FINO ALL'ALBA // @silver_fame
PROMPT: MANI SPORCHE DI SANGUE
CARATTERISTICA: IL PERSONAGGIO AMA GUARDARE FILM HORROR (MA A UN TRATTO SEMBRA ESSERE DIVENTATO TUTTO TROPPO REALE)
DOVE O QUANDO: IN UN CASTELLO / TENUTA
Premeva la schiena contro la parete dello stanzino, cercando di controllare il respiro che le tremava in gola. Aveva trascinato Max dentro con sé, il suo corpo privo di sensi che pesava come un macigno, e ora lo stringeva tra le braccia come per proteggerlo. Sapeva che era solo questione di tempo. Il mostro, lo spirito, o qualunque cosa fosse era là fuori, e non avrebbe smesso di dare loro la caccia finché non li avesse presi tutti. L'oscurità avvolgeva la stanza come un sudario, l'aria densa di polvere e di paura. Poteva sentire il battito del suo cuore come un tamburo che rimbombava nelle orecchie, ma strinse i denti, obbligandosi a mantenere la calma. Aveva visto abbastanza film horror in vita sua per sapere che non esistevano eroi che spuntavano all'ultimo momento, nessuna salvezza preconfezionata. La sopravvivenza era una questione di determinazione, di puro e semplice istinto di autoconservazione.
«Dobbiamo resistere fino all'alba, Max» sussurrò con un filo di voce cullando il pilota. «Solo fino all'alba.»
Riuscì piano piano a riacquistare il controllo sul proprio respiro e sul battito del proprio cuore, costringendoli entrambi a ridursi al minimo, poi si mise in ascolto. Tese le orecchie fino allo spasimo, oltre i confini delle possibilità umane, cercando di carpire rumori oltre le pareti della stanza e soprattutto oltre la porta che aveva di fronte. Poi lo sentì. Il raccapricciante cigolio del pavimento in parquet che gemeva sotto un'incedere di passi lenti e inesorabili. Percepì la pelle accapponarsi sotto i vestiti e un brivido correrle lungo la spina dorsale a partire dalla nuca... Ma lei era Andrea Castelli, una donna che sfidava la morte ogni volta che scendeva in pista e toccava i 300 km orari, e non si sarebbe lasciata paralizzare dalla paura, non sarebbe stata la biondina terrorizzata di quel film horror che era diventata la sua realtà, quella che urla, inciampa e finisce sempre col morire per prima. No, aveva giurato a se stessa che non avrebbe fatto quella fine, aveva passato troppo tempo a guardare protagonisti ingenui cadere come mosche per ripetere i loro errori. Se doveva morire, avrebbe almeno combattuto fino all'ultimo respiro, strappando ogni secondo che poteva alla notte. Chiuse gli occhi, costringendosi a ragionare mentre i passi si facevano sempre più vicini.
«Non può essere un fantasma» sussurrò a voce bassissima. «I fantasmi non fanno rumore quando camminano. Questo coso ha un corpo, pesa, occupa spazio...».
Nel buio aprì gli occhi, con una nuova consapevolezza e una scintilla di speranza.
«Se ha un corpo, può essere ferito. E se può essere ferito... può anche essere ucciso.»
Si alzò in piedi e accese la torcia del cellulare quel poco che bastava per dissipare l'oscurità appena davanti a lei e si mise a cercare qualsiasi cosa potesse trasformarsi in un'arma. Ma ormai non c'era più tempo, i passi si erano fatti vicinissimi per poi fermarsi esattamente davanti alla porta. Il silenzio che seguì fu peggiore di qualsiasi urlo. Era come se tutto il mondo trattenesse il respiro, in attesa che il più orrendo degli scenari prendesse vita. E mentre attendeva nella semioscurità che l'inevitabile si compisse, stringendo spasmodicamente le mani attorno al manico di una vecchia scopa in legno, la cosa più vicina ad un'arma che era riuscita a trovare lì dentro, i suoi pensieri tornarono indietro nel tempo, ripercorrendo ogni passo che l'aveva portata in quella situazione...
...
«This is Halloween, this is Halloween
Pumpkins scream in the dead of night...» canticchiava guardando fuori dal finestrino.
«Se avessi saputo che eri così fissata con Halloween e tutta questa roba da film horror, forse ci avrei pensato due volte prima di cominciare a uscire con te...»
«Mi spiace Max, la nostra politica sui resi è: niente resi. Ormai sei intrappolato nella ragnatela» rispose agitando le dita come fossero le zampe di un orrendo ragno, facendole poi correre lungo il braccio del pilota, su fino alla spalla e poi sul collo.
Per tutta risposta lui sbuffò divertito, scuotendo la testa.
«Sei pazza Andrea Castelli. Non mi sorprende che tu e Daniel andiate così tanto d'accordo.»
Poi le posò un veloce bacio sul dorso della mano prima di tornare a concentrarsi sulla strada davanti a lui. Lei si lasciò sfuggire una risatina, nel linguaggio di Max Verstappen quello era un modo più che eloquente di farle capire quanto la amasse, nonostante le sue stranezze. Compiaciuta riprese a guardare fuori dal finestrino, continuando a canticchiare. La macchina procedeva a singhiozzo lungo la strada sterrata, traballando leggermente ad ogni buca. Il paesaggio attorno a loro sembrava piano piano venire ricoperto da una patina lattiginosa di nebbia. Gli alberi sul ciglio della strada emergevano dalla foschia come ombre distorte, contorte in forme innaturali che parevano allungarsi verso di loro, mentre anche il sole sembrava essere stato inghiottito da quella coltre impalpabile, lasciando solo una luce spettrale ad illuminare l'immensa distesa della Camargue.
«Sembra di entrare in un film dell'orrore... Ero piuttosto scettica quando Daniel ha proposto di venire qui, però devo ricredermi, l'atmosfera è davvero da brividi. La adoro.»
«Oh si, semplicemente adorabile. Spero solo che la connessione non ci abbandoni altrimenti ci ritroveremo a vagare nella palude come due idioti...»
«Ormai dovremmo essere quasi arrivati, no?»
«Si» disse svoltando a destra.
E poi ancora, e ancora a sinistra, in una stradina talmente stretta che la macchina ci passava a malapena. Oltrepassarono anche un ponte di legno dall'aspetto poco rassicurante. Metri sotto di loro una melma scura, quasi nera, attendeva immobile e minacciosa, quasi che qualcosa si potesse nascondere sotto la sua superficie e stesse solo aspettando il momento giusto per attaccare... Nella sua mente si formò l'immagine della creatura protagonista di quel vecchio film, il mostro della palude. Max fermò la macchina, distraendola dai suoi pensieri.
«Siamo arrivati.»
«Wow.»
Si era immaginata un piccolo cottage in pieno stile francese, invece di fronte a loro si profilava un'imponente casa in stile coloniale, candida come neve appena caduta, con ben due livelli, porticato con colonne e tutto il resto. Sembrava quasi di trovarsi a New Orleans, regno dell'esoterismo e della magia nera. Sorrise pensando che una delle sua serie tv preferite, AHS Coven era ambientata proprio in una casa come quella...
«Hai di nuovo quell'espressione da pazza Castelli. Mi metti i brividi.»
«Uhhhhhh» e si mise a ridacchiare scendendo dall'auto per poi recuperare il borsone.
Max fece lo stesso, poi si avviarono verso il grande ingresso della costruzione. Bussarono alla porta. Nessuna risposta. Bussarono di nuovo e ancora nessuna risposta. Strano. A giudicare dalle auto parcheggiate gli altri avrebbero dovuto trovarsi in casa... Stringendosi nelle spalle dopo essersi scambiati uno sguardo, Max provò a ruotare la maniglia e la porta si aprì senza problemi. L'interno della casa era elegante esattamente come si aspettava, con lampadari di cristallo appesi al soffitto, mobili raffinati e pareti ricoperte di quadri antichi e ritratti, di quelli che hai la sensazione ti seguano con gli occhi ad ogni passo. La casa era immersa nella penombra, la pallida luce che filtrava dalle finestre l'unica fonte di illuminazione, creando un'atmosfera inquietante. E c'era silenzio. Troppo silenzio perchè Daniel Ricciardo si trovasse lì... All'improvviso sentì un rumore sordo provenire da sopra di loro. E poi ancora e ancora, come se qualcosa di pesante stesse camminando al piano di sopra e ora stesse scendendo dalle scale... Un altro rumore, questa volta proveniente dalla stanza a fianco. Uno scricchiolio di assi di legno che si lamentavano sotto il peso di qualcosa che lentamente, nell'ombra, si stava avvicinando a loro. Si irrigidì istintivamente, stringendosi a Max, e allungò una mano verso la maniglia della porta d'ingresso. Provò ad aprirla, ma niente, sembrava improvvisamente bloccata. Max si girò a guardarla, gli occhi cerulei spalancati, e fece anche lui per avventarsi sulla maniglia quando i passi sulle scale si fecero talmente forti e veloci da catalizzare la loro attenzione. Chiunque o qualsiasi cosa stesse scendendo i gradini ora decisamente non camminava più, correva verso di loro... si precipitava... cadeva... Ruzzolando giù dalle scale in una cacofonia di rumori e imprecazioni, e in un fruscio di tessuto. Riconobbe immediatamente la voce che si celava sotto il lenzuolo e cominciò a ridere.
«Ahhh! Ma sul serio?! Dovevi cadere proprio adesso?!»
Dalla stanza di fianco echeggiò la voce infastidita di Lando, poi le luci si accesero e tutto il gruppo uscì allo scoperto, compresa Rebecca che si era nascosta dietro il divano.
«Carlos entra! Yuki ha rovinato lo scherzo...» urlò l'inglese verso la porta, da cui poco dopo fece il suo ingresso Sainz, che aveva impedito loro la fuga.
«Oh ragazzi, avreste dovuto vedere le vostre facce! E ancora non avevo fatto il mio ingresso!» con un sorriso compiaciuto ed indossando un orribile costume che non riusciva bene ad identificare Daniel si fece avanti, stringendo lei e Max in un abbraccio.
«Esattamente da cosa dovresti essere vestito Danny?»
«Sembri un prete» sentenziò Max.
L'australiano si strinse nelle spalle «A me sembra piuttosto spaventoso, e comunque l'importante è che il mio scherzo abbia funzionato.»
«Beh, io non direi che ha funzionato.»
«Oh si invece Andrea, ti ho sentito urlare in preda al terrore» e le rivolse un sorriso dalla sfumatura diabolica.
«Io non ho urlato. Forse ti confondi con Yuki che cadeva dalle scale, lui si che ha strillato come una ragazzina. Senza offesa Yuki.»
«Nessun problema...»
Tutto il gruppo si mise a ridere e ben presto l'atmosfera tesa e inquietante che si era creata durante lo scherzo parve dissiparsi, anche se non del tutto...
...
La musica rap di Daniel risuonava dal salotto fino al piano di sopra attraverso i vecchi pavimenti della casa e facendone vibrare leggermente le pareti. Lei e Max erano sdraiati sul letto, cercando di rilassarsi un pò dopo le ore di viaggio e lo spaventoso benvenuto.
«Ti sei proprio spaventata prima, eh Castelli? Mi chiedo come abbia fatto Carlos a riuscire a tenere chiusa la porta vista la forza con cui tiravi quella maniglia.»
«Senti chi parla!» e gli diede un pugno affettuoso sul braccio prima di rotolare sopra di lui. «Dall'espressione che avevi sembravi pronto a chiamare la mamma da un momento all'altro, Verstappen.»
Lui si mise a ridacchiare e lei si allungò per dargli un baciò. In quel momento un grido acuto e agghiacciante squarciò l'aria facendole gelare il sangue nelle vene.
«Cosa è stato?» le chiese Max.
«Non lo so, ma sembrava Rebecca...»
Senza dire altro corsero fuori dalla stanza, raggiungendo gli altri che si stavano precipitando verso il bagno da cui era provenuto l'urlo.
«Che diavolo succede?» chiese Yuki, ansimante. «Chi ha urlato?»
Nessuno rispose. La porta del bagno era leggermente socchiusa, e un debole chiarore proveniva dall'interno. Si avvicinò e provò a bussare.
«Rebecca? Carlos?»
Non ottenne risposta. Provò di nuovo. Solo silenzio e un inquietante gocciolio fecero eco alle sue parole. Aprì piano la porta. Dentro, l'atmosfera era gelida, e una corrente d'aria fredda proveniva dalla finestra spalancata. Ma la cosa che catturò immediatamente la sua attenzione fu la scia di sangue che partiva dal bordo della grande vasca e si allungava fino alla parete come se qualcosa, o qualcuno, fosse stato trascinato. Sulla superficie dell'acqua, torbida e ancora increspata, scorrevano rivoli cremisi. Si guardò attorno, temendo di vedere qualcosa di orribile, ma non trovò nulla...
«Non c'è nessuno...» disse con un filo di voce non sapendo bene se sentirsi più preoccupata o sollevata da quella scoperta.
«Sarà sicuramente uno scherzo, non è possibile che...» intervenne Lando senza distogliere lo sguardo dalla pozza di sangue che poteva benissimo appartenere al suo migliore amico o alla sua ragazza.
«Scherzo o no, dobbiamo trovarli. Cominciamo da questo piano.»
...
Dopo aver ispezionato ogni angolo della casa, compresi armadi, ripostigli e ogni altro possibile anfratto in cui quei due avrebbero potuto nascondersi, giunsero alla terribile conclusione che di Carlos e Rebecca non c'era traccia. Semplicemente non erano più nella casa.
«Io vado a cercarli fuori.»
«Lando, non credo sia una buona idea.»
«Hai un'idea migliore Andrea? Carlos potrebbe essere ferito, potrebbero essersi persi...»
«Lo so Lando, ma non conosciamo la zona, potremmo perderci anche noi nel provare a cercarli. Credo sia meglio chiamare la polizia.»
«Va bene» si arrese il pilota, ma la sua preoccupazione era evidente.
«Vado a recuperare il cellulare» e corse su per le scale, seguita a ruota da Max.
Gli fu grata per non averla lasciata sola. Nonostante stesse cercando di mantenersi calma e lucida in quella situazione, la paura stava cominciando a serpeggiare e la sua presenza la faceva sentire più sicura. Una volta raggiunta la stanza afferrò il cellulare con entrambe le mani, ma una volta sbloccato l'angoscia la colse.
«Non c'è campo» disse incredula, sollevando in aria il cellulare sperando di riuscire a captare almeno una tacca di segnale. Niente da fare.
«Nemmeno il mio prende» aggiunse Max, scuotendo la testa con una smorfia di frustrazione. «Dannazione, siamo completamente isolati.»
Si precipitarono di sotto, per informare gli altri, ma non trovarono nessuno. Solo un biglietto scritto a mano e in fretta da Daniel.
Siamo usciti a cercare Carlos e Rebecca. Se i cellulari non funzionano, nella mia stanza c'è una ricetrasmittente.
«Che idioti... Però almeno hanno pensato a un piano B» disse Max scuotendo la testa e guardando fuori dalla finestra con aria preoccupata.
«Max, vai a recuperare la ricetrasmittente e se riesci mettiti in contatto con la polizia. Io rimango qui a sorvegliare l'ingresso.»
«Sicura?»
«Si.»
Stava ovviamente mentendo e Max lo sapeva, ma che altro potevano fare? Separarsi, lo sapeva, era la cosa numero uno da non fare in quelle situazioni. Tutti i film horror che aveva guardato nella sua vita glielo avevano insegnato, ma ormai era tardi, il gruppo si era già disgregato...
«Torno subito» disse Max schioccandole su bacio sulla testa prima di fiondarsi sulle scale, diretto nella stanza di Daniel.
Rimasta sola cominciò a controllare che tutte le finestre fossero ben chiuse, il cuore che batteva nel petto come un tamburo. Fu allora che, dal bordo del suo campo visivo, notò un movimento fuori nella nebbia. Una figura si stagliava nella marea lattiginosa, una silhouette scura, quasi umana, che sembrava ondeggiare orribilmente distorta mentre si avvicinava alla casa. Aggrottò la fronte, cercando di distinguere meglio la figura. Doveva essere uno dei ragazzi e quello era senza dubbio uno dei loro stupidi scherzi. Davvero ben fatto, doveva ammetterlo, non come quello del pomeriggio, ma il gioco stava durando fin troppo per i suoi gusti... Infastidita e ormai esasperata, aprì la porta d'ingresso di scatto e uscì sul portico.
«Daniel, smettila! Non è più divertente!" urlò nella nebbia, il tono della sua voce carico di irritazione e paura malcelata. «Lando, sei tu là fuori? Ora basta ragazzi, tornate dentro!»
Ma la figura che aveva visto dalla finestra sembrava essere scomparsa e nessuno rispose alle sue parole. Rimase comunque in ascolto, pronta a sentire da un momento all'altro la risata di Daniel o qualche schiamazzo di Lando e Carlos, ma niente. Sentiva solo il suo respiro affannoso e il freddo penetrarle nelle ossa. Poi un urlo. Un grido terribile e agghiacciante, quasi primitivo, che sapeva di puro terrore. Si voltò di scatto e corse verso la porta, chiudendosela alle spalle con un colpo secco. Max si precipitò giù dalle scale, la ricetrasmittente ancora in mano.
«Andrea, cosa è successo?! Cos'era quello?»
«Non lo so... Ho visto qualcosa» balbettò cercando di mettere ordine tra i pensieri confusi. «C'era qualcuno fuori, ma poi è sparito. E quell'urlo... Non credo sia uno scherzo Max.»
La prese per le spalle e si sentì stringere in un abbraccio. Quel contatto familiare riuscì a calmarla leggermente.
«Andiamo via di qui» lo sentì dire a denti stretti.
Senza aspettare risposta, sciolto l'abbraccio, la prese per mano e la trascinò di sopra, verso la loro stanza.
«Prendiamo le chiavi della macchina e ce ne andiamo. Non ho intenzione di restare un secondo di più in questo maledetto posto.»
«Ma... Max, gli altri!» cercò di protestare mentre lui, dopo aver trovato quello che cercava, la stava trascinando di nuovo al piano di sotto. «Non possiamo semplicemente abbandonarli, dobbiamo almeno provare a...»
«Non mi interessa degli altri!» sbottò Max, voltandosi verso di lei con uno sguardo furioso, una paura primordiale che gli bruciava negli occhi. «Io devo pensare a te! Devo pensare a noi! Questa non è una di quelle storie da film horror che ti piacciono tanto, Andrea! Lo hai detto tu, non è uno scherzo, qui ci sono delle vite in gioco. Le nostre vite!»
Stava per rispondergli, cercando di calmarlo, di farlo ragionare anche se in cuor suo sapeva che Max non aveva del tutto torto, quando l'ennesimo urlo squarciò l'aria. Sembrava provenire da poco distante, e quella voce le parve chiaramente riconoscibile: Daniel.
«Aiuto! Aiutatemi!» il terrore evidente in ogni singola sillaba.
Un frenetico battere contro la porta d'ingresso fece tremare l'intera casa. Colpi disperati, violenti, come se qualcuno stesse cercando di abbatterla a mani nude.
«Aprite! Vi prego, fatemi entrare!»
Si avvicinò alla porta, la mano che tremava leggermente mentre si avvicinava alla maniglia.
«Aspetta. Non aprire.» sussurrò Max, afferrandola per il braccio «potrebbe non essere Daniel, potrebbe essere... qualcos'altro.»
Per l'ennesima volta in quella serata che si era trasformata in un incubo sentì il sangue gelarsi nelle vene e la bocca farsi asciutta come il deserto. Max aveva ragione, poteva non essere davvero Daniel. Eppure la sua voce... Il suono dei colpi continuava, sempre più insistente, così come la disperata richiesta di aiuto. Non riuscì a trattenersi e con un gesto rapido girò la maniglia e spalancò la porta, il cuore che le batteva forte in petto augurandosi di aver fatto la scelta giusta... Daniel caracollò all'interno, cadendo quasi a terra. Aveva la faccia sconvolta, il respiro affannoso e le mani completamente coperte di sangue, come se fosse appena uscito da un incubo. Max sospirò di sollievo alla vista dell'amico, ma il suo sollievo durò solo un istante. Il terrore negli occhi di Daniel parlava più forte di qualsiasi parola.
«Cosa è successo Danny? Dove sono gli altri?»
«Siamo stati attaccati» articolò Daniel, la voce rotta e il respiro corto. «Stavamo cercando Carlos e Rebecca, e all'improvviso... qualcosa ci ha attaccato. Yuki... Yuki è stato il primo a cadere. Non ho potuto fare nulla... Io e Lando siamo scappati, ma Lando... lui era ferito... Ho cercato di portarlo qui, ma non ci sono riuscito... ho dovuto abbandonarlo... Oddio... Il sangue... Tutto quel sangue...»
L'australiano era scosso da tremiti mentre guardava con orrore le proprie mani completamente insanguinate. Sentì lo stomaco contorcersi a quella vista sapendo ora a chi appartenesse tutto quel sangue... Si sentì afferrare per i polsi e quasi cacciò un urlo, ma era solo Max, che però sembrava furioso.
«Andiamo via! Adesso!» gridò, tirandola verso la porta con una determinazione che rasentava la disperazione. «Non possiamo più restare qui!»
«Non possiamo andare via...» la voce di Daniel era flebile e il suo sguardo allucinato. «Il ponte... è scomparso, non c'è modo di attraversare il fiume... Qualunque cosa ci abbia attaccato è là fuori, la casa potrebbe essere l'unico posto sicuro.»
«Ma che diavolo dici?» sbottò Max, gli occhi azzurri spalancati per l'incredulità. «Vuoi restare qui a farti massacrare?»
«Tu non c'eri Max! Non sai come è stato venire attaccati... Là fuori è pericoloso! Non riusciremo a salvarci!»
«Si invece! È la nostra unica possibilità...»
Le loro voci si sovrapposero in una accesa discussione, segno che ormai la tensione era alle stelle, ma furono bruscamente interrotte da un suono statico proveniente dalla ricetrasmittente abbandonata sul tavolo. La voce metallica di un operatore della polizia filtrò attraverso il rumore bianco.
«Qui centrale, rispondete. Passo.» disse la voce, distorta ma riconoscibile.
Afferrò la ricetrasmittente con mani tremanti, il cuore colmo di sollievo. Finalmente si erano messi in contatto con loro dopo la richiesta di aiuto inviata da Max.
«Grazie al cielo. Aiutateci per favore.»
«Si identifichi. Passo.»
«Il mio nome è Andrea. Vi prego, siamo intrappolati in una casa nella Camargue! Parte del gruppo è disperso, potrebbero essere stati attaccati... forse uccisi. Non abbiamo modo di fuggire.» cercò di mantenere il tono il più calmo possibile, scandendo le parole perché dall'altra parte potessero capire.
«Ripetete... ripetete la vostra posizione» rispose l'operatore, la sua voce sempre più disturbata, quasi coperta dal rumore di fondo.
«Non lo so esattamente! La tenuta è nella Camargue, vicino a... a una strada sterrata, e a un ponte» annaspò cercando di ricordare. «Per favore, mandate qualcuno... presto!» supplicò.
Ma la comunicazione si faceva sempre più disturbata. Il suono diventava un miscuglio di statico e rumori incomprensibili, finché l'ultima frase dell'operatore giunse attraverso l'interferenza come un sussurro distante. La linea cadde e un silenzio pesante calò sulla stanza.
«Cosa hanno detto?» le chiese Max che evidentemente non era riuscito a distinguere le ultime parole della conversazione.
Anche Daniel la guardava, il viso pallido e tirato come non lo aveva mai visto.
«Che dobbiamo resistere... fino all'alba...»
«Merda! Non è possibile!» inveì Max, poi le prese poco gentilmente la ricetrasmittente dalle mani e provò a mettersi di nuovo in contatto con la centrale.
«Ehi! Non potete lasciarci qui! Rispondete stronzi! Venite a salvarci!»
Un suono lugubre e distorto rispose alle urla di Max dalla ricetrasmittente, facendole accapponare la pelle.
«Porca puttana!»
Come a rallentatore osservò il loro unico mezzo di comunicazione volare dalla parte opposta della stanza infrangendosi contro il muro.
«Ma che cazzo hai fatto?!" esplose avvicinandosi a Max e sentendo la paura lasciare per un momento il posto alla rabbia. «Hai distrutto l'unico mezzo di comunicazione che avevamo!»
«Tanto è inutile! Nessuno verrà a salvarci e non riusciremo mai a resistere fino all'alba! Siamo morti e la colpa è tua!»
«Colpa mia?!»
«Si! Sei stata tu ad accettare il suo stupido invito!» disse indicando Daniel. «Io non volevo nemmeno partecipare a questa dannata serata di Halloween, e se tu non fossi stata così fissata con questa roba dell'orrore, non saremmo in questa situazione!»
Le parole di Max la colpirono come uno schiaffo, ma per quanto fosse tentata di rispondergli a tono, di fargli rimangiare ogni cosa, sapeva che mettersi a litigare in quel momento era solo un inutile spreco di energie. Riconosceva la paura nella voce di Max, la tensione che lo stava rendendo aggressivo e irrazionale.
«Non è il momento di incolparci a vicenda, Max. Abbiamo bisogno di essere lucidi» gli rispose sforzandosi di mantenersi calma «ora vado al piano di sopra a controllare che sia tutto chiuso. Tu resta qui e aiuta Daniel a ripulirsi, okay?»
Non aspettò una sua risposta e si precipitò sulle scale, diretta al piano di sopra. La paura la attanagliò di nuovo, ma si costrinse comunque a ispezionare ogni stanza per assicurarsi che tutto fosse chiuso e in ordine, compreso il bagno da dove quell'orrenda storia era cominciata. Sforzandosi di ignorare il sangue sul pavimento chiuse la finestra che era rimasta aperta e proprio in quel momento sentì dei rumori improvvisi provenire dal piano di sotto. Udì voci concitate, passi veloci e poi altri rumori. Pensò immediatamente che Max e Daniel avessero ricominciato a discutere. Scenario non da escludere vista la tensione. Si precipitò di sotto, ma prima ancora di raggiungere il salotto, si accorse che la porta d'ingresso era spalancata e che il pavimento era costellato di impronte di fango e sangue. Impronte dalla forma strana, inquietante, quasi non umane, che si dirigevano verso la cucina. Si avvicinò circospetta all'ingresso e chiuse la porta, poi, trattenendo il respiro cominciò a seguire le orme.
«Max? Daniel?» chiamò, la voce che sembrava un sussurro disperato.
Ma nessuno rispose. Arrivata in cucina, notò immediatamente una pozza di sangue e la scia da essa originata e che proseguiva verso il corridoio, fino alla porta sul retro. Sentì il panico montare, ma si costrinse a continuare. Si avvicinò alla porta sul retro, che trovò anch'essa spalancata, lasciando entrare la fredda nebbia notturna. Poi lo vide e il suo cuore mancò un battito. Il corpo di Max era riverso a terra, apparentemente privo di vita. Si precipitò da lui, il cuore che ora le batteva come un martello nel petto, e constatò con sollievo che era ancora vivo, ma privo di sensi. Le sue mani si mossero in automatico, chiudendo la porta sul retro e bloccandola con tutto ciò che trovava a portata di mano. Poi, con un sforzo immenso, cominciò a trascinare Max verso il soggiorno. Il corpo del pilota pesava come un macigno.
«Max, se sopravviviamo a tutto questo, ricordami di metterti a dieta...»
Non era certo il momento ideale per fare del body shaming al suo ragazzo, ma il terrore, l'ansia e l'adrenalina le stavano decisamente dando alla testa, tanto che si mise anche a ridacchiare. Fu allora che i colpi alla porta d'ingresso la fecero gelare. Qualcuno, o qualcosa, stava cercando di sfondarla. I colpi erano furiosi, disperati, come se una forza inumana volesse entrare a tutti i costi. Il panico la prese alla gola, ma non si lasciò paralizzare dalla paura. Doveva agire. Senza pensarci due volte, con uno sforzo sovrumano, trascinò Max nel piccolo ripostiglio che avevano scoperto quando ancora stavano cercando Carlos e Rebecca. Chiuse la porta dietro di sé, cercando di non fare rumore, trattenendo il fiato per non farsi sentire. Un attimo dopo, la porta d'ingresso si spalancò con un fragore assordante, e tutta la casa sembrò tremare. Poi, come se la notte stessa si fosse impossessata dell'elettricità, tutte le luci si spensero di colpo, lasciando la casa immersa in un buio totale.
...
Non sapeva quanto tempo fosse passato. Minuti, forse ore... Il tempo sembrava essersi orribilmente dilatato, ritorto su se stesso mentre, tornando al presente, osservava con angoscia la maniglia della porta dello stanzino cominciare ad abbassarsi lentamente. Strinse ancora di più la presa sul bastone, preparandosi a colpire qualsiasi cosa avesse provato a varcare quella soglia come un giocatore di baseball si prepara a colpire la palla. La maniglia arrivò a fine corsa e la porta cominciò ad aprirsi. Tese il corpo allo spasimo, chiuse gli occhi e fece per menare il più letale dei fendenti, con tutta la forza che aveva in corpo.
«Daniel, attento!»
La voce era quella di Max. Rimase come paralizzata, incredula e confusa, con il colpo fermo a mezz'aria a non più di dieci centimetri dalla testa di Daniel Ricciardo.
«Dolcetto o scherzetto?!» le gridò l'australiano senza riuscire a trattenere una delle sue risate compiaciute.
Non riusciva a capacitarsi di ciò che stava succedendo, tanto era assurdo. Max, che fino a qualche minuto prima era steso sul pavimento privo di sensi, adesso era lì, in piedi dietro di lei mentre Daniel, che credeva morto nella notte tra atroci sofferenze, era vivo e vegeto di fronte a lei con quel suo maledetto sorriso stampato in faccia. Poi sentì un coro di risate provenire dal corridoio dietro di lui e gli altri membri del gruppo spuntarono uno alla volta, tutti sani e salvi, i volti distesi e divertiti.
Era tutto uno scherzo. Un maledetto scherzo. Un trucco ben orchestrato, una recita perfetta per farla impazzire di paura nella notte che più amava. Sentì la tensione sciogliersi all'improvviso, come un palloncino fatto scoppiare, e si abbandonò ad un urlo di frustrazione e sollievo.
«Ma siete impazziti?! Che diavolo vi salta in mente?!» li aggredì, la voce un misto di rabbia e incredulità. «Mi avete fatto prendere un colpo, dannati idioti!»
«Oh Andrea» fece Daniel «te lo giuro, sei stata fantastica! Nessuno di noi immaginava che avresti resistito così a lungo. Pensavamo ti saresti messa a urlare o saresti scoppiata a piangere e invece eri pronta a difenderti e passare al contrattacco. Davvero notevole.»
Alzò gli occhi al cielo esasperata ma sentendo gli angoli della bocca allargarsi in un sorriso.
«Ah, sì? Ti faccio vedere come mi sarei difesa!» e senza preavviso cominciò a colpire scherzosamente con il manico di scopa Daniel e gli altri amici, che si spostavano in preda a risate e grida, cercando di sfuggire ai colpi.
«Okay, okay! Mi arrendo!» gridò Daniel tra le risate, alzando le mani in segno di resa.
«Te lo puoi scordare Ricciardo!» disse continuando ad infierire finchè Max non la prese tra le braccia, strappandole di mano la sua arma.
«Grazie per non avermi abbandonato, anche se era tutto finto» le sussurrò all'orecchio, con un tono che era mezzo serio e mezzo divertito.
«La prossima volta che fai una cosa del genere Max Verstappen, ti lascio lì, senza pensarci due volte» e lo baciò.
«Ragazzi, tutto molto bello, ma io muoio di fame» intervenne Lando «che ne dite di finire questa serata di Halloween con una bella mangiata e una festa come si deve, fino all'alba?»
«Ci sto!»
Uno a uno, tutti i membri del gruppo acconsentirono con entusiasmo alla proposta. Mancava soltanto lei.
«Oh si, vi prego! Dopo tutto quello che mi avete fatto passare ho decisamente bisogno di un drink. Forse anche più di uno...»
Era più che certa, però, che nemmeno tutti gli alcolici del mondo sarebbero mai riusciti a farle dimenticare quella serata. Ma si sarebbe vendicata. Non sapeva ancora come, non sapeva ancora quando, ma di sicuro lo avrebbe fatto...
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