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14 - Lo sanno tutti


Qualche sera dopo stavo rientrando dopo aver consumato un panino al prosciutto mentre stavo prendendo alcune cose che mi mancavano al supermercato.

Avevo appena varcato il portone d'ingresso quando il mio cellulare cominciò a suonare e sullo schermo comparve il nome dell'ultima persona che mi sarei aspettata di leggere: mia madre.

"Pronto" risposi con tono già nervoso, avanzando nell'atrio per raggiungere le scale.

"Victoria?" chiese lei con voce un po' frastornata, probabilmente a causa degli antidepressivi che si stava prendendo in questi giorni, più del solito sicuramente.

"Chi altro dovrebbe essere?" replicai più bruscamente di quanto avrei voluto.

Non avevo mai avuto un buon rapporto con i miei genitori, vivevamo in una casa tanto grande e bella, ma così vuota e fredda. Mio padre era sempre al lavoro e sapevo con sicurezza che aveva avuto più di un'amante, per questo non passava mai tanto tempo con noi, e cercava di farsi perdonare queste mancanze riempiendoci di regali costosi. Dopo le delusioni iniziali, avevo cominciato a ignorare questo suo comportamento e mi limitavo ad apprezzare i vestiti e le borse che portava a casa.

Mia madre era a conoscenza delle sue bravate, e come poteva non esserlo, era piuttosto palese, ma non aveva mai voluto ufficializzare una separazione che di fatto, in casa, già esisteva.

"L'apparenza, Victoria, è tutto nella nostra società" ripeteva sempre, le rare volte che avevo provato a capirci qualcosa sulla nostra scombinata famiglia. Lei passava le sue giornate tra incontri ai vari club ai quali era iscritta, shopping sfrenato con la carta illimitata, palestra e trattamenti di bellezza.

Inutile dire che mi aveva cresciuto un numero indefinito di tate, le quali non resistevano mai ai metodi autoritari di mia madre e finivano per licenziarsi prima ancora che potessi affezionarmi a loro.

Però non era stata un'infanzia triste, avevo sempre avuto tutto quello che desideravo, bastava capire che non aveva senso provare sentimenti per le persone, c'erano già tanti oggetti intorno a me ai quali riservare il mio cuore.

"Non ti sei più fatta sentire" sentenziò lei.

"Avevo da fare" dissi, salendo la prima rampa di scale.

"Cosa potrai mai fare senza un soldo?"

"Ho un lavoro" tagliai corto raggiungendo il pianerottolo del primo piano, quello dove abitava la coppia strana che avevo conosciuto alla riunione di condomino.

"Oh Victoria" esclamò lei come se fosse stata una disgrazia più che una benedizione "smettila di perdere tempo e raggiungimi, qua in campagna non ci conosce nessuno e..."

"Non voglio vivere in campagna, lo sai" risposi alzando un po' il tono per il nervoso mente percorrevo la rampa di scale successiva.

"Sentiamo" disse lei con voce contrariata "che lavoro avresti mai trovato te?"

Ero abituata a non essere elogiata da mia madre, se non per il taglio di capelli o i vestiti che indossavo, mai per le mie capacità, in fondo lei era così, una donna superficiale. Ma ci stavo mettendo così tanto impegno per rialzarmi da sola, che questa volta non riuscii ad accettare il suo atteggiamento.

La rabbia si fece spazio dentro di me e raggiunse la mia bocca prima ancora di capire quello che stavo dicendo, altrimenti non avrei mai ammesso davanti a lei una cosa del genere: "La cameriera!"

"Cosa?!" la sua replica arrivò fin troppo forte nelle mie orecchie. Potevo immaginarmela con il viso rosso per la vergogna e gli occhi gonfi per il tanto piangere. Lei che mi aveva insegnato a tenere tutte le emozioni sotto chiave, non era mai stata in grado di controllare davvero se stessa, ma era sempre stata eccezionale nel nasconderlo all'intera società.

Cercai di evitare qualsiasi replica, stavo attraversando il pianerottolo del secondo piano e non volevo certo raccontare la mia vita a tutto il palazzo.

"Se qualcuno dovesse vederti, cosa penserebbe la gente" continuò lei furiosa "stiamo andando a fondo, perché vuoi farci annegare del tutto?"

Io stavo facendo annegare la famiglia? Questa poi era assurda persino per lei. Senza più alcuna remora, dimenticandomi persino dove mi trovavo, gridai rivolta al telefono: "Siamo già sul fondo, quando vorrai capirlo! Papà ha fatto bancarotta, era su tutti i giornali"

Dall'altro lato del cellulare sentii lei dire qualcosa, ma ero così arrabbiata che non mi fermai nemmeno per ascoltarla e, come le mie parole, anche i miei piedi erano inesorabili.

Presto imboccai l'ultima rampa di scale e la percorsi con movimenti furiosi mentre ripetevo a voce alta: "Lo sanno già tutti, mamma" arrivai al mio pianerottolo con gli occhi puntati sul pavimento e il respiro affannoso mentre ripetevo un'ultima volta con foga: "Lo sanno già tutti"

Riattaccai senza ascoltare altro e mi resi conto che avevo avuto una specie di attacco isterico, con la sua semplice voce, quella donna tirava fuori il peggio di me anche da chilometri di distanza.

Riponendo il cellulare nella tasca sollevai gli occhi e rimasi spiazzata: Guido era in piedi di fronte a me, la mano sulla maniglia della porta di casa sua e diversi sacchi dell'immondizia davanti ai piedi.

Sul suo volto era dipinta un'espressione sconcertata ma anche un po' colpevole, sapeva di essersi trovato in mezzo a un momento imbarazzante e io sapevo di aver gridato come una matta davanti a lui, ancora una volta.

Trovai in qualche modo il coraggio di ricompormi e assumere un atteggiamento sicuro prima di chiedere: "Hai sentito tutto?"

Lui si portò una mano dietro al collo, in segno di disagio, poi rispose: "No"

Assottigliai gli occhi, per nulla convinta: "Bugiardo"

Guido strinse le labbra e curvò leggermente le spalle, come a volersi rifugiare da qualche parte, nonostante la sua alta statura.

"So solo che tutti sanno qualcosa" replicò infine, accennando un lieve sorriso per alleggerire l'atmosfera.

Lo osservai incerta ancora qualche secondo, poi mi convinsi che stava dicendo il vero e finii per sospirare stancamente prima di avviarmi verso la porta di casa mia.

Stavo ancora cercando le chiavi quando tornai a sentire la voce di Guido: "Victoria"

Il mio nome pronunciato da quella voce profonda produsse un lieve fremito nel mio corpo. Mi voltai verso di lui con aria interrogativa e notai che aveva tra le mani due sacchi, me ne rimanevano altri due sul pavimento.

"Forse non è un buon momento" continuò poi "ma potresti darmi una mano?"

Lo guardai di sottecchi incredula, voleva davvero che rifacessi tutte le rampe di scale solamente per buttare la sua spazzatura?

"Io non..." iniziai a dire, ma quando gli occhi mi caddero sullo zerbino sotto ai miei piedi, mi ricordai della spesa che lui aveva comprato per me e mi sentii sua debitrice.

Per questa volta potevo anche fare lo sforzo di aiutarlo, tutto sommato, così poggiai la mia busta di plastica vicino alla porta.

"Va bene" acconsentii infine, afferrando i due sacchi e seguendolo giù per le scale.

Non parlammo fino a quando lui non depositò tutta la sua spazzatura nell'apposito spazio, ma proprio mentre stava socchiudendo la porta dello stanza, disse con tono serio: "Grazie, non volevo rischiare di restare chiuso dentro"

Lo guardai allibita, mi stava prendendo in giro in maniera così spudorata!

"Senti" risposi con tono deciso "non è normale che una porta non si apra. Insomma è stata inventata per questo!"

Guido si voltò verso di me con un sorriso trattenuto sulle labbra, mentre io avevo un'espressione irritata, gli sembrava il momento di trattarmi così?

"Credo che tu abbia ragione" si giustificò lui portando le mani davanti a sé in segno di resa e tornando serio "andrebbe cambiata"

Assunsi un'espressione allucinata, gli occhi leggermente aperti per lo stupore... quanto era sfornato! Era esattamente quello che avevo proposto alla riunione e nessuno, dico nessuno, mi aveva dato ascolto.

La mia faccia doveva essere molto comica perché notai che Guido stava cercando nuovamente di trattenere un sorriso divertito, così lo fulminai con gli occhi e sentenziai: "Proponilo alla prossima riunione allora"

Feci per voltarmi e tornare alle scale, ma ciò che uscì dalla bocca del ragazzo mi bloccò: "È vero, qualcuno dovrebbe parlarne"

Tornai sui miei passi e arrivai a poca distanza da lui, con i pugni stretti dichiarai: "Io ne avevo parlato, se solo qualcuno mi avesse dato retta, in questo stupido palazzo non c'è niente che funzioni e nessuno vuole riconoscere che i problemi..."

Ero partita a macchinetta, ma che diavolo di guasto aveva il mio autocontrollo da quando mi ero trasferita qua? Dov'era il manuale di riparazione?!

Guido allargò il suo sorriso e ciò mi fece irritare maggiormente, mentre continuavo a insultare il posto nel quale ci trovavamo e improvvisamente, senza nessuna ragione logica, propose: "Prendiamo un gelato"

Mi zittii a metà di una frase, perplessa: "Un gelato?"

Lui annuì convinto e ripete: "Sì, un gelato, ti va?" 


E a voi... va? Se riceverò abbastanza risposte positive, potrei anche decidere di pubblicare un altro capitolo dopo cena! 

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