2 - Festa di Fine Anno
-E che la partita... abbia inizio!-
Quelle parole, un rimbombo nella mia testa, il fischio di inizio. La tensione fece spazio all'adrenalina, lo scatto iniziale in avanti rese appena udibile il mio respiro pesante, dovevo mantenere la concentrazione. La mano salda sul manico della mazza da Lacrosse, la mia posizione da attaccante mi obbligava ad aspettare Chase che si stava contendendo la palla con l'avversario, quando finalmente riuscì a prenderla mi sorrise trionfante. Scartai due mediani e notai che Chase era circondato, così con un rapido movimento scagliò la palla in aria verso di me. Fu come se tutto rallentasse, i movimenti circolari della palla sospesa, le grida degli spettatori si fecero più deboli e le gocce di sudore faticavano a scendere. Mi sporsi in avanti e la palla finì esattamente nella rete della mia mazza e, in quell'istante, tornai alla realtà, forse troppo tardi. Un giocatore mi venne addosso scaraventandomi all'indietro, in pochi secondi finii a terra, il dolore venne attutito dalle protezioni che indossavo. Mi rialzai, rosso di rabbia, notando che la squadra avversaria aveva pieno possesso di palla e noi stavamo faticando a riprendercela. Poi un boato, la gente che applaudiva, gli altri esultavano, avevano segnato.
È colpa mia, pensai.
Pochi minuti dopo ero riuscito a prendere la palla, nessuno avrebbe potuto rubarmela ancora. Iniziai a correre con foga, andando contro agli avversari, ignorando le fitte che ciò mi provocava. Chase e Carlos mi coprivano, ero solo davanti alla porta, l'istante in cui lasciai andare la palla vidi il portiere tuffarsi verso destra, segnai in pieno centro.
Stavolta la folla applaudiva me, una sensazione di sollievo mi fece voltare verso di loro. Riuscii a scorgere una ragazza, i lunghi capelli erano raccolti in una coda, anche se le luci dirette verso il campo la mettevano in ombra e dalla lontananza non riuscii a definirne il colore, teneva in mano una fotocamera dalla quale partì un flash che immortalò la mia espressione meravigliata.
I miei compagni di squadra arrivarono in massa coprendomi di conseguenza la visuale, e mi investirono in un caloroso abbraccio, Max per primo.
Al resto della partita seguirono altri due gol avversari, riuscimmo poi a pareggiare dieci minuti prima del fischio finale. Chase prese la palla e, dopo svariati tentativi, segnò, guadagnandosi la vittoria. Giocavamo in casa, i nostri spettatori erano più numerosi e chiassosi, il boato che esplose fu la conferma della nostra vittoria. Sentivo l'adrenalina attenuarsi, il sollievo e la soddisfazione scorrevano nelle mie vene.
La ragazza della foto, invece, aveva abbandonato gli spalti e se n'era andata, lasciandomi un leggero amaro in bocca.
Stavo per avviarmi verso gli spogliatoi quando Max mi fermò e con uno sguardo confuso mi chiese se stessi bene.
- Certo, perché non dovrei? Abbiamo vinto! - Risposi, più a me stesso che a lui.
- È solo che sembri assente e quasi deluso dall'esito della partita, ma forse siamo tutti abbastanza stanchi... -
Di certo non è l'esito della partita a turbarmi. Dovevo conoscere quella ragazza, al più presto, chiunque lei fosse.
La festa di fine anno consisteva in un rinfresco all'aperto dove il preside teneva il discorso finale, non accadeva spesso che si complimentasse per la vittoria della squadra di Lacrosse e questa volta sembrava più entusiasta del solito. Ci congedò con un caloroso saluto e tutti ci dirigemmo verso le macchine, avevamo una destinazione comune.
La casa di Chase si presentava come una villa bianca, non si ergeva troppo ma già a prima vista si identificavano due posti macchina e un grande porticato, per non parlare delle finestre, troppe per essere contate. Ciò che stupiva era l'interno, il salotto abbastanza grande da contenere anche tutte le persone della festa, i divani ed eventuali mobili erano stati sostituiti con tavolate per cibo e bevande (prevalentemente alcoliche). Una volta aperta la porta-finestra si creava un grande open space che dava sull'enorme piscina sul retro. Il salotto e la cucina erano divisi dalle scale che portavano al piano superiore. Tutto era allestito per l'occasione: la musica da disco proveniente dalle casse; le luci leggermente affievolite che concedevano un'illuminazione rilassante, giusto per non dimenticare che fosse notte.
Io e Max non fummo sorpresi nel notare il servizio fotografico che Rebecca si stava facendo fare da altre ragazze, intente a trovare la sua giusta angolazione. Saranno state in quattro, tutte con un telefono in mano o con una macchina fotografica, concentrate sul volto forse troppo allegro della ragazza. Una di loro premette il pulsante che scattò la foto, il flash mi annebbiò la vista, facendomi ricordare quello scatto che fece la ragazza sugli spalti.
- Volete da bere? - Carlos, il ragazzo che mi coprì durante la partita con Chase, ci riportò alla realtà, offrendo due bicchieri colmi di un liquido scuro.
- Credo che mi serviranno tutti e due... - Max guardò con riluttanza i bicchieri e li tracannò entrambi senza battere ciglio. A quanto pare anche lui era assorto nei suoi pensieri, pensieri che iniziavano con la lettera 'R'.
Carlos si fece prendere da una risata - Ce n'é ancora di là in cucina, se volete. -
Lo ringraziai e presi Max per un braccio e lo portai fuori, distraendolo da Rebecca.
La musica si fece meno densa, permettendomi di ragionare con più facilità. Guardai la gente che si stava tuffando in piscina, senza nemmeno prendersi la briga di togliersi i vestiti. Il mio sguardo si posò sul viso serio del mio migliore amico, avevo un'idea su come tirarlo su di morale, ma di certo mi serviva una spinta in più. Presi un bicchiere dal tavolo e lo bevvi tutto, il contenuto era forte, mandava in fuoco la mia gola, niente che avevo mai bevuto prima.
Mi diede la carica necessaria per chiamare Max fino a dove mi trovavo, a bordo piscina. Lui mi guardò dubbioso ma alla fine si alzò, borbottando, e mi raggiunse. Io, senza pensarci due volte, lo presi per le spalle e lo gettai in acqua, increspando la superficie della piscina. Riemerse pochi secondi dopo, preoccupato più per la salute del suo telefono che per i suoi vestiti. Una volta assicurato il suo buon funzionamento, mi guardò con un'espressione di disprezzo e allo stesso tempo di sfida. Con una mossa mi afferrò per le gambe e mi trascinò in acqua senza darmi il tempo per pensare a cosa stesse accadendo.
La temperatura della piscina era sicuramente più fredda dell'ambiente esterno, ma considerando il caldo che faceva, direi che un tuffo ci voleva proprio. Entrambi ridemmo, finalmente, godendoci le nostre vacanze appena iniziate, quando quella domanda mi uscì all'improvviso, forse a causa dell'alcol.
- Perché non vai a parlarle? -
Lui alzò un sopracciglio, facendo finta di non aver capito.
- Secondo me faresti meglio a muoverti prima che lo faccia qualcun altro. -
Max distolse lo sguardo, tutt'un tratto sembrò interessarsi delle piastrelle davanti al suo naso.
- Andiamo, da quant'è che va avanti, due anni? - Ritentai, fiducioso.
Lui roteò gli occhi - L'anno scorso, poco prima che diventasse matta. -
- Almeno te ne sei accorto, che è matta... -
Mi fulminò con lo sguardo.
- Eh va bene, forse per te non è cambiata, ma dovresti parlarle stasera, prima che sia troppo tardi-
- Mi servirà un altro drink, però -
- E altro drink sia!-
Passarono all'incirca venti minuti e altri cinque bicchieri, e Max doveva ancora farsi avanti.
- Se non lo fai tu, glielo dirò io. -
La cucina era la più illuminata; un leggero sottofondo di musica accompagnato dallo scolare di bibite nei bicchieri, ecco tutto ciò a cui le mie orecchie si erano abituate da quasi mezz'ora. In cucina c'era un via vai di gente che entrava e usciva per rifornirsi e ubriacarsi ulteriormente, mentre io ero intento a far ragionare il mio migliore amico.
Aveva la stessa espressione di quando, all'età di otto anni, non sapeva se scegliere tra una macchinina da corsa o una moto giocattolo. Io alla fine comprai la macchina e lui si mise a piangere perché non aveva ancora preso una decisione.
- A volte ti odio, lo sai? - Indignato uscì dalla cucina e io lo seguii, non ancora sicuro del fatto che si fosse deciso.
Il rumore della musica rimbombava nelle mie orecchie due volte più forte, avevo solamente varcato una porta e sembrava quasi di trovarsi in un luogo completamente diverso. L'atmosfera era cambiata, quel sapore d'alcol che impregnava la cucina si era fatto più raro, ma la gente, in compenso, si era raddoppiata rispetto a quando eravamo arrivati. Ora il soggiorno, seppur grande e spazioso, era diventato un ammasso di adolescenti che ballavano, chi più o meno bene, al ritmo della musica.
Io e Max riuscimmo a farci spazio tra loro, ma ci dovemmo fermare poco prima di uscire all'esterno, al confine tra il salotto e la piscina.
La scena che si presentava davanti ai nostri occhi era assurda. Guardai il mio migliore amico che da bianco com'era per il timore di confessare i suoi sentimenti diventò rosso di rabbia, tant'è che le sue guance raggiunsero la tinta dei suoi capelli. Sarebbe stata un'immagine abbastanza divertente da immortalare, in un altro contesto.
Max si stava dirigendo a passo spedito in direzione di Chase, che stava appassionatamente baciando Rebecca, ignaro di ciò che stava per accadere. Il rosso li separò e, prima di poter dire qualcosa, guardò Rebecca con uno sguardo indignato.
Evidentemente l'alcol stava facendo effetto...
- Reb, tu lo sai quanto io... sapevi come... - Stava farneticando, io ero più incredulo della folla che si stava formando accanto a loro.
- REBECCA JOHNSON! - Una voce squillante portò lo sguardo di tutti a voltarsi nella direzione opposta. Una figura slanciata si fece largo tra i presenti; i capelli corvini raccolti in uno chignon e l'abito nero le donavano un tono di austerità. I suoi tacchi a spillo, non appena toccavano terra, riecheggiavano sul parquet di legno del salotto.
Qualcuno deve aver fermato la musica, pensai.
Gli occhi di tutti, stavolta, erano fissi sul volto incredulo di Rebecca.
- Mamma...- Disse la ragazza, sconvolta. L'imbarazzo le ruppe la voce, lasciando la frase in sospeso.
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