12. Goodbye
Agnese aveva ancora davanti agli occhi l'immagine di quelle tre donne con le labbra sul pene di Samuel.
Lui si giustificò con un mezzo sorriso: «Mi ero scordato che dopo quelle foto avevo scattato qualche ricordo della festa di trasferimento».
La ragazza la prese sul ridere: «Beh sono stata a diverse inaugurazioni di case di amici, ma non credo siano finite così...»
Il cameriere interruppe lo scambio portando le ordinazioni.
Per qualche minuto l'unico rumore furono le posate che cozzavano sui piatti.
«Sono delle tue amiche o delle colleghe?» domandò curiosa Agnese.
«Colleghe, anche se con una di loro mi vedo al di fuori del set, ma non ha l'esclusiva. Quella sera ho colto l'occasione per fare un video per gli iscritti al mio sito. Un'eccezione visto che non mi porto mai il lavoro a casa».
Agnese non riuscì a trattenere il sorso d'acqua che aveva appena bevuto, spruzzandolo sul tavolo per la risata. Samuel si passò una mano sul volto. «Sì, detta così fa molto ridere, ma è vero. Non giro mai a casa mia. Ho un altro appartamento per quello».
«Sono molto fotogeniche» commentò lei, cercando di tornare seria e di non pensare al fatto che Samuel non si era tirato indietro nel tentare un approccio nonostante avesse una specie di compagna. Per un secondo si immaginò al posto di una di esse, con un occhio mezzo chiuso e un'espressione tutt'altro che eccitante.
«Sanno come guardare un obiettivo, fa parte del lavoro, e poi sono molto truccate. È la differenza tra dilettanti e professioniste» le spiegò.
«Ma durante i film, quando non siete inquadrati in faccia, che espressioni fate? Tipo "che noia", oppure vi scambiate sguardi d'intesa coi cameramen o il regista?»
Samuel alzò un sopracciglio. Le domande di Agnese nei confronti del suo mestiere erano sempre molto originali. Attese che il cameriere portasse via i piatti e si presentasse con un'altra portata per poterle rispondere. Nel frattempo la rotazione del ristorante stava mostrando loro i grattacieli più vicini, dopo aver offerto una vista più panoramica.
«Io non mi annoio mai mentre scopo davanti alle telecamere, ma alcuni colleghi in effetti hanno delle espressioni tutt'altro che coinvolte. Spesso lo fanno per durare di più, magari pensano alla lista della spesa. Poi occorre essere parecchio concentrati, soprattutto in alcune posizioni non proprio agevoli da mantenere».
Agnese tornò a gustare il cibo. Sembrava soddisfatta della risposta. «Mi piacerebbe vedere un set di uno dei tuoi film, sarei curiosa di sapere come si svolge il tutto» confessò dopo qualche secondo.
A Samuel andò di traverso un pezzo di pollo. «Oh, non è come immagini. Alcune scene possono durare anche ore. Fare sesso con parecchia gente attorno non è il massimo, anzi».
«Credo che non sia per nulla eccitante stare a guardare, ma non sarebbe quello il mio obiettivo, non so se sono riuscita a farmi capire».
«Hai mai guardato un video in cui ci sono io?» Samuel improvvisamente aveva bisogno di saperlo.
Agnese posò la forchetta, deglutendo con fatica l'ultimo pezzo di filetto. A giudicare dal colore che stavano assumendo le sue guance non c'era bisogno che rispondesse.
«Ok, è un sì» la anticipò Samuel, «e che ne pensi?»
Agnese non smise di mangiare. «Non è che sono una cultrice del genere, non sapevo neanche il tuo nome. Lo sai che girano un sacco di tue foto su WhatsApp? Sono arrivate persino a me. Sei una specie di mito per gli uomini. Però è capitato, insomma... di aver bisogno di un aiuto oltre alla fantasia quando faccio da sola ed è davvero difficile non incappare in uno dei tuoi video».
Prese una patata di contorno e masticò lentamente. Samuel pareva molto interessato alla sua opinione e voleva tenerlo un po' sulle spine. «Diciamo che di solito preferisco altro». Si focalizzava sui filmati in cui era la donna a essere oggetto dell'attenzione di più uomini, mentre di Samuel ricordava solo un paio di video in cui era alle prese con diverse attrici, il sogno proibito di molti.
Lui lasciò intravedere una smorfia di delusione. «E quali sarebbero i video che ti fanno eccitare di più?» chiese.
«Questo non lo saprai mai!» si affrettò a rispondergli Agnese, fintamente oltraggiata.
«Io adoro dare piacere a due donne contemporaneamente» confessò, «mi fa sentire potente».
La fantasia di Agnese si accese e così il desiderio, che si manifestò con un caldo formicolio in mezzo alle gambe. Si costrinse a non pensare a Samuel alle prese con il suo corpo e cercò di dirottare la conversazione su lidi meno pericolosi.
«Fortunate loro» replicò, «a volte è difficile anche trovare un uomo che riesca a far godere una donna sola». Lui la guardò con un'intensità che le stava facendo mancare il terreno sotto ai piedi.
«Perché pensano a raggiungere il loro orgasmo e non si curano troppo della donna con cui stanno scopando. Di sicuro non conoscono molto bene l'anatomia femminile».
Samuel fece una pausa per godersi le espressioni di lieve turbamento sul volto di Agnese. La trovava persino più bella quando tentava di mascherare l'imbarazzo o di sopprimere l'istinto di fare sesso con lui. Del resto glielo aveva detto chiaro e tondo ed era sicuro che stesse lottando con se stessa. Il suo respiro si era fatto più affannoso e si era mossa sulla sedia. «Non a caso» proseguì senza staccarle gli occhi di dosso, «io mi concentro sempre sulla mia o le mie partner». Si protese verso di lei. «Ti sfido a guardare uno dei miei video e confrontarlo con quello di altri. Io guardo sempre negli occhi le attrici con cui recito e mi piace baciarle, a differenza dei colleghi. Posso dirti che anche loro apprezzano: il consumo di lubrificanti è molto inferiore allo standard quando lavoro io».
Agnese posò con calma il tovagliolo con cui si era appena pulita la bocca e sostenne il suo sguardo. Samuel se ne compiacque. Fu sorpreso quando si alzò e si avvicinò a lui. Si fermò alle sue spalle e chinò il viso all'altezza dell'orecchio. I capelli lunghi gli sfioravano la guancia. Tornare a respirare il profumo della ragazza, com'era accaduto sull'aereo, stimolò di nuovo i suoi sensi.
«Se pensi che eccitarmi a parole possa farmi cedere, hai trovato un osso duro perché non succederà» gli sussurrò. Agnese tornò in posizione eretta senza però dirigersi al tavolo.
«Ehi, dove stai andando?» chiese Samuel.
Lei aveva compiuto già qualche passo e impiegò un secondo prima di girarsi. «Al bagno. Anche i più stoici hanno bisogno di rinfrescarsi». Gli fece un occhiolino e si avviò verso la toilette.
Samuel restò a guardarla, rapito, finché non sparì dietro la porta. La ragazza sapeva giocare e anche molto bene. Sperava di eccitarla e in parte ci era riuscito, ma a giudicare da quello che gli stava succedendo dentro e fuori, anche lui avrebbe dovuto darsi una rinfrescata.
Quella donna gli stava davvero prendendo le palle e il cervello?
Il ristorante aveva compiuto un giro completo. Quando il cameriere ritirò anche il piatto del dolce, domandò loro se oltre al cibo anche la vista era stata di loro gradimento. Solo in quel momento Agnese si rese conto che era stata talmente concentrata su Samuel da non essersi goduta per nulla il panorama.
«Avresti potuto portarmi in un sotterraneo a mangiare» gli confidò, «non sono sicura di aver prestato la giusta attenzione a ciò che avevamo intorno».
«Questo è il complimento più bello che potevi farmi» rispose Samuel, raddrizzando la schiena.
Lei sorrise per poi concentrarsi sul suo bicchiere. La cena era finita ed erano le undici passate. «Devo tornare al mio albergo». Cercò di usare il tono più risoluto possibile. Samuel restò serio per un attimo, poi si distese. «Ti accompagno».
Fuori dal ristorante il freddo era pungente, ma almeno aveva smesso di nevicare. Times Square era ancora popolata di persone e le luci delle insegne e delle pubblicità la illuminavano a giorno. La neve assumeva una colorazione rossastra a causa dei led degli schermi. Agnese si diresse verso l'ingresso della metropolitana, ma venne fermata da Samuel, che la prese per il polso. «Hai voglia di andare a piedi?»
Lui non aveva idea di quanto avrebbero potuto impiegarci, ma l'invito gli era uscito spontaneo e incontrollato. Come era accaduto all'aeroporto, faticava a staccarsi da lei. Questa volta, poi, sarebbe stato definitivo.
Agnese era felice di poter passare ancora un po' di tempo con Samuel. Avrebbe voluto prolungare all'infinito quello che sarebbe stato un addio senza altre possibilità. Consultarono Google Maps e scoprirono che avrebbero impiegato almeno quarantacinque minuti prima di arrivare all'hotel.
Passeggiarono in silenzio, godendo della presenza l'uno dell'altra. Ogni tanto la mano di Samuel sfiorava quella di Agnese durante il cammino e lei avrebbe desiderato dare un finale diverso a quella lunga giornata, ma sul piatto della bilancia pesava troppo la volontà di difendersi da una sofferenza che riteneva più grande, anche alla luce del fatto che lui fosse più o meno impegnato con una donna.
«Abbiamo parlato molto di me e del mio lavoro, ma poco di te stasera» constatò Samuel.
«Sei tu quello che fa il mestiere più strano».
«Non è vero. Credo che scrivere storie che piacciano ai bambini sia molto difficile. Più difficile che per gli adulti. Come hai iniziato?»
«Diversi anni fa: mia cugina si era rotta una gamba e così, per tenerla buona, mi divertivo a raccontarle delle favole inventate da me. Aveva cinque anni. Io diciannove. Ho sempre avuto tanta immaginazione sin da bambina. Lei le adorava. Dall'orale sono passata a quello scritto quasi per caso: volevo ricordare le storie perché, come accade spesso, i bambini piccoli ti fanno ripetere più volte la stessa cosa quando piace, anche a distanza di giorni».
Senza accorgersene Agnese si accostò a Samuel, prendendolo a braccetto. Lui vide che era persa nei ricordi e decise di non stuzzicarla. Sentirla così vicina lo scaldava in ogni senso.
«Quando iniziò a leggere le regalai la raccolta di tutte le storie che avevo inventato per lei. L'avevo fatta stampare in un'unica copia. Quanti errori c'erano! Però fu il mio primo sponsor: a scuola la voce cominciò a girare e la maestra mi chiese di stampare libretti per tutta la classe».
Si fermarono per lasciare passare un nugolo di persone in uscita dal Broadway Theatre. Le insegne pubblicizzavano uno spettacolo come qualcosa di mai visto e di elettrizzante. A giudicare dalle espressioni soddisfatte degli spettatori doveva proprio essere così, immaginò Agnese, mentre interrompeva la narrazione perché il rumore delle voci e delle auto di passaggio la sovrastava. In quel momento realizzò di essere arpionata al braccio di Samuel. Provò a staccarsi, ma lui strinse il gomito, impedendoglielo. «Concedimi almeno questo. Fa meno freddo se stiamo vicini, credo di essere troppo abituato al clima di Los Angeles». Non era vero, poteva sopportare anche la temperatura rigida di New York, ma sperava che Agnese tornasse a essere a suo agio per proseguire la passeggiata.
«E va bene» rispose dandogli un leggero colpo con la spalla. Anche a lei faceva piacere. Non percepiva più la tensione sessuale che si era creata tra loro in alcuni frangenti. Le sembrava di conversare con un vecchio amico.
Decisero di allungare leggermente il percorso costeggiando Central Park. Lo spettacolo degli alberi e dei prati innevati meritava una deviazione dalla direttrice principale.
Agnese riprese il racconto. «Avevo vent'anni e non sapevo ancora cosa fare nella vita, così ho chiesto uno sforzo ai miei genitori e, invece di iscrivermi all'università, sono entrata in una scuola di scrittura. Per mantenermi nel frattempo davo ripetizioni, facevo la ghost writer per i discorsi di qualche politico, scrivevo tesi di laurea a pagamento, ancora oggi lavoro part time nell'agenzia pubblicitaria, inventando frasi a effetto per promuovere sui social i messaggi di grandi aziende, perché il guadagno come scrittrice non basta per vivere».
«Mi piacerebbe farli leggere a mio nipote, ha otto anni ed è già molto più intelligente di me».
Erano arrivati davanti all'albergo di Agnese e questa volta, quando lei provò a staccarsi, Samuel non si oppose.
Si mise di fronte a lui, cercando di sorridere a tutti i costi, ma le uscì solo una smorfia. «Dovremmo essere abituati ormai a dirci addio, no?»
«In effetti è la prima volta che mi capita di salutare due volte nello stesso giorno una persona come se non dovessi vederla mai più» commentò lui. Voleva sdrammatizzare in modo brillante, ma non era sicuro di riuscirci. Il momento della separazione all'aeroporto lo aveva già messo alla prova. «Ho il tuo numero, cara Violet, ti manderò messaggi su WhatsApp e ti chiamerò, stanne certa. A partire da domani, così mi dirai com'è andata». Sperava di vederla ridere, ma non ottenne l'effetto desiderato.
«Addio Samuel. È stato bello conoscerti e grazie per la cena». L'amarezza di un'occasione perduta la investì tutta insieme e non riuscì a sopportarne il peso.
Fece qualche passo indietro e agitò la mano per salutarlo.
Lui rispose con lo stesso gesto.
Sei un idiota!
«Arrivederci! Mi devi una serata con un finale più gradevole per tutti e due» le urlò prima che aprisse la porta di ingresso.
Stavolta lei sorrise sul serio. Si voltò soddisfatto e si avviò verso la fermata della metropolitana più vicina.
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