì...»
La stanchezza di Samuel li spinse ad andare a dormire molto presto. Nel buio della camera da letto fu lei ad accoccolarsi vicino a lui. «Ti faccio caldo?» La pelle di Samuel era lievemente sudata. «No, è caldo in generale». Non l'avrebbe allontanata da lui per nulla al mondo.
«Non ho il condizionatore, ma posso accendere un ventilatore. La finestra è meglio non aprirla perché sotto c'è casino». Le voci provenienti dai locali al piano terra arrivavano attutite dai doppi vetri.
Si alzò dal letto e Samuel la seguì con lo sguardo: indossava solo una maglietta leggera senza nulla sotto e nonostante lui avesse un gran bisogno di riposare, la voglia di lei tornò prepotente.
«Ecco!»
Lui accolse con piacere lo spostamento d'aria e quando Agnese si sdraiò di nuovo a letto, si aspettava che tornasse tra le sue braccia. Invece no.
«Buonanotte».
«Non è una buonanotte se non ti rimetti come prima» commentò lui.
«Tu dovresti dormire, io dovrei dormire» replicò Agnese con dolcezza, mentre gli strisciò accanto. Samuel alzò il braccio e le fece posto più vicino, mentre con la mano aveva iniziato ad accarezzarle la schiena, scendendo a poco a poco verso le sue rotondità.
«Devo fare scorta di te per i momenti in cui saremo di nuovo lontani» si giustificò Samuel. Agnese alzò la testa all'improvviso gli avvolse il petto con un braccio. «Samuel, devo ancora abituarmi a questa tua versione romantica. Dove l'avevi nascosta sinora?»
Vero. Non avevi mai detto qualcosa di simile. Eppure sembra così naturale... Avrebbe voluto dirle che era stata lei a fargli trovare la strada in quel labirinto in cui erano imprigionati i suoi sentimenti e che la spinta a esternarli scaturiva dall'abisso in cui era caduto a Las Vegas e da come si era sentito male durante il lungo viaggio verso Milano. La forza di Agnese nel mostrare la sua fragilità per affrontare la situazione era stata il secondo detonatore, dopo quel messaggio ricevuto all'esito delle riprese di Horny & Furious scritto a un'ora impossibile per lei, per abbattere le sue granitiche convinzioni su se stesso e i rapporti con l'altro sesso.
«Basta che abbassi la mano ancora un po' e troverai il solito Samuel». Ironizzò perché temeva di spaventarla con altre considerazioni. Non gli era sfuggito che lei, dopo il suo "ti amo", non aveva risposto «anch'io». Lui, troppo impaziente, aveva bruciato le tappe, ma sperava che, prima o poi, dalla bocca di Agnese sarebbero uscite le stesse parole.
«Ecco, sei tornato normale; cominciavo a preoccuparmi». Si puntellò su un gomito per sollevarsi e baciargli la guancia, sperando che capisse che in realtà le sue parole la rendevano molto felice. Mosse una gamba andando a scontrarsi involontariamente contro la sua eccitazione. «Samuel, pensavo scherzassi! Abbiamo fatto sesso meno di tre ore fa».
«Mi avessi conosciuto quando avevo vent'anni con molta probabilità saresti fuggita davvero. Avevo una dipendenza quasi patologica. Scopavo con una donna diversa quasi ogni giorno ed era incredibile che riuscissi a trovarne sempre di nuove ben felici di finire nel mio letto. Il porno mi ha dato un nuovo equilibrio, sembra una battuta, ma è la verità».
Agnese lo strinse a sé. Apprezzava il fatto che lui le raccontasse del suo passato. «Se penso che invece nel mio letto sei il primo uomo dopo un anno e mezzo di nulla mi viene da ridere».
Lui le baciò la fronte. Era curioso. «L'ultimo è stato quel Marco di cui mi avevi accennato?»
«Sì. Dopo di lui ho cercato di fuggire o scoraggiare ogni approccio».
«Perché?» Stavolta fu lui ad avvinghiarsi maggiormente per farle coraggio.
Agnese sospirò. «Aveva iniziato a fermarsi a dormire qui nel fine settimana. Stavamo insieme già da mesi, ma quando mi ha proposto una vera convivenza io...» Si interruppe.
«Se non te la senti di parlarne non dire nulla» si affrettò a rassicurarla.
«No, è il momento giusto per sputare il rospo, finalmente. Io ho tentennato. Non ero ancora sicura e lui, invece che aspettarmi e guidarmi con pazienza verso quello che sperava, mi ha accusato di essere una bambina come i personaggi dei miei libri, di non voler crescere. Ha messo anche in dubbio i miei sentimenti nei suoi confronti. Sono stata male, malissimo. Mi sentivo incompresa e allora ho pensato che non volevo più soffrire. Per questo ho cominciato a rifiutare ogni tentativo fatto nei miei confronti».
«Menomale, altrimenti non saremmo qui ora. Direi che ci siamo incontrati nel momento giusto. Il momento giusto per entrambi». Agnese mosse la testa per annuire. Ne era valsa la pena.
Si abbracciarono per un minuto buono senza dire nulla, poi Samuel cercò la bocca di Agnese. Lei rispose e stavolta tra loro non fu sfida o passione, ma una comunicazione silenziosa di quanto fosse stato importante parlare di ciò che per anni era stato taciuto.
«Agnese, avrei un desiderio. Dimmi di sì». Samuel l'aveva sussurrato sulle labbra di lei, tra un bacio e l'altro.
Lei sorrise, stringendolo di più. Si preparò a donarle tutto se stesso. «Vorrei fare l'amore con te».
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Nota autrice: Ho cercato di edulcorare un po' la smielatezza di questo capitolo, ma non completamente. Non è da me, lo so... ahahahaha. Non succederà più, ve lo garantisco. Però ci può stare a conclusione di quest'anno così particolare. Buon 2021 a tutti!
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