23 - Castello d'aria
Ero sdraiata sul letto con il pigiama di seta addosso, uno dei tanti capi che appartenevano alla mia vecchia vita e che mi ostinavo a indossare nonostante non rispecchiassero più la mia condizione, quando iniziai a sentire dei colpi provenire dall'interno dell'appartamento.
Corrugai le sopracciglia e tesi l'orecchio, ma percepii solo silenzio, così guardai l'ora sul cellulare e, dopo aver constatato che era quasi mezzanotte, decisi di mettermi a dormire.
Non appena spensi la luce, ricominciai a sentire quei colpi, ma stavolta decisamente più forti e ripetitivi.
Ma che diavolo...?
Quando ad essi si unirono dei sospiri di piacere fin troppo chiari, mi resi conto di quello che stava succedendo. Spalancai gli occhi irritata e mi portai entrambe le mani sulle orecchie.
Non lo sapevano che potevo sentirli? Capivo che non si vedevano da tanto, ma insomma... un po' di contegno! Potevano anche fare l'amore in discreto silenzio. Potevano almeno provarci!
Nonostante i miei sforzi per non ascoltare, la voce di Chiara si fece sempre più forte, tanto che mi misi a sedere sul letto con una smorfia sul viso e mi guardai intorno per la stanza alla ricerca di una soluzione.
Ma stavano girando un porno in quella stanza?
Alla fine, esasperata, infilai le ciabatte rosa, afferrai un capotto scuro sopra il pigiama e scappai dall'appartamento, rifugiandomi sul pianerottolo.
Mi misi seduta con la schiena contro il muro, esattamente tra una porta e l'altra, con le scale di fronte e sbuffai. Almeno qua non si sentivano... quasi.
Guardai ancora una volta il cellulare e decisi che avrei concesso loro un'ora, poi sarei tornata in camera mia in qualsiasi caso.
Feci scorrere un po' la home di instagram, ma tutto ciò che vedevo, riguardava la mia vecchia vita e mi faceva solamente innervosire, non c'era un viso amico tra quelle persone che sorridevano falsamente alla telecamera. Nessuno che frequentavo si era più fatto sentire, nessuno mi aveva chiesto come stessi o che fine avessi fatto. Non che mi aspettassi diversamente, ero certa che fossero tutti pronti a sparlare di quanto mi era successo.
Riposi il cellulare in tasca e abbandonai la testa sulla parete dietro di me. Quanto ci metteva a passare un'ora?
Proprio mentre pensavo a un modo per ammazzare il tempo, sentii dei passi sulle scale e poco alla volta apparve davanti a me una figura conosciuta.
Prima i capelli scuri leggermente scompigliati, poi quegli occhi neri che apparivano un po' stanchi, le sopracciglia marcate, la mascella squadrata, il naso dritto e le sue labbra carnose. Indossava un maglione grigio, dal quale spuntava un po' di stoffa nera della maglietta e un paio di jeans a sigaretta, mentre ai piedi aveva le solite scarpe da ginnastica bianche.
Quando mi vide, seduta sul pavimento freddo con il pigiama rosa che sbucava dal capotto scuro, corrugò le sopracciglia e disse: "Cosa ci fai qua?"
Ci misi qualche secondo a rispondere, anche se non era una domanda così difficile, la sue presenza mi mandava sempre in cortocircuito.
"I muri sono fatti di cartone" commentai poi, distogliendo lo sguardo da lui.
Guido lanciò un'occhiata alla mia porta e proprio in quel momento si sentì un verso di piacere attutito, che fece sorgere un sorriso divertito sulle labbra del ragazzo.
"Hai appena finito di lavorare?" chiesi per stemperare l'imbarazzo che quella situazione stava creando.
Guido si limitò ad annuire e fece qualche passo verso la sua porta, ma anziché porsi davanti a essa per entrare, si chinò, poggiò una mano sul pavimento vicino a me e si sedette di fianco, abbandonando la schiena contro al muro e lasciando le gambe lunghe leggermente piegate davanti a sé.
"Cosa fai?" gli domandai d'istinto, girando la testa verso di lui.
"Ti faccio compagnia" rispose lui semplicemente, stendendo un braccio verso il suo ginocchio e abbandonandolo su di esso.
"Non sei stanco?" continuai, non riuscendo a capire se ero a disagio o piacevolmente sorpresa da questo suo gesto.
"No" sentenziò lui, guardandomi di traverso con un mezzo sorriso sulle labbra.
La sua voce, così vicina al mio orecchio, mi faceva sentire strana, non avevo mai provato tante emozioni diverse semplicemente stando seduta vicino a un ragazzo.
Feci scorrere lo sguardo sulla sua mano dalle dita lunghe e affusolate, poi le sue braccia muscolose e infine il suo viso...
Scossi leggermente la testa e cercai di scacciare qualsiasi pensiero vi fosse emerso.
Autocontrollo, Victoria. Autocontrollo!
Portai una mano sul pavimento, vicino al mio fianco, per darmi sostegno, ma sentii qualcosa sotto al palmo. Abbassai la testa e vidi che avevo toccato un tesserino magnetico, così curiosa, lo sollevai.
Era dell'ospedale vicino e riportava i dati di Guido, nome, cognome, mansione. Di fianco c'era una sua foto con il viso serio e il camice verde.
"Hai perso questo" mormorai, sventolandogli il tesserino davanti al volto. Lui lo prese delicatamente dalla mia mano e lo ripose nella tasca dei pantaloni senza dire nulla.
Forse era il fatto di essere seduta vicini sul pianerottolo, forse era la strana atmosfera che mi sembrava di percepire, forse ero io che stavo impazzendo, ma pensai di voler sapere qualcosa di più su di lui, così mi ritrovai a chiedergli: "Come mai hai scelto di fare l'infermiere?"
Sentii i muscoli delle sue spalle irrigidirsi un po' e vidi la sua mandibola contrarsi, forse avevo fatto la domanda sbagliata e quasi mi aspettai che non rispondesse o che cambiasse argomento.
Invece fece un piccolo sospiro e disse: "Quando ero al liceo, mia madre si ammalò. Passai gli ultimi anni prima dell'università a prendermi cura di lei, ma alla fine non riuscii ad aiutarla come avrei voluto"
Provai una stretta al cuore, io che non avevo mai avuto compassione per nessuno, io che non permettevo nemmeno a me stessa di stare male.
Rimasi con gli occhi su di lui, un'espressione di empatia dipinta sul mio volto, un'espressione così estranea...
Guido tenne lo sguardo fisso davanti a sé, impassibile come sempre, ma si capiva dal suo corpo in tensione che non era un argomento di cui parlava facilmente.
"Quando ho dovuto scegliere che facoltà frequentare, avrei voluto fare medicina" spiegò ancora, lasciandosi sfuggire un sospiro "ma costava troppo, così ho optato per infermieristica. Posso aiutare qualcuno in ogni caso"
Tornai a guardare le scale di fronte a me e improvvisamente realizzai che avevo passato buona parte della mia vita con tanti soldi da spendere, ma non avevo mai pensato di utilizzarli per qualcosa di altruista, mentre Guido non aveva mai avuto molto, ma si era impegnato per metterlo a disposizione delle persone.
Eravamo opposti, eravamo così distanti, allora perché si creava sempre una connessione tanto stretta tra noi?
"Mi dispiace per tua madre" sussurrai, guardandomi le mani che avevo portato in grembo.
"Grazie" rispose Guido in un soffio, poi si schiarì la voce e cambiò argomento: "E te, invece, come sei finita in questo posto?"
Sollevai la testa verso di lui, indecisa se raccontargli tutto o farfugliare qualcosa di generico, ma quando incontrai i suoi occhi, sentii di voler essere onesta.
Così raccontai di mio padre che aveva pensato solo al lavoro per tutta la vita ma aveva finito per combinare comunque un gran casino, parlai di mia madre che mi impartiva degli insegnamenti che poi nemmeno lei era in grado di seguire e infine spiegai come il mondo nel quale vivevo fosse solamente un grande castello d'aria.
Che era finito per crollarmi addosso.
"Forse" disse Guido una volta finito il mio sfogo "è una fortuna che tu sia capitata qua" le sue labbra formarono un lieve sorriso, dopodiché tornò a guardare dritto, piegando leggermente la testa di lato.
Quella sue parole, sussurrate con voce un po' roca, fecero aumentare i battiti del mio cuore.
Una... fortuna?
Restammo in silenzio qualche minuto, ero ancora provata da quella situazione, era come se non fossi nemmeno io quella persona seduta su quel pianerottolo, avevo pensieri nuovi, provavo emozioni strane...
Ad un tratto, quasi senza alcun rumore, percepii un piccolo movimento di fianco a me e, poco dopo, sentii un peso sulla spalla sinistra.
Voltai leggermente la testa in quella direzione e avvertii i capelli di Guido solleticarmi il naso, emanavano un profumo delicato, come di gelsomino.
Rimasi immobile, ascoltando il suo respiro regolare e osservando il suo petto che si alzava e abbassava ritmicamente: si era addormentato... su di me.
Mi sporsi poco in avanti e riuscii a scorgere il profilo del suo viso, studiandolo con attenzione, rapita da quei tratti mascolini. Poi, senza alcun controllo da parte della mia mente, sollevai un braccio e portai una mano vicino alla sua faccia.
Lentamente distesi il dito indice e lo avvicinai alle sue labbra socchiuse... sempre più vicino... più vicino... vicino...
Guido mosse un muscolo della spalla nel sonno e io mi immobilizzai all'istante, riprendendomi da quella trance nella quale ero caduta. Allontanai di scatto la mano e corrugai le sopracciglia.
Che diavolo stavo combinando?!
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