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41 - Vuoi un frullato?


Noi due?

Corrugai le sopracciglia e lo fissai perplessa: c'era un noi due?!

Ci eravamo baciati, va bene.

Eravamo attratti l'uno dall'altro, va bene.

Forse provavamo anche qualcosa l'uno verso l'altro, va bene.

Ma era davvero necessario parlarne?

Ripensai al vortice di emozioni che provavo ogni volta che stavo insieme a lui e mi resi conto che sì, era necessario parlarne.

Aprii la bocca per dire: "Credo che..." ma Guido parlò insieme a me, pronunciando parole identiche, così entrambi ci zittimmo, tornando a guardare le nostre tazze mezze piene.

Di nuovo quella confusione, mi sentivo così carica di sensazioni contrastanti che mi pareva quasi di poter andare in mille pezzi da un momento all'altro.

Era straziante e... frustrante.

Sollevai gli occhi su di lui e lo trovai a fissarmi con una luce indecifrabile negli occhi: perché non riuscivo mai a capire cosa mi stavano comunicando?

"Credo che dovremmo..." iniziò lui, ma proprio mentre quelle parole uscivano dalla sua bocca, tornai a provare il panico di poco prima, la gola cominciava a stringersi e, senza ragionarci, lo sovrastai con la mia voce.

"... smettere di vederci" dichiarai, annaspando leggermente.

"... uscire insieme" concluse lui, chiudendo poi le labbra in una linea sottile non appena sentì la mia frase.

Oh mamma, perché mi ero fermata per la colazione?

"Dovrei andare ora" mi affrettai ad aggiungere, alzandomi velocemente e cercando di raggiungere la porta prima che qualche altra disastrosa decisione fosse presa in quella casa.

Non riuscivo a essere razionale quanto volevo, davanti a lui, ma sapevo bene che a giocare con il fuoco avrei finito per bruciarmi, ed era tutta la vita che evitavo accuratamente qualsiasi incendio potesse divulgare dentro di me.

Questo ragazzo non aveva neanche un fiammifero eppure era in grado di accedere molteplici fiamme dentro di me... dove accidenti era l'estintore?!

"Vic" la sua voce mi raggiunse proprio mentre era quasi sulla porta e, contro ogni logica, mi spinse a voltarmi.

Perché Vic, perché?

Non appena i miei occhi si posarono sul suo viso, il respiro si fece irregolare e mi sentii come pietrificata sul posto, non potevo staccare il mio sguardo dal suo, tanto era l'intensità del momento. Senza aggiungere altro, Guido si alzò dalla sedia e si mosse verso di me, lentamente, mantenendo il contatto visivo e un'espressione seria sul viso.

Istintivamente indietreggiai, deglutendo, mi sentivo soffocare e non sapevo se era per l'attacco di panico o per i suoi occhi su di me.

Il ragazzo mi raggiunse quando ormai ero arrivata con la schiena contro la porta e si fermò davanti a me, superandomi in altezza. Poggiò una mano contro il legno dietro di me e si chinò leggermente con la bocca verso il mio orecchio, sussurrando con voce roca: "Dimmelo anche adesso, che vuoi smettere di vedermi"

Il cuore mi martellava nel petto, tutto il mio corpo sembrava andare a fuoco, bastava la sua vicinanza per farmi perdere la ragione.

Dalla mia bocca uscì un sospiro sofferto, proprio nel momento in cui Guido tornava a guardarmi negli occhi e, da quel semplice contatto silenzio, scaturirono tutte le mie paure.

Era troppo...

Allungai le braccia sul suo petto e gli diedi una spinta, allontanandolo un poco da me, e provocando uno sguardo sorpreso sul suo volto.

Era troppo per me...

Gli rivolsi un ultimo sguardo tenebroso e infine aprii la porta velocemente e scappai fuori, giù per le scale, lontano da lui.

Era troppo...

Mi fermai sul pianerottolo del secondo piano con il petto che scoppiava e non per la breve corsa appena conclusa. Quasi senza rendermene conto, bussai alla porta della signora Lina e poco dopo sentii i suoi passi avvicinarsi.

Era troppo quello che provavo, non avevo ma ascoltato le mie emozioni ma, dal momento in cui avevo incontrato Guido, era stato impossibile per me ignorarle, e ora non ero in grado di gestirle, mi avrebbero portato alla distruzione.

Mi avrebbero portato alla disperazione. 

Non potevo lasciarle andare liberamente, dovevo controllarle. Dovevo fermarle prima che fosse troppo tardi.

Dovevo...

La porta si aprì e Lina apparve davanti a me con un sorriso cordiale, ma appena mi vide, la sua espressine mutò e la sua dolce voce disse: "Cara, cos'è successo?"

Cercai di aprire bocca, ma il mio cervello non voleva saperne di mandare i comandi, l'unica cosa che ero in grado di fare era piangere.

Calde lacrime scorrevano sulle mie guance e, come un fiume in piena che rompeva la diga, così le mie emozioni stavo sovrastando il mio autocontrollo.

Lina avvolse il suo braccio intorno a me e, con delicatezza, mi portò dentro casa sua, facendomi sedere sul divano e sparendo oltre la cucina per accendere il bollitore. Secondo lei qualsiasi problema doveva essere affrontato con una buona tazza di tè, perciò preparò tutto il necessario per ascoltarmi e consigliarmi come meglio poteva.

Dopo aver versato il liquido caldo nelle tazze, prese posto vicino a me e poggiò una mano sulla mia schiena, accarezzandomi dolcemente.

Anche se il tocco era tanto delicato, sprigionò in me un conforto che non avevo mai avuto ma sempre cercato. Lina mi capiva anche senza parlare, sapeva di cosa avevo bisogno e riusciva a farmi stare meglio.

Forse era per questo motivo che ero mi ero ritrovata davanti alla porta di casa sua senza neanche averci pensato.

"Perché piangi, cara?" mi domandò, sporgendosi un po' in avanti per guardarmi in volto.

Singhiozzai vistosamente, togliendo le mani dalla faccia e sussurrai: "Mi sento come in un frullatore"

"Vuoi un frullato?" ripeté lei, corrugando le sopracciglia e rendendo la sua fronte ancora più rugosa.

Mi sfuggì una risata sentendo quella risposta, così allargai le labbra bagnate di lacrime, non ero triste, non ero felice, non stavo soffrendo e non stavo gioendo, come mai allora non riuscivo a smettere di piangere?

"Guido..." continuai poi, parlando piano"... mi confonde"

Era la prima volta che lo ammettevo a voce alta e scoprii che la cosa mi terrorizzava.

"Ti piace?" azzardò lei, continuando a coccolarmi con tenerezza e porgendomi un fazzoletto per soffiare il naso. Girai la testa verso di lei, guardandola con la paura impressa negli occhi e infine mi limitai ad annuire con un'espressione sconsolata.

"Allora dovresti dirglielo" replicò lei con gentilezza.

"Non posso. Non dovrei neanche pensarci" scossi la testa con convinzione mentre il cuore iniziava a battere più veloce nel petto.

"So che può essere spaventoso farlo, ma amare qualcuno è un'esperienza meravigliosa" commentò Lina.

"E se così non fosse?" chiesi di rimando "Se ci fosse anche il dolore?"

"Fa parte dell'esperienza, senza il dolore non ci sarebbe nemmeno la gioia" ribatté lei, spostando la sua mano dalla mia schiena e afferrando una delle mie con amore.

"Infatti" dissi secca "se non provo gioia, non posso provare neanche dolore. Posso ancora tornare indietro, posso dimenticarmi di Guido, posso tornare come prima, senza emozioni"

Lina strinse la presa sulla mia mano come se provasse sofferenza e quando spostai la mia attenzione sul suo volto, vi trovai un'espressione affranta.

"Questo non è vivere" sentenziò infine "Questo è solo sopravvivere"

Pensavo che il fiume di lacrime si fosse fermato quando avevo iniziato a parlare, ma quella consapevolezza mi colpì più del dovuto. Lo sapevo, l'avevo sempre saputo, credevo fosse la cosa migliore da fare, credevo di essere felice così com'ero, ma era solamente perché non avevo mai provato altro.

Sul mio volto si dipinse un'espressione triste e, con voce tremante, ammisi: "Non sono capace di vivere, Lina. E non riesco più neanche a sopravvivere"

L'anziana inclinò leggermente la testa di lato, strinse le labbra in una linea sottile e allungò le braccia verso di me, poggiando una mano dietro la mia testa e attirandomi delicatamente a sé per abbracciarmi.

Avvolta dalle sue braccia, poggiai una guancia sulla sua spalla e lasciai che tutta la confusione che provavo uscisse attraverso il mio pianto.

Quella donna sembrava tanto fragile fisicamente, ma era il pilastro che mi sosteneva in quel frangente tanto complicato. Tra un singhiozzo e l'altro, la sentii ripetere nel mio orecchio: "Prenditi il tuo tempo, bambina. Ama prima te stessa e amerai anche gli altri"

La verità era che non avevo mai permesso a me stessa di essere felice e ora, non sapevo più come farlo. 

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