15. Chiamate inopportune
Agnese si era già pentita di aver mandato quella foto a Samuel, ma nella felicità del momento aveva pensato che dargli ciò che voleva avrebbe soddisfatto la sua curiosità, facendogli perdere interesse per lei.
Il fatto che lui avesse visto l'immagine senza rispondere, la convinse che forse era stata la mossa giusta.
Magari non ha apprezzato, lo scatto non gli è piaciuto.
Scacciò quella vocina impertinente.
Si era già goduta New York, trascorrendo un bel pomeriggio a Central Park, stupendosi del contrasto visivo della natura sovrastata dai grattacieli. In quel momento stava attendendo di entrare al Broadway Theatre, dove avrebbe passato la serata e non avrebbe permesso a nessuno, neanche a Samuel P. Bond, di rovinargliela.
All'uscita capì perché la sera prima i volti degli spettatori erano così sorridenti. Si era divertita molto e gli attori avevano dato prova di una recitazione notevole, oltre che di doti canore indiscutibili.
Per tornare in hotel in quel caso utilizzò la metropolitana. Non se la sentiva di percorrere le strade da sola di notte.
L'indomani mantenne la promessa che si era fatta e si concesse una sostanziosa colazione americana. Il volo di ritorno sarebbe partito alle 8:30 di sera, l'arrivo previsto alle 10:40 del mattino e Agnese si era convinta a gironzolare almeno sino all'ora di pranzo per poi recarsi con tutta calma al Jfk.
Aveva scattato almeno duecento immagini. Le stava riguardando seduta al gate, in attesa di imbarcarsi. Ne aveva condiviso un paio su Instagram, ricevendo nell'immediato una selva di mi piace. La schermata di una chiamata WhatsApp si sovrappose all'immagine di lei davanti al ponte di Brooklyn. Il nome Robert Davis le fece chiudere gli occhi, come se avesse potuto cancellarlo in modo così semplice.
Cosa vorrà, adesso?
Sospirò, mentre il telefono non smetteva di squillare. Era tentata di non rispondere, ma dall'altro lato e scioccamente non vedeva l'ora di sentirlo per capire come mai non avesse commentato.
Fece un respiro profondo prima di scorrere il dito sull'icona verde.
«La mia foto ti ha disgustato a tal punto da non scrivermi più nulla?» Lo disse con una voce più squillante del solito.
Si aspettava una risposta pepata alla Samuel, invece dall'altro lato sentì solo dei rumori indefiniti, tanto che si domandò se la chiamata non fosse partita per sbaglio.
«Samuel?» Tentennò, incerta.
«Oh Violet, oh Violet, oh Violet» sentì all'apparecchio, ma la voce di Samuel era alterata. Stava biascicando.
«Sei ubriaco?»
«Sì».
Un tonfo, come se un oggetto fosse caduto a terra.
«Mi spieghi che sta succedendo?» la sua voce tradì una punta di preoccupazione.
«Ho fatto una cazzata ed è solo colpa tua! Dovevi scopare con me e Trish non mi avrebbe lasciato».
Agnese ripeté ciò che le sembrava di aver capito e non riuscì a comprendere il perché questa Trish avrebbe dovuto lasciarlo, visto che lui non l'aveva tradita.
«Samuel, sei ubriaco e confuso, temo...» Diede un'occhiata al gate appena aperto, «hanno aperto l'imbarco, devo proprio andare. Ti chiamo una volta arrivata a Milano, fuso orario permettendo».
«Asp...»
Samuel non riuscì a terminare la richiesta di aspettare. Gli aveva già attaccato il telefono in faccia.
Contrariato, sbatté lo smarphone sul comodino. L'apparecchio rimbalzò e finì per terra. Samuel si chinò per raccoglierlo, poi fu solo buio.
Aprì gli occhi e percepì un dolore pulsante allo zigomo. Era appoggiato su una superficie dura. Provò ad alzare la testa ma un capogiro gli consigliò di desistere. Era sdraiato sul pavimento di camera sua e non aveva idea di come ci fosse finito. Fuori era ancora notte, la stanza era illuminata solo dall'abat-jour che doveva aver acceso prima di perdere i sensi.
Cercò di ricordare cosa fosse successo e nella sua mente apparvero alcuni flash: lui che faceva sesso con Trish, lei che si ritraeva sul più bello, gli insulti lanciati addosso insieme alle scarpe col tacco dopo che lui aveva deciso di dire subito la verità, confessando di aver voluto realizzare una fantasia su un'altra persona.
«Chi cazzo è?» aveva urlato lei.
Non era stato in grado di mentirle. «La mia vicina di sedile sull'aereo per New York, un'italiana».
Con Trish avevano fatto un patto: potevano scopare con chi volevano anche fuori dal lavoro, ma quando lo facevano insieme, lontano dalle telecamere, doveva esserci la massima sincerità. Samuel aveva tradito questo accordo e la sua ormai ex ragazza non aveva gradito, anzi, si era arrabbiata come non l'aveva mai vista. La richiesta del completo viola era già un rischio che Samuel aveva deciso di correre, ma non immaginava di lasciarsi sfuggire così platealmente a chi era dedicato quell'orgasmo. Patricia aveva subito intuito che ci fosse qualcosa di strano.
Trish l'aveva guardato stupita per un attimo, poi, mentre si toglieva la parrucca, centrò il punto senza fare troppi sforzi. «Mi hai fatto vestire così perché ti ricordavo lei? Dovevo immaginarlo. Non mi avevi mai chiesto nulla del genere». Le tremava la voce.
Lui non si aspettava questo risvolto e negli occhi le lesse delusione, soprattutto. Avrebbe voluto prendersi a schiaffi da solo. Patricia non si meritava di finire in una situazione simile. Non ne aveva nessuna colpa. Si sentiva come una nave senza timoniere, alla mercé di una situazione che non riusciva a controllare.
Stavano insieme da due anni. Avevano trovato un loro equilibrio al di fuori della professione che li accomunava, vivendo in libertà, ma sapendo di avere un "porto sicuro" quando ne avevano bisogno.
Lui le doveva una spiegazione e le aveva sbattuto in faccia tutta la verità. «Non abbiamo scopato, anche se entrambi l'avremmo voluto. Lei si è tirata indietro e io ero troppo carico dopo quei giorni in Italia e i casini con Carl. Ho fatto un sogno erotico e volevo metterlo in pratica».
Provò a ricordare cosa fosse accaduto dopo che gli aveva detto di non aver intenzione di andare avanti. Era tipico di lei: prendeva fuoco molto facilmente.
Incapace di incassare ciò che Patricia gli aveva appena detto, aveva fatto un'eccezione, chiamando un gruppo di ragazze che lo avevano raggiunto a casa sua dopo cena e con cui aveva fatto sesso per tutta la notte. Si era risvegliato nel tardo pomeriggio, aveva congedato le sue ospiti e, invece che mangiare qualcosa, aveva tirato fuori una bottiglia di whisky, scolandosela a canna. Un colpo di testa insolito per lui. Non era abituato né a usare il sesso come medicina, né a dormire di giorno, né a bere così tanto. Da quando era diventato un pornoattore faceva una vita morigerata dal punto di vista del sonno e l'alcol era trattato come un veleno: nemico delle erezioni e degli addominali. Il risultato era stata una sbronza colossale.
Prese il telefono che era a terra al suo fianco. La superficie dello schermo si era incrinata. Fece scorrere il registro chiamate e vide che nessuno l'aveva cercato, per fortuna. Aprì WhatsApp per controllare se Trish ci avesse ripensato e invece vide una chiamata per Agnese circa dodici ore prima. Aveva dormito parecchio. Erano le 4.30 del mattino. Si grattò i capelli e, con fatica, riguadagnò la posizione eretta.
La chiamata per Agnese era durata meno di un minuto. Non ricordava niente e temette di aver straparlato, nel pieno della sbornia.
Si sentiva confuso, non solo per l'ubriacatura. Lo stomaco ribaltato non migliorava la situazione. Andò in bagno a farsi una doccia per schiarirsi le idee. Sperava che, una volta sbollita la rabbia, Trish potesse dargli una possibilità. Soppesò il telefono, cercando i pro e i contro e poi azionò la chiamata.
«Wow, che sogno New York». Chiara stava scorrendo le foto scattate da Agnese sul telefono. Era andata lei a prenderla all'aeroporto: i suoi genitori il sabato non potevano permettersi di chiudere il bar che gestivano entrambi. L'aveva portata a pranzo nel locale e, dopo il caffè, le stava raccontando il viaggio-lampo: «Sì, con la neve poi aveva un fascino particolare...». Quando pronunciò la parola fascino non le venne in mente New York, ma Samuel e come si erano guardati prima dell'atterraggio.
Il suono di una chiamata WhatsApp interruppe la conversazione. Chiara aggrottò la fronte. «È una chiamata per te, un certo Robert Davis».
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