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11 - Debole


Copiose lacrime cadevano lungo le mie guance rosa, il viso affondando nel cuscino, le mani strette intorno alla stoffa. Qualcuno bussò alla porta e poco dopo una signora vestita da cameriera entrò nella grande stanza. Si avvicinò al letto a baldacchino con passo leggero e si sedette sul bordo, di fianco al mio piccolo corpo che non ne occupava nemmeno un terzo.

"Tesoro" mormorò con voce dolce, accarezzandomi la schiena.

"Non c'è più" mormorai tra un singhiozzo e l'altro "Toby è..." mi bloccai con le parole incastrate in gola e poi, con voce tremante conclusi "...morto"

"Lo so, Vicky" la signora continuò ad accarezzarmi la schiena mentre ripeteva "mi dispiace"

Avevo sempre desiderato un cane e Toby era diventato il mio migliore amico da quando mi era stato regalato all'età di quattro anni. Eravamo stati sempre insieme, lui sapeva quando non stavo bene e si sdraiava in fondo al mio letto per darmi conforto. Quando tornavo da scuola era lì ad accogliermi con la coda scodinzolante e quando venivo sgridata, mi leccava le mani per farmi stare meglio.

Mi mancava. Mi mancava tremendamente e, per una bambina di dieci anni, accettare la morte del suo migliore amico era troppo doloroso.

"Victoria" la voce tuonante di mia madre mi fece sobbalzare e la cameriera ritrasse immediatamente la mano e si alzò dal letto di scatto mentre la porta della mia stanza si apriva.

Sulla soglia c'era una donna con i capelli scuri raccolti in uno chignon ordinato e il viso severo ma perfettamente truccato. Indossava un completo rosa di Gucci formato da gonna e giacca, le calze velate e un paio di tacchi eleganti.

"Stai ancora piangendo?" domandò scocciata, fulminando con lo sguardo la cameriera che colse al volo la situazione e, dopo aver accennato un piccolo inchino con la testa, mi rivolse un ultimo sguardo preoccupato e poi raggiunse la porta, scomparendo.

"Mamma..." sussurrai tra un singhiozzo e l'altro, sollevando la testa verso di lei. La sua espressione non cambiò in meglio, anzi sembrava sempre più arrabbiata e non riuscivo a capirne il motivo.

"Smettila di piangere" mi disse con tono deciso, avvicinandosi al bordo del letto e facendo ticchettare le scarpe sul pavimento di legno.

"Toby è..." provai a dire ma non riuscii a finire la frase, era doloroso ripeterlo. Accettarlo nuovamente.

"Lo so" tagliò corto la donna, incrociando le braccia al petto e facendo un sospiro profondo.

Tornai ad affondare la testa nel cuscino, ma poco dopo sentii il materasso piegarsi sotto al peso di un corpo che prendeva posto di fianco a me. Mia madre si era seduta dove prima si trovava la cameriera e mi aveva poggiato una mano sulla spalla. 

Non era un gesto che mi sarei aspettata da lei, nonostante la mia giovane età, avevo imparato a conoscerla e lei non si scomponeva mai. Sembrava fatta di ghiaccio, mi diceva sempre che di fronte alle persone non bisogna mai mostrarsi, rendersi vulnerabili. Mi ripeteva che, se dovevo crollare, era meglio farlo di nascosto, da sola, senza farlo vedere a nessuno. Solo io dovevo conoscere le mie debolezze.

Solo io.

In quel momento stavo andando contro tutti i suoi insegnamenti e improvvisamente capii perché era arrabbiata.

"Scusa" mi ritrovai a dire, sempre scossa dai singhiozzi, oltre al dolore provavo il senso di colpa per averla delusa.

"Victoria" esordì lei "prima capisci di dover gestire le tue emozioni, prima impari a non farti del male" mentre parlava continuava a tenere la mano sulla mia spalla, ma era un gesto così inusuale per lei che non riusciva a trasmettermi nessun conforto.

"Gli animali, le persone..." riprese a dire "i rapporto in generale" la sua voce era sempre dura e decisa, ma quando sollevai la testa per guardarla negli occhi, vi trovai un espressione strana "non devi farti controllare da loro, devi essere te a farlo. Devi avere il pieno controllo di te stessa, sempre"

Non riuscivo a capire cosa intendesse dire con queste parole, però mi sforzai di farlo, anche solo per trovare una maniera di stare meglio.

"Così non starò più male?" domandai ingenuamente, troppo scossa da quel dolore che nessuno mi aveva insegnato ad affrontare.

"Certo" mormorò mia madre, spostando la mano dalla spalla ai miei capelli "starai sempre bene. Non lasciare che gli altri ti vedano fragile. Non permettere nemmeno a te stessa di esserlo. Mostrati forte, sempre"

"Come?" chiesi tremante, cercando di bloccare le lacrime che non la smettevano di scendere.

Lei sembrò pensierosa per qualche secondo, poi l'espressione nei suoi occhi mutò e il suo viso si fece impassibile come sempre. Si alzò con un movimento rapido, ma rimase ferma vicino al letto, osservandomi.

"Smettila di piangere" mi ordinò senza nessuna compassione "è segno di debolezza" inchiodò i suoi occhi nei miei e il suo sguardo era tanto severo che, senza che me ne rendessi conto, smisi di piangere.

Non ero debole, non ero debole, non ero debole...

Mi svegliai di colpo nella mia stanzetta angusta, il soffitto azzurro sopra di me, i muri troppo stretti intorno. Il cuore mi batteva forte mentre nella testa avevo quel ricordo lontano e il nome di Toby che portava ancora dolore. Avevo le guance bagnate ma non stavo più piangendo.

Maledizione, che cosa stupida piangere per un ricordo passato!

Mi alzai con rabbia e vidi sul cellulare che erano le sei del mattino, andai in bagno e mi sciacquai la faccia con l'acqua gelida, poi poggiai entrambe le mani ai lati del lavandino e sollevai il viso gocciolante verso lo specchio.

Il riflesso che vi trovai mostrava una ragazza sicura di sé, i capelli scuri lunghi che cadeva arruffati intorno al viso, gli zigomi alti e il naso dritto, le labbra carnose semiaperte e gli occhi... occhi azzurri come il soffitto della stanza, occhi di ghiaccio, occhi che non lasciavano trapelare alcuna emozioni.

Una lacrima si accumulò all'angolo dell'occhio destro e, senza nessun controllo da parte mia, rotolò lungo la guancia, finendo sul labbro superiore.

Mi portai una mano sul viso e con un movimento nervoso la asciugai poi, sempre fissando quella figura di fronte a me che quasi non riconoscevo, mormorai: "Non sono debole, non sono debole..."

Per scacciare ogni pensiero, decisi di andare a camminare prima del lavoro. L'aria fresca del mattino mi avrebbe aiutato a riprendere il controllo di me stessa, come era sempre stato, come mi era stato insegnato.

Infilai i miei soliti vestiti alla moda, maglione azzurro di Ferragamo, jeans aderenti e stivali neri di Miu Miu, cappotto dello stesso colore di Prada e borsa azzurra di Valentino. Legai i capelli in una coda di cavallo alta e mi passai un filo di trucco sul viso per non mostrare i segni del sonno agitato.

Camminai per il marciapiede a testa alta, osservando i negozi squallidi che popolavano il quartiere, nessuno con un capo decente in vetrina, ma che in quella situazione non mi sarei potuta permettere comunque.

Sospirai affranta, non era facile controllare le mie emozioni da quando era successo l'irreparabile, ma tutto sommato mi sembrava di cavarmela abbastanza bene. A parte qualche scatto di ira, ma era sempre meglio la rabbia al pianto. Anche se qualcuno mi aveva vista versare le lacrime e questo era un errore imperdonabile, un momento di debolezza che non doveva ripetersi più.

Ero sempre riuscita a chiudere tutto quanto dentro di me, senza far trapelare alcuna emozione, solamente la rabbia non riuscivo a gestire. Ultimamente però anche gli altri sentimenti stavano diventano un problema.

Vagai per quelle strade desolate con il cielo ancora buio che cominciava a rischiarasi piano piano, quando improvvisamente, guardandomi intorno non riconobbi nessun palazzo.

Dove accidenti ero finita?

Imboccai un paio di vicoli che sembravano familiari ma in quel posto di merda sembrava tutto uguale, quindi finii per perdere l'orientamento ancora di più.

Mi fermai tra due edifici alti e un po' tanto vicini tra loro e cercai di rifare il percorso mentalmente, ma pareva non funzionare, così feci per prendere il cellulare, quando una voce biasciante mi immobilizzò: "Ehi, ragazzina, bella la tua borsa"

Voltai lentamente la testa con mille campanelli d'allarme che suonavano al suo interno e notai due uomini che si stavano avvicinando a me dalla strada, uno traballante e probabilmente ubriaco, l'altro con una sigaretta in bocca e l'aria tranquilla.

Istintivamente strinsi a me la borsa e vagai con lo sguardo intorno, se continuavo per quella strada, potevo finire in un vicino cieco isolato e non era una grande idea, ma per tornare indietro dovevo passare tra di loro e, anche questa, non mi sembrava una buona idea.

Non avrei mai pensato che cose del genere potessero capitare di mattina presto, quella giornata era proprio iniziata male e stava continuando peggio.

"Non essere spaventata, vogliamo solo parlare" disse l'uomo ubriaco con un sorriso sbilenco sul volto, ma nei suoi occhi potevo leggere tutt'altre intenzioni, così indietreggia lentamente mentre lui si avvicinava.

L'altro uomo era in disparte, ma non diceva nulla ne interveniva, sembrava semplicemente divertito dalla situazione e continuava a sputare fumo dalla bocca.

Non era una bella situazione, proprio per niente.

Il destino, alle volte, aveva uno strano modo di mostrarsi. 


Care lettrici, oggi è un giorno speciale essendo il compleanno della mia 친구, così ho deciso di mettere un capitolo extra come regalo! Mi dispiace solamente di non fornire abbastanza vitamina G, ma tranquille, arriverà anche quella!


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