37. Dove sei?
Agnese attendeva con trepidazione il quotidiano resoconto di Samuel. Era curiosa di sapere come fosse andata la prima sera a Las Vegas. Dal punto di vista degli orari nulla sarebbe cambiato: anche nel Nevada erano nove ore indietro rispetto a Milano.
Quando però la videochiamata era già in ritardo di oltre un'ora, cominciò ad allarmarsi. Non era mai capitato che Samuel mancasse l'appuntamento. Se la serata si svolgeva nei locali notturni si sentivano attorno alle undici del mattino, ora di Milano. Agnese coglieva l'occasione per fare una pausa al lavoro e si rintanava in una delle sale riunioni non utilizzate.
In preda all'inquietudine inviò un messaggio per sincerarsi se tutto fosse andato bene.
L'assenza di lettura, oltre che di risposta, la impaurì.
Cercò di non pensarci mentre tentava di lavorare comportandosi come al solito e nessuno parve accorgersi del suo disagio.
Si fece portare un panino a domicilio per il pranzo in modo da non dover interagire con troppe persone.
Quando fu l'ora di tornare a casa, temette di non riuscire a raggiungere neanche la fermata più vicina da quanto le tremavano le gambe.
Si rese conto in quel momento di non avere altri contatti legati a Samuel che potevano darle notizie. Non aveva il numero di Carl, di Trish e neanche di Elizabeth. Sapeva inoltre che Samuel non aveva detto a nessuno, tranne che al suo agente e alla sua ex, della loro relazione.
Realizzò che non poteva confidarsi neanche con i suoi genitori. Solo Chiara era a conoscenza di loro.
Provò a guidare la sua mente verso ipotesi meno tragiche, figurandosi lo smarrimento o il furto del telefono, ma pensava che Samuel avrebbe tentato comunque di chiamarla in qualche modo.
Una volta a casa cominciò a cercare notizie su eventuali gravi incidenti nella zona, tirando un sospiro di sollievo quando appurò che non era accaduto nulla del genere.
Digitò su Google i nomi di Samuel ed Elizabeth e uscì anche qualche risultato sulle serate in cui sarebbero stati ospiti. Si annotò il numero dei locali ripromettendosi di chiamare in orario di apertura.
Andò a sbirciare i profili social del suo uomo, ma non postava nulla dal giorno prima. Notò invece una foto scattata da qualcuno all'una di notte ora di Las Vegas in cui Samuel era accanto a Elizabeth seduto su un divanetto con un bicchiere in mano.
«Almeno era vivo sino a quel momento» mormorò.
Provò a chiamarlo, ma non era raggiungibile. Quando ormai erano giunte le otto di sera a Milano, Agnese aveva ormai superato la soglia che separava l'ansia dalla disperazione. Telefonò a Chiara e le chiese di raggiungerla a casa.
L'amica capì che era successo qualcosa di grave e si affrettò a terminare la cena per andare da lei. Non aveva neanche messo piede nell'appartamento che Agnese le saltò al collo, stringendola forte. «Non mi chiama da ore. Non ho idea di che fine abbia fatto. Dovevamo sentirci alle undici di stamattina. Ha il cellulare spento e non ha letto i miei messaggi».
Chiara intuì che si riferisse a Samuel. Affondò le mani nei capelli di Agnese e le mosse la testa per poterla guardare negli occhi. «Stai tranquilla. Avrà avuto un problema. Si sarà rotto il telefono». Non sapeva neanche lei cosa dirle per tirarla un po' su. Samuel, solo qualche settimana prima, l'aveva contattata per chiederle di acquistare cinquanta rose rosse per Agnese; che lui si fosse già stufato di quel rapporto a distanza le sembrava improbabile: andavano avanti ormai da mesi in quel modo e sembravano aver trovato un buon equilibrio.
Agnese le raccontò di Las Vegas e Chiara temette che Samuel potesse aver trovato una tentazione in carne e ossa con cui passare il tempo, ma non osò esternare la teoria all'amica. Si offrì di dormire lì e Agnese accettò, grata.
Nonostante fosse solo giovedì, il quartiere dei Navigli era affollato e il vociare proveniente dai locali sulla strada entrava nella camera da letto, impedendo a Chiara di addormentarsi. Non era abituata. Abitava da tutt'altra parte e la sua stanza dava nel giardino condominiale interno. Supina, con addosso solo una canotta e le mutandine per resistere all'afa notturna di quel mese di luglio, cercava di liberare la testa dai pensieri. L'amica sospirava. Anche lei probabilmente non riusciva a dormire, ma per altri motivi. Provò a chiudere gli occhi, pregando che tutto si risolvesse al meglio. Si conoscevano davvero da molto tempo e non aveva mai visto Agnese così disperata per qualcosa. La mente vagava tra i ricordi della loro amicizia e all'improvviso rammentò che quella domenica Agnese avrebbe compiuto ventinove anni. Con Samuel irreperibile sarebbe stato un compleanno atroce. Si addormentò mentre stava ideando una serata che avrebbe avuto il compito di far dimenticare almeno per un paio d'ore le sue pene d'amore.
La sveglia suonò alle sei e mezza. Chiara si stropicciò gli occhi e si voltò verso la parte di letto occupata da Agnese, ma la trovò vuota. La sentì parlare nell'altra stanza e sperò che Samuel l'avesse richiamata. Si avvicinò quando l'amica disse «Thank you» e interruppe la comunicazione.
Agnese si voltò verso di lei, con uno sguardo smarrito: «La serata è confermata e inizia tra poco, ma il locale dice che è presente solo Elizabeth. Ho insistito un po' per sapere come mai e alla fine mi hanno detto che Samuel non sarà presente per un problema di salute».
Chiara cercò di trovare un lato positivo a quella notizia. «Magari si è sentito male e ha perso il telefono nel locale e non glielo hanno ancora riconsegnato». Scrutò con attenzione Agnese mentre annuiva. Le sembrava meno turbata rispetto al giorno prima. Forse era sintomo di rassegnazione, pensò Chiara. La colazione era già pronta: la tavola era imbandita con pane e marmellata, yogurt, biscotti. Tutto sistemato come se dovesse essere fotografato per una rivista. «Da quanto sei sveglia?»
Sulle labbra di Agnese affiorò un lieve sorriso. «Forse avresti dovuto chiedere "da quanto non dormi?"»
Chiara si avvicinò e la strinse a sé. «Vedrai che andrà tutto bene. Ci sarà un motivo plausibile. Aspetta ancora un paio di giorni prima di lasciare campo ai brutti pensieri e se non dovesse farsi più vivo, ti accompagno io a Los Angeles per aiutarti a picchiarlo!»
Il sorriso di Agnese si fece più ampio, ma gli occhi erano sempre spenti.
Mangiarono in silenzio e si separarono.
Agnese non aveva neanche provato a truccarsi per mascherare lo stato in cui si trovava. Quando Lucia passò dalla sua scrivania si fermò aggrottando la fronte. «Ragazza mia, cosa ti è successo?»
Agnese aveva due mezzelune nere sotto gli occhi e sembrava non essersi neanche pettinata a giudicare dal groviglio di capelli che aveva in testa.
«Niente». Fu la sua risposta.
«Agnese, siamo tra donne e quel niente sappiamo benissimo cosa significa. Accompagnami a pranzo, è ora».
La ragazza obbedì senza entusiasmo.
Lucia non mangiava mai panini, si sosteneva sempre con un'insalata e altre pietanze dietetiche. Agnese si chiedeva ogni volta come facesse a stare in piedi tutto il giorno nutrendosi solo di quella roba. Stava ripensando la stessa cosa mentre fissava il suo piatto, quando la collega più anziana commentò: «È solo questione di abitudine. Non sono mai stata una mangiona. Il mio cervello lavora meglio se non mi appesantisco».
Agnese si attendeva un interrogatorio, invece Lucia la stimolò a chiacchierare senza indagare sul suo stato d'animo. Sforarono l'orario della pausa, ma alla collega più anziana non sembrava interessare. Quando fu il momento di pagare Agnese insistette per saldare la propria quota, senza successo. «Mi hai fatto compagnia, di solito mangio sempre da sola. È stato un piacere». Lucia liquidò le rimostranze della più giovane con un gesto della mano.
Erano ormai arrivate sotto l'ingresso del palazzo che ospitava la Next Adv quando ad Agnese mancò il terreno sotto i piedi. L'inconfondibile figura di Samuel si stagliava davanti al portone. Aveva il telefono in mano, un piccolo trolley appoggiato accanto e si stava grattando la testa come tante volte lei gli aveva visto fare quando qualcosa non lo convinceva.
Agnese si fermò e Lucia impiegò qualche secondo prima di realizzare cosa stesse succedendo. La ragazza stava quasi ansimando e un lieve tremore la stava scuotendo tutta. Seguì lo sguardo di Agnese e capì che tutti i suoi problemi probabilmente derivavano da quell'uomo che si aggirava sotto la loro sede. Un bell'uomo, non poté fare a meno di notare. Non sembrava italiano, a giudicare dall'abbigliamento, dai colori e dalla struttura fisica. Immaginò che fosse lui il mittente delle rose. «Agnese, coraggio! Se è arrivato qui vuol dire che ha qualcosa di importante da dirti e che magari ti farà tornare finalmente il sorriso». Non fece in tempo a terminare la frase: la ragazza era già partita a passo di marcia con un cipiglio che prometteva guerra. Lucia fu sorpresa dal radicale cambio di atteggiamento. Restò a distanza per godersi lo spettacolo.
Un borbottìo alle sue spalle distrasse Samuel mentre giocherellava con Google Maps. Aveva individuato la sede del luogo di lavoro di Agnese ed era indeciso se salire o no. L'istinto lo fece voltare: la sua ragazza stava arrivando quasi di corsa verso di lui. Il volto era distorto dalla rabbia tanto che Samuel fece involontariamente un passo indietro. Quando Agnese lo raggiunse, gli saltò al collo abbracciandolo. Lui inalò il suo profumo fresco, mentre lei lo stava riempiendo di insulti per averla fatta preoccupare.
Ne contò almeno sei, irripetibili, prima che lo investisse con altre parole, ma si stava aggrappando a lui come se non volesse più lasciarlo. «Pensavo fossi morto, poi ferito, ho anche chiamato il locale dove avresti dovuto essere fino a qualche ora fa!»
Agnese non la finiva più di sgridarlo, baciandolo sotto la mascella.
Forse non è stata una buona idea venire a Milano. Gestire tutto da lontano sarebbe stato più facile.
Con lei di nuovo tra le sue braccia, furiosa, ma al contempo felice, non si sentiva così coraggioso. Aveva avuto tempo per riflettere ed era giunto a un'unica conclusione. Cercò di essere uomo per una volta nella vita e la prese per i fianchi allontanandola lievemente dal suo corpo.
Agnese vide che Samuel era parecchio scosso e non stava sorridendo. Quel misto di sollievo e nervoso lasciò spazio a quello che in realtà temeva da quando l'aveva visto: abbandonare il tour all'improvviso e presentarsi a Milano era un chiaro sintomo che qualcosa non andasse.
«Samuel, dimmi perché sei qui» chiese a voce bassa.
Lui guardò i suoi occhi così segnati e cercò di mostrarsi il più freddo possibile. «Sono venuto a farmi lasciare dal vivo».
Agnese alzò lo sguardo al cielo. Appoggiò le dita della mano sulla fronte e fece un grande respiro. Poi scoppiò a ridere. «Samuel, solo tu puoi farmi questo effetto in un momento così drammatico».
La reazione di lei lo spiazzò ancora una volta e gli confermò il perché si era innamorato. Samuel si era preparato un discorso serio e gravoso, ma in quel momento era incerto sul da farsi. «Non doveva andare così, hai rovinato tutto!»
Agnese si riavvicinò di nuovo a lui. Averlo davanti in carne e ossa aveva rinvigorito la fiamma. Il fatto di essere all'inizio della loro storia probabilmente la rendeva più disponibile nei suoi confronti e soprattutto irrazionale nel comportamento. Arrivata a pochi centimetri dalle sue labbra gli sussurrò: «E non avrei dovuto...» lo baciò languida «...essere così arrendevole, ma fartela pagare per questo giorno e mezzo di angoscia. La vendetta arriverà quando meno te lo aspetti».
Samuel non capì più nulla e rispose al bacio stringendola a sé, dimenticando il canovaccio da interpretare per allontanarla. Giurò a se stesso che non avrebbe mai più bevuto alcolici né partecipato a situazioni come quella di Las Vegas, almeno fino a quando non avrebbe avuto Agnese al suo fianco tutti i giorni.
Lei si distaccò e strinse gli occhi, tornati luminosi come sempre. «Qual era il discorso che avevi preparato? Samuel, non dirmi che avresti detto non ti merito e robe simili solo perché immagino tu abbia scopato qualcuna».
Samuel sbuffò, colto in fallo. «Non è proprio così, ma è la verità, non ti merito! Me lo stai dimostrando ancora una volta adesso. Io sono un coglione che non è in grado di...» Deglutì, incapace di andare avanti.
Agnese gli mise una mano sul petto. «I "non ti merito" sono la scusa più banale di quelli che non hanno il coraggio di lasciare e non si addicono a uno come te. Samuel, vado a prendere le mie cose e chiedo di poter uscire un'ora prima. Se vuoi troncare devi dirmelo tu, non indurre me a farlo. Andiamo a casa mia e ne parliamo con calma, che ne dici?» Lui annuì, sentendosi per l'ennesima volta un idiota.
Lei sparì nel portone e Lucia decise di attendere un minuto prima di seguirla. Si avvicinò al fusto e se da lontano aveva giudicato che fosse un bell'uomo, da vicino poté constatare che fosse tra i più avvenenti che le era mai capitato di vedere nella sua vita. Una bellezza che mescolava la luminosità di un giorno di sole con le bollenti e scure promesse della notte. Non aveva capito granché del loro scambio, non potendo ascoltare cosa si dicessero, ma si erano baciati con passione e quindi ritenne che il problema fosse rientrato. Si sentì chiamare quando era proprio a fianco del biondo. Era Enrico.
«Aspettami!»
A Lucia venne un'idea e la mise subito in pratica. Si fece raggiungere dal collega proprio prima di entrare. «Uh, peccato che non sei arrivato prima, o menomale a seconda dei punti di vista: Agnese era qui sotto insieme al suo fidanzato. Quel figo biondo è l'uomo delle rose».
Enrico si voltò, curioso, e aggrottò la fronte. Fece un passo avanti perché non poteva crederci. Eppure non c'erano molti dubbi. Conosceva quell'uomo e non riusciva a capacitarsi del fatto che lui fosse riuscito dove lui aveva fallito.
«Impossibile» commentò, mentre stavano attendendo l'arrivo dell'ascensore. «Tu non sai chi è quello, vero?» L'espressione interrogativa che gli restituì Lucia confermò la sua ignoranza. Quando le porte dell'elevatore si aprirono, Agnese sobbalzò vedendo entrambi in attesa. Si limitò a uno «scusate» guardando però solo Lucia.
Entrarono nella cabina ed Enrico premette il tasto per tenere le porte aperte. Si voltò per vedere la collega che stava raggiungendo Samuel P. Bond in carne e ossa. Lui le stava sorridendo, dopodiché le cinse le spalle con un braccio e si avviarono insieme chissà dove.
Lucia gli parlava mentre salivano sino al settimo piano, ma Enrico non stava ascoltando. I suoi pensieri erano tutti concentrati su Agnese.
Che abbia sbagliato tutto? No. Probabilmente lei punta solo ai suoi soldi. Mi ha scaricato solo perché ha trovato qualcuno che le faceva più comodo. Oppure non è una figa di legno come pensavo, ma una a cui piace fare sesso in modo sfrenato.
Si promise di scandagliare i principali siti web a luci rosse nel fine settimana, per capire se in rete ci fosse qualche loro video. Sarebbe stato l'inizio della sua vendetta.
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E Buon Natale a tutti (tranne a Enrico)
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