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59 - Felicità e dolore

Per tutto il viaggio in macchina non aprii bocca, ero arrabbiata con Nicola per avermi trascinata con la forza verso una destinazione ignota ma, allo stesso tempo, mi resi conto che la rabbia era l'unico sentimento che stavo provando dopo tanto tempo senza emozioni.

Nicola, invece, parlò per tutto il tempo. Mi raccontò delle sue ultime avventure con entusiasmo, accennò a Lorenzo e Federica che volevano organizzare qualche altra uscita insieme a me, elogiò il nuovo biscotto creato da Martina al gusto banana.

Il mio ostinato silenzio non smorzava minimamente la sua allegria. O almeno quello che era in apparenza.

Guardando i suoi occhi, mi ero accorta che dietro essa si celava una certa preoccupazione nei miei confronti, ma non pensavo sarebbe stato in grado di fare qualcosa per sbloccare la mia condizione.

Nessuno poteva farlo.

Dopo quasi un'ora di strada, finalmente arrivammo a un parcheggio sterrato e Nicola spense la macchina dopo averla piazzata in un posto all'ombra.

"Eccoci arrivati" sentenziò con un sorriso, mentre si sporgeva verso i sedili posteriori per afferrare uno zaino.

"Dove siamo?" domandai secca, le sopracciglia corrugate e le braccia conserte sul petto.

"Al mare" rispose sincero lui, aprendo poi la portiera della macchina e uscendo all'esterno di essa.

Cosa diavolo ci facevamo al mare?! Io volevo solamente starmene in camera mia a fissare il solito soffitto, perché dovevo trascinarmi nella sabbia sotto al sole?

Nicola raggiunse il mio sportello e lo aprì, invitandomi così a seguirlo fuori, ma io non avevo alcuna intenzione di assecondare questa sua decisione, perciò mi limitai a fissare la fila di alberi che si trovavano di fronte a me, al di là del parabrezza.

"Dai, Vic" mi esortò con dolcezza il ragazzo "solamente qualche minuto"

Mi voltai verso di lui e, la sua espressione supplichevole, la sua mano tesa verso di me, i suoi occhi sinceri, mi convinsero a fare come diceva, anche solo per poco tempo.

Percorremmo una stradina tra gli alberi, in discesa, e infine giungemmo alla spiaggia. Appena arrivai, notai subito la sabbia chiare che arrivava fino al mare, l'acqua che si muoveva lentamente avanti e indietro, il cielo azzurro e il verde intorno a quella distesa gialla.

Era una vista piacevole, certo, ma non mi pareva particolarmente speciale e non capivo il motivo per il quale Nicola mi aveva portata fino a lì.

Avanzammo verso la riva, fermandoci a poca distanza da essa, e fu allora che Nicola estrasse un telo dallo zaino e lo posizionò per terra, sedendovisi poi sopra.

Non c'era nessuno in quel piccolo pezzo di mare, sembrava quasi una caletta sconosciuta, perciò mi limitai a imitare il ragazzo e presi posto accanto a lui, sospirando stanca.

"È bello" iniziò a dire lui "non trovi?"

"Sì" risposi senza troppo entusiasmo, guardandomi in giro annoiata.

Proprio mentre osservando lo spazio intorno a me, il sole caldo sopra la testa, un leggero vento a sfiorarmi la pelle, il rumore delle onde in sottofondo, notai un piccolo faro a lato della spiaggia, sopra una bassa collinetta.

Era rovinato e probabilmente non più in funzione ma, come uno schiaffo in pieno viso, mi riportò alla mente un ricordo che credevo di aver cancellato, insieme a tutto il resto.

Appesa alla parte del salotto, in quell'appartamento al secondo piano, c'era una fotografia che ritraeva una giovane ragazza con un vestito bianco di lino, mosso dal vento, un cappello di paglia sulla testa, tenuto fermo da una mano poggiata su di esso, i lunghi capelli scuri a coprire parte del viso, un sorriso felice sul volto. Il faro dietro di lei, piccolo ma ben visibile.

Lina.

Su quella spiaggia era stata Lina da giovane.

Il cuore prese a scandire ritmicamente il suo battito, rimbombandomi nelle orecchie e appannandomi la vista.

"Martina mi ha parlato di questo posto" la voce di Nicola mi giunse da lontano, nonostante lui fosse seduto proprio accanto a me.

"Era il luogo preferito di Lina, dopo il suo appartamento" spiegò poi, probabilmente notando la mia espressione sconvolta.

"Lo so" sussurrai in un soffio, provando qualcosa dentro di me. Una sensazione nuova, straziante, potente, impossibile da fermare.

"Ti piace il mare, cara?" Lina si sedette sul divano con la sua tazze di tè in mano e mi guardò curiosa.

"Solamente se ci sono dei lettini comodi e dei camerieri che mi portano da bere" risposi in maniera altezzosa, continuando a passare lo spolverino sopra i mobili.

"Oh no, quello non è il mare. Io parlo della spiaggia vuota, la sabbia che scotta sotto i piedi, il vento tra i capelli, la pace interiore" spiegò lei, sorridendo come rapita da ricordi lontani.

"Non credo proprio. La pace interiore me la comunicano solo i soldi" ribattei secca, tossendo leggermente per qualche granello che mi era finito in bocca.

"Vedi quella foto?" mi domandò Lina, indicando una cornice appesa sul muro, ritraente una giovane donna dai capelli scuri, su una spiaggia con un faro.

Annuii con poco interesse e, dopo aver dato un'occhiata veloce, tornai a fare il mio lavoro, domandandomi cosa avesse di speciale quel posto.

"Me l'ha scattata il mio primo marito quella foto" continuò "in quell'esatto momento, in quel posto e in quel frangente, mi sono resa conto cosa significasse la felicità"

Quella sua dichiarazione mi colpì più di quanto avessi voluto ammettere, io non avevo idea di cosa significasse e, non ero sicura che l'avrei mai scoperto.

Mi voltai verso la fotografia per osservare con più attenzione il sorriso genuino stampato sul volto di quella giovane ragazza e, subito dopo, spostai l'attenzione sul viso di Lina. Aveva gli occhi puntati sulla foto e lo stesso sorriso di un tempo, sincero, felice, un po' malinconico.

Su quella stessa spiaggia, l'immagine sorridente di quella ragazza apparve davanti a me, come se fosse stata lì in quel momento, insieme a me. Era una Lina che non conoscevo, dalla pelle giovane e i capelli scuri, ma i suoi occhi erano gli stessi e la sua aria allegra fin troppo conosciuta.

Faceva male. Un male che non credevo di aver mai provato, un male che era partito dal cuore e si stava irradiando in ogni parte del mio corpo. Un male che avevo sempre cercato di evitare.

Lì, dove Lina aveva provato la vera felicità, per la prima volta in vita mia, stavo provando il vero dolore.

La figura evanescente di Lina si avvicinò a me con un'espressione di tenerezza sul volto, si accovacciò proprio di fronte a me, raggiungendo l'altezza del mio viso con il suo.

Allungò una mano e poggiò con delicatezza il palmo sulla mia guancia, continuando a sorridere con tenerezza.

Sapevo che non era reale, sapevo che era solamente frutto della mia immaginazione, del ricordo di quella fotografia e dei racconti di Lina, ma nonostante tutto, mi sembrava quasi di poterlo sentire davvero, quel tocco.

"Lasciati andare, cara" sussurrò flebilmente, scomparendo poi con il vento.

Quelle parole furono come una benedizione, potevo permettere a me stessa di provare qualcosa di tanto immenso, anche se spaventoso?

Una lacrima rotolò lungo la mia guancia, andando a scontrarsi contro le mie labbra.

Potevo smettere di scappare, finalmente?

Un'altra la seguì, bagnano la mia pelle scottata dal sole.

No... non potevo fermarlo, non potevo scappare, era una valanga che non si sarebbe placata, nemmeno se l'avessi voluto.

Mi portai le ginocchi al petto e le abbracciai, poggiandovi poi la testa sopra, mentre il pianto non accennava a fermarsi, anzi sembrava aumentare.

Nicola portò una mano sulla mia schiena e mi accarezzò con dolcezza, restando in silenzio a osservare l'orizzonte.

Rimanemmo così per un tempo indefinito, durante il quale il ragazzo non si mosse e non proferì parola, semplicemente rimase al mio fianco, lasciandomi il tempo di assimilare tutto quel dolore che era esploso improvvisamente.

Era la prima volta che piangevo per la morte di Lina.

Era la prima volta che provavo una tale sofferenza.

Era la prima volta che un'emozione tanto intensa mi scuoteva l'anima e il corpo.

Era la prima volta che mi sentivo davvero viva. 

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