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YOUR ART ON MY FLOOR

LEVI

"Bene ragazzi, fate tesoro di quanto visto oggi. Dalla prossima settimana inizieremo a organizzare la nostra piccola gita fuori portaaaa."

Hanji canticchia soddisfatta. Rispondo alle sue occhiate allegre con la mia immacolata freddezza anche se so benissimo che se ne infischia. Il suo sorriso perenne non svanisce neanche quando mette via il materiale e libera la scrivania disordinata.

"Eren, Levi, mi aspetto di vedere anche la bozza del vostro progetto Giovedì prossimo."

Si mette la borsa in spalla, agitando la coda arruffata con l'indistruttibile sorriso perenne sul volto luminoso. Il suo tono è privo di qualsiasi intimidazione, ma è sufficiente per mettere in allarme il mio vicino. L'intero banco si scuote quando Eren diventa un cumulo di movimenti scombinati. Affannato si sporge dal vecchio ripiano in legno, artigliando i bordi neri come a volervisi aggrappare.

"Oh certo prof Hanji! È colpa mia se siamo in ritardo. Ero in punizione per cui non abbiamo potuto lavorarci. Sarà tutto pronto per Giovedì."

Sputa fuori in un solo fiato. Ho ancora gli occhi sulla faccia divertita di Hanji, ma posso chiaramente immaginare il petto del castano sollevarsi spasmodico per riprendere un po' d'aria. Mi ritrovo costretto a coprire con il dorso della mano un ghigno che difficilmente trattengo. È totalmente impacciato quando ci si mette.

"Tranquillo Eren. Già che non guardi il soffitto durante la lezione è un ottimo traguardo. Stai facendo passi da gigante. Ci vediamo prestoooo."

La sua risata sguaiata risuona nel corridoio in cui scompare, dietro alla scia dello svolazzante camice bianco. Ora che siamo rimasti soli, mi volto a destra attirato da due enormi occhi verdi che guizzano ansiosi nei miei, quasi mi stessero aspettando. Il respiro smarrisce la strada e si ferma a metà nella gola improvvisamente a corto di saliva sotto a quel colore impossibile che rifulge di una luce intensa. Oggi Eren è arrivato in ritardo, negandoci i soliti dieci minuti di chiacchiere. Quando è entrato con l'affanno e i capelli scompigliati oltre ogni limite, è corso al posto in silenzio. Le luci dell'aula erano abbassate per la proiezione delle diapositive, ma per quanto mi riguarda il rossore sulle sue guance è stata la cosa più luminosa durante tutta la lezione. E continua ad esserlo tuttora. È proprio vero che qualunque cosa io mi racconti, è un po' tardi per negare l'evidenza. Non posso che ammetterlo a me stesso e al contempo chiedermi quando diavolo sia diventato così necessario passare del tempo con lui.

Un fruscio di carta rigida mi riscuote dai miei pensieri. Le dita di Eren giocano nervosamente con l'angolo del modello su cui stiamo lavorando, determinate ad accanirsi su quella punta stropicciata per contrastare l'apprensione che lo rende d'un tratto così silenzioso. I suoi occhi non lasciano i miei neanche per un istante, mentre le lunghe ciglia si abbassano in un moto di imbarazzo.

"Allora... ci fermiamo qui per studiare il progetto?"

Sollevo l'angolo di carta opposto e lascio che si ripieghi su se stesso, rotolando verso il suo gemello sotto alla lenta e decisa spinta della mia mano. I miei occhi ancora persi nel suo verde speranzoso.

"Non se ne parla. Andiamo da me, però sarà meglio muovere il culo. Se saremo ultimi nella gara di astronomia mi toccherà fartela pagare, Jaeger."

Eren arrossisce ancora di più se possibile. Non capisco se sia per la minaccia o per le mie dita che nel frattempo sono arrivate a sfiorare le sue in una mossa tanto calcolata quanto azzardata. Una volta che la nostra reciproca presa fa del modello un ingombrante tubo di plastica, il mio compagno fugge dal mio sguardo e dal mio tocco. Scottato da una connessione imprevista, condanna i miei polpastrelli a chiedersi come sarebbe toccare davvero quella carnagione scura e calorosa e con la scusa di prendere un elastico per assicurare la chiusura del nostro progetto, abbandona il suo posto nella mia dimensione.

"Bene. Questo è il genere di incentivo che mi serve per ottimi risultati scolastici, Ackerman."

Forza la pronuncia sul mio cognome in risposta, nonostante l'imbarazzo impregni ancora la maggior parte delle sue parole e lo pieghi a prendere un generoso respiro per modulare una frase così semplice. Il mio cuore d'altra parte salta chiaramente un battito alla confidenza che si prende con me. È da un pezzo ormai che tutto quello che esce dalla sua bocca suona così dannatamente giusto alle mie orecchie. Dio, potrei stare a sentirlo per ore, sicuro che ogni singola, timida sillaba da quella bocca quasi sempre sorridente catalizzerebbe la mia attenzione, mandando completamente fuori uso i meccanismi del mio sistema cardiocircolatorio.

"Beh, se è così, posso darti tutti gli incentivi che desideri."

Rispondo a tono, incapace di non cadere nell' allettante meccanismo che è il nostro botta e risposta. Per riprendere quota rinuncio ad analizzare la sua reazione, alzandomi con un movimento troppo rapido e dandogli le spalle. Inizio a camminare, focalizzandomi per quanto possibile sull'eco dei passi che infieriscono sulle piastrelle consumate. Tuttavia, gran parte del mio interesse è rivolto a ciò che ora non rientra nella mia visuale. Con la mente ricostruisco i suoi gesti, quando sul banco picchietta per un chiassoso istante tutto il materiale che ha usato per la lezione. La zip del suo zaino si chiude fulminea. Una sedia stride, quando probabilmente la urta con un piede. Si affretta come per timore che lo lasci qui. Come se temesse che possa mandare all'aria la nostra uscita. Vorrei ridere di gusto delle sue paure infondate e dei suoi tentativi di soddisfare le mie aspettative, ma non ci riesco. L'impegno che Eren mette nello stare con me, con tutte le mie risposte scontrose e i miei silenzi laconici, mi lusinga. Mi rassicura. E allora quando, ansimando, raggiunge il mio fianco e mi sorride, dicendomi che è pronto per andare, tengo lo sguardo fisso sulle porte di uscita. Mi sistemo il cappotto già perfetto e mi limito ad annuire debolmente perché la sua vicinanza mi spaventa a morte.

***

"Finito! Beh... con la bozza, intendo."

Eren si lascia cadere con la schiena contro all'armadio di camera mia. Osserva con un sospiro soddisfatto il foglio su cui è stato chinato nelle ultime due ore. Come faccia a disegnare per terra è inconcepibile. Non solo per la scogliosi che sicuramente lo farà abbassare di qualche centimetro, ma anche per la quantità di microbi che tocca stando sul pavimento. Fermo restando che pulisco la mia camera tutti i giorni per cui il parquet potrebbe quasi leccarlo, ma per oggi lo risparmio. Salvo il materiale raccolto con un veloce click del mouse e chiudo il portatile. Poi, con una leggera spinta, lascio che la sedia girevole mi faccia voltare per bene nella sua direzione.

" Ti ho già mandato via mail quello che dobbiamo riassumere per la parte teorica."

Faccio un cenno verso la bozza che ha buttato giù con tanta fatica. Sono solo deboli segni di matita con i quali però ha azzeccato tutte le proporzioni. Con le linee precise che ha tirato, riesco già a vedere il disegno che ne verrà fuori.

"Non male per un moccioso del quarto."

Mi rilasso anche io sullo schienale, cercando un sollievo che puntualmente si dilegua nei momenti in cui Eren è al centro delle mie attenzioni. Seguo i suoi movimenti innocenti con troppo coinvolgimento, quando appoggia anche la testa all'armadio. La matita gli scivola lentamente dalle dita che strizza e rilascia per distenderle. Si volta leggermente verso di me. Uno sguardo che non riesco a decifrare mi mette improvvisamente sotto torchio. Faccio del mio meglio per irrigidire i miei lineamenti già definiti e non mostrare reazioni alla bocca piena che si incurva verso l'alto, assottigliando gli occhi solitamente innocui in un taglio accattivante.

"Si dà il caso che questo moccioso sia il primo nel suo corso di arte."

Sottolinea compiaciuto e soddisfatto, alzando un sopracciglio. Lascio andare con più fatica del dovuto il respiro incastrato nei polmoni. La mia voce gli arriva bassa e neutra come di consueto, grazie al mio proverbiale autocontrollo che troppo spesso perde terreno sotto ai suoi colpi inconsapevoli.

"Siamo arroganti eh, Jaeger?"

Mi dondolo all'indietro in una continua necessità di stemperare la tensione. È incredibile come riesca a provocarmi. In poco tempo anche io sto sorridendo sfacciatamente.

"Affatto. Solo che amo disegnare. È una cosa in cui mi sento molto sicuro. Probabilmente l'unica in realtà."

Alza le spalle, per niente a disagio nella sua confessione. Osservo il suo corpo rilassarsi, quando copre uno sbadiglio con il dorso della mano.

"Ah, tutto questo lavorare mi ha fatto venire sonno."

Ride attraverso il naso, forse un po' imbarazzato per i suoi ritmi così diversi dai miei. Io che sono ancora perfettamente lucido dopo ore di ricerche. Non ha la minima idea di quanto lo invidio per essere così spontaneo in tutto, o di quanto siano preziosi quei sorrisi impacciati così pericolosi e invitanti.

"Già, capita ai ragazzini."

"Ah, non mi lascerai mai in pace."

Mi risponde a tono con finta irritazione. Qualche occhiata lunga e intensa e il silenzio cala su di noi. L'unico rumore che ci accompagna sono le mie dita che tamburellano irrequiete sulla scrivania. Mi sono di nuovo perso nei suoi occhi. Quel verde brillante si insinua nel mio sguardo impassibile. Nell'ultimo mese questo devastante bisogno di bere le sue sfumature è diventato quasi fastidioso. Potrei passare ore ad esaminarlo e non riuscirei a contare tutte le pagliuzze dorate che spezzano l'iride caraibica. Non capisco come diavolo ho fatto a ridurmi così. Ad arrivare al punto in cui devo stringere i pugni e razionare l'ossigeno per scappare dalla voglia di conoscere la consistenza del suo corpo sul mio.

"Oh accidenti."

Sobbalziamo entrambi al suono del suo cellulare che zittisce i pensieri poco casti che il suo viso perso nel mio stava fomentando. Riacquisto compostezza mentre Eren legge veloce il messaggio che ha ricevuto, disegnando cerchi immaginari sullo schermo con aria tutt'altro che serena.

"Problemi?"

Chiedo, forse troppo acido. Dopotutto mi piaceva la pace privata che si era creata.

"No... no. Solo mia madre che mi dice di tornare. A casa mia si mangia presto."

I suoi occhioni si giustificano regalandomi un'espressione mesta che non si preoccupa neanche di occultare. Io dal mio canto incasso il colpo. Io, Levi Ackerman, determinato a passare la mia vita il più lontano possibile da chiunque non voglio che il moccioso vada via. Sospiro, più per esasperazione che per altro.

"Ti accompagno alla porta."

Mormoro riluttante fra me e me, scattando in piedi e cercando di dimenticare quello che non posso far altro che chiamare dispiacere.

"D'accordo."

Ed è un attimo. Eren alza la testa verso di me con la voce abbattuta e smorzata. Il suo sguardo palesemente adombrato da qualcosa che va oltre alla stanchezza. Si mette in piedi svogliatamente, temporeggiando con i polsini della felpa e restando fermo sul
posto, come se avesse cemento al posto delle gambe. Quando muove controvoglia qualche passo in direzione della porta con il labbro inferiore tra i denti, so che non potrò
più bloccare le parole che spingono prepotentemente per uscire.

"Fermati a cena."

***

Tiro indietro la sedia, mettendomi vicino ad Eren. Non ha smesso di parlare un attimo, riempiendo con le sue chiacchiere anche i venti minuti in cui abbiamo preparato la tavola. Ora però è evidentemente agitato. Anche un cieco noterebbe come continua insistentemente a sistemarsi sul posto, aggiustando ogni millimetro del corpo sulla sedia. Neanche fosse seduto su una distesa di braci ardenti.

"Hai fame?"

Improvviso una domanda più che scontata per richiamare la sua attenzione, alla quale risponde annuendo energicamente.

"Era ovvio. Anche io cosa lo chiedo a fare."

Scuoto la testa con finta disapprovazione, facendolo ridere e arrossire contemporaneamente. La sua risata è così limpida da riempire tutto il soggiorno.

"Resisti. Gli altri saranno qui in pochi secondi."

E subito torna serio. Mi osserva accigliato, sistemando una ciocca ribelle dietro l'orecchio in quella mossa che fa inconsciamente nelle rare volte in cui medita prima di dire tutto quello che gli passa per la testa. Lo guardo di rimando, ammorbidendo la mia espressione quanto basta per incoraggiarlo silenziosamente a non trattenersi. D'altronde la curiosità di conoscere ogni suo pensiero è troppo disturbante perché possa combatterla.

"Levi, perché non... perché non dici genitori?"

Lo scatto della serratura mette da parte la domanda a cui comunque troverà risposta a breve. Una corrente d' aria fredda lo fa trasalire, quando la porta di ingresso si spalanca di botto secondo il perfetto stile della padrona di casa che non tarda a farsi sentire.

"Levi, siamo arrivati. Mi auguro che almeno stasera metterai qualcosa sotto ai denti. Abbiamo preso un sacco di sushiiii!!"

Dio solo sa come faccio a non ridere a crepapelle, quando Eren perde più di una gradazione di colore in viso. I suoi occhi sgranati che mi guardano in cerca di conferme sono una visione impagabile. Ero certo che non lo sapesse.

"Ma Levi, questa... voce..."

Sussurra, restando a bocca aperta. Letteralmente, intendo. Ha perso le funzioni motorie per chiudere le labbra.

"Tanto ci penserà lui a mangiare la mia parte."

Rispondo alla figura familiare che ormai ha raggiunto il tavolo senza staccarmi dalla deliziosa espressione sgomenta di Eren, sciolta peggio di un blocco di cera in un forno.

"Oh ciao Ereeen. Due volte in un giorno? Ma che cosa assolutamente fantastica! Erwin corri! Guarda chi abbiamo a cena stasera."

"Bu- buonasera... prof... Hanji."

Bofonchia in modo incomprensibile agli squilli divertiti di Hanji. Copro inutilmente il viso con la mano. Mi sa che è la volta buona che il mondo mi vedrà ridere se continua così. Eren non ha neanche il tempo di elaborare che il suo professore di arte ci raggiunge.

"Oh Eren, questa sì che è una sorpresa! Benvenuto!"

Erwin gli rifila uno dei suoi sorrisi calorosi. Lui e la moglie appoggiano i contenitori giapponesi sul tavolo e si accomodano davanti a noi. Dal mio vicino non esce neanche un fiato. Potrei fin pensare che si sia scordato della cena, troppo impegnato ad osservare i suoi insegnanti come fossero due alieni. Ringrazio come mai prima la mia espressione di ghiaccio per celare tutto quello che mi sta passando per la testa. Hanji ed Erwin incrociano il mio sguardo senza nascondere un sorriso divertito.

"Oh Eren non essere così sorpreso! Se non fossi sempre tra le nuvole lo sapresti che Levi è nostro figlio adottivo. Hanno pubblicato un articolo grande come una casa sul giornale della scuola l'anno scorso. Solo tu potevi essertelo perso!"

Eren deglutisce a vuoto. La sua faccia sta decisamente facendo a gara con la tovaglia rossa. È ancora più divertente di quanto pensassi.

"Oh andiamo, ma chi lo legge il giornale a quindici anni, prof?! E poi non è colpa mia se sono sempre distratto. Non lo faccio apposta."

Ride nervosamente, colpevole fino alla punta dei suoi lunghi capelli legati nella coda.

"Ah sei un caso perso Eren, ma sei molto bello e simpatico. In pochi mi fanno ridere come te."

Erwin si intromette nell'infinita risata di Hanji, toccandole amorevolmente una spalla. È assurdo che in dieci anni di matrimonio non sia riuscito a trasmetterle un po' della sua compostezza.

"Coraggio ragazzi, adesso mangiamo e Levi, vale anche per te. Basta saltare i pasti."

I suoi occhi celesti mi guardano imperterriti per qualche secondo. So benissimo che lo fa per il mio bene, ma questo non mi impedisce di far schioccare la lingua sui denti, esprimendogli tutta la mia disapprovazione. Ingoiare bocconi interi senza neanche sentirne il sapore sarebbe più che sufficiente per farmi girare le scatole a mille, ma ora c'è una cosa in più che mi fa storcere il naso. Due occhi verdi puntati sul mio profilo mi scrutano, chiaramente in apprensione. Non vorrei, ma scopro che il mio corpo reagisce automaticamente al suo richiamo. Mi giro verso di lui.

"Allora? Mangi o vuoi farmi una foto?"

Sobbalza appena alla mia domanda quasi urlata. Cazzo, non vorrei essere così sgarbato con lui, ma non ho molte alternative. Non voglio che mi guardi così.

"Mangio se mangi anche tu."

Non realizzo neanche cosa sta facendo finché non lo vedo prendere una porzione per tipo e metterle nel mio piatto immacolato. Poi, con un sorriso genuino in viso, divide le mie bacchette e me le porge.

"Che diavolo fai? Sappiamo tutti e due che stai morendo di fame. Non riuscirai a resistere."

Lascio quei pezzi di legno sospesi in aria tra le sue dita. A braccia conserte lo guardo con la coda dell'occhio. Non mi sfuggono le due facce piacevolmente sorprese al di là del tavolo.

"Non costringermi allora."

Le posate orientali invadono la mia visuale. Eren sta ancora sorridendo. Un gomito comodamente appoggiato per sostenere il mento con il palmo della mano libera. È tutto tranne che agitato. Gli è bastato intestardirsi sulla mia situazione alimentare per trovarsi perfettamente a proprio agio con i suoi docenti, tanto da muoversi liberamente e permettersi di stare a guardarmi sfrontatamente. Rifletto tra me e me o almeno ci provo. La tensione dei tre presenti addosso mi sovrasta tanto quanto il ragazzo sporto verso di me con quell'aria sbarazzina. Con non poca riluttanza alla fine gli sfilo le bacchette dalle mani, così irruentemente da fendere l'aria. Se ne torna troppo soddisfatto al suo posto, iniziando a mangiare mentre io mi sforzo di fare altrettanto. Dall'altra parte del tavolo i miei tutori si scambiano un'occhiata compiaciuta. Dannato moccioso.

***

Il materasso si piega sotto al peso del suo corpo accanto al mio mentre lo sguardo vaga sulle pareti della mia camera spoglia. Si tende appena, accorgendosi della foto sul comodino alle mie spalle.

"Levi, dove sono i tuoi genitori?"

Sussurra, evitando il mio sguardo. Ma ormai dovrebbe saperlo che non riesco a nascondergli niente.

"Niente padre. Mia madre faceva la prostituta nei sobborghi dell'Underground. I servizi sociali mi hanno portato via a otto anni. Ho vissuto in un loro istituto fino a quindici con gli amici di cui ti ho parlato. Poi un uomo davvero poco raccomandabile è spuntato fuori dal nulla, dicendo di essere mio zio. A quanto pare stava cercando sua sorella, ovvero mia madre, da quando era scappata di casa a quattordici anni. Quel tizio era un vero bastardo, ma mi ha dato una casa e abbastanza soldi per una scuola decente e tutto il resto. È morto quando avevo diciassette anni. Così sono ritornato all'istituto che mi aveva in custodia. Poco dopo Hanji ed Erwin mi hanno adottato."

Scrollo le spalle. Sono sicuro di aver mantenuto il mio fare monotono per tutto il tempo come ho fatto tutte le volte in cui mi è toccato raccontare la storia che recito a memoria come una poesia scolastica. Tuttavia è sufficiente per scuotere Eren. Il suo respiro si fa intenso nel silenzio che ci circonda. La sua attenzione ancora alle mie spalle, ormai conscio di quello che ha davanti agli occhi.

"E... lei?"

Indica insicuro la fotografia di mia madre con un lieve cenno del capo. La sua voce ancora più debole fa vacillare la mia per un attimo. Improvvisamente mi sento così vuoto. Tutta la temperanza che ho studiato e affinato così bene si perde in parole frastagliate, chiamate dallo sguardo profondo che mi sta davanti e dal quale, per uno strano motivo a me sconosciuto, mi sento inusualmente rassicurato.

"Non l'ho mai più rivista. Non so dove sia."

Il cuore di ferma sotto al peso delle mie rivelazioni. Non è che non pensi mai a mia madre o che mi sia abituato alla sua assenza, ma quantomeno sono sempre stato in grado di seppellire tutto sotto ad un'espressione algida, perfettamente funzionale a farmi apparire più freddo e distaccato di un automa. E dunque non so come mi ritrovo tra le sue braccia. Sono troppo sconvolto dal contatto tanto agognato per capire. Sento solo Eren che mi avvolge, stropicciando il cotone pesante della mia camicia nera. Mi irrigidisco, ma le sue mani leggermente tremanti sono così calde sulla schiena. I suoi respiri cadenzati si infrangono sulla mia pelle fredda, tracciando con brividi fugaci la spina dorsale. L'ho voluto così tanto... che ora le mani non possono fare a meno di esplorare il tessuto consumato della sua felpa. Mi lusinga quando lo sento agitarsi sotto al mio tocco ghiacciato. Siamo un concentrato di nervi scossi, ma Eren non allenta la presa. Non mi ero neanche reso conto che stavo trattenendo il respiro, finché non inspiro tutto il suo profumo dolce nei polmoni. Un intossicante aroma di vaniglia mi scivola caldo nel petto che si scontra piano contro al suo mentre li solleviamo lentamente nella stretta del nostro abbraccio. E il tranquillizzante tepore della nostra prima, timida unione mi fa abbandonare il capo sulla sua spalla. Mi lascio completamente andare sul suo corpo accogliente, privo di qualsiasi forza per staccarmi. Cosa mi fai moccioso? Non lo vedi come mi riduco? A lasciarmi andare su di te, coccolato dal tuo tocco gentile che mi ricorda tanto qualcosa che non ho più.

"Eren..."

Il suo nome mi scivola piano tra le labbra, necessario e spaventoso perché contiene una distinta nota di nostalgia che lo fa allontanare per far incontrare i nostri volti. La sua fronte è sulla mia, incapaci di sostenerci da soli. Nei suoi occhi densi arde la fiamma della compassione che risponde al timore vivido nei miei.

"Levi..."

Sospira. Nel buio della stanza mi arriva limpida la paura che gli fa tremare la voce. La stessa che farebbe tremare la mia, se non fossi così paralizzato da non riuscire neanche a parlare. Il suo cuore pulsa forte contro al mio palmo stampato sulla schiena, battendo il ritmo del mio che si ferma per assenza di ossigeno. Non riesco a respirare. Non riesco a staccarmi da lui. Sono perso. Perso nei suoi occhi languidi, nei suoi respiri timorosi, nelle sue mani incerte su di me. Nella sua bocca così gentile, ammaliante... così pericolosamente vicino alla mia da poterla quasi toccare, se mi spingo solo un po' più in là...

"Eren!"

Hanji sfonda la porta con un colpo secco, mandando in frantumi ogni briciola di calore con la corrente fredda che trasporta la sua voce squillante. Presi dal panico agiamo d'impulso. Ci stacchiamo, distanti e lontani come mai prima. Il freddo tra di noi mi fa trasalire. Eren al mio fianco trema distintamente per poi voltarsi di scatto verso la sua insegnante. Gli occhi ancora sgranati per lo spavento o per quello che stava per succedere, non saprei dirlo.

"Uh...s-si, cosa c'è?"

Si affretta a dire. Il respiro affannato lo tradisce mentre il sorriso malizioso di Hanji lo fa arrossire. Io nel frattempo cerco di ritrovare il mio stoicismo, ma dentro tutto è sottosopra.

"Oh beh, Erwin sta uscendo per una commissione e voleva chiederti se vuoi un passaggio a casa."

Hanji fa vagare i suoi grandi occhi maliziosi tra di noi. La fulmino con l'occhiata più cinica che riesco a improvvisare. Da Eren invece non esce una parola. Continua a guardare fisso la donna che ci ha interrotto, ma avverto facilmente l'ansia che lo attanaglia. Non vuole guardarmi, non ci riesce e dopotutto, forse è meglio così.

"Sì, adesso arriva."

Mi faccio forza e riprendo il comando della situazione. Alla mia esclamazione apparentemente banale mi guarda incredulo, confuso. So che ora vede il solito Levi con la solita espressione indifferente. Dentro di me prego che sia tutto ciò che vede, perché ho la sensazione di essere sull'orlo di un'esplosione. Ho bisogno che se ne vada, subito. Ho bisogno che lui e i suoi occhi impossibili smettano di farmi provare cose che non voglio sentire. E lui lo capisce. So che lo capisce.

"Certo, grazie mille."

Si alza lentamente senza interrompere il nostro contatto visivo. Non avrei mai immaginato che potesse indossare un'espressione così seria e ancora meno che mi avrebbe urtato in questo modo, ma lo lascio andare con il suo sussurrato.

"Ci vediamo."

E un mio pallido cenno d'assenso. Lo guardo sparire dietro alla porta in balia del sorriso divertito di Hanji che si sforza di ricambiare con uno più fiacco e meno sincero. Ascolto con una concentrazione innaturale i suoi passi sulle scale e sul pavimento in marmo fino all'ingresso. Di pari passo il cuore riprende a battere, scombussolato dalla brusca uscita di strada che il gesto imprevisto di Eren gli ha fatto fare. Mi lascio andare contro alla testiera del letto, stanco e provato da queste assurde e spaventose emozioni. Sul pavimento, poco distanti, brillano le stelle che ha disegnato piegato in quella posizione impossibile, a farmi compagnia nella mia notte insonne.

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