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SAND'S NOT THAT BAD AFTER ALL

LEVI

Il sacco di patate che stringo inerme tra le braccia scivola sul sedile senza opposizioni, salvo qualche mugolio che non mi preoccupo di approfondire. Lo assicuro per bene con la cintura, fasciando il corpo intorpidito. Non sono esattamente un fanatico del contatto fisico, ma devo ammettere con mio disappunto che il calore della pelle bollente attenuato solo dal tessuto della felpa leggera riscalda piacevolmente il mio, irrigidito dalle temperature precipitate vertiginosamente proprio in queste notti. Mi sistemo con pochi e precisi movimenti al posto del guidatore e metto in moto, lanciando qualche occhiata al passeggero al mio fianco quando inevitabilmente penzola a destra e a sinistra in balia delle curve delle stradine interne. Mi sforzo di dare un freno alla mia guida solitamente decisa, nel tentativo di scongiurare il peggio e porre fine ai timidi singulti della bocca screpolata. Dietro di me Petra si rilassa sui sedili posteriori, distendendo le gambe scoperte da quella che sembra essere solo la metà di una gonna. È palese che non sia un caso se la mossa studiata finisca per far capitare i polpacci delicati in mezzo ai sedili. Vedo le sue mani accarezzare la pelle liscia in un richiamo silenzioso della mia attenzione. I gesti calcolati però si interrompono rassegnati al mio sguardo apparentemente vitreo. Osservo di sfuggita quell'invasione pianificata per poi cedere all'istinto e controllare con la coda dell'occhio il ragazzo che riposa tranquillo nel posto accanto al mio.

***

"Sei sicuro che non vuoi una mano per portarlo a casa?"

Petra si sporge in avanti. Guadagna nuovamente una posizione consona ad una vettura e arriccia le punte dei capelli chiari, rendendo perfettamente ovvio che starebbe in macchina con me per un bel po'. Lascio perdere lo sguardo languido riflesso nello specchietto retrovisore e mi concentro sul ragazzo ormai senza sensi dall'altra parte dell'abitacolo.

"Vivo qui da otto mesi e il moccioso sta vicino alla piazza principale. Dubito che mi perderò."

Rispondo secco e scostante, inchiodando davanti alla sua villa a tre piani senza troppi complimenti e invitandola caldamente a scendere, disinserendo senza temporeggiare le sicure della portiera.

"D'accordo, d'accordo non insisto. Ci vediamo Lunedì, fatti sentire."

Urla appena uscita dall'auto, agitando la mano in un saluto che non ricambio. Mi era sembrato parecchio sospetto il suo comportamento affabile appena arrivato a scuola. Petra ce l'ha messa veramente tutta per ignorare i miei tentativi di starmene per conto mio e alla fine sono costretto a dire che possiamo quasi definirci amici. Ammetto che mi aveva sorpreso la sua tenacia nel sorpassare le mie risposte stizzite, ma poi ho scoperto che fa volontariato in un centro ascolto per ragazzi difficili ed è stato tutto più chiaro. Neanche io saprei come neutralizzare la sua innata sindrome da crocerossina per cui la lascio fare, fintanto che riesco a controllare la cosa. Non che lei possa mettere in conto di riuscire a trascinarmi ad un'altra festa. Dopo stasera il nostro rapporto tornerà ai soliti dialoghi pacifici tra i banchi di scuola, ma non ho dubbi che già lo sappia. Lo stupore nel non sentire il mio solito rifiuto seccato avrà già reso chiaro che stasera è stata un'eccezione più unica che rara. Continuo a dirmi che l'ho fatto per dare un taglio alla sua insistenza, tuttavia una strana angoscia si fa largo nel mare di apatia con cui convivo ogni volta che rifletto bene sulle mie azioni. Controllo ancora il volto del mio vicino oscurato dalla penombra e il petto che si solleva pesantemente nella morsa dello stordimento alcolico. Più lo guardo e più scalpita per tornare a galla la consapevolezza di aver messo piede fuori di casa per non dover aspettare il laboratorio del Giovedì. Mi ricompongo con uno scatto fulmineo, dando tutta la mia attenzione al volante e deciso più che mai a mettere a tacere la scomoda sensazione in sottofondo. Ho già il piede sulla frizione quando il bell'addormentato emette qualche suono incomprensibile all'orecchio umano, interrompendo il mio conflitto interiore.

"Hey, s-sei tu?"

Si stropiccia maldestramente le palpebre gonfie dal sonno, buttando l'occhio qua e là e assecondando lo stato semi confusionale in cui versa da quando me lo sono ritrovato letteralmente addosso.

"Sì. Adesso ti porto a casa. Rimettiti a dormire."

Ordino con tono che non ammette repliche. Tuttavia si sporge fin dove la cintura glielo permette, arrivando a toccarmi l'avambraccio con la mano calda e appiccicosa dal velo di sudore che la ricopre. Certo che è cocciuto. Dovrei dirgli che agitarsi così non lo aiuterà a farsi passare la sbronza, ma lo lascio fare. Con mia sconcertante sorpresa, devo ammettere che non mi disturba più di tanto.

"N-no. Di... di già? Non mi va..."

Sbuffa, lamentoso e petulante, con la testa che cade in avanti, stremata dalla fatica di trovare un senso al capogiro che la rende instabile. Sulle prime aspetto che si tiri su, ma attendere un qualsiasi segno di vita sembra un totale spreco di tempo. Gli afferro il mento tra le dita, nuovamente stupito dalla sensazione per niente spiacevole di questo contatto a cui normalmente sarei restio. Solleva di poco le palpebre per incontrarmi. Con lo sguardo che si rianima e le labbra che si schiudono impulsive sembra che mi veda per la prima volta. Dev'essere più ubriaco di quanto avessi immaginato.

"Oi, vedi di non svenire."

Asserisco. Il colorito pallido lascia ben poco all'immaginazione. Di sicuro stendersi in avanti non è stata una buona idea. Il moccioso ha tutta l'aria di reggere poco l'alcool. Resta in silenzio, forse impossibilitato a parlare a causa della nuova ondata di nausea che gli imperla la fronte di sudore, ma non penso neanche per un attimo che non sia presente. È troppo impegnato a vagare sulla mia figura con un cipiglio confuso in volto, facendomi sentire innaturalmente a disagio con il suo sguardo eccessivamente assorto.

"Mi-mi dis-piace."

Sono poche le volte in  cui aggrotto le sopracciglia. Solitamente mi è tutto molto chiaro o ne sono disinteressato, ma in questo caso non so davvero che diavolo si affatichi a blaterare né perché io sia così curioso di saperlo.

"Cosa stai bofonchiando, moccioso?"

Incalzo i suoi occhi vagabondi, assicurandomi di non tradire un interesse che non dovrebbe trovarsi dove si trova.

"Per il tetto, mi dispiace di av-erti spinto. Magari... ti andava di stare solo. Magari eri nervoso... come lo ero io. Non dovevo... giudicarti subito."

Dice tutto a batteria con gli occhi ormai chiusi e la bocca semiaperta, scivolando di nuovo al suo posto in uno stato di trance a cui non riesce più ad opporsi. Si addormenta con la testa piegata contro al finestrino e la mano che gli finisce sulle gambe scomposte. Lo osservo abbandonarsi a respiri lenti e regolari in quella posizione fuori da ogni regola fisica e trattengo un sorriso sornione, troppo rapito da un quadretto che dovrebbe essere molto più insignificante e allo stesso tempo incapace di staccarmi davvero. Quando ormai sembra fuori gioco mormora ancora qualcosa. Si sente appena, ma nell'abitacolo deserto distinguo nitidamente le parole incespicate che fanno scattare una molla dentro di me. Aggiusto lo specchietto e metto in moto. Eh sì, forse aveva ragione Petra. Dopotutto potrei anche perdermi.

***

Mi volto lentamente allo scatto della maniglia alle mie spalle. Il narcolettico che si è praticamente fuso con il sedile nelle ultime cinque ore ruzzola fuori in palese stato confusionale. Vederlo stropicciarsi la faccia ricoperta di ciocche castane, aggrappato alla portiera aperta, non ha prezzo. La cosa che davvero attenta alla mia espressione impassibile però  è la testa rivolta verso i piedi. Accenna passi incerti, guardando incredulo il piano morbido e granuloso dove sta camminando.

"Buongiorno Principessa."

Scatta verso il mio saluto sarcastico, chiudendo lentamente la portiera e barcollando fin davanti al cofano, dove sono seduto da quando ho parcheggiato.

"Hey, ma dove... dove siamo?"

Farfuglia, lanciandosi ancora un'occhiata intorno mentre tortura i bordi della felpa agitata dall'aria mattutina.

"Ah non saprei: vediamo se ci arrivi."

Lo provoco e per tutta risposta gonfia le guance in un broncio degno di un bambino di cinque anni. Si è svegliato da due minuti ed è già il secondo sorriso che mi tocca reprimere.

"L'ho capito benissimo, grazie. Dico solo che ... che... insomma come cavolo facciamo ad essere al mare?!"

Sbotta, perfettamente coordinato con un'onda che si infrange sulla riva alle sue spalle. Ha un gran bel caratterino quando ci si mette. Incrocia le braccia e faccio altrettanto in risposta, fin troppo divertito dallo scambio animato che promette di portare avanti.

"Dunque, vediamo: cinque ore di autostrada, un pieno al distributore e una guida eccellente."

Il tono volutamente concentrato vacilla di fronte ai suoi occhi sempre più grandi di stupore ed evidentemente presi alla sprovvista dal mio sarcasmo inatteso. Annienta definitivamente il bordo della felpa, mettendo a  dura prova la sua elasticità prima di dare le braccia in pasto al vento.

"Puoi essere serio per un secondo?! Ti rendi conto che siamo a cinque ore di distanza da casa e io non ho avvisato nessuno?! Cosa cavolo faccio adesso?"

Credo non se ne sia neanche reso conto preso com'è a dare di matto, ma gli farò notare subito che è a un passo dalla mia faccia e magari solleciterò ancora un po' il suo respiro affannato. Mi alzo lentamente dal cofano e mi intrometto nello spazio che ci separa. Cristo, questo ragazzo è un gigante, ma c'è di buono che risponde come un magnete ai miei movimenti. In mezzo secondo siamo a un paio di respiri di distanza. I capelli spettinati vorticano intorno al viso provato dalla dormita e dal risveglio traumatico a dispetto dei miei, pesanti al punto da resistere senza fatica al vento del mattino. Chiunque potrebbe tranquillamente ridere del suo aspetto sconvolto e totalmente sconclusionato, ma questo è un privilegio che i miei inusuali pensieri non si sognano di concedermi. Il suo sguardo brucia nel mio, infuocando il mio sangue freddo. È solo un piccolissimo spazio quello che ci separa e altrettanto stretto è l'angolino di mondo in cui ci stiamo rinchiudendo, confortati dalla reciproca presenza. Analizzo curioso la sua pelle morbida e colorata e troppo facilmente mi trovo a desiderare di voler fermare il tempo. Voglio compiacermi del rossore che gli si scatena in viso quando ricambio il suo sguardo. Quella bellissima reazione che ha tirato fuori più volte durante la nostra uscita al parco. Quella che mi ha fatto sentire fin troppo lusingato. E di colpo ci sono di nuovo in mezzo, precipitando senza fine in un piacevole baratro da cui mi salvo solo arrancando. Con un respiro di coraggio recupero un po' di calma indifferenza, resistendo per miracolo al sussulto imbarazzato che gli provoco quando sibilo sul suo labbro.

"Aspetta qui."

Non mi do il tempo di controllare se abbia ripreso a respirare. Preso dal momento raggiungo veloce l'abitacolo della macchina, afferrando le due arme letali con cui metterò fine alla discussione. Quando torno da lui, escludo la piacevole sensazione nel vederlo sistemarsi le ciocche ribelli in un gesto nervoso.

"Avanti, prendi."

Gli intimo. Gli occhi che vagano sui due oggetti in mio possesso piuttosto che nei suoi, scongiurando possibili risposte impreviste. Non appena nota cosa stringo, le mani dimenticano la felpa e mi liberano le dita in un battito di ciglia.

"Te l'ho tolto di mano al distributore. Chiamare i tuoi amici alle quattro del mattino mentre singhiozzi per l'alcool non è una buona idea. Non te l'ha mai detto nessuno?"

Lo informo, riprendendo padronanza del mio tono spocchioso che lo getta immediatamente in una timida vergogna.

"Oh."

Si gratta la nuca imbarazzato, corrodendo il cellulare con lo sguardo.

"Allora? Hai fatto tutto quel chiasso e adesso non avvisi a casa?"

Alla mia osservazione si illumina d'immenso. Un baluginio di razionalità rischiara lo sguardo intorpidito come se avesse appena scoperto l'acqua calda, salvo poi voltarsi in cerca di una risposta mistica nelle onde. Mai visto qualcuno gestire peggio la propria emotività. Come sia arrivato vivo a sedici anni rimane un mistero.

"E adesso cosa c'è?"

Alzo un sopracciglio, fulminandolo con un'occhiata scocciata. Il castano in tutta risposta si prende il labbro tra i denti. Con lo sguardo, vaga tra il sottoscritto e il mare a fianco. Sembra che stia discutendo con se stesso in quella mente annebbiata dalla sbornia. Ci pensa su un attimo in cui mette a dura prova la resistenza della pelle morbida del labbro. Poi rilassa le spalle in un sospiro rassegnato, sputando al vento il dubbio che non riesce a risolvere.

"E che cosa posso dire? Non voglio mentire, ma farò un casino se dico la verità. Come lo vado a raccontare che mi è girato di venire al mare senza dire niente e per giunta con t-"

Blocca il tono lamentoso, incastrando in gola l'ultima parola, ma non è abbastanza veloce e l'espressione di rammarico che mi restituisce ne è la prova. Avevo capito che avesse delle restrizioni, vista la fretta con cui è corso via dal bar quando la cameriera ci ha cacciato fuori, eppure è dannatamente difficile impedire alle paranoie più strane di farsi largo nel mio animo improvvisamente teso. Non me n'è mai importato un fico secco dei giudizi altrui, mi dico. Perché mai dovrei farmene carico ora? Ma se avessi una spiegazione per tutte le volte in cui la mente fa ciò che vuole, di sicuro non sarei così stranito dalla singolare influenza che Eren ha su di me. Archivio la punta di fastidio nel petto con un respiro calmo e cadenzato, tornando ad un'indifferenza contaminata da qualcosa di troppo umano e lampante.

"Fai un po' come vuoi. Per quanto mi riguarda possiamo salire in macchina e tornare indietro, ma non eri tu che ti lamentavi delle misure strette di Shiganshina, ragazzino?"

Azzardo e ne sono maledettamente felice, visto il risultato. È questo che intendo, esattamente questo. Quella fiammella che anima i suoi occhi ancora sbattuti dall'alcool. Prende un respiro profondo, lasciandosi invadere dalla grinta che la mia prospettiva gli ha offerto. Digita qualcosa sul cellulare, muovendosi deciso per poi metterlo in tasca senza pensarci due volte. Questione chiusa.

"Quello... che cos'è?"

Fa cenno alla mia mano. Gli occhi che si sgranano come per un diabetico in carenza di zuccheri.

"Ho chiesto alla cameriera dell'autogrill di riempirlo con tutto lo zucchero che avevano in magazzino, ma credo ci sia dentro anche un po' di cappuccino."

Mi godo il sorriso che riesco a strappargli con la mia ironia. Agguanta il bicchiere ancora fumante che ho tenuto in serbo per il suo risveglio. Ne prende una bella sorsata, di quelle al pari di un vagabondo nel deserto.

"Grazie."

Mi sorride, dando ancora vita al rossore che si fonde in modo così spontaneo con la sua naturale abbronzatura. Con un cenno d'assenso mi riappoggio al cofano, seguito a ruota dal suo corpo che involontariamente imita i miei gesti. Restiamo così, in silenzio, con il mare a cantare insieme ai fischi del vento. Il sottofondo dell'alba si rischiara nei suoi occhi, accentuandone tutte le sfumature. Le ammiro durante gli sguardi più o meno brevi che intercorrono tra noi. Ho notato subito quanto fosse particolare il verde delle sue iridi. Dubito che ci sia qualcuno che non se ne accorga. In questa mattina però ci sono due dettagli che mi danno da pensare. Sotto alla luce più brillante di Stohess quegli smeraldi splendono ancora di più che nell'inverno di Shiganshina. Inoltre quegli occhi vispi guardano a qualcosa che ho ben nascosto alla vista e mi piacerebbe davvero sapere come ci riescono.

***

Eren inspira l'aria intrisa di salsedine. Gli occhi chiusi e le braccia aperte lo rendono ancora più infantile. È da quando il cielo si è aperto che si ferma ogni cinque minuti, godendosi l'atmosfera marina come linfa vitale.

"Cavolo, era da troppo che non venivo a Stohess. Ci voleva proprio una giornata lontano da quel freddo insopportabile."

Si gira verso di me e ci rimane male quando sfodero una smorfia schifata. Il mio pensiero va subito alla sabbia che ci ricopre le scarpe e così fanno i suoi occhi.

"Eddai, quelle si puliscono!"

Mugugna, abbassando le braccia in segno di frustrazione. Come se potesse smuovermi...

"Tch, è comunque una pessima sensazione."

Rispondo a tono. L'avevo avvisato che sarebbe andata a finire così, ma ha comunque insistito per la passeggiata lungo la spiaggia. Peggio per te, gli comunico con lo sguardo assottigliato.

"Dovresti rilassarti un po'. E poi se hai tanti problemi con la sabbia perché siamo venuti al mare, scusa?"

Ribatte a braccia conserte. Il viso distorto dal broncio che a quanto pare stimolo senza fatica.

"Perché ti sei messo a rompere i coglioni stanotte. In mezzo al sonno hai iniziato a dire che non volevi tornare a casa. Che volevi andare al mare. Mi hai assillato."

Spiego senza mezzi termini. Non appena incrocio i suoi occhi, arrossisce violentemente. Vorrebbe guardare altrove, ma sembra fatto di pietra. Devo ammettere che certe reazioni non mi dispiacciono affatto. Forse le trovo anche troppo... giuste.

"Oh... ho capito. In effetti... era da un po' che pensavo ad una gita al mare..."

Si giustifica come può, cambiando diverse tonalità. Mantengo lo sguardo neutro nella
speranza che lo aiuti a calmarsi. Eppure qualcosa lo disturba tanto da non lasciarlo in pace. Si tortura i capelli per poi passare alla felpa e poi di nuovo ai capelli. Riprende a camminare senza neanche accorgersene. Lo seguo, ignorando i passi che sprofondano nella sporcizia marina. A tratti lo osservo. Ogni volta alza un po' la testa in reazione, senza mai incontrarmi davvero. Normalmente me ne fregherei del disagio altrui, ma già dal pomeriggio insieme ho capito che devo rassegnarmi. Eren è troppo genuino per lasciarmi indifferente.

"Oi, cosa c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?"

Sobbalza nonostante il mio tono basso e controllato. Avvampa di nuovo, ma almeno mi guarda direttamente.

"N-no, no scusa...è...è...che..."

"Avanti, prima che si faccia notte, moccioso."

Ferma ogni muscolo, e sono piuttosto sicuro che anche i polmoni non funzionino più. È assurdo quanto siano repentini i suoi cambi di stato. Fa passare qualche secondo prima di darmi finalmente una risposta.

"E' che... Insomma, mi fa piacere che tu mi abbia portato al mare perché volevo venirci. Grazie."

La voce gli si assottiglia in diversi punti sicuramente per colpa degli alcolici ancora in circolo. Mi dico che è strano che qualcuno mi ringrazi. È per questo che devo sopprimere una strana sensazione allo stomaco. Ci fissiamo per un po', testimoni del reciproco imbarazzo. Ringrazio solo di essere più bravo di lui a nascondere le mie emozioni. Da che ricordi non mi è mai piaciuto passare il tempo con qualcuno che non fosse Farlan o Isabel. Da che ricordi non ho mai pensato che avrei apprezzato la compagnia di una persona al di fuori di loro. Eppure quella di Eren non mi dispiace affatto.

***

"Lascia. Adesso è il mio turno."

Eren mi si para davanti. Inutili i tentativi di allungare una banconota alla cameriera. Il castano mi precede e paga fiero la nostra ordinazione. Poi senza indecisioni si siede nel tavolo più a sinistra del bar, quello vista mare ovviamente. Mi accomodo di fronte a lui, ancora sorridente per la battaglia vinta. Fosse qualcun altro quel gongolare mi darebbe più ai nervi.

"Beh... Allora suppongo di doverti ringraziare."

Maschero il disagio con un po' di ironia.

"Non direi. Offrirai tu la prossima volta."

Spalanca gli occhi, impaurito dalla spontaneità con cui allude ad un'eventuale uscita. Riderei se non fosse che coglie di sorpresa anche me.

"Come ti pare."

Liquido in fretta l'argomento, dando sollievo ad entrambi. La cameriera arriva con un ottimo tempismo. Eren si butta subito sui tramezzini, innaffiando ogni boccone con generosi sorsi di Coca-Cola. Non ci riprovo più a metterlo in guardia sull'alimentazione. Mi limito a bere la mia limonata, contando le volte in cui controlla il cellulare con aria impensierita.

"Ti ho messo nei casini?"

Chiedo, contento che non trapeli troppo il mio interesse. La domanda comunque è abbastanza per riscuoterlo dalle sue riflessioni.

"...No... Cioè..."

Fa un bel respiro poi mi risponde, rassegnato.

"Il casino l'ho fatto io. Alla festa l'ho peggiorato. Questo è solo... benzina sul fuoco, temo."

Si sistema una ciocca dietro l'orecchio come fa spesso quando è a disagio. Non chiedo oltre, sicuro che la mia testa inclinata sia sufficiente per farlo andare avanti.

"È che ho ignorato i miei amici e  poi gli ho detto che mi annoiavo con loro anche se ovviamente non è così."

Ingoia la vergogna della sua ammissione con un altro po' della sua bevanda frizzante. Un sorso rigenerante che basta a farlo proseguire, incoraggiato dal mio busto sporto in avanti verso di lui che tenta di chiuderci in una bolla in cui si senta al sicuro. Ed io dal mio canto colleziono tutti i suoi segreti, memorizzando il doloroso senso di colpa che condivide sempre quando mi rivela tutto quello che comunemente tiene per sé.

"È che... Shiganshina mi sta stretta. È troppo monotona. Loro non capiscono... E io non sono bravo a gestire le mie reazioni."

Continua, sfogandosi sempre più liberamente davanti al mio sguardo neutro al quale implora un qualsiasi riscontro.

"Sei così sicuro che siano loro a non capire? Magari hanno già chiare cose che a te sfuggono."

Non sono solito dare consigli. Non mi interessa. Sarà per questo che mi sorprende la scioltezza con cui mi viene naturale. Mi guadagno l'attenzione del castano che quasi dimentica la sua bibita. Si sporge in avanti, accorciando la distanza che ci separa. Il suo viso pronto a captare ogni mia parola.

"Che cosa intendi?"

Chiede, concitato, bisognoso fino alle viscere di un mio verdetto sulle sue preziose confessioni.

"Che sanno che se te andassi poi ti mancherebbe tutto del posto in cui sei nato."

Abbassa lo sguardo, deluso dal cambio di rotta che do alla conversazione.

"Non dico che tu non debba muoverti da lì. È giusto soddisfare i propri desideri, ma non devi dare per scontato quello che hai. Hai una ragazza e un ottimo amico. L'hai detto tu, no? Non metterli da parte. Te ne pentiresti."

Ignoro lo strano fastidio che gli si palesa in volto. Qualcosa in quello che ho detto l'ha destabilizzato. Ciò che destabilizza me invece è scoprire che mi interessi tanto sapere cos'è.

"I miei amici sono la cosa più importante che ho..."

Si ferma, spaventato da quello che rimugina. Potrei far finta di non capire, ma a che scopo?

"I tuoi amici... certo. E la tua ragazza, invece?"

Colpito. Ero sicuro che fosse un tasto dolente. Già la scorsa volta era stato strano nel parlarne. Assorbo il suo disagio, certo che ormai non si tirerà indietro. È assurdo che si fidi così di me. Mi conosce così poco... Mi chiedo se sia così aperto con tutti e allo stesso tempo faccio tesoro dell'alchimia che danza tra di noi, guidando i nostri dialoghi tanto quando i nostri silenzi intensi.

"Non lo so... Sai era così ovvio che saremmo stati insieme. Da quando siamo nati tutti non si aspettavano altro. Noi stiamo bene insieme... È innegabile, ma... ultimamente Mikasa si preoccupa perché non le do abbastanza attenzioni e ha ragione. Solo che..."

Tentenna, torturandosi il labbro tra i denti. Dev'essere davvero la prima volta che dà voce a certi pensieri.

"Che il tuo interesse è inferiore al suo."

Concludo al suo posto. Esce dal turbine in cui stava affondando, ravvivato dalla mia destrezza nel fare deduzioni. Il volto spaesato mi lusinga più del dovuto.

"Riprenditi. Non ci vuole un genio. So ascoltare e anche fare due più due."

Minimizzo con un'alzata di spalle che lo scuote appena.

"Giusto... Dimenticavo che hai già vent'anni... Sicuramente hai esperienza..."

Contorna il bordo del bicchiere con il dito. Le labbra pressate tra di loro. Potrei leggere qualcosa di più in una domanda così banale... Scaccio velocemente l'opzione e porto avanti la conversazione.

"Non direi proprio, ma conoscevo due persone che si amavano davvero. Erano tutta un'altra cosa quando parlavano della loro relazione."

Realizzo troppo tardi di essermi appena sbilanciato più del solito. Mi maledico mentalmente per l'effetto che il mio interlocutore ha su di me.

"Oh... capisco. E chi sono?"

In viso gli spunta un lieve sorriso, quasi sollevato dalla mia risposta.

"I miei due migliori amici, Farlan e Isabel."

L'argomento che ho accuratamente evitato alla fine si presenta. Neanche a dirlo il castano è attirato da ogni dettaglio che gli concedo. La sua espressione sprizza curiosità da tutti i pori e vorrei esserne più infastidito.

"E loro dove sono? Sì, intendo... ora che sei a Shiganshina come fate a vedervi?"

Conto mentalmente fino a dieci. È ovvio che temporeggiare non sia una buona idea, ma il moccioso mette a dura prova ogni mia abilità nel gestire un dialogo. Cerco veloce la risposta più esaudente e non invasiva che riesco a trovare.

"Sono a Trost. Io sono di lì."

Opto per una mezza verità. Qualcosa che non lasci spazio ad altro, ma avrei dovuto sapere che non sarebbe stato facile spegnere le chiacchiere di Eren.

"Trost? Wow, quella sì che è una grande città. Dobbiamo fare un giro anche lì! Magari puoi presentarmeli."

Lo squillo del suo cellulare lo getta nel panico.

"Cazzo... Mia madre."

Si alza in fretta e furia e si allontana per prendere la telefonata. La carnagione sbiancata da quella che, intuisco, non sarà una conversazione piacevole. Io nel frattempo benedico il tempismo del mittente che terrà alla larga argomenti spiacevoli, almeno per oggi.

***

Approfitto del semaforo rosso per buttare giù un altro sorso di caffè. Non che ne vada matto, ma inizio a perdere la concentrazione. Le cinque ore del ritorno le ho passate imprecando contro agli imbecilli in autostrada, accompagnato dal moccioso che ha ingoiato l'intera discografia degli anni duemila. Con la sua candida voce non mi ha risparmiato un dannatissimo pezzo. Prevedo emicrania per una settimana.

"Ecco, qui a destra. Fermati subito, è la prima casa sull'angolo."

Mi fa segno con l'indice, controllando dal finestrino il vialetto illuminato solo da una fioca luce sul portico.

"Quello tienilo. Sono le nove. Ormai farà ancora più freddo."

Si riallaccia la cerniera del mio piumino nero che gli lascia scoperto quasi metà avambraccio. Dannatissimo gigante... Il suo sorriso imbarazzato mi ricorda il bambino che ha giocato sulla spiaggia tutto il giorno.  Afferra il suo parka imbrattato dal sedile posteriore senza distogliere lo sguardo dal mio. I movimenti sono ingessati e calcolati in un vano tentativo di non spolverare l'intero abitacolo di sabbia. Ai granelli che finiscono irrimediabilmente per cambiare il nero dei tappetini in un bianco sporco, gli occhi smeraldini guizzano nei miei. Sonda la mia espressione incredibilmente intenerita. Dio... se solo la sua goffaggine non fosse così destabilizzante.

"Grazie. Ehm... Allora ci vediamo..."

Accenna un sorriso, indugiando sulla maniglia della portiera e sui miei occhi che non riescono a staccarsi da lui neanche quando lo vedono chiaramente in soggezione per un contatto visivo decisamente intenso e carico di pensieri inespressi .

"A Giovedì, Eren."

Scelgo più o meno volutamente di lasciarmi andare. Il rigido timone delle mie emozioni prende una svista, probabilmente indebolito dalla giornata trascorsa e dal suo sorriso impacciato che si distende al suo nome sulle mie labbra. E incoraggiato dalla mia disinvoltura si fa coraggio e ripesca la grinta che lo contraddistingue. Mi guarda dritto negli occhi senza più bisogno che le ciglia lo riparino e quando parla la voce sicura ed entusiasta mi scalda più del sole di Stohess.

"A Giovedì, Levi."

Mi godo quelle quattro lettere sulle labbra che mi lasciano ancora eccitate. Lo guardo percorrere il vialetto in ombra fino a svanire dietro alla porta. I ricordi recenti stanno mettendo radici nel profondo e mentre osservo il tramonto, ammantato da un caldo conforto, do un'occhiata alle tracce di mare nella mia macchina. Le provo veramente tutte per arrabbiarmi a causa dello sporco che mi toccherà ripulire, ma sono davvero pessimo a prendermi in giro. Gira e rigira alla fine mi ritrovo a sorridere, convinto che forse tutta quella sabbia alla fine è valsa a qualcosa.

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