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16. Vuotare il sacco

Non appena ebbe pronunciato il nome di chi la stava chiamando, Chiara notò un radicale cambio di atteggiamento in Agnese, che arrossì vistosamente e balbettò qualcosa di incomprensibile prima di afferrare il telefono.

L'amica si alzò prima di rispondere, facendole un cenno con la mano per scusarsi e comunicarle al tempo stesso di aspettarla.

Era da tempo che non vedeva Agnese così agitata. Immaginò che fosse qualcuno legato al suo nuovo contratto editoriale, anche se il rossore alle guance era in effetti un segnale di altro tipo. Conosceva la sua amica sin troppo bene. Curiosa di saperne di più, prese il suo telefono e digitò il nome su Google per capire se riusciva a intuire chi fosse l'interlocutore.

Agnese si era spostata nel dehors, nonostante fosse senza giacca, per evitare spiegazioni e poter parlare con Samuel in libertà.

Guardandosi attorno come un agente segreto in missione, portò lo smartphone all'orecchio.

«Ehi, sei tornato sobrio?»

«Merda!» imprecò lui, «dimmi che non ho detto cose per cui merito di essere cancellato dai tuoi contatti».

«Non ricordi nulla? Davvero?» Iniziò a sghignazzare. Avrebbe potuto riferirgli qualsiasi cosa.

«No. Non ridere! Mi sono svegliato sul pavimento nel cuore della notte. Non bevo mai più di un bicchiere di vino a settimana e quando esagero il risultato è questo».

«Sei peggio di un adolescente alle prime sbronze» commentò lei.

Agnese controllò l'orologio e cercò di capire se fosse già giorno a Los Angeles: «Scusa, ma che ore sono?»

«Le 4:45 del mattino. Stai svincolando però, che cosa ti ho detto durante quella telefonata che non ricordo? E sii sincera, per favore» puntualizzò, sentendola ancora su di giri.

Agnese decise di dire la verità, anche per capire meglio quella strana frase che lui si era lasciato sfuggire: «Hai farneticato sul fatto che la rottura con la tua ragazza fosse colpa mia, che ti aveva lasciato perché non avevamo scopato. Dovrebbe essere il contrario, no?»

Samuel si maledisse in silenzio. «No. È proprio così, ma non posso spiegarti...» Non voleva raccontarle della fantasia che la vedeva come protagonista, né del patto che aveva con Patricia: glielo doveva.

«Certo che sei proprio strano, eh?» In quel momento, però, si rese conto che probabilmente stesse soffrendo. «In ogni caso, se hai bisogno di parlarne, di sfogarti, io ci sono, anche se siamo a migliaia di chilometri di distanza. Hai già capito che puoi fidarti di me».

«Com'è andato il colloquio?» Samuel cambiò argomento, non si riteneva pronto a condividere il suo stato d'animo, anche perché non sapeva esattamente definire come si sentisse.

«Bene! Mi hanno fatto anche un servizio fotografico a sorpresa e hanno voluto sapere se avessi già pronte nuove storie, ho firmato per due inediti di Miss Violet che saranno pubblicati negli Stati Uniti».

Sentendo "Miss Violet" Samuel fremette. Da un lato non riusciva a dimenticare che era proprio quel nome ad averlo messo nei guai con Trish, dall'altro sentiva come se la sua fantasia non si fosse realizzata appieno e una nuova voglia di metterla in pratica.

«Tornerai negli Usa, quindi». Si stava già immaginando di fare sesso con Agnese nel retro della libreria in cui sarebbe avvenuta una delle presentazioni.

«Lo spero, perché vorrebbe dire che i libri hanno successo».
Agnese diede un'occhiata all'interno del bar e vide Chiara intenta ad armeggiare con il cellulare. Sarebbe stata volentieri a parlare ancora con Samuel, ma le dispiaceva lasciare sola la sua amica.

«Fatti fissare un evento a Los Angeles, mi raccomando, mi devi ancora una serata insieme e stavolta senza ripensamenti».

Lei non sapeva cosa rispondergli, così colse la palla al balzo. «Samuel, sei incorreggibile! Comunque sono a pranzo con l'amica che è venuta a prendermi all'aeroporto, devo andare. Ti richiamo nei prossimi giorni, se ti va».

«Certo che mi va. Magari avvisami prima, così ti dico se è un buon momento per me. Nel frattempo devo sistemare le cose con Carl. Ho seguito il tuo consiglio e ha funzionato».

«Te l'avevo detto, io. Mi fa piacere. Allora... ci sentiamo...»
Restò a fissare per qualche secondo lo schermo prima di rientrare nel locale.

«Era una chiamata di lavoro?» le chiese Chiara, alzando lo sguardo dal suo telefono.

Agnese fu presa alla sprovvista: non voleva parlare di Samuel, almeno non in quel momento. «Ehm, sì... volevano specificare una scadenza...»

«Perché se tu avessi a che fare con questo figo spaziale me lo diresti, vero?»

Girò lo smartphone verso di lei, mostrandole una foto di Samuel sorridente con in mano una statuetta dorata che ritraeva un uomo e una donna abbracciati, vestito con uno smoking che gli stava divinamente.

Agnese avrebbe voluto sotterrarsi, non voleva mentire in modo così spudorato alla sua migliore amica.
Si grattò la testa e senza guardarla ammise: «In verità... sì, è proprio lui».

«Ahhhhhh!» L'urlo di eccitazione di Chiara risuonò a tal punto nel bar, che per un attimo il brusio costante del locale si interruppe. Qualcuno si girò a guardarle, mentre la madre di Agnese le tirò una brutta occhiata.

«Ti racconterò tutto, ma non qui» contrattò sottovoce Agnese.
«Ci sto!» rispose la sua amica, fregandosi le mani.
«Ok, andiamo a casa mia».

La scrittrice abitava in un piccolo appartamento in un palazzo di sei piani sul Naviglio Pavese non troppo distante dalla Darsena. Una sua prozia non sposata era mancata troppo presto e quando Agnese aveva raggiunto il minimo sindacale di indipendenza economica aveva sfruttato la concomitanza di un trasloco del precedente inquilino per chiedere di potersi trasferire in quella casa. Il valore nel tempo era almeno raddoppiato, ma Agnese aveva insistito per non farlo vendere.
Spalancò le finestre, nonostante il freddo, per cambiare l'aria e prendere tempo. Di giorno non saliva il vociare dai locali al piano strada.

Chiara si stava torturando una ciocca dei suoi ricci castani mentre batteva il piede ritmicamente sul pavimento, accomodata sulla sedia della cucina che fungeva anche da piccolo soggiorno.

Agnese con lei poteva essere sincera. Si conoscevano da molti anni: era stata la sua prima compagna di banco al liceo e da lì non si erano più perse di vista, nonostante le loro scelte le avessero portate a prendere strade diverse: Chiara era diventata un avvocato penalista.

Vuotò il sacco a cuore aperto, non risparmiando i dettagli della foto vista sul telefono di Samuel, di come lui ci avesse provato nonostante fosse impegnato, di come si era sentita bene e divertita insieme a lui sia sull'aereo sia a cena. «E ora, quando ci siamo parlati al telefono, sembravamo in confidenza come vecchi amici. Ci siamo lasciati con la promessa di risentirci tra qualche giorno».

«Lo sai che sarebbe la trama perfetta per una commedia romantica?» commentò la sua amica, con sguardo sognante.

«Sì, ma certe cose succedono solo nei film» frenò Agnese.

«Io mi sarei fiondata nel suo letto, ma credo che tu abbia fatto bene a non cedere, lo hai ingolosito. Saresti stata una di passaggio come tutte le altre». Chiara ammiccò, mentre continuava a scorrere foto di Samuel, alcune censurate, uscite su Google immagini.

«La finisci di guardare?» Agnese si stava spazientendo.
«Mi stavo rifacendo un po' gli occhi, che male c'è?»
«E comunque» aggiunse Agnese, «è inutile averlo ingolosito. Non avremo nessuna possibilità di rincontrarci e tra qualche settimana lui si sarà scordato di me, è meglio per tutti».

«Non ti avrebbe chiesto il numero di telefono. In ogni caso staremo a vedere». Chiara tentò di consolarla, la percepiva rassegnata più che convinta di ciò che aveva appena detto. Non l'aveva mai vista con un viso così rilassato e felice come quando stava parlando con quell'uomo. Neanche ai bei tempi con Marco, l'ultima sua storia importante, finita ormai circa un anno prima. Agnese, dopo il fallimento della relazione a un passo dalla convivenza, si era buttata a capofitto nel lavoro, vanificando ogni suo sforzo di farle conoscere qualcuno di nuovo. Nei locali smontava sistematicamente ogni tentativo di attaccare bottone e gli uomini, sentendo che non era aria, si allontanavano quasi subito. L'amica non era una facile, per cui aveva cercato di provare ad accoppiarla con il suo unico collega di studio single, ma dopo un paio di serate insieme Agnese aveva detto in faccia al poveretto che era inutile che lui le pagasse ogni volta la cena o l'aperitivo, tanto tra loro non ci sarebbe mai stato nulla. I loro incontri si interruppero da quella sera. Non si era mai confidata sul perché non volesse né divertirsi un po', né provare a trovare qualcuno con cui instaurare qualcosa di serio e lei non aveva voluto mai approfondire, aspettando che fosse Agnese a confidarsi, sperando che l'amica prima o poi superasse quella fase.

Riprese in mano il telefono, mentre Agnese si era alzata per fare il tè. Digitò quello che voleva cercare e poi attese il momento buono per alzare il volume: dei gemiti invasero la stanza e Chiara si godette l'espressione stupita di Agnese, che si voltò di scatto verso di lei, e rincarò la dose. «Direi che il tuo nuovo amico se la cava proprio bene, sicura di voler essere dimenticata?» Non riuscì a schivare la salvietta che Agnese le gettò addosso.

Samuel aveva deciso di prendersi qualche giorno di riposo da tutto: niente scene filmate per gli iscritti al sito, niente post su Instagram o su Twitter. Si limitò solo a comunicare il numero di telefono che usava per lavoro a quella ragazza che lo aveva abbordato nel bagno dell'aereo, badando però a tenerlo spento fino a quando non si sarebbe ripreso dagli eventi degli ultimi giorni.
Si vestì con pantaloncini e maglietta, coprendosi il busto con una felpa, e uscì a correre costeggiando la spiaggia, nel buio. Non faceva molto freddo, Los Angeles non era certo New York, e Samuel si godette la possibilità di percorrere qualche chilometro fino a Santa Monica senza dover far attenzione all'affollamento. Persino Muscle beach, la spiaggia con gli attrezzi per fare sfoggio del proprio fisico, era deserta. Decise allora di misurarsi con anelli e sbarre sino all'alba, ignorato dai pochi runner usciti come lui a quell'ora insana.

Dopo circa un'ora e mezza di fatica e sudore, si sentiva meglio. Rientrato a casa, completò la sessione dedicandosi allo yoga in giardino. Il sole era sorto già da un pezzo.
La sbornia era stata smaltita e le idee erano più chiare. Forse gli sarebbero bastati solo un paio di giorni di riposo.

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