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UNPLEASANT QUESTION

LEVI

Le luci sono spente da un pezzo. Al familiare click della porta in fondo al corridoio ci guardiamo senza bisogno di dirci altro. Usciamo uno alla volta dalla stanza. E' una manovra che facciamo ogni Mercoledì da quasi due anni ormai. Non c'è più un'ombra di incertezza o paura sui nostri volti. Farlan e Isabel indossano sui loro solo sbadigli mal repressi e qualche sguardo intenso che faccio finta di non vedere. Di recente è diventato più difficile per il biondo dissimulare i suoi sentimenti per la rossa. Non che non l'avessi previsto. Non mi sono mai sfuggiti i sorrisi teneri che si scambiavano nella mensa appena arrivato in questo tugurio. Potrei anche essere contento per loro se avessero possibilità di viversi fuori da queste quattro mura che ci imprigionano da più anni di quanto voglia ricordare. Il mio volto invece ha i soliti segni violacei che marchiano anche le notti in cui ce ne restiamo tranquilli nei nostri letti. Avanziamo in fila indiana. Io la apro e Farlan la chiude. Dobbiamo fare piano o la guardia che arriverà per dare il cambio turno si accorgerà che gli stiamo passando praticamente davanti. La parete è fredda contro alla schiena, riparata solo da una felpa consumata che indosso per dormire. Strusciamo appiattiti contro al muro, rilasciando il respiro solo una volta girato l'angolo. Isabel contiene a stento l'entusiasmo. Farlan blocca i suoi passi eccitati in un abbraccio che mantiene fintanto che la rossa agita i suoi codini ramati. Fortunatamente ha il buon senso di calmarsi, quando sbuchiamo nel retro della struttura. L'unico frammento di mondo esterno che certi Istituti hanno in dotazione. Ovviamente non essendo ammesso fumare, nessuno si è preoccupato di far avere un giardino a tutti i disgraziati che capitano qui dentro. Come se gli orfani non avessero bisogno di prendere un po' d'aria ogni tanto. Farlan mi appoggia una mano sulla spalla tenendo Isabel dietro di sé. E' da parecchio che abbiamo a che fare con la stessa squadra, ma ogni volta ci viene automatico fare da scudo alla più piccola. Lo scambio è veloce come al solito. Prendiamo la roba che spacceremo agli ragazzi della struttura o più correttamente ai nostri clienti. Insieme alle buste che Farlan conserverà sotto al materasso, ci spartiamo i soldi che il capobanda, Nile, ci dà per il nostro servizio. E' tutto come al solito. Continuo a ripetermelo, ma è tutto il giorno che una sensazione sinistra mi contorce lo stomaco. I miei sensi sono all'erta e neanche il sorriso bonario del mio migliore amico o la spensieratezza della sua ragazza riescono a farmi rilassare. Cerco di convincermi che mi sto solo fottendo il cervello con troppe paranoie, quando il gruppo d Nile ci saluta e fa per andarsene. Sono pronto a tirare un sospiro di sollievo, ma mi interrompo alla vista dei nostri venditori impalati sul posto. Mi stacco dai loro sguardi contrariati solo per voltarmi  e vedere ciò che i miei amici stanno già guardando da un pezzo. Il corridoio buio dal quale siamo sbucati brilla con l'aiuto di tutti i neon che lo costellano. Il ticchettio impazzito dei passi sul pavimento diventa via via più assordante.

"Hey, c'è qualcuno là fuori?"

La guardia urla a gran voce. Resto fermo finché Annie, molto forte per essere solo una ragazza, mette Farlan con le spalle al muro. Spiegargli che non li abbiamo traditi ed è solo incredibile sfortuna non servirà a niente. Non ci resta che sistemare il casino con loro prima che la guardia ci trovi e denunci tutti alla polizia. Farlan strattona Annie nel tentativo di liberarsi dalla sua presa. In pochi passi li raggiungo e forzo sui polsi della ragazza. Stringo abbastanza forte da farle sbiancare le dita che lasciano il colletto del biondo, tornato subito accanto alla sua ragazza impaurita. Isabel, le partite di droga strette tra le braccia, osserva terrorizzata Annie che si strofina i polsi e lancia occhiate rancorose al suo capo. Sarà la tensione che falsa i respiri dei miei amici o la strana idea che mi ha tormentato tutto il giorno, non lo so. Preso dall'impeto mi avvento contro Zeke. Schivo veloce il pugno che tenta di rifilarmi, solo per incassarne un altro nell'addome. Mi piego senza vacillare, solo per un istante. Lo colpisco forte in pieno viso. Il suo rantolo sovrasta il rumore del naso rotto che copre con le mani, lasciandosi del tutto indifeso. Mi preparo ad un calcio, bloccato dallo stesso Nile che mi si para davanti. Le nocche si scorticano per la violenza dei pugni che ci tiriamo. Un copioso rivolo di sangue dal sopracciglio mi offusca la vista. In mezzo alla rissa cerco di assicurarmi che i miei amici stiano bene. A pochi centimetri da me li sento battersi e darsi da fare per scrollarsi Annie di dosso, ma finché non sento urla resto abbastanza tranquillo da vedermela con i miei avversari. Mi concentro su Nile. La bocca accartocciata in una smorfia di dolore e lo sguardo d'ira incollato al suo collaboratore steso a terra.

"Dovevate solo starvene buoni, ragazzo. E invece guarda..."

Nile si pulisce dal sangue sulla bocca. Non perdo tempo a rispondergli, concentrato sul braccio con cui mi afferra il collo. I muscoli si tendono dove le sue dita stringono. Inspiro per ridarmi forza. Nel naso pungono il dopobarba in eccesso e il fumo dei sigari che gli impregna i vestiti. Ingoio l'aria alterata e riacquisto forza nelle gambe. Il suo stomaco rientra sotto al mio calcio ben piazzato. Con un rantolio mi libera, suo malgrado. Lo colpisco più forte, ancora e ancora. Il petto che cerca di star dietro alla raffica con cui inveisco su di lui. Nelle orecchie solo il rumore dei miei attacchi che fendono il poco spazio tra di noi e il tintinnio dei suoi gioielli al collo. Mi fermo solo quando le sue ginocchia precipitano sull'erba rinsecchita. Gli occhi grandi dallo sconcerto. Ne approfitto per riprendere fiato. Tolgo il sudore dalla fronte, macchiandomi la pelle bianca con il sangue sul viso. Distolgo il pensiero dai germi che sicuramente mi infestano, avvicinandomi all'angolo dove ho lasciato i miei amici. Farlan si difende come può dagli assalti di Annie, messa in difficoltà da una Isabel preda dell'adrenalina. La rossa si avventa in tutti i modi sulla ragazza che minaccia la loro incolumità. Incrocio gli occhi azzurri di Farlan. Il ghigno irriverente che non lo abbandona mai neanche quando è a corto di fiato. Faccio per ricambiare con una delle mie smorfie striminzite che solo lui sa interpretare, quando tutto si ferma. Farlan butta Isabel contro al muro, dove il buio della notte può occultarla. Annie si fa indietro. Sotto al suo corpo in tensione, io e Farlan ci buttiamo sui pacchetti in bella vista. Non facciamo in tempo a prenderne neanche uno che dei passi si attutiscono sul terreno umido.

"Hey, allora chi c'è? C'è qualcuno?"

E' Marco. Quel timorato di Dio che hanno assunto appena due settimane fa. Il classico ragazzo zelante che suo malgrado non sa che è meglio chiudere un occhio in certi posti. Farlan fa per dirgli qualcosa, ma è troppo tardi. Marco, torcia alla mano, mette a fuoco i nostri volti insanguinati. Se non ci riconosce così, lo fa sicuramente dai braccialetti bianchi che finiscono al polso di chiunque entri qui dentro. L'espressione intorpidita dal noioso turno notturno cambia ben presto in una fin troppo sveglia. Lo sguardo riacquista lucidità mentre analizza le buste bianche ai nostri piedi, su cui siamo ancora inutilmente protesi. Nei suoi scuri occhi sconvolti vediamo il processo mentale con cui ricostruisce la vicenda.

"Voi... Allora era vero che... giravano sostanze... Si-siete voi che... spacciate ai ragazzi della struttura?"

La voce strozzata salta insieme all'espressione incredula. Il viso, reso fin troppo innocente dalle lentiggini, sbianca. Probabilmente realizza lentamente che si trova davanti ad uno scambio, insieme a dei veri trafficanti di droga. Sappiamo bene che nessuna guardia in un istituto di affidamento si aspetterebbe mai di avere a che fare con certe realtà. Un ragazzo poco più grande noi ai suoi primi giorni qui non saprebbe gestire una questione del genere. Per questo Marco non fa quello che dovrebbe fare. Nonostante i nostri sguardi minacciosi non torna indietro, fingendo di dimenticare quanto ha visto. Stupido. Non posso non pensarlo, vedendolo avanzare nella nostra direzione. Solleva la mano libera con il dito puntato contro di noi.

"Sta-state fermi. Io... devo... devo chiamare la po-polizia."

Nessuno si muove. Farlan si limita a cogliere un mio cenno d'assenso per poi guardare Isabel. Marco non ci lascia un attimo, ma la paura è tale che non vede davvero il biondo indicare di sottecchi a Isabel di prenderlo alle spalle. La rossa si fa avanti. Deve solo avvicinarsi quanto basta da sfilargli il cellulare dalle dita tremanti. In un' atmosfera opprimente qualcosa mi disturba. Cerco di liberare la mente per far presa su quello che mi circonda. So per certo che un dettaglio mi sfugge. Penso alla guardia angosciata che sta per mettere fine alla nostra libertà. Riguardo i movimenti calcolati della rossa alle sue spalle. Farlan vicino a me non sta facendo nulla se non tenere d'occhio la situazione. Scaccio il disgusto per il sudore sui vestiti e l'occhio dolorante ed eccolo lì. Due punti che bruciano sulla schiena fredda dai brividi. Come diavolo abbiamo fatto a dimenticarcene?

"Ferma!"

Il grido di Farlan si perde nella notte. Marco barcolla sotto al peso di quello che sta testimoniando. Non sentiamo più niente. La sua bocca si storce in un rantolo di dolore per il pugno di Annie nello stomaco. Isabel si ferma, davanti al telefono che cade a terra, inutilizzato. Ci aspettiamo di vedere la guardia piegarsi in due o magari vomitare quello che ha mangiato per cena. Di certo nessuno di noi tre si aspetta un fiotto di sangue inondargli il mento, mentre i suoi occhi lacrimanti di rassegnazione ci guardano tra lo spaesato e l'incredulo. Annie sfila veloce il coltellino dal suo stomaco. E' andata a colpo sicuro. Marco crolla a terra senza opposizioni. La ragazza non tradisce emozioni nel caricarsi il cadavere in spalla. Non un accenno verso di noi mentre lo trascina dai suoi capi che, malconci, hanno guardato la scena da dove li ho lasciati. Getta il corpo ai loro piedi, noncurante dei sorrisi di approvazione che riceve. I nostri respiri affannati e gli sguardi truci che ci scambiamo sono l'unica cosa che riempie la notte. So cosa pensano i miei amici. E' come se un filo conduttore legasse le nostre menti. Nile è convinto che l'abbiamo tradito. D'altronde i compensi per chi collabora con le forze dell'ordine contro ai traffici di droga sono allettanti. E' esattamente così che siamo subentrati ai precedenti contatti del gruppo. Ragazzi che hanno tradito e ora aspettano Marco sul fondo del fiume di Trost. Nile cerca tracce di paura nel mio sguardo, ma è tempo sprecato. Ho smesso di temere per la mia vita quando sono finito qui dentro. Tuttavia c'è qualcosa a cui tengo ancora troppo. Farlan e Isabel se ne stanno buoni, pronti a reagire al minimo movimento. Non osiamo guardarci, ma li vedo. Vedo ancora i loro volti speranzosi di farla franca e vivere una vita decente insieme una volta compiuti diciott'anni.

"Allora? Come vogliamo metterla ragazzi? Pensavate di mandarci a marcire in galera e farvi la bella vita con i compensi degli sbirri?"

Nile si solleva sulle gambe stanche. Fa un segno a Zeke alle sue spalle che dimentica il naso rotto e si allontana con le prove dell'omicidio, sparendo nel buio. Nonostante le ferite riportate, Nile è tranquillo. Ha quel tipo di calma tipica di chi è sicuro di vincere. Tipica di chi è abituato a far fuori la gente come imbucare lettere nella cassetta della posta. I nostri occhi si incatenano. Il suo sorrisetto divertito si scontra con le mie labbra serrate in una linea dura, ma adesso non dimentico più Annie che con il suo dannatissimo coltello se ne sta ferma a pochi passi dai miei amici. Nile ride. Probabilmente pensa che sia inutile che io me ne stia qui a spostare lo sguardo tra di loro con i nervi tesi e il sangue che mi ribolle nelle vene. Per un attimo mi trovo d'accordo con lui. Valuto se rilassarmi e smetterla di riempire il mio corpo di adrenalina, mettendo a dura prova il ritmo del cuore che ormai viaggia impazzito. Poi Farlan, che deve aver captato la tensione tra di noi, decide di farsi avanti.

"Hey calma gente. Qui nessuno frega nessuno. E' tutto un grosso malinteso, ma una guardia morta sicuramente ci darà dei problemi."

E' un attimo. Isabel soffoca un urlo ancora prima di poterlo liberare. Farlan si ritrova quasi per magia sulla terra dove posava i piedi qualche secondo prima. Scatto. Se non fosse per il crepitio dei tessuti che si lacerano, non realizzerei neanche quanto sia stato utile infilarmi nella manica il coltello rubato dalla mensa qualche settimana fa. Ringrazio il mio sesto senso per avermi convinto che stasera sarebbe finita in tragedia. Il collo di Annie ormai è solo un cumulo di liquido rossastro con uno squarcio nell'arteria. Gli occhi vitrei spariscono sotto alle palpebre chiuse. Estraggo l'arma dalla pelle fredda, lasciando il cadavere libero di cadere a terra. I capelli biondo cenere sul viso serio sono l'ultima cosa che ricordo lucidamente. Il resto è incredibilmente confuso. Nile porta via il suo corpo, sibilando minacce di ogni sorta che passano ovattate alle mie orecchie. I miei amici stanno bene. Stiamo tutti bene. Non mi importa altro. Quella notte rientriamo silenziosi nella nostra camera. Isabel non esulta come al solito per i soldi guadagnati. Farlan rinuncia a tutti i suoi commenti sarcastici. Quella notte nessuno di noi riesce a parlare o a dormire. Ci limitiamo a stenderci, sperando che il giorno dopo ci aiuti a dimenticare. Le nostre speranze vanno in frantumi il mattino seguente. Il consulente incaricato della mia custodia mi dice che un presunto zio è pronto a farsi carico del mio affidamento come parente più prossimo. Una breve e piatta informazione che basta a mettere in subbuglio le nostre menti già sconvolte. Non voglio andarmene. Non voglio lasciare l'unica famiglia che conosco per qualcuno che non c'era quando io e mia madre ne avevamo più bisogno. Eppure i miei amici non sembrano desiderare altro. D'altronde è lo stesso che io provo per loro. Non vogliono vedermi marcire in queste quattro mura. In meno di una settimana mi lascio alle spalle il sorriso caloroso di Farlan e le lacrime di Isabel. Inutile ripensare alle innumerevoli promesse di rivederci. Se solo avessi saputo che al nostro prossimo incontro sarebbero stati elegantemente adagiati in una bara, sarei rimasto con loro a qualunque costo.

Rigiro tra le mani la busta che Hanji mi ha consegnato due giorni fa. In questo pezzo di carta striminzito ci sono le regole di tutto il mio futuro. E se potesse parlare mi urlerebbe quello che so già da me: non posso stare con Eren. E' passata una settimana da quando abbiamo litigato. Questi sette giorni li ho impiegati a tenerlo lontano. Nonostante i suoi occhi verdi mi abbiano implorato così tante volte di stare con lui, io non ci riesco. Non posso dirgli niente né aspettare il momento in cui scoprirà da sé che sono un caso perso e mi lascerà. Mi viene il voltastomaco dalla rabbia. Credevo di essere più deciso. Ero convinto di voler stare da solo e poi Eren arriva e fa sparire tutto. E io non posso che arrabbiarmi con me stesso. Perché credevo che qualche ora in sua compagnia mi sarebbe bastata. Avrei dovuto saperlo che quel ragazzo è molto più di così. Poco a poco si avvicina a me, disintegrando le mie barriere, neutralizzando tutti i miei attacchi verbali e fisici. Mi guarda con quel suo bellissimo sorriso e ogni volta che mi promette che non se ne andrà, una parte di me gli crede. Ma lui neanche lo immagina il controllo che ha su di me. Mi resta alla larga, rispettando le mie stupide decisioni anche se non si risparmia le occhiate meste nei corridoi o qualche messaggio che per ora sono riuscito a ignorare. Fa male. Fa dannatamente male e non vorrei. Non vorrei ritrovarmi a stringermi la maglietta all'altezza del cuore ogni cinque minuti, quando penso che potrei smettere di stare con lui. E mentre la mia parte razionale vorrebbe vederlo con qualcun altro che riesca a renderlo felice, l'altra urla con tutta se stessa di non lasciarlo andare. Ma si fermerà. Posso soffocarla se stiamo lontani. Anche se la tentazione di dirgli tutto quello che c'è scritto in questa lettera mi sommerge sempre se penso che la ricompensa sono i suoi abbracci e i suoi dolci baci.

"Levi, tutto bene?"

La testa di Hanji fa capolino dalla porta. Non provo neanche a nascondere la lettera. Tanto lo sa anche lei che passo le giornate a leggere questa spada di Damocle fatta di inchiostro su carta economica. Mi limito ad annuire nella sua direzione, senza spostarmi dal davanzale della finestra dove ho passato la giornata intera.

"Non eri a scuola oggi. Hai di nuovo lasciato Eren da solo ad astronomia..."

Si appoggia allo stipite, attenta a catturare ogni mia reazione. Sudo quasi per impedire al mio corpo di muoversi. Se tengo lo sguardo fisso sull'esterno forse non riuscirà a vedere il senso di colpa che scalpita dalla mia cassa toracica. Quanto vorrei respirare in questo momento.

"Lo farai morire quel povero ragazzo. Oggi è anche il suo compleanno. Gli ho fatto gli auguri anche da parte tua."

Ride ed entra nella stanza, confidando nella mia incapacità motoria. Potrei chiederle di andarsene, ma ora tutti i miei pensieri sono rivolti a lui. Lo vedo festeggiare con i suoi amici. Magari controllare inutilmente il cellulare per un mio messaggio che non arriverà. Lo so benissimo che giorno è oggi. Proprio per questo ho scelto di starmene a casa. Non avrei potuto sopportare di ignorarlo senza neanche fargli gli auguri e questo avrebbe sicuramente portato a conseguenze peggiori. Scaccio i pensieri poco casti che si riflettono nei miei occhi assottigliati. Un sospiro mi salva temporaneamente dai sospetti di Hanji.

"Non avresti dovuto disturbarti."

A questo punto è seduta sul mio letto. Il suo sguardo bramoso di informazioni mi fa stringere in me stesso. Le ginocchia quasi mi toccano il petto. Tengo la testa fissa sulla finestra, ma il suo riflesso è fin troppo chiaro sul vetro pulito.

"Non gliel'hai ancora detto? Guarda che Eren è un ragazzo intelligente e molto comprensivo. Se siete davvero amici non ti vedrà diversamente anche se gli racconti del tuo passato e della lettera del Tribunale."

Ignoro l'accento divertito che ha messo sulla parola amici. Io sono tutto fuorché trasparente, ma se ha fatto anche solo due chiacchiere con Eren, e so che le ha fatte, ha già chiaro che c'è molto più di questo tra di noi. Cerco di non chiedermi se l'abbia detto anche ad Erwin per evitare che un rossore inusuale mi salga in viso.

"Sono cose private. Non serve che le sappia."

Rispondo il più categoricamente possibile, ma le paranoie mi tormentano ancora se dette da lei ad alta voce. Tutta la mia calma è andata persa per mantenere un tono neutro e ora la sentenza che stringo in mano rischia di disintegrarsi sotto alla mia stretta agitata.

"Credo che serva invece. Tanto lui non se ne andrà e a te farebbe molto bene avere un supporto e qualcuno con cui confidarti."

Gioca con gli occhiali, esprimendo senza vergogna tutta la sua fierezza. Resto in silenzio ormai conscio di non poter controbattere.

"Allora, hai pensato bene a cosa vuoi fare riguardo alla questione?"

Me lo chiede quando sa già perfettamente che non ho cambiato idea rispetto a quando ne abbiamo parlato più di un mese fa. Me lo ricordo ancora quel giorno. Era San Valentino e tornato a casa dopo un pomeriggio con Eren era arrivata la prima stupidissima lettera del Tribunale con un' anticipazione della sentenza che sto leggendo ora. E' incredibile come la vita di Eren sia scandita dagli stessi momenti che sconvolgono la mia. Il nostro primo bacio è coinciso con il primo strappo sul velo dove avevo sepolto il passato. Oggi, il trenta Marzo, il suo compleanno, è il giorno in cui ho deciso definitivamente che rifiuterò di fare quello che mi viene chiesto in queste righe, compromettendo il mio futuro e perdendo la possibilità di essere il ragazzo adatto ad Eren.

"Non farò quello che mi chiedono. E' escluso, lo sai bene."

Tutta l'insicurezza sotto alla mia scelta mi stringe in una morsa che mi lascia senza fiato. So che sto gettando al vento la possibilità di essere una persona migliore, ma l'obbligo a cui dovrei attenermi è una cosa che non posso fare.

"Levi è difficile, ma non impossibile. Vorrei che riflettessi bene su quello che stai facendo."

Me la ricordo quell'espressione. Gli occhi che si animano con una scintilla di comprensione. La compassione che le corruga le sopracciglia. Ma non è una pietà fastidiosa. Di quelle che mi hanno rivolto tante coppie in cerca di adolescenti da adottare per alleggerirsi la coscienza. E' una sana empatia quella di Hanji. Un sincero interesse di cui ho diffidato per parecchio tempo e che poi si è perso tra le nostre conversazioni sulle stelle. O meglio sulle sue chiacchiere inarrestabili e la mia paziente voglia di ascoltare. Ora ferisco anche lei. Anche se sopporta meglio di Eren e ha un modo più delicato di insistere. Chi l'avrebbe mai detto che avrei conosciuto qualcuno con una personalità più dirompente della mia tutrice... Resto ancora in silenzio, perso tra ricordi e scenari futuri. Scenari spaventosi che si scontrano con i miei desideri. Tra un'immagine e l'altra, Eren compare sempre e lo sento distintamente il vuoto nello stomaco che mi tortura. Mi mancano i suoi baci. La sua pelle calda sotto alle mie mani troppo fredde. Mi manca il suo profumo. Vorrei solo stare con lui e lasciar perdere tutte le responsabilità che mi porto sulle spalle. Da quando lo conosco, il peso del passato che ho nascosto è aumentato a dismisura.

"Bene. Raggiungo Erwin per alcune commissioni. Saremo a casa più tardi."

"Ah, Levi..."

Si gira verso di me prima di uscire definitivamente dalla stanza.

"Decidi se vuoi seguire l'imposizione del Tribunale o affrontare le conseguenze se la rifiuti, ma in entrambi i casi non sprecare altro tempo. Eren non sarà sempre qui con te."

Scatto verso di lei. Ingoio il respiro rimasto mozzato, ma Hanji è già sparita. Cosa diavolo voleva dire? Improvvisamente tutto si fa oscuro. Crollo sotto alla concreta possibilità che Eren non sarà più con me. E' quello che voglio davvero. Me lo ripeto continuamente, ma non funziona. Il cuore prende ad accelerare se penso di non rivedere mai più il suo viso. Non posso negarlo. La sua presenza è molto più importante di quanto io mi sia reso conto. E' stato il mio primo amico quando pensavo di non volerne più e piano piano sta riparando anche tutti gli altri fori nella mia anima. Mi spaventa il pensiero di quello che dovrei fare per continuare a tenerlo con me: accettare l'obbligo impartito dal Tribunale per salvaguardare il mio futuro ed essere una persona degna di stargli accanto. Tuttavia non mi sembra plausibile. Non sono mai stato giusto. Qualcosa da quando sono nato è sempre stata irrimediabilmente sbagliata. Il lavoro di mia madre, la fortuita coincidenza per cui sono venuto al mondo e tutte le conseguenze che ha portato. Vorrei tanto ritrovarla per chiederle scusa. Per sapere che cosa ha fatto in questi anni. Per dirle che io tutto sommato me la sono cavata. Vorrei chiederle se ha mai pensato che io sia stato un errore per lei come l'ha pensato il mondo intero. Come mio zio non ha mancato di ricordarmi in tutti giorni in cui mi ha tenuto con lui, prima di morire per mano di uno dei delinquenti con cui aveva a che fare. E allora devo ammetterlo che ho paura di sentire le stesse cose da Eren. Quella bocca tanto invitante che mette a dura prova la mia espressione seria ogni volta che si distende in un sorriso, potrebbe distruggermi se sapesse del mio passato e non credo di poterlo sopportare. L'ampio margine di possibilità che Eren si penta di avermi anche solo conosciuto si è allargato a dismisura con le minacce che tengo tra le dita. E passa il tempo e non riesco a muovermi, come se la mia singola esistenza fosse una miccia capace di innescare un'esplosione. Se non esistessi non dovrei convivere con la precarietà che si presenta sempre, quando inizio a convincermi di potermi fermare. Odio la casualità con cui è stata concepita la mia vita. Odio il costante desiderio di stabilità che rinasce sempre una volta sicuro di averlo soppresso. Odio i miei desideri. Odio il dolore che mi portano. Odio così tanto la paura di cui non riesco a liberarmi, in costante lotta con il bisogno viscerale che ho di Eren. Odio non saper fare la cosa giusta. E' così. Io mi odio. Mi odio. E mi chiedo quando anche Eren inizierà ad odiarmi. Perché è solo questione di tempo, prima che succeda. Tempo che passa inesorabilmente. Fuori la luce cambia in base alla rotazione della Terra. Il suo compleanno sta andando avanti. Immagino che sia con i suoi amici che fortunatamente non gli hanno lasciato tempo per scrivermi. Almeno spero che non sia da solo, aspettando sul suo letto che il giorno finisca solo per lasciar lo spazio ad un altro; esattamente uguale e inutile. Giorni che sono solo copie di altre copie. Penso a quando questa era la mia vita. Penso al giorno in cui sono andato a visitare i miei amici al cimitero. Il bellissimo cimitero di Trost che si erge sulla cima del monte più alto della Regione. La cima sulla quale sono stato buona parte della notte, costatando che la forza d'animo che mi appartiene mi strappa sempre dal fondo anche quando non vorrei risalire. Mio zio Kenny mi ha trovato tante volte in cima a quella montagna. Mi chiedo se abbia sempre fatto finta di niente o se sapesse quali erano le mie intenzioni. Mi chiedo se io alla fine non sia mai riuscito a raggiungere Isabel e Farlan perché forse una parte di noi sa cosa ci attende e dunque avevo già previsto Hanji ed Erwin. Una cosa di cui sono sicuro però è che Eren non era affatto nei piani e mi piace anche troppo il modo in cui li manda del tutto all'aria. Per un attimo la sua vivida immagine mi regala un sospiro di sollievo prima che la luce del tramonto illumini la lettera dell'Istituto Educativo di Trost concordata con il Tribunale:

Percorso psichiatrico obbligatorio

La bocca mi si arriccia nel disgusto più totale alla prospettiva di quello che dovrebbe attendermi se accettassi questo compromesso. Tre parole. Tre schifosissime parole e tutto va a puttane, di nuovo. E così il sole tramonta sulla mia rassegnazione. Getto la lettera sul comodino, accanto all'unica foto che ho di mia madre. Mi butto sul letto, sapendo che anche stanotte non chiuderò occhio. Il cellulare mi chiama a gran voce. Dovrei farmi sentire? Nell'ennesima lotta della mia coscienza ormai divisa nettamente in due, il campanello mi trapana i timpani. Mi alzo con un sospiro, sistemando la mia espressione perché risulti il più ermetica possibile. Non voglio che Erwin sia testimone come Hanji dei miei turbamenti. Soprattutto quando ha chiarito ampiamente che è d'accordo sulla decisione presa dai giudici insieme ai superiori dell'istituto. Quando mi chiedo perché non abbiano usato le chiavi per aprire sto già girando la maniglia. Il mio cuore si ferma alla vista del tutto inaspettata dei suoi capelli più arruffati del solito. Vorrei dire qualcosa, ma mi rendo conto che ho la bocca completamente asciutta e la cassa toracica minaccia di frantumarsi alla sua vista così perfetta. Ha il respiro affannato e i suoi brillanti occhi verdi non nascondono uno sconvolgimento che dev'essere ancora fresco. Prende qualche respiro e mi guarda negli occhi. La forza mi abbandona e l'intensità del suo sguardo serio mi fa tremare le ginocchia. Mi appoggio alla porta prima di avere qualche reazione imprevista. Eren è serio, fin troppo composto rispetto al solito. Un'espressione di rammarico gli solca il viso mentre avanza verso di me, entrando in casa. Attende comunque sulla soglia. Si aspetta che lo mandi via. A vederlo sembra quasi che la consideri un'ipotesi concreta. Si passa una mano tra le ciocche disordinate e mi guarda, chiedendomi scusa con gli occhi, prima di uccidermi con poche, semplici parole.

"Levi, cos'è successo in tribunale?"

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