53 - Maledetti gamberetti
Dopo quella frase enigmatica, trovai una scusa per andare al bagno mentre sentivo le guance andarmi a fuoco. Cos'era questo forte imbarazzo che non avevo mai provato? Da quando il semplice tono di voce di un ragazzo mi rendeva tanto agitata?
Quella dannata voce roca e profonda era in grado di vibrare dentro di me.
Mi osservai allo specchio e feci dei profondi respiri: la serata non stava andando come avrei voluto, sarebbe stato meglio se fossi stata più lucida e reattiva, ma almeno stavo ancora respirando e non avevo avuto attacchi di panico.
Potevo già considerarlo un successo.
Quando tornai al tavolo, il cameriere prese il nostro ordine e si allontanò frettoloso, lasciando me e Guido nella stessa atmosfera sconcertante che c'era prima che arrivasse. Fortunatamente il nostro antipasto non ci mise molto per arrivare e il cameriere depositò davanti a noi un piatto con dei gamberetti alla piastra che avevano un profumo delizioso.
Guido mi versò un bicchiere di vino e iniziammo a mangiare, concentrati sul cibo e sullo sgusciamento di quei crostacei. Sembrava semplice, ma non lo era affatto. Non volevo usare le mani perché non era elegante a un appuntamento, ma coltello e forchetta non collaboravano tra loro per portare a termine l'operazione.
O forse ero io a essere particolarmente imbranata quella sera.
Sollevai gli occhi dal mio piatto e guardai il ragazzo di fronte a me, anch'esso concentrato sulla sua pietanza, ma estremamente più abile di me. Aveva già mangiato due crostacei e stava pulendo il terzo con maestria, usando le posate correttamente.
Dannazione!
Tornai a prestare attenzione davanti a me, determinata a non farmi umiliare, ma proprio mentre cercavo di tagliare un pezzo di guscio particolarmente resistente, la presa del coltello scivolò sul gamberetto e il rivestimento duro dell'animale si staccò all'improvviso, volando sopra al tavolo come se fosse stato lanciato da una catapulta.
Spalancai gli occhi atterrita e seguii il suo percorso, fino a constatare che il pezzo era atterrato sul gamberetto che Guido aveva nel piatto, perfettamente pulito e pronto per essere mangiato.
Lui prima guardò il guscio sopra al suo gambero, confuso, poi alzò la testa e posò le sue pupille sorprese su di me.
"Maledetti gamberetti" mormorai a bassa voce, stingendo poi le labbra in una linea sottile.
Guido, nonostante il mio tono basso, sentì la mia frase e lentamente sul suo volto si formò un sorriso sempre più evidente, finchè il suo divertimento si trasformò in una risata vera e propria.
Una risata profonda, contagiosa, gioiosa. Tanto che la mia espressione si distese e presto mi ritrovai a ridere con lui, con i miei gamberetti ancora intatti nel piatto.
Quando il momento di ilarità fu passato, Guido lanciò un'occhiata al mio piatto e cercò di trattenere una nuova risata, poi afferrò la sua forchetta, prese il gamberetto già pulito dal suo piatto e, dopo essersi sporto verso di me, lo depositò nel mio piatto. Prima di ricomporsi dalla sua parte, si premurò di impossessarsi di uno dei miei crostacei ancora integri, lo portò nel suo piatto, lo pulì e poi si allungò nuovamente, lasciandolo davanti a me.
Ripetè l'operazione per tutti i miei gamberetti, cercando sempre di trattenere un sorriso e permettendomi così di guastarmi il mio antipasto, finalmente.
Mentre lo osservavo compiere questo gesto così semplice eppure così dolce, sentii le mie guance arrossire.
Guido non si era mai mostrato apertamente tenero, non aveva mai compiuto azioni eclatanti e non si era mai dilungato in discorsi o frasi sdolcinate. Appariva un po' misterioso e burbero, ma senza farsi notare, sapeva toccare il mio cuore.
Piano piano aveva creato una crepa dentro di me che si stava allargando, fino a diventare un vero squarcio.
Dopo la mia figuraccia del gamberetto volante, il resto della cena fu più disteso e divertente. Parlammo di diversi argomenti, ridemmo delle nostre disavventure, e io ne avevo davvero tante da raccontare, ci guardammo con complicità.
La sensazione di panico che era rimasta celata da qualche parte dentro di me per tutto il tempo, piano piano si stava dissolvendo, tanto che mi stavo dimenticando di ricordarmi di respirare.
Veniva naturale.
Ci alzammo dopo aver gustato un ottimo dolce e, dopo aver pagato, ci ritrovammo sul marciapiede esterno al locale.
Il cielo buio era pieno di stelle, il leggero vento che ci circondava aveva cancellato ogni nuvola e muoveva le fronde degli alberi piantati lungo la strada.
"Ottima cena" commentai con un sorriso, volgendo il viso verso Guido, in piedi di fianco a me con le mani ficcate nelle tasche dei jeans e gli occhi rivolti verso il cielo.
Quando sentì la mia voce pronunciare quella frase, rivolse la sua attenzione verso di me, accennò un sorriso e rispose con tono un po' roco: "Ottima compagnia"
Il mio cuore perse un battito, come poteva dire queste cose con quella voce, in maniera tanto naturale?
Mi affrettai a distogliere lo sguardo e mi avviai lungo il marciapiede, stingendomi la giacca addosso per il vento che era aumentato. Il ragazzo mi seguì senza aggiungere altro, e percorremmo un pezzo di strada deserta, riprendendo a parlare del cibo appena mangiato.
Volevo che la serata finisse per permettere al mio cuore di calmarsi, ma volevo anche che continuasse per sentire quel suono ritmico dentro di me.
Improvvisamente una volata di vento si alzò e ci investì, facendo svolazzare i nostri vestiti e scompigliando i nostri capelli. I miei lunghi ciuffi si arruffarono e mi coprirono il viso, solleticandomi la pelle, così feci del mio meglio per spostarli con le mani e riprendere il controllo della mia visuale.
Ma non appena scostai una ciocca, una nuova folata di vento ci colpì, tornando a muovere i miei capelli davanti alla faccia. I miei gesti divennero sempre più nervosi, perché i miei tentativi di migliorare la situazione non facevano che peggiorarla.
Ma che diavolo aveva questo vento contro i miei capelli?
Proprio mentre facevo queste considerazioni, percepii un movimento alle mie spalle e presto il vento che mi circondava, si placò un poco, permettendomi di spostare i ciuffi dal volto.
Sollevai la testa e mi resi conto che Guido si era avvicinato a me e aveva afferrato un lato della giacca di pelle che indossava, circondandomi con essa per ripararmi. I miei occhi si scontrarono con i suoi, i nostri respiri si sincronizzarono mentre una miriade di foglie volavano intorno a noi, mosse dal vento.
Guido incurvò la schiena per avvicinare il suo volto al mio, percepii il suo profumo avvolgermi, i suoi capelli mischiarsi con i miei, il suo naso sfiorare il mio.
Indugiò a poca distanza dalle mie labbra, allungò la mano libera verso il mio collo, accarezzandolo e poi la spostò tra i miei capelli, spandendo brividi lungo la mia schiena.
Il suo respirò si depositò sulla mia pelle quando sussurrò: "Sei come il vento, mi scompigli e poi diventi inafferrabile"
Deglutii per cercare di mantenere il controllo mentre il cuore mi martellava nel petto e risposi a bassa voce: "Forse vorresti qualcos'altro"
O dovresti volerlo...
"No" replicò lui in un sussurro "voglio te. Sei una boccata d'aria"
Senza aggiungere altro, mi attirò a sé con la mano che teneva dietro la mia testa, lentamente, finché le nostre labbra si toccarono, agitando i nostri animi come il vento che ci girava intorno.
Era un bacio diverso da quelli che ci eravamo scambiati fino a quel momento, non era vorace, passionale, frettoloso. Era un bacio che si prendeva il suo tempo e il suo spazio, era dolce, era delicato, era così intenso che potevo percepirne ogni sfumatura, ogni carezza che le labbra di Guido depositavano sulle mie.
Questo non era un bacio e basta.
Era amore.
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