WHAT WE DON'T SAY
LEVI
Inalo un insolito profumo di caffè. Se non avessi un disturbo del sonno darei la scusa all'intontimento del risveglio, ma sono sicuro di sentire ancora le voci di Hanji ed Erwin al piano di sotto. Mi allungo a tentoni sul comodino, ferendomi gli occhi con la fastidiosa luce del cellulare. Sopra ad uno sdolcinato messaggio di Eren il numero sette invade lo schermo. Cosa ci faranno quei due ancora a casa? Solitamente mi piace farmi gli affari miei senza stare a guardare troppo quelli degli altri, ma ho uno strano presentimento. Per questo accorcio la routine mattutina con una doccia rapida e una mano tra i capelli per sistemarli. Rispondo velocemente ad Eren, alzando mentalmente gli occhi al cielo per i cuoricini con cui mi ha riempito il telefono. Se fossi più onesto con me stesso non mi ammezzerei per reprimere tanto il sorriso che ogni suo buongiorno mi scatena. Mi affretto a scendere in cucina, ancora nuovo alla voglia che ho di andare a scuola da quando due occhioni verdi dominano costantemente ogni mia azione.
"Buongiorno Levi."
Erwin mi rifila uno dei suoi saluti caldi e cordiali. Colgo subito l'intento calmante nella voce che provoca esattamente la reazione opposta. Tutti i sensi si fanno all'erta mentre lo guardo mettere la tazza vuota nel lavandino e stranamente riprendere posto al tavolo.
"Giorno."
Rimango neutro, occultando senza difficoltà la diffidenza nei suoi confronti. Ciononostante, nei suoi occhi cerulei che mi squadrano più di quanto sia solito fare, leggo una certa apprensione. Mi verso il tè con studiata nonchalance, molto simile alla sua e mi siedo di fronte a lui. Tengo lo sguardo sulla mia tazza, sperando che colga il segnale. Non ho voglia di parlare in generale, figuriamoci alle sette del mattino.
"Hanji è appena uscita. Adesso che siamo soli, credo sia ora di quella chiacchierata."
Cazzo. Lo sapevo. Rimpiango la precisione letale del mio sesto senso. Lo guardo preda del contropiede in cui mi sono volontariamente imbattuto, scegliendo di non levare subito le tende e lo fulmino con una delle mie occhiate più seccate. Erwin incrocia le dita e vi appoggia il mento sopra per niente intimorito dal mio evidente disappunto. Il sorriso è lo stesso, sempre cordiale e disinvolto. Lo sa benissimo che non mi bevo i suoi modi garbati.
"Che cosa vuoi sapere esattamente?"
Incrocio le braccia sul tavolo, dando enfasi al tono duro con cui pongo la domanda. Che gli sia chiaro che non ho voglia di girarci intorno. Se dobbiamo parlare, che almeno sia una cosa veloce.
"Della decisione che hai preso. Stando a quanto ha detto Hanji, rifiuti il percorso psichiatrico e mandi in fumo ogni prospettiva futura."
Espone la cosa con fare più neutro del mio. In altre circostanze ammirerei la meticolosità con cui gestisce ogni questione, ma mi è impossibile quando i suoi metodi hanno l'unico scopo di far crollare le difese del sottoscritto.
"L'alternativa quale sarebbe? Farmi aprire il cervello in due e uscirne più matto di quanto non sia già?"
Assesto una risposta acida, maledicendomi nello stesso momento per essere di nuovo caduto vittima delle mie stesse emozioni. Perché diavolo è così difficile reprimere la rabbia per qualcosa che non posso cambiare?
"Levi dopo quello che hai passato è sacrosanto avere qualcosa da sistemare. Questo non fa di te un matto. Preferire friggere hamburger in un Fast Food piuttosto che fare l'università o ambire a lavori più prestigiosi perché rifiuti un aiuto invece potrebbe farti passare come tale."
Si distende sullo schienale con le braccia bene in vista sul tavolo in una posa più che rilassata. E' più che soddisfatto della sua arringa e ci tiene a dimostrarmelo. Colpo basso, Erwin. Colpo basso. E la cosa che mi fa incazzare ancora di più è che ci ha preso in pieno.
"E se facessi quel dannato coso con uno strizzacervelli cosa cambierebbe? Potrei fare l'università, ma per qualsiasi lavoro la mia scheda parlerebbe chiaro. Comunque faccia il mio destino è segnato. Non so neanche perché perdiamo tempo a discuterne."
Mi alzo di scatto, incurante dello stridio insopportabile della sedia sul pavimento. Spero con tutto me stesso di mettere fine alla cosa con le frasi irruenti con cui nascondo i miei timori. Afferro la maniglia e faccio per uscire, ma Erwin è subito dietro di me. La porta si richiude sotto alla sua spinta pesante e fin troppo decisa. Mi giro verso di lui senza pensarci due volte. Il suo sguardo serio si scontra con il mio volto furibondo. Mi mordo la lingua per non insultarlo.
"Tu non sei stupido, Levi. Non fare cose che non ti appartengono. Arrendersi alla prima difficoltà? Patetico. Se farai ora qualcosa di cui non sei convinto, te ne pentirai e così non sarai più sicuro di nessuna scelta futura. Finirai per seguire le scelte altrui o quelle del caso. Non sarai mai padrone della tua vita se non inizi ad esserlo adesso."
Si allontana dalla porta e ritorna al tavolo, solo dopo essersi assicurato di aver fatto breccia tra le mie sopracciglia corrugate con il suo bel discorso. E' dannatamente sicuro che tornerò sui miei passi e i suoi occhi cerulei scintillanti di compiacimento mentre riprendo posto al tavolo ne sono la prova. Quest'uomo ha sempre visto molto più lontano di dove io riesca ad arrivare, non posso negarlo. Così come non posso negare quanto tutto ciò sia estremamente irritante.
"E cosa mi dici del tribunale? Sono loro che insieme all'Istituto hanno preso questa decisione. Chi ti dice che in futuro non ostacoleranno la mia ipotetica carriera? Non posso diventare un'altra persona da un giorno all'altro. Io sono io e ci devo convivere."
Parlo il più cautamente possibile, ma è inutile. Ogni briciolo di rabbia verso me stesso mi incurva la bocca in un disgusto nauseante. Mi rendo conto, con un fastidio pungente nello stomaco, di quanto la compostezza a cui tendo sia lontana anni luce. Vorrei solo alzarmi e sparire, dimenticare tutto e vivere da solo il resto dei miei giorni, ma –
"Se non per te allora fallo per Eren."
Colpito. La lingua si paralizza totalmente. Gli occhi si spalancano di sorpresa all'importanza di quanto ha detto e per il fatto stesso che ne sia al corrente. Vorrei sapere quando esattamente ha capito cosa c'è tra di noi, ma mi anticipa di buon grado, sollevandomi dall'incombenza di chiedere.
"L'altra sera avevate i capelli bagnati a cena e comunque sai che a Hanji non sfugge niente."
Mi sento avvampare e se non mi conoscessi bene scommetterei di essere arrossito. Il moccioso è contagioso. Una volta tanto apprezzo Erwin che comunque rimane impassibile, permettendomi di contenere un minimo le mie reazioni.
"Quello che vorrei dirti è che non credo tu abbia analizzato bene la questione. Se non rispetterai la decisione del Tribunale sicuramente avrai tutte le porte chiuse. Se invece farai come ti dicono non credo che in futuro si disturberanno a divulgare informazioni così private ad un tuo datore di lavoro. Sii furbo, Levi. Inoltre considera anche i benefici personali. E' evidente che i tuoi trascorsi ti pesano. Elaborarli nel modo giusto può esserti d'aiuto e in questo modo potresti essere migliore anche per il tuo fidanzato."
Erwin ha preso a gesticolare, neanche stesse spiegando matematica ad un bambino di cinque anni. Sostengo il suo sguardo come posso, ma ormai sono un fascio di nervi. E' ben consapevole che sta toccando ogni punto debole con cui faccio i conti da anni e va avanti imperterrito. Sembra quasi che aspettasse questo momento calcolato fin nei minimi dettagli.
"Non sei una causa persa, Levi e nessuno ti dice di cambiare. Puoi semplicemente liberarti di quello che non ti fa essere te stesso in tutto e per tutto."
Espone, fermo. Il silenzio è tutto ciò che ottiene in risposta. Vorrei scrollarmi di dosso le sue parole, ma le sento appiccicarsi al mio corpo e invadermi la mente. Potenti e inestirpabili si attorcigliano alle radici malate delle mie paure.
"Pensaci, okay?"
Finalmente si alza. Prendo una boccata d'aria. Prima di uscire, però lo ritrovo a fronteggiarmi un'altra volta.
"Fallo in fretta, però. Prendi una decisione e condividi quanto puoi con Eren in queste settimane. Temo sarebbe più difficile gestire il tutto quando partirà."
Mi sorride furbescamente e va via, facendo tesoro della mia rigida maschera infranta più volte di quanto io sia disposto a contare. Non so per quanto resto seduto in cucina. Il tè completamente dimenticato sul ciglio del tavolo in favore di una sensazione agghiacciante che mal gestisco. È la seconda volta che sento una cosa del genere. Anche Hanji mi aveva detto che Eren non ci sarebbe sempre stato, ma come un idiota ho dimenticato la cosa quando abbiamo fatto pace. Ho scelto di godere senza remore del suo corpo e dei suoi bisogni più intimi e di donargli i miei, seppellendo le questioni importanti che a quanto pare il castano nasconde meglio di quanto possa immaginare. Corro di sopra a prendere le mie cose, assecondando l'impulso impellente di vederlo. Mi infilo tutto in tasca ed esco. Non mi curo neanche del sole che inizia ad essere più caldo ora che siamo a metà aprile. Troppe cose mi opprimono. Il mio futuro, la stupida sentenza di quei giudici incompetenti ed Eren. Cosa diavolo sta succedendo? Lo vedo sempre così allegro e spontaneo e così impaziente nel raccontarmi tutto quello che gli passa per la testa. Non riesco a credere che stia tenendo per sé un dettaglio del genere. E' dura rendermi conto di quanto poco sappia di lui anche se tra i due è quello che parla di più. Solo ora vedo quanto sia sempre così concentrato su di me da mettermi sempre al centro del nostro rapporto. Non lo degno minimamente della giusta considerazione. Anche in queste settimane, nonostante il dispiacere per Mikasa e la fatica fatta per tenersi i suoi amici, ha sempre avuto attenzioni nei miei confronti. Ed io come lo ripago esattamente? Mi porto questo peso nel petto per tutta la strada fino a scuola, dannandomi per non saper rispondere ad una domanda più difficile del previsto. Una volta arrivato i suoi occhi dolci lampeggiano a lungo nella mia mente, alimentando la necessità vitale di stringerlo tra le mie braccia, incatenandolo al mio corpo con la certezza di non perderlo mai. Scanso senza fatica gli studenti che mi intralciano. Ormai dovrei esserci, ma di Eren neanche l'ombra. Non mi sfugge però la folla un po' troppo accalcata davanti al suo armadietto. Un tizio biondo platino si agita, imprecando contro ad un ragazzino che cerca di non perdere la calma di fronte al naso sanguinante dell'amico. Non mi ci vuole molto per metterli a fuoco. Il biondino che somiglia ad una noce di cocco è Armin. Mi sembra quasi di conoscerlo per quanto Eren blateri su di lui. Il ragazzo tinto invece è quello che mi aveva dato l'indirizzo di Eren a quella festa inutile.
"Levi, allora sei venuto a vedere anche tu."
La mano di Petra mi sfiora il braccio con una tenerezza troppo strana persino per lei. Sarà difficile rilassarsi oggi.
"Cos'è questo casino?"
Vado dritto al punto con un cenno al putiferio di gente ammassata su cui focalizzo la sua attenzione.
"C'è stata una rissa, ma non ho capito bene. Sono arrivata ora. Credo che qualcuno sia anche finito in infermeria."
Spiega, sollevandosi sulle punte per dare un'occhiata in più. Ho una sensazione terribile, ma prima di realizzarlo un caschetto biondo si fa largo tra la gente. L'amico di Eren che viene verso di me sembra la versione bambinesca di Erwin. Punta i suoi occhi celesti nei miei che captano subito lo scomodo rammarico con cui si avvicina cauto.
"Ciao... sei Levi... vero?"
Il biondino si tortura nervosamente le mani sotto allo sguardo sbigottito di Petra. Mi limito ad un cenno d'assenso e un'espressione tanto impaziente da spingerlo a parlare seduta stante se non vuole vedere un'altra rissa da vicino.
"Ecco... credo che dovresti andare in infermeria... Eren si trova lì."
Confessa, strizzando gli occhi dalla paura. Sorvolo sull'effetto che faccio sempre a tutti, preso solo dall'elaborare le informazioni tartagliate del biondino.
"Oh mio Dio, ma .. Levi è il tuo ragazzo! Santo cielo, cos'è accaduto?"
Petra chiede concitata. E' evidente che siano tutti scioccati. Lo sono anche io. Il sangue mi si gela nelle vene, ma non devo darlo a vedere. Se perdo la calma è finita.
"Ecco... Da quando voi due siete... usciti allo scoperto... Beh Reiner del quinto stamattina ha insultato Eren. Lui si scalda subito e così sono venuti alle mani. Jean ci si è mezzo in mezzo per difenderlo, ma Eren si è fatto male."
"Levi..."
Petra fa per toccarmi la spalla, ma mi scanso. Bofonchio un grazie e vado da Eren. Ho i pugni talmente serrati da far male. Apro la porta e quando la richiudo per poco non la disintegro. L'infermiera sobbalza vicino ad un Eren steso sul lettino.
"Lev, sei arrivato."
Sorride. Mi chiedo come faccia ad essere così spensierato. Ma cos'ha questo ragazzo? Si solleva sui gomiti, dandomi una visuale fin troppo completa delle sue condizioni. Il sopracciglio è aperto in due e una garza gli copre la guancia destra.
"No, caro. Sta giù. Hai sbattuto la testa. Potresti avere una commozione celebrale. Finché non ti visitano in ospedale stai tranquillo."
La signorina di cui non ho intenzione di ricordare il nome spinge Eren sulla barella, sorbendosi pure il suo broncio infastidito. E' più testardo di un mulo quando vuole. Mi accomodo vicino a lui. Rifilo un'occhiata eloquente alla nuova amica del moccioso che capisce l'antifona e si eclissa nella stanza accanto. Appena rimaniamo soli, la mano scura di Eren finisce sul mio pugno ancora stretto. Mi fisso imperterrito sul pavimento, cercando invano un modo per mitigare la rabbia che mi sta chiudendo lo stomaco. Il solo pensiero delle sue ferite mi fa accapponare la pelle.
"Quel bastardo è morto."
E' tutto ciò che riesco a sibilare, rendendo chiaro che il mio autocontrollo è andato completamente a puttane. E' adesso che le dita di Eren si stringono intorno al mio polso.
"Non mi guardi neanche?"
Chiede con il tono più offeso che abbia mai sentito. Mi giro verso di lui e come volevasi dimostrare il resto scompare. I suoi occhioni brillano anche adombrati dalla preoccupazione. Fa per sporgersi verso di me, ma inclino la testa abbastanza da fargli capire di non muovere un muscolo. Si rimette a posto, facendomi segno con l'indice di avvicinarmi. Eseguo, ormai palesemente sotto al suo comando.
"Non ti piaccio con le medicazioni in viso?"
Quanto vorrei credere che stia scherzando, ma le sopracciglia corrucciate me lo impediscono. Gli accarezzo la guancia libera, facendogli chiudere gli occhi al contatto.
"Non fare l'idiota. Sei stupendo."
La sua meravigliosa bocca si curva all'insù in uno dei sorrisi più ampi che abbia mai fatto. Presto però quell'espressione innocente si trasforma in un vero e proprio ghigno. Apre gli occhi in modo volutamente sensuale. Con la mano libera saggia il tessuto ruvido dei jeans sopra alla gamba.
"Allora dammi un bacio."
Sussurra. Ignoro il blocco ai polmoni e il caldo che mi sale alla testa. Cerco di rimanere tranquillo. Se seguissi il mio istinto gli salterei addosso in questo momento, facendogli rimpiangere la sua sfacciataggine. Tuttavia non mi sono calmato. Solitamente non ho problemi ad occultare il mio stato d'animo, ma non posso fare a meno di respirare scocciato e digrignare i denti di fronte a quanto è successo.
"Hey, stai tranquillo, okay?"
Eren mi prende il viso fra le mani. Non ho neanche il coraggio di sostenere il suo sguardo. Lo sapevo. Lo sapevo che baciarci all'armadietto e stringerci la mano nei corridoi avrebbe portato solo problemi. La cosa che davvero mi fa incazzare è che il sottoscritto neanche lo guardano. Ho dovuto sopportare sì e no qualche sguardo scioccato nei primi giorni, ma nessuno oserebbe mai venirmi a dire qualcosa. Eren invece subisce tutte le conseguenze delle nostre scelte avventate.
"Non ero neanche qui per difenderti."
Ammetto irrimediabilmente affranto dal senso di colpa che mi sovrasta.
"Levi, calmati. Non puoi proteggermi da tutto. Sapevamo che sarebbe successo. Jean era con me e mi ha dato una mano..."
Mi solleva il mento per guardarmi in faccia. Ancora non capisco come faccia ad essere così sereno.
"E' Reiner. Quello è uno stronzo patentato e questi? Non è certo la prima volta che finisco in una rissa. Non sarà neanche l'ultima."
Continuo a scuotere la testa in diniego. E' un incosciente. Un dannato ragazzino incosciente.
"Levi, basta."
Sbuffa. Spazientito.
"Senti, a me queste cose non importano. Io sono contento e l'unico che può farmi passare il buon umore sei tu con le tue inutili paranoie. Adesso ti calmi e mi fai le coccole o giuro che non mi vedi più per una settimana!"
Sfodera uno dei suoi bronci migliori e poi scoppia a ridere. Le lacrime che luccicano agli angoli degli occhi esaltandone il verde. La sua risata risuona tra le pareti della stanza spoglia, riempiendomi le orecchie come una bellissima melodia. Mi beo delle sue note armoniose finchè in sottofondo non avverto altro. Un suono più basso che non sentivo più da parecchio. Tanto che mi ci vuole qualche minuto per rendermi conto che sono io. Dopo tanti anni sto di nuovo ridendo di gusto. Riassaggio la sensazione del petto erratico e i crampi al ventre. I polmoni che si aprono per catturare l'aria quando arrivo al limite. Gli occhi strizzati in due fessure e inumiditi da acqua salata. Passa ancora qualche minuto prima che riusciamo a calmarci. Il viso si rilassa a mano a mano che il cuore torna ad un ritmo normale. Quando li riapriamo, i nostri occhi sono di nuovi persi in quelli dell'altro. Eren arrossisce. Le sue pupille si dilatano, occupando un po' di verde.
"Cosa c'è moccioso?"
La domanda a quanto pare non è così innocua come pensavo. Eren sembra farsi piccolo piccolo nella sua felpa verde. Probabilmente se ci fosse un lenzuolo ci si butterebbe sotto.
"E' che... non ti avevo mai sentito ridere così.."
Mi guarda ancora, esitante.
"Sei... mo - molto sexy."
Farfuglia, guardandosi le mani. Il viso ricorda sempre di più un pomodoro maturo. Ringrazio solo il suo pessimo spirito di osservazione che gli impedisce di notare il mio imbarazzo e anche qualcos'altro nei pantaloni. Mi faccio avanti. Il lettino si abbassa sotto al mio peso, richiamando l'attenzione di Eren su di me. Annullo il poco spazio che ci separa e gli appoggio una mano sulla spalla.
"Stai buono. Non ti muovere. Faccio io."
Non gli do neanche il tempo di capire. Gli lascio un bacio sulle labbra. Parto delicatamente, ma duro poco. Appena sento la sua bocca schiudersi sulla mia catturo il labbro inferiore tra i denti. Lo mordo, deliziandomi dei suoi sospiri sussurrati ad ogni assaggio che rubo. Mi afferra la maglia tirandomi di più a sé e ne approfitta per insinuarsi nella mia bocca. Riempiamo la stanza di baci caldi, umidi. Molto più urgenti di quelli di qualche mese fa. Le sue mani scorrono sul ventre arrivando a giocare con il bottone dei jeans. Non mi ci vuole molto prima di imitarlo e tastare l'elasticità della sua tuta. Sorridiamo l'uno contro l'altro. Le nostre lingue non smettono rincorrersi. I sospiri si fanno più intensi.
"Ragazzi..."
La porta dell'infermeria sbatte decisa contro al muro. Ci stacchiamo alla velocità della luce. Do un 'occhiata dietro alle mie spalle e vedo Erwin, cartelletta alla mano, nel perfetto ruolo di insegnante e vice preside.
"Buongiorno Nifa."
Ora so come si chiama l'infermiera. Erwin le fa un cenno, intimandole di tornare di là. Non è proprio giornata per quella poveretta. Appena lascia la stanza, Erwin torna su di noi. I suoi passi decisi ci raggiungono in fretta. Mi assicuro di ricomporre la mia maschera, mentre Eren dietro di me si agita come una ragazzina colta sul fatto con il fidanzato. Che poi è esattamente quello che è successo, mi annoto.
"Buongiorno ragazzi."
"Buongiorno Prof. Smith."
"Non essere così formale Eren. Stai con il mio figlio adottivo dopotutto. Erwin va bene."
Vorrei poter guardare il moccioso solo per valutare la gradazione di rosso che deve avere in viso in questo istante. Probabilmente abbastanza da suscitare in Erwin un sorriso più divertito del solito. Il professore infila le mani in tasca e lo osserva attentamente.
"Allora Eren, Nifa mi ha chiamato e dunque sono venuto di persona. Dice che hai sbattuto la testa per terra. Per sicurezza dovremmo farti controllare al pronto soccorso."
"E' proprio necessario? Guardi che mi sento benissimo."
Chiede, lamentoso come al solito.
"Beh innanzitutto vorrei davvero assicurarmi che sia tutto a posto e comunque è la procedura. Credimi, ti sto già risparmiando passaggi noiosi, essendo qui di persona. Se seguissimo per filo e per segno il protocollo del preside Pixis le cose andrebbero molto più per le lunghe."
Erwin... sa essere davvero persuasivo. Eren sbuffa sonoramente alle mie spalle.
"E va bene, ma se possibile vorrei evitare di avvisare i miei. Mia madre è l'ansia fatta a persona."
Erwin fissa il vuoto per un attimo, ma alla fine si decide.
"Eh va bene. Chiederò a mia moglie di accompagnarti. Puoi andare anche tu Levi. Per oggi non è un dramma se saltate le lezioni."
Annuisco, pronto ad aiutare Eren che inizia lentamente a sollevarsi dallo schienale.
"Bene, aspettate qui Hanji. Eren, Reiner si trova in presidenza al momento. Se hai intenzione di dare la tua versione dei fatti non farti problemi ad andare dal preside domani. Quanto a te..."
Mi guarda, serio come non lo è mai stato.
"Non fare sciocchezze Levi. Una rissa a scuola o un'eventuale denuncia non farebbero che complicare la situazione con il Tribunale e allora la sentenza potrebbe aggravarsi. Siamo intesi?"
Rinforza il suo sguardo. Mi ci vuole tutto il mio autocontrollo per non urlargli addosso. Sulle prime penso che sia un idiota ad essersi lasciato scappare certi dettagli davanti ad Eren, ma no. Non è affatto un idiota, anzi... Non aspettava altro. La sua espressione furbesca rende le cose fin troppo chiare. Sapeva benissimo che non avevo ancora parlato con lui e ha pensato bene di rompere il ghiaccio. Incrocio le braccia al petto ed espiro sonoramente dal naso. Prego sinceramente che gli arrivi tutto il mio disappunto.
"Intesi."
Dico, a denti stretti. E con questo un Erwin troppo soddisfatto ci lascia da soli. Resto con lo sguardo puntato sulle ante oscillanti dietro alle quali è scomparso quel traditore del mio tutore. Sulla schiena bruciano con la stessa potenza di un laser gli occhi di Eren che corre a distogliere lo sguardo nel momento in cui prendo coraggio e mi volto verso di lui. Si ricompone come può nell'aria infestata dalle questioni in sospeso con cui siamo rimasti. Accantono il peso di ciò che dobbiamo affrontare solo quando si alza e si porta una mano alla testa. Mi precipito al suo fianco, sostituendo immediatamente la smorfia di dolore con uno sguardo languido in cui, giuro, potrei affogare senza mai più risalire.
"Come ti senti?"
Chiedo, sinceramente preoccupato. Anche se volessi, non riuscirei a fare l'indifferente adesso.
"Bene. Mi gira solo un po' la testa."
Si aggrappa alla mia spalla e accoglie il mio braccio intorno alla vita. Ci avviamo con calma alla porta dove aspetteremo Hanji, restando in silenzio. Io concentrato nel sorreggerlo e lui nel camminare senza barcollare troppo. È ovvio che l'assenza di dialogo sia tutt'altro che sgradevole. Entrambi ci perdiamo nelle nostre essenze mescolate e nelle minuscole scosse elettriche che ci irradiano ad ogni sfioramento o tocco deciso. Una volta accanto all'entrata non ci resta che appoggiarci al muro in attesa. Mi ritrovo la sua spettinata chioma castana sotto al mento. Il suo corpo caldo abbandonato sul mio con le mie braccia a stringerlo. Piccoli momenti di perfezione destinati ad essere interrotti dalla curiosità del moccioso, malcelata dietro alle occhiate indiscrete che si lascia sfuggire.
"Levi... cosa intendeva Erwin con quella storia della sentenza? Credevo che fosse una cosa vecchia."
Interpreto le parole distorte dalla guancia premuta contro al mio petto. Vorrei evitare ancora la questione, ma ormai è tardi per tornare indietro e forse è arrivato il momento di aprirsi un po' nella speranza che lui faccia lo stesso con me.
"Ti ho detto che c'erano delle conseguenze, ricordi? Ora che sto per finire il liceo per un futuro accesso all'università o un lavoro devo avere un'attestazione dall'Istituto che mi ha ospitato. Una specie di garanzia che mi raccomandi come soggetto stabile. E' una prassi degli Istituti riconosciuti. Il problema è che con il processo penale la casa famiglia ha dovuto collaborare con il Tribunale che non ha dato il nulla osta per la dichiarazione..."
Sospiro, interrotto solo dalle sue spalle che si immobilizzano sotto alle mie mani, troppo tese per assecondarlo in quella banale azione che è respirare.
"Secondo quanto deciso otterrò quel foglio solo dopo un percorso psichiatrico che valuterà le mie capacità psico-sociali. In pratica dovrei sputtanare i cazzi miei ad un perfetto sconosciuto che li prenderà come scusa per farmi internare da qualche parte."
A questo punto i suoi occhi si piantano nei miei. Mi stringe timoroso come se dovessi sparire da un momento all'altro, ma presto uno sguardo riflessivo e accigliato dissipa il terrore che gli aveva oscurato il viso.
"Non dire così... Forse ... forse dopo quello che hai passato ti farebbe bene. Come mai hai così paura?"
Mi scappa quasi da ridere. Gli ho spiegato sì e no due cose e si è già reso conto di quanto timore abbia. Sorrido sconfitto all'impossibilità di nascondergli qualcosa.
"Perché ci sono cose che mi fanno male, Eren, e non ne ho mai parlato con nessuno. L'idea di dirle ad uno sconosciuto che se ne servirebbe solo per giudicarmi non mi va bene per un cazzo."
Scrollo le spalle. Se possibile sono riuscito a farlo intristire. Tuttavia la curiosità infantile che fa parte di lui guizza in quegli occhioni senza fine.
"Oltre a quelle che mi hai raccontato? C'è... dell'altro?"
Chiede, titubante.
"C'è molto di più, Ren. Decisamente di più."
"Ad ... esempio? Se... se posso..."
Mi accarezza la guancia, bisbigliando per non urtarmi. Rifletto per un attimo in cui il tempo sembra fermarsi. Scelte. Scelte giuste. Mi fido di lui? Ho davvero voglia di aprirmi fino a questo punto? Ma mentre mi massaggio il ponte del naso insieme all'ennesimo sospiro, sembra che il mio inconscio abbia già scelto per me.
"Ad esempio che ho tentato il suicidio."
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