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ASI' QUE PASA LA NOCHE // @JLivingstone26


PROMPT: SPECCHIO ROTTO

CARATTERISTICA: IL PERSONAGGIO E' APPENA USCITO A PIENI VOTI DALL'ACCADEMIA DI POLIZIA, PECCATO CHE A SCUOLA NON TI INSEGNINO A GESTIRE SITUAZIONI ... PARANORMALI.

DOVE O QUANDO: AD UNA FESTA DI PAESE

JLivingstone26


Fort Grey, Texas

"Almost Heaven, West Virginia

Blue Ridge Mountains, Shenandoah River

Life is old there, older than the trees

Younger than the mountains, growin' like a breeze"

La radio sta trasmettendo una serie di canzoni country a cui ormai, da un bel po' di tempo da quando sono qui, non faccio più caso.

Sono cambiate parecchie cose da quando ho letto la destinazione sui documenti della presa in servizio, quando ho finito l'accademia di polizia di New York. All'inizio, l'idea di lasciare lo stato che mi aveva visto crescere, da figlio di immigrati spagnoli negli anni 70', mi era sembrato come andarmene da una parte di me che ormai aveva fatto di quel capitolo di vita un intero romanzo.

Fort Grey.

Una città di ventimila anime che sembra uscita da un film Western, incastonata tra la terra sconfinata dell'Oklahoma e le montagne eterne del Colorado, costellata da villette singole e ranch di periferia dove si trovano ancora i recinti con i cavalli da monta, tra terra rossa, boschi sconfinati e cielo immenso.

Ci sono ancora i pub storici dove bere una birra un mercoledì sera qualsiasi di primavera, le serate estive all'insegna della musica country, i cappelli da cowboy – o meglio, lo Stetson, come lo chiamano i locali - che qui sembrano tutti indossare come un segno distintivo, gli stivali in pelle e lo sceriffo Bristol, che fin dal mii primo giorno nella sua contea mi ha accolto come figlio da crescere, a cui estirpare dal cuore i grattacieli di New York e quel lieve accento europeo che diceva di sentire nella mia voce.

Mi scappa un sorriso, mentre imbocco con la volante della polizia Memorial Road, la strada principale di Fort Grey, che divide letteralmente a metà il paese. Gli alberi di castagno e acero hanno iniziato a prendere il colore tipico della fine di ottobre, quell'arancione misto a giallo che con il cielo grigio tipico di questo venerdì pomeriggio rende tutto uscito da un fotogramma per una pubblicità di un film.

Sono ormai due anni che Fort Grey è diventato non solo il cuore del mio lavoro, ma anche la mia casa e se anche qualche volta mi ritrovo ad avere nostalgia del traffico di New York e dei caffè lunghissimi durante le lezioni di legge in accademia, devo dire che non mi è stato difficile abituarmi a quella sensazione di nuova vita che mi ha trasmesso fin dal primo momento che sono entrato nel piccolo appartamento nel cuore della città, con i miei scatoloni e i gradi da sergente.

Osservo gli ingressi delle abitazioni, notando le zucche ai piedi degli ingressi e le decorazioni macabre tipiche di Halloween, che tuttavia, per quanto alcune siano perfettamente studiate, non riescono ad infondere alcun tipo di paura. C'è chi si è cimentato in semplici ghirlande ai battenti delle porte o chi invece ha posto scheletri nei vialetti, ragni finti sui portalettere o altri piccoli segni in occasione della notte più tenebrosa dell'anno, che quest'anno cadrà proprio domani sera.

Nonostante domani sia il secondo Halloween che passo in servizio, non posso fare a meno che pensare a quanto sia diverso qui, rispetto a New York: la notte del trentun ottobre ormai, complici i social e i giornali, è solo l'occasione per trascinarsi da una festa all'altra in insignificanti costumi nemmeno lontanamente terrificanti, con il solo intento di ubriacarsi e fare baldoria. A Fort Grey, invece, è rimasto ancora tutto come una volta: bambini presi a giocare a dolcetto o scherzetto, negozi che prolungano il loro orario di apertura per distribuire cioccolatini e caramelle, la biblioteca che rimane aperta per intrattenere i più piccoli con qualche storia dell'orrore e giovani persi in qualche serata home-made fatta dei classici film di paura.

Noto che lungo tutta Memorial Road si stanno allestendo i banchetti per l'annuale Fiera dell'Autunno, che, come mi hanno spiegato i colleghi, è un rito immancabile da più di vent'anni: si tratta di un weekend di festa che comincia questa sera, dove espositori da ogni parte dello stato giungono per vendere i loro prodotti locali, come miele, tisane, cioccolato pregiato e sciroppo d'acero; vi sono anche stand con libri vintage a un dollaro l'uno, vinili da collezione e oggettistica di ogni genere, in stile Halloween.

Spero di avere un attimo per poterci fare una visita, domani sera, visto che stasera sono di pattuglia sulla provinciale.

Ritorno con gli occhi sulla strada, parcheggiando l'auto proprio davanti all'ingresso dell'ufficio dello sceriffo, per poi scendere, dopo aver spento la radio ed essermi riassopito da quel vortice di panorami country in cui Fort Grey e John Denver in sottofondo sono riusciti a coinvolgermi.

"Sergente Sainz! Stavo proprio per mandare qualcuno a cercarti"

Mi volto verso le scale, scorgendo Martha in piedi sui gradini, in uniforme e con la treccia di capelli scuri che le ricade sulla spalla. In mano, come il suo solito, regge un libro e un bicchiere di cartone del suo solito caffè.

"Agente Martha Marsalis... non mi dica, quello è un pumpkin spice latte?" dico, ridacchiando, dando le spalle all'ingresso per guardarla nei suoi occhi color nocciola.

Lei sbuffa con un sorriso, prendendo un sorso dal bicchiere.

"Hmm, solo la brutta copia di quello di Starbucks che Bob's in fondo alla via cerca inesorabilmente di riprodurre, senza successo" fa una pausa "pronto a dedicarti ad una serata lunga ed eterna sulla ridente provinciale di Fort Grey?" mi domanda, alludendo al turno che mi sta aspettando.

"Avrei preferito dedicarmi ad una delle mie solite sessioni di corsa, ma stasera mi tocca" rispondo, con un'alzata di spalle.

"Beh sappi che non ti invidio proprio. Ah a proposito," indica con un cenno del capo l'ingresso dell'ufficio "Bristol è di pessimo umore"

"Tanto per cambiare" ridacchio.

"John e Ashton hanno addobbato la sala d'attesa con alcune decorazioni di Halloween e lui ha dato di matto... "Questo è l'ufficio di uno sceriffo! Non un asilo nido!"... credo che lo abbiano sentito urlare fino in Colorado" spiega, abbassando la voce per nascondere una risatina.

Posso benissimo immaginarmi i nostri colleghi John Ford e Ashton Duval che cercano di convincere Bristol a dare un tocco in più alla nostra stazione di Polizia, ma Bristol è pur sempre quello che non tollera nemmeno gli addobbi di Natale, dunque si tratta di una battaglia persa.

"Fammi indovinare, li ha messi di turno con me stasera?"

"Proprio così! E per paura che abbia voglia di appiopparmi qualcosa del genere, me la svigno per una serata fatta di un bel bagno caldo in compagnia del mio nuovo bookboyfriend!" esclama, accennando al libro dalla copertina rosa che tiene tra le braccia.

Martha è l'agente perfetto: si è diplomata all'accademia di Polizia con ottimi voti e, dopo un periodo passato in Europa come ispettore, di cui tuttavia ci ha sempre parlato molto poco, ha chiesto di essere trasferita qui. Non è solo una bella ragazza, ma è anche sveglia, intelligente e caparbia. Le piacciono i motori e so che in passato ha avuto una moto, una Ducati, che però ha venduto subito dopo essere tornata negli Stati Uniti. Unico segno particolare: legge in continuazione. Nelle pause tra un servizio e l'altro, durante l'intervallo, in macchina quando siamo di pattuglia insieme, quando arriva la mattina e prima di andarsene la sera. Il suo genere preferito sono i romanzi rosa, specialmente quelli con una spruzzata di spice. Ormai, dopo tutti i turni passati insieme, conosco alla perfezione tutti i termini che lei pronuncia.

"Non voglio sapere niente di più della tua nuova cotta libresca, preferisco fronteggiare Bristol furibondo" rispondo, alzando le mani, mentre lei mi fa la linguaccia.

"Ci sei domani sera?" mi chiede poi, raggiungendo la sua macchina.

"Dove?" domando, con una mano sulla maniglia.

"Alla fiera. John e Ashton avevano intenzione di fare un giro domani sera, visto che non è previsto il turno di nessuno di noi quattro. Ne stavamo parlando sul nostro gruppo su WhatsApp, dacci un occhio più tardi"

Annuisco increspando un angolo delle labbra, cosa che la fa arrossire lievemente.

"Ciao allora, Carlos"

Indugia un attimo con le dita strette attorno alla portiera, studiandomi un secondo di troppo.

"Ciao Martha, vedi di non perderti troppo tra i tuoi romance" la stuzzico, prima di vederla sorridere e salire in auto.

Rimango sulla soglia a osservarla partire.

Il cielo si è rabbuiato e il mio fedelissimo orologio segna le sei e mezza di sera. Mi guardo intorno: un vento leggero scuote le fronde degli alberi e le prime case hanno acceso le luci, che si stagliano contro il buio infondendo un senso di sicurezza e calore, rispetto all'oscurità che avanza.

Si sente odore di zucca e di cannella, probabilmente proviene da Bob's.

Osservo la via, tranquilla, costellata di decorazioni e rimandi alla notte delle streghe che ci aspetta l'indomani. Le bancarelle della fiera stanno ultimando i dettagli finali.

E' un normale venerdì, la vigilia di Halloween, quando l'occhio mi cade su un'auto parcheggiata poco lontana da me, dall'altro lato della strada.

Aguzzo la vista: al posto del guidatore è seduta una ragazza; scorgo solo i suoi capelli che devono essere biondi dietro il riflesso del finestrino. Noto che dirige il suo sguardo proprio verso di me.

E sorride.

Apro e chiudo velocemente le palpebre, per darmi il tempo di mettere a fuoco e per poco non cado dai gradini.

Non è una ragazza.

E' un viso bianco e nero, gli occhi completamente vacui...

Sussulto dallo spavento, scuoto la testa incredulo ma quando osservo la scena di nuovo, non c'è più nessun'auto e nessun volto macabro.

Solo le foglie che si spostano sulla strada e il vociare di alcuni bambini che sistemano le ultime decorazioni nel giardinetto davanti alla villetta dove prima era parcheggiata l'auto.

Ma che cazzo mi è appena preso?

Eppure mi sento qualcosa di strano; una sensazione lieve, sottile, che si insinua dentro di me come un brivido all'altezza del cuore.

Ahh, suggestioni, devo essere solo stanco.

Scrollo le spalle, dandomi dell'idiota da solo, poi con addosso ancora quel brivido fastidioso e gelido, entro nell'ufficio, con la fastidiosa sensazione di sentirmi... osservato.

Mi volto di nuovo, più per consapevolezza, che per paura, ma non c'è più nessuno.

"Oh Carlos, aspettavo proprio te..."

Dio, per la prima volta in due anni sono contento di sentire la voce squillante di Bristol!

Mi giro e lo vedo emergere dalla porta smerigliata che conduce al suo ufficio personale, su cui campeggia la scritta "Sceriffo di Contea – Duke Bristol". Indossa la sua consueta uniforme impeccabile, su cui campeggia la stella lucida che contraddistingue il suo ruolo, insieme al consueto cappello da cowboy calcato sugli occhi.

Faccio un respiro profondo e volto le spalle alla porta, sfoderando uno dei miei sorrisi più smaglianti., archiviando nei meandri della mia mente ogni cosa sia appena successa.

"Buonasera, capo"

Il lieve rossore sopra i suoi baffi mi fa pensare che John e Ashton devono averlo fatto proprio incazzare e al pensiero dei miei due amici e colleghi che cercano di convincerlo a decorare l'intera stazione di polizia in occasione di domani sera, per poco non scoppio a ridere, ma mi sforzo di rimanere serio.

"Sono piuttosto di corsa, mi aspettano al dipartimento provinciale per una riunione" afferra la sua giacca da un appendiabiti all'ingresso "volevo avvisarti che dovrai fare un cambio turno"

Se prima percepivo ancora i brividi sulla schiena, ora sento solo un incredibile fastidio: la serata che si prospettava di normale reperibilità si è appena rivelata essere l'ennesima richiesta tappa-buchi in favore di qualche collega che vuole godersi il weekend di Halloween in santa pace.

Resisto alla tentazione di sbuffare e scrollo le spalle.

"Nessun problema. Chi devo sostituire?"

"Dave McKenzie. Di solito si occupa della zona ovest, vicino alla ex strada proviciale 91, che costeggia la foresta di Silent Mountain, ma oggi è stato poco bene e visto che eri in servizio proprio questa sera, ho pensato di chiederlo a te"

Silent Mountain.

Si tratta di una fitta foresta poco fuori Fort Grey, che circonda il perimetro della città in ben dieci chilometri di vegetazione di abeti, larici e aceri secolari. All'interno, svariati sentieri di trekking conducono ai luoghi delle battaglie della Guerra di Secessione ed altri rifugi, ogni estate meta di vari escursionisti ed appassionati.

Di nuovo quel brivido lungo la schiena.

"Nessun problema, sceriffo" rispondo, mettendo a tacere l'insorgere di qualsiasi pensiero mi stesse per assalire la mente.

Bristol sorride e mi regala una pacca sulla spalla, prima di aprire la porta.

"Sapevo di poter contare su di te, Sainz. Da quando sei arrivato qui in servizio, devo dire che i colleghi all'accademia di Polizia hanno fatto un ottimo lavoro" risponde, sistemandosi il cappello.

Abbozzo un sorriso, quando lo noto fermarsi sulla soglia.

"Ah Sainz..." si volta, facendosi di colpo serio "so che è irrilevante dirtelo, ma occhi aperti. Silent Mountain non è un posto molto raccomandabile, di notte" ammette, con un'ombra velata che gli attraversa il volto sicuro e impeccabile.

Annuisco con aria ferma.

"Non si preoccupi, farò attenzione"

Alla fine si tratta solo di fermarmi proprio sotto il cartello che recita "Benvenuti a Fort Grey" in attesa di beccare qualche ubriaco che corre lungo il rettilineo della provinciale oltre ogni limite di velocità. 4

No?

Bristol mi saluta congedandosi e io rimango solo nell'atrio, in cui di colpo sembra piombata una strana oscurità.

-

"Buonasera a tutti cari amici ascoltatori e buona vigilia di Halloween! Qui è RadioNight e io sono Tom Mitchell, pronto a tenere compagnia a tutti i nottambuli sintonizzati su questa frequenza. Stasera, oltre alle nostre solite canzoni strappalacrime, ci dedicheremo a qualcosa di più spooky come va di moda dire ora. Ho il piacere di accogliervi a "Scary Stories To Tell In The Car" un'intera serata dedicata al raccontare le inedite storie della notte più macabra dell'anno che voi ascoltatori ci racconterete tramite un messaggio sul nostro solito numero! Insieme a me, per l'occasione c'è la qui presente Donna Martin, direttamente da San Francisco, scrittrice e giornalista. A te la parola, Donna!"

Prendo un sorso di caffè dal cartone di Bob's, godendo del calore confortevole, mentre mi sistemo sul sedile della volante, con gli occhi fissi sulla strada che costeggia Silent Mountain.

E' buio pesto e il freddo è abbastanza forte da penetrare all'interno dei finestrini sigillati, facendomi rimpiangere di aver accettato la richiesta di Bristol.

Oltre ai fari dell'auto che illuminano tutto il rettilineo che da Fort Grey conduce alle altre contee, intorno a me c'è l'oscurità più totale, rischiarata di tanto in tanto dalle luci di qualche altra automobile proveniente dal senso opposto, ma se non fosse per le deboli luci blu e rosse dei miei lampeggianti nella notte, intorno a me ci sarebbe solo la macchia confusa della foresta.

Guido con calma, godendomi RadioNight, il canale radio che io e Martha ascoltiamo di consueto durante i turni di notte. Di solito trasmette musica leggera, ma stasera lo speaker ha deciso di cimentarsi in qualcosa di più in tema con Halloween.

Appoggio il bicchiere di caffè nel porta oggetti, godendomi le strisce dei fari sull'asfalto umido.

L'oscurità sembra inghiottirmi man mano che procedo e decido di concentrarmi sul programma radio, per quanto le storie dell'orrore non siano la mia prima scelta, specialmente lungo una provinciale deserta, il venerdì notte alla vigilia di Halloween, con una sensazione fastidiosa che continuo a non decifrare.

"Buonasera a tutti e grazie Mitchell per avermi invitata. Mi presento: sono Donna Martin, insegno scrittura creativa a San Francisco. Stasera leggerò in diretta tutti vostri messaggi, in cui ci raccontate le vostre esperienze di Halloween, dalle più comiche a quelle più terrificanti. Ci divertiremo un sacco! MI raccomando, non dimenticate di dirci il vostro nome... oh ecco, mi fanno segno dalla regia che abbiamo un primo messaggio! Cominciamo, Mitchell"

Supero il cartello che indica l'inizio della cittadina di Fort Grey, inoltrandomi nella parte più esposta della foresta, quando i miei occhi, ormai abituati all'oscurità, incontrano una figura sul ciglio della strada.

Merda.

Non so come mai, ma l'istinto da poliziotto mi dice di continuare dritto e di non voltarmi nemmeno ad osservare chi, o cosa, possa essere la figura pallida che in lontananza entra nel mio campo visivo man mano che mi avvicino.

Rallento e abbasso la radio quasi del tutto, per essere attento ad ogni minimo rumore.

Tuttavia, l'altro istinto, quello da normale ventottenne, mi dice che potrebbe essere chiunque: un serial killer, ma anche qualcuno che ha bisogno d'aiuto. E qualora fosse la prima alternativa, ho superato a pieni voti il modulo di autodifesa ed ero il migliore tiratore al bersaglio di tutto il mio corso, a New York.

Deglutisco e faccio appello a tutta la mia calma: non c'è motivo di farsi suggestionare.

Quando sono abbastanza vicino, noto che si tratta di una ragazza. Mi accosto a lei e abbasso il finestrino, con un sospiro quasi di sollievo nel notare che è nessuno di potenzialmente pericoloso.

"Serve aiuto?" domando, osservandola con attenzione.

Indossa un abito bianco che sembra essere incredibilmente leggero per il freddo che fa stasera, con solo una giacca di pelle nera a coprirle le spalle; si appoggia al finestrino, mostrandomi il volto. Gli occhi sono così azzurri da obbligarmi a spostare lo sguardo, mentre i lunghi capelli biondi sono portati sciolti, leggermente arruffati dall'umidità che c'è nell'aria tipica di queste zone. Tuttavia, il suo viso ha una lieve espressione tirata e sospesa.

"Oh, grazie per essersi fermato, agente" esordisce, per poi guardarsi intorno con aria furtiva, la voce roca "è successo... avrei bisogno di... tornare a Fort Grey. Non sa dove posso trovare la fermata di un autobus? Ho il telefono scarico e non posso chiamare nessuno" mi mostra lo schermo del telefono, tirato fuori da una borsetta sulla spalla.

Mi insospettisco.

"Autobus? Siamo nel cuore della foresta di Mount Silent, qui non c'è niente del genere. Posso..." mi fermo per studiarla meglio, ma lei continua a guardarsi in giro, con aria stavolta spaventata. Non so come mai, ma ho come l'impressione di averla già vista. "... riaccompagnarti a casa. Dove abiti?"

A quelle parole lei mi rivolge un sorriso improvviso, come se le avessi dato la soluzione che stava cercando.

"Le sono infinitamente grata, agente," mi risponde, salendo in auto "abito in Denver Road, proprio sull'angolo"

Colgo il momento di distrazione per studiare le sue gambe che escono dal vestito e mi si gela il sangue: sono coperte da graffi, alcuni più piccoli, altri più grossi, come se avesse corso tra degli arbusti; inoltre il suo vestito bianco è strappato lungo l'orlo e gli stivali da cowboy che indossa sono completamente ricoperti di fango. Alzo gli occhi sul suo viso, per scorgerla rabbuiarsi e coprirsi preventivamente le cosce.

Scuoto la testa, deglutendo.

Qualunque cosa sia successa a questa ragazza, non mi riguarda.

Metto in moto, facendo un'inversione di marcia e tornando verso Fort Grey.

"Cosa ci facevi là fuori?" le domando, non appena i lampioni tornano a rischiarare la strada, infondendomi un senso di sicurezza maggiore.

Lei impiega un attimo a rispondere, ma poi maschera subito la voce con un tono calmo e pacato.

"Dovevamo andare a Fort Grey, per la fiera. Io e il mio ragazzo. Ero da lui oggi, visto che era il mio giorno libero, abita a Sailbourgh, a una ventina di minuti da qui" fa una pausa, sistemandosi i capelli biondi dietro le orecchie.

Continuo ad avere questa cazzo di sensazione di averla già vista ma non capisco...

"Nel tragitto per venire qui abbiamo... litigato. E mi ha lasciato qui sola. Poco dopo ho visto la sua macchina arrivare e mi è sembrato un miracolo" abbozza un sorriso.

Io rimango impassibile, ma sfrutto l'occasione per ricavare qualche informazione in più, visto che l'intera situazione mi disturba lievemente: è tutto troppo strano.

"Sono l'agente Carlos Sainz, della polizia di Fort Grey. Come ti chiami?" chiedo, rivelandomi piuttosto amichevole, alla fine è solo una ragazza spaventata, non ho modo di pensare al peggio.

"Piacere, Carlos. Io sono Alexandra Alvarrez. Deduco dal suo accento che abbiamo un'origine in comune" ammette.

In effetti, ora che ci faccio caso, parla un inglese perfetto ma segnato dal tipico accento di noi europei, in particolare, spagnoli. E poi il cognome Alvarrez è tipicamente iberico.

"Spagnola?" le chiedo.

"Sì, i miei genitori sono di Madrid. Sono arrivata negli Stati Uniti dieci anni fa ma sono a Fort Grey da poco. Lunedì sarà il mio primo giorno di lavoro, farò la cameriera al diner Bob's, ha presente?"

Annuisco e mi calmo: sì, è una normale ragazza con un fidanzato con qualche problema a gestire la calma.

Entriamo a Fort Grey, che pullula di gente per le vie in occasione della fiera e mi fermo davanti all'edificio ai margini della via indicata da Alexandra, appartato e avvolto dall'ombra.

"Io abito qui, in un monolocale al secondo piano" sussurra, con una mano sulla portiera "la ringrazio molto per avermi accompagnato"

Stringo il volante ed evito di incrociare il suo sguardo.

Tra noi due cala una tensione ferrea che sembra dilatarsi incredibilmente in questi cinque secondi di silenzio nell'abitacolo dell'auto, in cui tutto sembra colorarsi di nero screziato da lievi bagliori di luci.

Alexandra punta i suoi occhi azzurri come il ghiaccio su di me e noto che le sue labbra scarlatte si schiudono in un lieve sorriso.

Vorrei parlare, ma mi sento bloccato.

Si sporge leggermente verso di me, i lunghi capelli che si muovono come onde attorno al viso; intorno a noi c'è il silenzio più assoluto, nemmeno la radio, al minimo, sembra essere ancora accesa.

Senza che io possa ribattere, posa le sue labbra bollenti sulle mie in contrasto con il gelo della sua pelle.

Tutte le luci si spengono, mentre la mia lingua scivola nella sua bocca, come se avessi perso completamente il controllo di me stesso e dentro di me ci fosse solo quel brivido che continuo a provare incessante.

Poi... Poi il buio.

-

Lingua, labbra, denti, mani, pelle. Una casa, un letto, delle scale, uno specchio in frantumi.

Immagine lente, fotogrammi che si insinuano nelle mie mente come le mie mani tra i capelli di lei, mentre la prego di non smettere, mentre la sensazione di alcune lenzuola fredde placano il calore bollente della mia pelle.

Non riesco ad aprire gli occhi, mi sento bloccato. Il viso angelico di Alexandra cambia, diventa quel volto orrendo che ho scorto tra i finestrini di quell'auto, le sue mani stringono, stringono sempre di più la mia gola.

Urlo, sento il rumore dello specchio che va in frantumi, ma di nuovo la sua bocca di priva di ogni respiro, catturandomi a lei.

Poi tutto di nuovo cambia inquadratura e mi ritrovo in un bosco fitto, lambito da una nebbia bassa e densa.

Il freddo della foresta di Silent Mountain mi invade il cuore, mi ritrovo tra quelle fronde, perso, correndo a perdifiato tra i tronchi scappando da lei. Vedo i bagliori della fiera in Fort Grey, corro, corro sempre più forte ma le luci sono sempre più lontane.

Mi volto e c'è quel volto, quei tratti inconfondibili e mostruosi.

Cado. Di nuovo il frastuono di uno specchio in frantumi.

Sangue, tanto, il rumore di un'auto in corsa, i capelli biondi di Alexandra, mille voci sussurrano qualcosa al mio orecchio e io impazzisco completamente.

Spalanco gli occhi con un grido così forte da fare tremare le pareti.

Mi metto a sedere, con il cuore che batte così forte da temere che mi si spezzi nel petto; sono un bagno di sudore e mentre metto a fuoco la realtà, constatando che si trattava di un sogno, mi rendo conto di essere nella mia camera da letto.

Indosso ancora l'uniforme, compresi gli stivali. Sono solo sdraiato sulle lenzuola, con un fiatone terribile e la pelle d'oca.

Ci impiego un attimo a incastrare tutti i tasselli della sera precedente: Silent Mountain, i fari, il buio, Alexandra.

L'ho accompagnata a casa e lei... mi ha chiesto di salire. Ne sono certo. Ma è tutto così annebbiato nella mia mente, lattiginoso... cazzo, era un sogno? Dio, non ci capisco più nulla, che mi succede?

E' come se la mia mente non sia in grado distinguere quale sia il confine tra ciò che è accaduto e ciò che si confonde con il sogno. Mi scoppia la testa.

Lo squillo del mio telefono rompe la bolla di angoscia in cui sono immerso, obbligandomi ad afferrarlo con forza, senza nemmeno leggere il nome sul display.

"Sainz"

"Maledizione Carlos! Ma dove cazzo sei? Martha è da un'ora che ti chiama incessantemente! Devi venire subito qui, è un'emergenza!"

La voce di Ashton tuona dall'altro capo del telefono e io in un batter di ciglia mi ritrovo in piedi, tramortito come se mi fossi appena risvegliato da un coma ma in piedi. MI sfrego il viso con una mano e osservo la mia auto, dalla finestra, parcheggiata sul vialetto.

Cazzo, cazzo, cazzo.

"Come? Ash? Di che emergenza parli?"

"Abbiamo ricevuto una telefonata anonima questa mattina, una voce non identificabile ci ha informato che c'era una ragazza morta in un appartamento di Denver Road. Ci siamo fiondati qui pensando allo scherzo di Halloween ma... è tutto vero. Precipitati qui, Bristol è... sconvolto. La cosa è grave. Fai in fretta"

Chiudo la chiamata e non mi do nemmeno il tempo di pensare.

Non so che cazzo mi sia successo ieri sera ma c'è qualcosa che mi fa presagire il peggio.

Denver Road è dove ho lasciato Alexandra.

Mi fiondo in bagno, accendendo di colpo la luce, prima di urlare di nuovo, la seconda volta questa mattina.

II mio specchio, sopra il lavandino, è completamente in frantumi.

In frantumi. Come nel sogno.

Le crepe nel vetro sembrano una tela di un enorme ragno e io fisso sconvolto il riflesso del mio viso di pietra tra quelle linee recise, come mille lame aguzze.

"Santo Dio"

Mi appoggio al lavandino, senza parole; apro l'acqua e ci ficco sotto la faccia, nella speranza di svegliarmi da quest'incubo. Quando rialzo il viso e incontro di nuovo il mio riflesso, stavolta lo specchio è completamente integro. Con il cuore che mi martella in gola e un silenzio assordante, allungo una mano per vedere se è reale o solo uno scherzo della mia mente impazzita, ma nel momento in cui i miei polpastrelli sfiorano la superfice fredda, il volto del sogno compare alle mie spalle.

Un ghigno perfido, i denti aguzzi, gli occhi completamente neri sul corpo di Alexandra, il suo vestito, i suoi capelli...

Urlo, afferrando la pistola dalla fondina e puntandola contro quello che ho appena visto, ma quando mi giro non c'è più nulla, solo l'eco della mai voce nel silenzio assordante che sembra tagliarsi con il coltello.

Impreco, mi volto e lo specchio è di nuovo rotto.

Senza pormi più alcuna domanda e con il respiro spezzato, corro fuori, diretto in Denver Road.

-

E' lei.

La ragazza sul letto, con il petto squarciato e il sangue ovunque.

E' Alexandra.

Quella è la camera da letto che ho visto nel sogno, quelle sono le sue lenzuola, quella la stanza.

Il suo vestito però è integro, ancora etereo e bianco. Gli stivali da cowboy sono ai piedi del letto, probabilmente se li stava mettendo quando...

"Presumiamo che l'assassino l'abbia colta di sorpresa. Anche se non ci sono segni di scasso e i vicini dicono di non averla nemmeno sentita chiamare aiuto o altro. Attualmente, l'ipotesi di tutti noi è che si tratti di un omicidio passionale, Alexandra Ruiz era da poco in queste zone e magari fuggiva da un fidanzato violento. In alternativa un regolamento di conti, la ragazza doveva iniziare lunedì da Bob's" mi spiega Martha, con la voce bassa.

Io non riesco a concretizzare nulla, mi limito a cercare di fare quadrare qualcosa in quel caos di immagini e di flash che è la mia mente, ma tutto in quella stanza me lo rende incredibilmente difficile, dandomi la sensazione che la testa sia sul punto di esplodere.

Martha mi osserva, trascinandomi lontano dal cadavere, dagli uomini della scientifica, da Bristol che parla con gli agenti federali.

"Vuoi dirmi che ti prende?" mi sussurra, ma io non riesco nemmeno a guardarla negli occhi.

"Non lo so Martha. Io... credo di... conoscerla" balbetto, osservando con la coda dell'occhio i capelli biondi di Alexandra, sparsi come una corona sul letto.

Martha aguzza gli occhi marroni, come fa ogni volta che sente qualcosa di strano.

"Ieri sera. L'ho vista, vicino alla foresta di Silent Mountain"

A quelle parole lei si irrigidisce.

"Come puoi averla vista? E' morta ieri nel tardo pomeriggio! Hai sentito o no il medico legale?"

Io l'ho vista.

Sono stato con lei.

"Dio credo di... di stare impazzendo"

Esco dalla stanza, sotto lo sguardo di John e Ashton, che parlano con Bristol riguardo i giornalisti che stanno piano piano invadendo la scena dall'esterno.

Mi fermo sui gradini dell'appartamento, dopo una rampa di scale, all'aria aperta, con la mente offuscata dalle immagini frastagliate e macabre di quella figura.

"Carlos!"

Martha mi raggiunge e mi appoggia una mano sulla spalla, obbligandomi a guardarla.

"Che è successo ieri sera?" mi chiede, captando la paura nel mio sguardo e mettendosi subito sulla difensiva.

"Non lo so. Sono certo di conoscere quella ragazza. L'ho vista, era sola e io ero di pattuglia. Le ho chiesto se aveva bisogno di aiuto e l'ho riaccompagnata a casa. Abitava proprio qui," indico la casa e Martha segue cauta il mio sguardo "solo che poi... poi non ricordo, ho un vuoto terribile di memoria che va dal momento in cui arrivo sotto casa sua fino a questa mattina, so solo di aver fatto dei sogni orribili e di aver visto cose strane... Dio la foresta di Silent Mountain è così..."

"Inquietante. Lo so" sussurra lei, osservando un punto imprecisato aldilà della piccola folla di giornalisti e curiosi.

Beh di sicuro una bella storia da raccontare oggi che è Halloween.

"Ti sei solo fatto suggestionare, il buio tra gli alberi e questa brutta vicenda stamattina, è solo stress. Può capitare a tutti nel nostro lavoro, soprattutto se è la prima volta che si fa un pattugliamento notturno su quella strada. Sì, può capitare anche a te che eri il migliore all'accademia. Quella ragazza è solo vittima di una brutta storia, ma troveremo il colpevole" torna con lo sguardo su di me e cerca di smorzare quella luce strana nei suoi occhi con un sorriso.

Forse ha ragione, può essere davvero tutto frutto di un sogno o di un episodio di forte paranoia.

"Non lo so... Martha, è tutto così reale"

Prima che lei possa rispondere, John la chiama dall'ingresso.

"Aspettami qui, torno subito"

Annuisco, per poi vederla camminare spedita verso John, che regge alcuni documenti, probabilmente il verbale provvisorio appena redatto.

Torno con gli occhi sulla strada, costellata dal via vai di poliziotti e agenti della scientifica. I curiosi borbottano fra di loro cosa possa essere successo e i negozi che si affacciano in Denver Road alzano tiepidamente le loro serrande.

Mentre passo in rassegna l'ambiente circostante, il sangue mi si gela nelle vene.

Davanti ad una piccola libreria che ha appena aperto, proprio sull'ingresso, c'è una figura.

Quella figura.

Mi guarda con i suoi occhi vacui e neri, poi inclina la testa di lato, in un sorriso agghiacciante.

Le persone le passano davanti, impassibili, come se non la vedessero e il mondo intorno a me non fa più alcun rumore.

Il silenzio assordante.

Rimango pietrificato e quando riapro gli occhi, quella cosa non c'è più.

Basta una frazione di secondo e cado a terra svenuto.

-

Chiudo a chiave la porta e infilo la pistola nella cintura dei miei jeans.

Guardo l'ora: sono le sette passate.

I bambini sono presi con il dolcetto o scherzetto lungo tutte le case dell'isolato e mi dispiace ammettere che se busseranno alla mia, farò finta di non sentirli. Non ho intenzione di aprire la porta, non adesso che ha fatto rapidamente buio.

Bristol nel vedere il mio aspetto cadaverico dopo lo svenimento mi ha spinto a tornare a casa e a prendermi il resto della giornata libero. Non ha fatto domande e gliene sono grato, così come John e Ashton, che, nonostante abbiano insistito perché andassi con loro alla fiera questa sera, si sono rassegnati al fatto che stasera non mi muoverò di qui.

Dopo una doccia gelata, su consiglio di Martha, la mia mente ha iniziato ad affievolirsi.

Non ho dato un passaggio a nessuna ragazza.

Non ho visto nessun volto inquietante.

Non c'è nessuno specchio rotto.

Eppure c'è qualcosa che continua a spingermi a rimanere sulle spine.

Mi siedo sul divano da piccolo salotto che funge anche da cucina e sala da pranzo, quando all'improvviso, noto un'ombra dietro il vetro che si affaccia sul giardino.

D'istinto porto la mano alla pistola e scatto in piedi.

MI avvicino con due lunghe falcate; la apro, ma non vedo nulla.

Sbuffo, completamente esasperato, quando di nuovo scorgo un movimento tra le fronde.

Senza pensarci due volte raggiungo la porta d'ingresso, spalancandola per uscire.

Mi guardo in giro: bambini vestiti da supereroi, streghe, fantasmini, zucche illuminate che rischiarano tutti i vialetti delle case, genitori, ragazzi più grandi in costumi tratti da qualche film.

Nessun'ombra o parvenza di tale, solo io con una terribile sensazione di allarme che non mi lascia solo.

Dovunque poso lo sguardo temo di incontrare di nuovo il viso di Alexandra o quello di quell'essere.

Sto per rientrare in casa, ma un rumore furtivo, proveniente dal lato della casa cattura la mia attenzione.

Scendo i gradini, una mano ben salda sul calcio della pistola, pronto ad alzarla non appena giro l'angolo. Non appena i miei occhi incontrano una figura alta, massiccia e di spalle, stringo i denti. Quest'ultima si gira, rivelando una...

Una cazzo di maschera di ghostface?

"Hey amico! Abbassa quella pistola, ti prego!"

La voce di Ashton!

La figura sposta la maschera, rivelando il volto famigliare del mio amico, cosa che mi manda su tutte le furie.

Abbasso la pistola, resistendo alla tentazione di fiondarmi su di lui e di riempirlo di pugni.

"Che cazzo cercavi di fare Ash? Per poco non premevo il grilletto!"

Mi giro e mi incammino davanti alla casa, seguito da Ashton, avvolto nel suo travestimento perfetto.: capelli neri tenuti insieme da una buona dose di gel e jeans scuri che lo fanno apparire la copia di Billy di Scream.

Alla fine nonostante io mi senta in un altro mondo è pur sempre Halloween...

"Ghostface è il nuovo idolo dei social! Piace a tutte le ragazze... dovresti optare per qualcosa del genere anche tu" ride lui, regalandomi uno dei suoi sorrisi smaglianti.

Io lo fulmino e si rabbuia.

"Scusa, volevo solo farti uno scherzo. Eri sconvolto oggi e credevo che due risate..."

"Due risate? Uno cerca di entrarmi in casa vestito da ghostface e io dovrei ridere?"

Lui rotea gli occhi.

"Senti, a nessuno è piaciuto quello che è successo oggi. Siamo rientrati sconvolti, quasi più di te. Lasciarti andare ti farà solo bene, Carl. Alla fine è Halloween, stanno tutti facendo qualcosa: John ha rinunciato alla fiera perché tu non c'eri, Martha alla fine ospitava un'amica del college e io ho pensato che ti avrebbe fatto piacere a stare in compagnia" sbotta.

Io sbuffo sonoramente, constatando che Ashton ha pienamente ragione.

"Sì, mi fa piacere. Solo... non voglio che..."

Lo sguardo mi ricade su una persona, appoggiata alla staccionata.

No.

Non può essere.

Quel volto.

Mi guarda, fisso e io tremo.

Ashton segue il mio sguardo ma mi rivolge un'occhiata interrogativa nel notare che non c'è nulla di così spaventoso da pietrificarmi.

"Carlos? Amico che hai?"

Chiudo gli occhi.

Quando li riapro, la creatura non c'è più.

Mi porto una mano al viso, poi in preda ad un'ondata di adrenalina, mi incammino sul vialetto.

"Nulla. Andiamo alla fiera." Borbotto, cercando di placare l'angoscia che mi monta nel cuore, nell'osservare il punto della staccionata a cui prima era appoggiata quella cosa.

-

Fiera dell'Autunno.

Mi ero scordato quanto diavolo fosse bella.

E' il primo anno che la riesco ad osservare dal suo interno, come persona e non come poliziotto in servizio.

Per quanto il mio umore sia in un perenne stato di allerta, è impossibile non sentirsi immersi nel fascino che emana l'atmosfera.

Ci sono innumerevoli bancarelle che si snodano per tutte le vie del centro. Alcune offrono dolciumi, lecca-lecca di zucchero a forma di pipistrello o zucca, fantasmini di cioccolato, biscotti al profumo di cannella, plumcake di mele; altre vendono oggettistica fatta a mano, sciarpe di lana, candele, collane di ottone, decorazioni autunnali e ghirlande di fiori e foglie fresche. Adocchio una bancarella che vende libri vintage, a pochissimi dollari l'uno.

Mi avvicino, facendomi strada tra la folla.

I libri sono stipati ordinati in file perfette e, anche se portano i segni del tempo, sembrano ancora nuovi.

Non me ne intendo molto di lettura, ma mi farebbe piacere comprarne un paio per Martha.

L'occhio mi ricade su una copia di un'edizione speciale de Cime Tempestose di Emily Bronte, perfettamente intatta, le pagine integre e solo lievemente ingiallite.

"Da quando ti dai ai classici inglesi?"

Al mio fianco sbuca Ashton, la maschera di ghostface in mano, mentre mangia una mela caramellata, flirtando con lo sguardo insieme alla giovane ragazza della bancarella.

"E' per Martha" sussurro, pagando la ragazza e afferrando il libro.

"Beh di sicuro riuscirai la conquisterai, non la vedo mai senza un libro"

Proseguiamo lungo la fiera e arriviamo alla sezione dalle sfumature più noir.

Ci sono alcuni stand che offrono letture di tarocchi, della mano, o vedute all'interno della sfera di cristallo per il futuro.

Sono tentato davvero dal fare dietrofront e tornarmene a casa, ma Ashton sembra particolarmente interessato e decido di seguirlo.

Le lanterne e le candele rendono tutto ancora più introspettivo man mano che ci addentriamo nel cuore della festa; ad ogni mio passo ho come l'impressione che il mondo intorno a me si faccia più buio.

Deglutisco.

Ashton mi indica con un cenno una bancarella piuttosto isolata, coperta da bastoncini di incenso e una zucca dentro la quale balugina una piccola candela, proiettando le nostre ombre sul muro adiacente con fare spettrale.

Sono quasi certo di scorgere l'ombra di una figura in più sulla parete, ma distolgo lo sguardo prima di poter percepire i brividi lungo la schiena e il mio respiro farsi ancora più pesante.

Sulla bancarella c'è un cartello scritto a mano con una calligrafia aggraziata ed elegante.

Recita "Un pensiero per una storia – siediti e ti sarà raccontata la storia che più ti si addice".

Dietro il bancone è seduta una ragazza e io la osservo con attenzione.

Lei ricambia il mio sguardo e cerco di non sudare freddo.

Ha il viso dipinto secondo il tipico stile del Dia de Los Muertos, in uno sugar skull tipicamente messicano. I capelli dalle sfumature bionde sono raccolti sotto una corona di fiori freschi, scarlatti.

Rossi come le labbra di Alexandra.

Distolgo lo sguardo dal bianco e il nero del suo trucco, per evitare di rivederci il volto che mi sta perseguitando e mi concentro sul libro che stringo fra le mani, neanche fosse un amuleto protettivo.

Mi volto alla mia destra, cercando Ashton ma non c'è.

Faccio un giro su me stesso, immaginando che magari si sia semplicemente spostato verso qualche altra bancarella, ma mi rendo conto che sono solo. Non c'è nessuno. Solo io.

Il calore della paura mi attanaglia le viscere.

"Hai voglia di sentire una storia?" mi domanda la ragazza, sfoderando un sorriso di denti bianchissimi e dai canini lievemente aguzzi.

Sono pietrificato davanti a lei, i piedi ancorati al terreno, mentre attorno a noi sparisce ogni suono.

Di colpo non esiste più nessuna fiera: c'è solo il colore tenue delle candele sul suo tavolino, l'odore di cannella e di umidità, il tipico odore che si sente nel cuore di un bosco, il silenzio pastoso che preannuncia un cattivo presagio; da lontano mi giunge l'eco di alcuni sussurri, mentre il mondo si fa buio.

Sto sognando... sto sognando...

"No, non stai sognando. E' tutto vero"

Si alza, rivelando il vestito identico a quello di Alexandra.

"E' identico al suo, perché lei è me" sussurra, ad un passo dal mio viso.

La guardo negli occhi azzurri come il ghiaccio, mentre sento ogni goccia di sangue scorrermi nelle vene.

"No... tu non sei lei... non sei reale..." farfuglio, quando la sua mano dalle dita di scheletro dipinte, si appoggia sul mio viso.

Di colpo il tempo si ferma.

Sono nella foresta di Silent Mountain. Dietro di me c'è parcheggiata l'auto su cui ieri ho visto la ragazza dal volto demoniaco. Sento una voce lontana chiamare il mio nome, inizio a correre, ma per quanto vada forte, non mi sembra mai di cambiare posto. La foresta diventa un labirinto in cui nel buio, quei volti demoniaci mi scrutano curiosi e famelici. I loro denti aguzzi, i loro sussurri. Poi la vedo.

Alexandra.

E' in piedi in una radura.

"Carlos" sussurra "Carlos, aiutami. Mi stanno facendo... ho paura"

Grido il suo nome, cerco di afferrarla ma lei svanisce dalle mie mani prima che possa sentire la sua pelle morbida sotto le mie dita, come quella notte.

Le sue grida squarciano il silenzio di Silent Mountain, mentre cado in ginocchio tra le foglie gialle e rosse.

Da lontano mi giunge il frastuono di uno specchio che va in mille pezzi e poi di nuovo, davanti a me, compare quel volto.

E' la ragazza della bancarella.

Ma è anche Alexandra.

"Ci sono cose che non possiamo spiegare perché accadono"

Mi accarezza una guancia, con aria improvvisamente malinconica.

"Dobbiamo solo accettarle, forse comprenderle. L'unica cosa che possiamo fare, è raccontare una storia"

Chiudo gli occhi, il libro mi cade dalle mani.

La vita mi passa davanti, mentre rivedo ogni istante, inebriato da quel profumo lontano ma intenso di cera e autunno; i sussurri si mischiano al tintinnio del vetro dello specchio, nient'altro che la mia anima che si squarcia fra le mie mani, come il petto di Alexandra, sul letto.

La sua mano mi accarezza le palpebre, poi scende, sulle labbra.

E' dolce.

Sa di miele, di foglie cadute, di vento tiepido, di notti eterne.

No, non ho paura adesso.

E il mondo cessa di esistere.

"Ti ho cercato per tanto tempo. Finalmente sei qui. Vieni con me. E lascia che ti racconti una storia." 

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