10. Carte scoperte
Samuel si voltò compiaciuto e pronto a subire gli improperi di Agnese.
«Il testosterone deve averti bruciato il cervello!» Si avvicinò minacciosa, puntandogli il dito sul petto. «E togliti quel sorrisetto dalla faccia».
Samuel rise ancora di più. «Lascia che pensi quello che vuole, che ti importa? Così posso aspettarti qui mentre fai la doccia».
Si tolse giacca e felpa con nonchalance, sorpassò Agnese, che restò immobile incapace di ribattere, e andò a sdraiarsi sul letto come se niente fosse.
«Farei anche un pisolino, svegliami quando hai finito». Si girò su un lato, dandole la schiena.
Agnese era talmente allibita da non riuscire a protestare ulteriormente.
Aveva compiuto un errore madornale ad accettare il suo invito. I suoi propositi stavano andando a farsi benedire: vedere Samuel in quello che avrebbe dovuto essere il suo letto per i prossimi due giorni le stava facendo venire voglia di saltargli addosso, invece di cacciarlo via.
Sbuffando aprì il trolley, prese della biancheria pulita, tutto il necessario per il cambio e si chiuse a chiave in bagno.
La doccia non placò il suo tormento: che cosa volesse Samuel da lei era un mistero, un enigma difficile da risolvere. Non sembrava provarci spudoratamente, eppure l'aveva chiamata subito quando aveva scoperto che il suo volo era stato cancellato. Il fatto che fosse così a suo agio la turbava, insieme alla constatazione che lei non riusciva a fargli più di una rapida sfuriata per poi arrendersi all'inevitabile: le piaceva la sua compagnia. Era persino stato premuroso coi bagagli, aspetto non così scontato.
Mentre stava stendendo un po' di trucco leggero, decise che si sarebbe comunque goduta la serata senza sconfinare in situazioni che avrebbero impennato il coinvolgimento emotivo in maniera pericolosa per la sua serenità futura.
Rientrò in camera rinfrancata, ma la vista di Samuel supino nel letto, che dormiva beato a braccia larghe e con un'evidente erezione a completare il quadro, la fece sentire come Ulisse messo alla prova dal canto delle sirene. Non avrebbe avuto bisogno dei tappi di cera, ma di una benda sugli occhi.
Cercò di non guardare quell'enormità che aveva tra le gambe e che gli deformava i pantaloni in modo meravigliosamente osceno.
Si concentrò sul resto, ma vedere il suo volto così rilassato con i capelli scompigliati e le labbra semi aperte, non diminuì il desiderio che stava montando in lei.
Solitamente i pornodivi non sono degli Adoni, perché mi doveva toccare l'eccezione?
Sbuffò mentre si avvicinava al letto.
«Sveglia!» urlò scuotendogli una spalla.
Samuel aprì gli occhi, stralunato, e vide Agnese molto, troppo vicina. Doveva essersi addormentato sul serio nel tempo impiegato da lei per sistemarsi. I capelli, appena asciugati, le ricadevano soffici su un maglioncino pieno di brillantini che le faceva anche risaltare gli occhi: due praline di cioccolato che lo attiravano più di una pasticceria per un goloso. Si era truccata, anche se in modo non pesante, e il suo aspetto era molto più luminoso di prima. Sarebbe volentieri rimasto lì a letto, insieme a lei. Fu in quel momento che percepì ben sveglio l'organo che rappresentava il suo principale attrezzo di lavoro.
«Scusami, ero davvero stanco...»
«Datti una sistemata» con gli occhi gli fece capire a cosa si stesse riferendo «e andiamo».
«Quando dormo è l'unico momento in cui non riesco a controllarlo, perdonami. Sono davvero un pessimo...» Non sapeva come andare avanti: amico? Aspirante compagno di letto per una sera? Optò per un generico «accompagnatore».
Lei gli strizzò l'occhio platealmente. «Beh, in fondo non sei così male. Ora però tienilo a bada, troviamo una camera per te e andiamo a cena, sto morendo di fame».
Ancora una volta l'aveva spiazzato. Quella ragazza lo intrigava. Se avesse dovuto fare una scommessa avrebbe puntato sul fatto che Agnese fosse attratta da lui, ma era disorientato dal mix di ingenuità e una confidenza anormale per due persone che si conoscevano da meno di un giorno e di sesso opposto, tra l'altro.
Ripresero la metropolitana per recarsi nella zona più celebre di Manhattan. Samuel aveva un'idea ben precisa su dove andare. Aveva alloggiato diverse volte al Marriott, con vista su Times Square e il suo ristorante panoramico sarebbe stato l'ideale per la cena. Agnese aveva cercato di estorcergli qualche informazione, ma lui aveva preferito non dirle nulla per non rovinare la sorpresa.
Quando emersero dal sotterraneo, lei cominciò a guardarsi attorno, febbrile. «Dio! Non posso credere di essere qui». Le luci colorate dei pannelli pubblicitari, i grattacieli, i taxi gialli: quante volte aveva visto quello scenario nei film. Dal vivo però la sensazione era esaltante, tanto che camminare in una strada così nota e affollata sopra ogni aspettativa le provocava una leggera vertigine. Gli odori e il rumore del traffico e della folla erano qualcosa di completamente diverso rispetto all'Italia. La neve continuava a scendere copiosa, rendendo tutto ancora più straordinario. La ragazza cominciò a saltellare dalla felicità, fermandosi ogni tanto per scattare qualche foto.
Arrivarono davanti all'ingresso dell'hotel e Samuel la prese per un braccio. «Ferma, proviamo questo». Salirono sino al piano della hall, che non era ad altezza strada. Agnese spalancò gli occhi, abbagliata dal lusso che emanava la struttura. Il pavimento in marmo verde faceva risaltare tutto il resto: luci, specchi e i colori tenui ed eleganti dell'arredamento, rosa antico e beige. Gli ascensori a vista interni salivano e scendevano in continuazione. L'albergo era come una piccola città nella città.
«Ti aspetto qui, allora» disse lei.
«No, se c'è posto ceneremo sul tetto di questo hotel. Hai mai sentito parlare del ristorante panoramico rotante?»
«No, ma fermati. Io non credo di potermi permettere una spesa del genere».
«Sono io che ti ho invitata a cena» ribatté calmo, «non devi preoccuparti del conto».
«No» si impuntò la scrittrice, «non lo accetto. Mi sentirei troppo in debito nei tuoi confronti».
Samuel alzò gli occhi al cielo. «Agnese, guadagno più di cinquecentomila dollari all'anno: ti pare che questa cena possa influire sul mio portafoglio?»
«Non importa quanto guadagni. Si tratta di una questione di principio». Incrociò le braccia guardando verso la hall e per la prima volta Samuel la vide davvero contrariata. Non sembrava esserci alcuno spiraglio di mediazione. Pensava che lui la volesse "comprare" con una cena? Tentò di rabbonirla. «Guarda che non ti chiedo nulla in cambio...»
Agnese si voltò di scatto. Negli occhi aveva il fuoco e una linea verticale le si era formata tra le sopracciglia corrugate. Samuel fece un passo indietro, maledicendosi per aver insinuato ciò che la stava mandando su tutte le furie.
«Se tu pensi che io possa anche solo valutare di venire a letto con te perché mi offri una cena in un ristorante costoso hai proprio sbagliato. Le nostre strade possono pure separarsi qui e scordati il mio numero di telefono». Aveva alzato il mento, sfidandolo.
Il cervello di Samuel lo spinse a incalzarla, anche se il rischio di essere mandato a quel paese era vicino al cento per cento. Poteva mettere tutte le carte in tavola e lei gli aveva offerto l'occasione su un piatto d'argento. «Non era mia intenzione usare la cena per convincerti a fare sesso, non ho bisogno di questi mezzi, ma se hai anche solo pensato per un istante che la nostra serata potrebbe concludersi andando a letto insieme, non devi convincermi: ci sto».
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