36 - Come il tostapane
Nella mente il ricordo sfuocato di un passato lontano, una me stessa bambina che correva verso il salotto, con un pezzo di carta fieramente stretto tra le mani.
"Papà" esclamai raggiungendolo sul divano e mostrandogli un sorriso euforico "ho preso dieci nel compito in classe"
Allungai le braccia, esibendo con orgoglio il mio tema scritto in un corsivo traballante, ma lui si limitò a dargli una rapida occhiata, per poi tornare a fissare lo schermo del cellulare.
"Brava, Victoria" disse con tono piatto, ma io non mi lasciai demoralizzare e continuai entusiasta: "Sono stata la più brava della classe"
"Ah sì?" replicò lui, digitando veloce con le dita sul display davanti a lui ma, quando si rese conto che lo stavo fissando in attesa, infilò una mano nella tasca e prese una banconota da dieci euro, porgendomela: "Tieni, un premio"
La presi confusa, non erano i soldi che volevo, solamente qualche complimento, ma papà non era riuscito a capirlo, o semplicemente non gli importava.
Provai a essere più chiara, allungai il collo verso di lui per permettere alla mia voce di giungere chiaramente fino al suo orecchio e dichiarai: "La maestra ha detto che..."
Ma le mie parole furono sovrastate da quelle di papà che rispose a una chiamata e si alzò dal divano, allontanandosi nella stanza adiacente e lasciandomi sola con il mio mistero pezzo di carta.
Abbassai la testa sconsolata e fissai le parole nere che si susseguivano una dopo l'altra, ci avevo messo tanto impegno per scriverle.
"Victoria" la voce di mamma mi ridestò dalla tristezza e mi rianimai, correndo verso l'ingresso dove lei mi stava aspettando con il cappotto addosso.
"Mamma, guarda" esclamai, sventolando il compito, mentre lei mi raggiungeva con la mia giacca tra le mani.
"Metti questo" ordinò con poca pazienza, infilandomi le maniche su per le braccia "dobbiamo andare"
"Mamma" ripetei con un sorriso "oggi ho preso dieci al compito in classe"
"Brava, ma sbrigati che abbiamo appuntamento dalla sarta per il vestito della cena di domani stasera" replicò lei, allacciandomi i bottoni fin sul collo e afferrandomi la mano per condurmi fuori dalla porta.
"Ma..." provai a ribattere, nonostante lei non mi stesse prestando la minima attenzione, anzi marciò verso l'uscita e mi costrinse a seguirla, facendomi perdere la presa sul mio tema.
Mentre venivo trascinata via, mi voltai indietro e vidi il foglio ondeggiare con delicatezza nell'aria e poi depositarsi sul pavimento, solo e indifeso.
La maestra ci aveva detto di scrivere qualcosa che riguardasse il nostro sogno nel cassetto e io avevo riempito quel pezzo di carta con parole che nel tempo sarebbero diventare prive di significato: il mio sogno nel cassetto è avere l'amore dei miei genitori.
Forse da qualche parte c'era questo amore, ma non l'avevo mai percepito e mi ero sempre sentita come quel foglio sul pavimento: sola e indifesa.
Perciò avevo imparato a difendermi e amarmi senza bisogno di niente e nessuno.
Mi svegliai, aprendo gli occhi lentamente, la luce chiara del giorno che entrava dalla finestra illuminava la stanza, ma io vedevo il soffitto comunque sfuocato. Mi portai una mano sulla guancia e rimasi perplessa: stavo... piangendo?
Sentii il rumore della porta di camera mia che si apriva, così mi sollevai a sedere per vedere chi fosse e il viso rugoso della signora Lina apparve nel mio capo visivo.
"Oh, Victoria" esclamò con un sospiro sollevato "ti sei svegliata. Come ti senti?"
Si avvicinò al letto e mi poggiò una mano sulla fronte, valutando la mia temperatura corporea.
"Credo bene" mormorai ancora frastornata, cercando di asciugarmi il volto senza renderlo troppo ovvio.
"La febbre è scesa" dichiarò l'anziana, allargando le sue labbra in un sorriso "per fortuna!"
Annuii senza aggiungere altro, ma poi mi guardai intorno e notai che sul comodino c'era una bacinella d'acqua con delle pezze, un termometro e delle medicine.
Sollevai lo sguardo sul viso di Lina e domandai sorpresa: "Quanto ho dormito?"
"Una notte e quasi un giorno intero" replicò lei, iniziando a sistemare un po' gli oggetti che aveva usato per curarmi.
"Sei stata qua tutto il tempo?" chiesi colpita, osservandola con riconoscenza.
"Certo" rispose lei senza scomporsi, come se fosse una cosa naturale.
"Grazie" mormorai, portandomi un ciuffo di capelli arruffati dietro l'orecchio.
"Non preoccuparti, cara" continuò lei, afferrando la bacinella e sollevandola dal comodino per portarla via "puoi ringraziami meglio domani a pranzo"
Cosa?
Aggrottai le sopracciglia e la fissai confusa, cosa accidenti dovevo fare?
"Il pranzo di natale" specificò la signora Lina, con un sorriso compiaciuto sul volto "ieri sera hai detto che sei sola"
Sollevai gli occhi verso l'alto pensierosa, non ricordavo assolutamente nulla della sera precedente, probabilmente avevo pure delirato e lei si fidava delle parole di una persona in preda alla febbre?
"Non ricordo di..." iniziai a dire, ma lei non mi lasciò finire e continuò: "Abbiamo concordato che verrai da me per pranzo, per ringraziami puoi venire prima e aiutarmi a cucinare"
La fissai sconvolta, come potevo aver dimenticato un'intera conversazione?
"Bene" concluse la donna, avviandosi verso la porta con passo svelto "allora ci vediamo domani, cara"
Prima di chiudere però, intravidi la sua espressione e notai un sorriso furbo stampato sulla sua faccia... un dubbio si fece largo nella mia mente ancora annebbiata: mi aveva forse raggirato?
***
Il giorno seguente, nonostante il sospetto sempre più concreto che la signora Lina si fosse inventata un accordo che in realtà non c'era stato, mi preparai per il pranzo insieme a lei.
Sicuramente avevo detto qualcosa in quel delirio di incubi e ricordi, altrimenti non avrebbe mai saputo che mi ritrovavo senza nessuno il giorno di natale, ma nonostante questo, pensai che passarlo insieme a lei non era poi così drammatico.
Anzi mi sembrava quasi piacevole, si era presa cura di me e mi era stata vicina quando neanche mia madre era riuscita a farlo. E poi mi piaceva battibeccare con lei, anche se non volevo darlo a vedere.
Legai i capelli in una treccia morbida che mi ricadeva sulla spalla, truccai leggermente il viso per nascondere i segni del malessere appena passato e indossai un vestito rosso a maniche lunghe, stretto in vita ma con la gonna più larga.
Non era un evento speciale, ma era pur sempre natale e ci tenevo a essere bella anche se l'unica mia spettatrice sarebbe stata quella vecchia signora. Infilai ai piedi un paio di stivaletti neri e poi uscii di casa, inforcando le scale per raggiungere il pianerottolo del secondo piano.
La signora Lina venne ad aprire la porta non appena suonai e mi accolse con un sorriso allegro, sembrava quasi sorpresa di vedermi davvero davanti a lei, ma notai anche una genuina gioia.
Forse non ero l'unica che si sentiva sola in quell'appartamento.
"Ti avverto" esordii, avviandomi verso la cucina "non sono capace di cucinare nulla"
"Lo so bene" ribatté lei seguendomi davanti ai fornelli.
"Cosa vorrebbe dire?" replicai ferita nell'orgoglio, l'avevo già detto io che non ero capace, non serviva rimarcarlo.
"Quando ti ho chiesto di farmi il tè, hai fatto evaporare tutta l'acqua" dichiarò la signora, aprendo il frigorifero per prendere degli ingredienti.
"È stata colpa del tuo bollitore. Evidentemente è rotto" mi difesi, afferrando le verdure che Lina mi stava passando.
"Il bollitore funziona benissimo. Come il tostapane" si premurò di sottolineare lei, cercando una pentola da mettere sul fuoco.
"Quella volta il pane si è bruciato perché mi avevi dato troppe cose da fare!"
"E la volta della torta di mele?"
"Credevo di aver spento il forno, è stata solo una svista" mi giustificai, rifilando alla signora un'occhiataccia.
"E quando..." riattaccò lei, allora provai a sviare quel discorso che mi rendeva un vero disastro e chiesi: "Cosa prepariamo oggi?"
La signora Lina si stava destreggiando tra pentole e verdure, ma trovò comunque il modo per rispondere velatamente: "Cerchiamo di cucinare un buon arrosto con le patate"
Assunsi un'espressine irritata, non mi era sfuggita la frecciatina sulle mie dubbie capacità di portare a termine un pasto, ma decisi di lasciar perdere qualsiasi risposta e le consessi questa vittoria.
Era pur sempre natale.
"Spela le patate intanto" mi ordinò lei, piazzandomi in mano un coltello e un tagliere.
"Come si fa per..." provai a dire, ma il suono del campanello mi interruppe. Mi voltai verso la porta perplessa e poi chiesi alla signora Lina: "Chi è?"
Lei mi ignorò totalmente e si pulì le mani nel grembiule, avviandosi verso la porta mentre diceva: "Oh, eccolo finalmente"
Eccolo...chi?
Lina aprì la porta e Guido apparve, fermo sul pianerottolo con un paio di pantaloni scuri e una camicia bianca che gli metteva in risalto le spalle larghe e i capelli ancora più scuri.
"Buon natale" disse rivolto alla signora Lina, mostrandole poi una bottiglia di vino che teneva tra le mani.
"Che pensiero carino, caro" esclamò lei, spostandosi di lato per invitarlo a entrare nell'appartamento.
"Grazie per l'invito" replicò lui, muovendosi all'interno della casa e facendo vagare lo sguardo intorno a sé.
Io ero ancora ferma in mezzo alla cucina, una patata stretta nella mano e gli occhi spalancati per la sorpresa: cosa accidenti ci faceva qua lui?!
Guido avanzò ancora di qualche passo e infine posò i suoi occhi su di me, inclinò leggermente la testa di lato e, con un sorriso troppo sexy, disse: "Ciao, Vic"
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