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40 - Fai rumore


La luce del sole filtrava dalla tapparella mezza alzata e mi accarezzava il viso con i suoi raggi caldi. Lentamente sollevai le palpebre e misi a fuoco la finestra che capeggiava davanti a me, com'ero tornata a casa la sera precedente?

Un buco nero aveva invaso i miei ricordi e un gran mal di testa stava rendendo difficile il loro recupero. Mi girai sulla schiena con un sospiro, ma subito spalancai gli occhi sorpresa.

Dove accidenti era finito il mio soffitto azzurro? Perché era diventato bianco?

Proprio mentre realizzavo che c'era qualcosa di strano, mi accorsi che sotto al mio collo era adagiato il braccio di qualcuno, così girai piano piano la testa di lato e mi ritrovai il viso addormentato di Guido a pochi centimetri.

Quella vicinanza mi portò immediatamente il ricordo del nostro bacio appassionato la sera precedente, l'ultima cosa che ricordavo con chiarezza. Il viso mi divenne caldo all'istante e mi immobilizzai sperando di non svegliarlo perché provavo già abbastanza disagio così.

Come diavolo ci ero finita nel letto di Guido? Perché era il letto di Guido, giusto?

Un momento... un pensiero assurdo mi attraversò la mente e sollevai le coperte per controllare in che stato fossi. Tirai un sospiro di sollievo, indossavo ancora i miei vestiti della sera precedente, mentre Guido aveva quella che presumibilmente doveva essere una tuta grigia.

Cercando di non fare rumore, mi tirai su a sedere e subito mi portai una mano alla tempia, ancora mi girava la testa.

Quel dannato ultimo drink... cos'era successo dopo? Dov'era finito il mio tanto amato controllo?

Mi guardai intorno per la stanza piccola e semplice di Guido, quando la mia attenzione fu catturata da un mazzo di fiori che giaceva sul mobile di fronte al letto.

Oh no...

Un flash mi apparava davanti agli occhi, io che raccoglievo in un prato vicino a casa quel misero mazzolino di margherite e che lo porgevo a Guido dicendo che profumava come loro.

Mi imposi di eliminare quel frangente dalla mia memoria, abbassando lo sguardo sulle mie mani e scoprii di avere dei segni rossi sui palmi e un grosso livido sul braccio.

Avrei preferito rimanere all'oscuro della loro origine, ma il mio subconscio non era dello stesso parere, ed ecco che mi ricordai del palo della luce che avevo utilizzato come palo per la pole dance, nonostante non avessi mai praticato nulla del genere in vita mia.

Oh accidenti... la mia pessima agilità aveva giovato sulla mia patetica performance e per poco non mi ero abbattuta sul marciapiede, se Guido non fosse intervenuto prontamente, afferrandomi al volo prima della mia rovinosa caduta.

Potevo ancora percepire la sensazione di trovarmi tra le sue braccia, insieme a un lieve giramento di testa...

Va bene, non tanto lieve!

Sospirai affranta e guardai di soppiatto il viso beato del ragazzo di fianco a me, ancora profondamente addormentato. Quanto mi ero resa ridicola la sera precedente?

Sfortunatamente le mie scarpe abbandonate sul pavimento mi riportarono alla mente altri frangenti che sarebbe stato meglio lasciare nell'oblio, soprattutto per il mio orgoglio.

Mentre stavamo tornando a casa a piedi, nel buio della notte, improvvisamente mi ero seduta per terra e avevo dichiarato che non potevo più indossare quelle scarpe perché erano passate di moda. Dopo averle tolte dai piedi, avevo cercato di venderle ad un paninaro aperto fino a tardi, il quale faceva quasi fatica a capire la mia lingua, figuriamoci le mie intenzioni.

Guido aveva cercato di portarmi via, ma io insistevo, ricordavo che avrei volentieri barattato gli stivaletti per una porzione di patatine fritte, ma non ero riuscita nel mio intento.

Dopo varie lamentele da parte mie e tanta pazienza da parte di Guido, il ragazzo aveva deciso di passare alle maniere forti e mi aveva caricato sulla schiena, zittendomi all'istante.

I nostri corpi a contatto stretto, il calore delle sue mani sulle mie gambe, il suo profumo così vicino, se anche non avessi bevuto, mi sarei sentita ugualmente ubriaca.

Ero ancora immersa in quel frangente passato, quando mi risonò nella testa quello che avevo sussurrato al suo orecchio poco prima di arrivare davanti al palazzo: Guido... mi piaci.

Mi portai entrambe le mani sulle testa e spalancai la bocca e gli occhi: che diavolo avevo combinato? Non bastava l'umiliazione, mi ero pure dichiarata anche se non volevo farlo. 

Non avrei dovuto farlo.

Il cuore prese a battere più veloce del normale e sentii il respiro affannoso, la gola iniziava a stringersi, i polmoni chiedevano sempre più aria... era un attacco di panico!

"Vic?" la voce roca di Guido mi raggiunse come uno schiaffo in pieno viso e mi permise di racquistare la lucidità che avevo perso, mentre tornavo a respirare regolarmente.

"Stai bene?" mi domandò il ragazzo, sollevandosi a sedere, entrando così nel mio campo visivo. Non avevo il coraggio di guardarlo in faccia, non potevo farlo, e non era solamene per l'imbarazzo di tutta la situazione, era perché sapevo che se l'avessi fatto, avrei ricominciato a sentirmi male.

Perché non ero in grado di essere una persona normale?

"Sì" sussurrai, abbassando le braccia e portando le mani in grembo inerme. Non sapevo quale sarebbe stata la prossima mossa da fare, mi sentivo come incatenata a quel letto e, la cosa peggiore di tutte, era che il cuore mi diceva di restare, ma la testa mi gridava di andare.

Così decisi di fare quello che avevo sempre fatto, ascoltare la Victoria razionale e non quella sentimentale che creava solamente confusione. Mi alzai traballante e recuperai le mie scarpe mentre dicevo: "Devo andare"

"Non vuoi la colazione?" rispose con tranquillità Guido, portando le braccia verso l'alto per stiracchiarsi e scuotendo leggermente la testa per distendere il collo.

Quel movimento catturò la mia attenzione, e anche se mi ero imposta di non farlo, sollevai gli occhi su di lui e rimasi imbambolata: i capelli scuri arruffati, gli occhi ancora un po' assonnati ma forse ancora più magnetici, le braccia lunghe, la tuta che si era sollevata sul ventre e lasciava intravedere gli addominali.

"Sì" mormorai quasi in trance e solo dopo mi resi conto di quanto avevo pronunciato.

Dannazione!

"Bene" esclamò Guido e le sue labbra si allargarono in un sorriso così allegro che mi ritrovai a fare altrettanto, anche se la mia espressione somigliava più a quella di una scema.

Senza dire una parola lo seguii fuori dalla camera e poi in cucina, osservandolo armeggiare con la macchinetta del caffè.

"Quindi" esordii, per rompere quel silenzio che mi stava opprimendo "come ci sono finita nel tuo letto?"

La tazzina che Guido teneva in mano gli sfuggì e finì sul bancone, provocando tanto rumore ma nessuna rottura, così il ragazzo potè riprenderla e utilizzarla comunque.

Forse ero stata troppo diretta, ma quando mi sentivo a disagio, di solito più che mettermi sulla difensiva, attaccavo.

Guido si schiarì la voce, premette il pulsante di accensione così il caffè cominciò a filtrare, poi spiegò: "Avevi dimenticato le chiavi di casa e Chiara non era ancora rientrata. Ti avrei anche lasciata sul pianerottolo, ma hai cominciato a cantare Fai rumore a squarciagola e non mi è sembrata una buona idea"

Abbassai le palpebre per qualche secondo mentre frammenti di quella canzone mi risuonavano nelle orecchie, non ero particolarmente intonata, quindi potevo immaginare lo strazio.

"Grazie" ribattei con un misto di vera gratitudine e ironia.

"In un modo o nell'altro" disse il ragazzo, girandosi verso di me con un'espressione divertita sul volto "fai sempre rumore"

"Guarda che ricomincio a cantare" lo avvertii, percependo un lampo di spavento nelle sue pupille mentre si avvicinava al tavolo con due tazze di caffè in mano.

"Bevi" mi ammonì, prendendo posto sulla sedia di fronte a me.

Feci quanto mi era stato ordinato e per un po' restammo in silenzio, sorseggiando quel liquido scuro, ma improvvisamente lo sguardo di Guido si fece più serio e in un soffio annunciò: "Dobbiamo parlare"

Per poco non mi strozzai mentre assumevo un'espressione sorpresa e anche un po' spaventata, il primo pensiero fu che avessi combinato qualche disastro del quale non mi ero ancora ricordata, così mi limitai a chiedere: "Di cosa?"

La mia voce apparve meno sicura di quanto avessi voluto, ma Guido non sembrò farci caso, inclinò un po' la testa e replicò: "Di noi due" 

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