NO REGRETS
LEVI
Hanji arriva sgolandosi alla fine del registro per poi ritornare con la penna a metà lista.
"Jaeger... l'unico assente. Lui è sempre in ritardo. Sicuramente arriverà. Abbia pazienza."
Ride, ignorando gli sbuffi dell'autista che era pronto a partire già quindici minuti fa. Ringrazio che Hanji sia occupata a organizzare i dettagli del viaggio, altrimenti noterebbe quanto sono agitato. Mi sono sistemato al mio posto in fondo al pullman più di mezz'ora fa, ma di stare comodi non se ne parla neanche morti. Il baccano degli altri studenti mette a dura prova la mia naturale irritabilità. Come se non bastasse, l'emicrania dovuta all'ennesima notte in bianco non vuole saperne di lasciare in pace le mie tempie e a completare il quadretto mancava questo. Un'ansia che non mi aspettavo nel vedere il posto accanto al mio completamente vuoto. Ormai ho perso il conto di quante volte mi sia passato la mano tra i capelli, analizzando la possibilità che Eren non venga. Mi sono ripetuto allo sfinimento che sarebbe stato facile stargli lontano. Nelle ultime tre settimane non ho fatto altro, se non limitarmi agli inutili convenevoli che si confanno a due estranei. In questi ventuno giorni ho osservato di nascosto le sue iridi preoccupate e i suoi capelli sempre più arruffati e mi sono detto di farmelo bastare. Sguardi rubati e niente di più. E ora sono qui, incapace di tenere ferme le gambe mentre corrodo l'entrata del pullman nell'attesa di vederlo arrivare. Non mi reputavo in grado di raccontarmi così tante stronzate, eppure Eren riesci a farmi ricredere su qualsiasi cosa. E proprio mentre blocco l'impulso di sfondare il finestrino con un pugno, così per prendermela con qualcosa che non sia il mio ginocchio, Hanji urla per tutto il pullman. L'autista rilassa il viso corrugato e io riprendo una boccata d'aria mentre l'ultimo arrivato si agita, bofonchiando mille scuse inutili.
"Mi scusi prof, mi scusi. Non ho sentito la sveglia. Ho fatto il prima possibile."
Ansima. Il volto sconvolto dalla corsa a perdifiato.
"Avanti Eren, ora vai a sederti così finalmente possiamo partire."
Sorride alla finta espressione spazientita della sua insegnante. Fortunato il moccioso che Hanji ha un vero e proprio debole per lui. Tiro un sospiro di sollievo ora che è qui, ma ben presto il suo parka verde si ferma davanti a me, costringendomi a strizzare gli occhi per non fargli vedere la mia espressione sollevata.
"Ciao Levi."
Mi saluta timidamente, prendendo posto vicino a me.
"Ciao."
Rispondo, più neutro possibile. Il respiro ancora fermo in gola. Evito di guardarlo. Devo ammettere a questo punto che incontrare i suoi occhi è diventata una vera e propria missione ad alto rischio, ma niente mi impedisce di immaginarlo. Lo sento sfilarsi il giubbotto. L'elastico ticchetta quando lo allarga per avvolgervi i capelli nella solita coda che tanto non li terrà in ordine. Apre lo zaino sistemato tra i piedi e tremo alla naturalezza con cui riesco a prevedere le sue mosse. Ovviamente non poteva essere altrimenti. L'odore di brioche al cioccolato è diventato tremendamente familiare da quando abbiamo iniziato a uscire. Eren sembra averne una vera e propria dipendenza e io sembro essere molto incline a memorizzare ogni dettaglio di quello che lo riguarda. Se non fosse che ho passato il tempo a pensarlo e a ripensarlo in modo ossessivo compulsivo, crederei di essere pazzo. E forse lo sono. E' una possibilità che sto valutando da parecchio. Perché ammettiamolo: chi diavolo passerebbe tre ore di pullman a guardare il suo riflesso nel finestrino? Quando esattamente ho raggiunto i livelli di una ragazzina alla sua prima cotta? Di esperienze amorose non se n'è mai parlato. Con tutte le difficoltà che ho dovuto affrontare, le ho sempre reputate uno spreco di tempo. Ma con Eren la storia è del tutto diversa e mi sta letteralmente fottendo il cervello. Potrei anche raccontarmi che perdo i battiti perché è il più bel ragazzo che abbia mai visto, ma ancora una volta dovrei ammettere che sono solo stronzate. Perché se devo trattenermi dall'infilare le mani nelle sue ciocche ribelli e dallo specchiarmi in quegli oceani caraibici non è certo questione di estetica. La verità è che la dolcezza dei suoi occhi verdi è la cosa più spiazzante che abbia mai visto insieme al calore dei suoi abbracci esitanti e al dolce sapore delle sue labbra. Il modo gentile con cui mi ha toccato fa totalmente a pugni con la fermezza con cui non se n'è mai andato, neanche dopo le mie sfuriate. Perché è dolce Eren, ma anche tanto testardo. Tanto impulsivo quanto delicato nello starmi vicino senza mai pretendere troppo e Dio solo sa se non avrebbe il diritto di mandarmi a quel paese... E invece eccolo qui. A starmi vicino lungo i sentieri sterrati anche se non ci parliamo da un po'. A guardarmi di sottecchi attento a non farsi notare per non infastidirmi. E' questo Eren. Un ragazzino pronto ad avvolgermi nel suo calore per annientare la freddezza che il dolore mi ha lasciato dentro. Ma lui non lo sa che così com'è, con i baci in cui mi ha fatto smarrire quella sera, il dolore è solo più forte. Lui non lo sa che non lo voglio accanto perché il solo vederlo mi fa venire voglia di perdermici nei suoi sorrisi infantili e non posso, ma non glielo dirò. Tengo le distanze, ma non gli dirò mai quanto io sia sbagliato. Quanto lui mi faccia male perché sono un egoista. Non lo voglio del tutto, ma non riesco a lasciarlo andare. Voglio le sue occhiate segrete. Le frasi leggere a cui spera che io risponda con il sarcasmo che solo a lui non da fastidio. Voglio vederlo sistemarsi i capelli dietro l'orecchio quando, ignorandolo, la paura che non lo vorrò mai più lo manda in agitazione. E allora me lo devo dire che sono una persona orribile, peggio di quanto pensassi. Perché ho troppa paura di te, moccioso, ma non ti lascio libero. Eppure in fondo dovresti ringraziarmi. Dopo che mi hai visto così perfetto come solo tu sai vedermi, ringraziami. Non ti mostrerò mai davvero quanto ti sbagli. Questo è ciò che sono disposto a fare per te.
***
"D'accordo. Siete liberi di esplorare i dintorni, ma restate nel sentiero tracciato. A meno che il vostro scopo nella vita non sia farvi divorare da un orso. In quel caso sentitevi liberi di trasgredire alle regole. Ci ritroviamo qui fra quaranta minuti. Direzione: hotel e finalmente la cena."
Se Hanji avesse un megafono, potrebbe usarlo come oggetto d'arredamento. Dopo averci insordito con le sue raccomandazioni, il gruppo intorno a lei si disgrega. Eren è poco dietro di me, come lo è stato per tutto il giorno. Gli do le spalle, ma non muovo un passo finché il terreno arido non si sgretola sotto alle sue All Stars. Non ha avuto il buon senso di mettere degli anfibi neanche per venire in montagna. Disgraziato. Mi muovo in direzione diametralmente opposta al resto del gruppo, quasi fosse automatico evitare gli esseri umani. Tutti tranne uno. Il respiro pesante di Eren mi tormenta dolcemente. E' meravigliosamente inquietante il modo in cui ci siamo mossi insieme per tutta la gita senza neanche scambiarci una parola. Oltrepasso qualche albero provato dall'inverno, sempre attento a restare sul sentiero. I suoi passi si interrompono insieme ai miei. Tiro fuori dallo zaino un telo che ci ospiterà una volta seduti per terra. E' stata la prima cosa che ho messo nella borsa preparata già tre giorni fa. Mi sistemo per terra, rovistando nelle tasche del mio cappotto pesante. Non ci vuole molto prima che un paio di skinny jeans troppo stretti raggiungano il mio fianco. Finalmente riesco a tirare fuori il mio pacchetto di sigarette. In breve gli sbuffi di fumo si mischiano ai nostri respiri condensati.
"Non sapevo fumassi."
Spezza le spire del vento con genuina sorpresa. Ancora non oso guardarlo, ma vorrei tanto vedere se indossa un'espressione meravigliata o di disapprovazione. E' innegabile quanto mi importi la sua opinione.
"In teoria avevo smesso, ma sai com'è..."
Faccio un altro tiro, rafforzando la mia convinzione. Non riuscirò mai veramente a liberarmi della sensazione di relax che il fumo provoca, bruciando nei polmoni.
"E' così difficile?"
La punta di criticismo nel suo tono mi arriva limpida. Oh, ragazzino ingenuo. Se solo potessi davvero capire quanto è difficile liberarmi da tutto ciò che mi rende me stesso.
"Tu rinunceresti mai alle tue brioches al cioccolato?"
E posso giurare di sentirlo trattenere una risata. E mi mordo il labbro, la sua pessima abitudine, per trattenere la mia.
"Non ne ho motivo. Quelle non nocciono alla mia salute."
Ribatte, accompagnando la sua soddisfazione con un'alzata di spalle che scorgo tra i fili neri davanti agli occhi.
"Non ancora. Ti ho già illustrato i rischi del diabete, mi pare."
Si arrende con un sospiro divertito. Sa incassare i colpi, lo so bene, ma non prevedo quanto possa diventare provocante se si intestardisce.
"Allora a entrambi piacciono le cose che ci fanno male."
Neanche il fumo può nulla per allentare la triste consapevolezza della sua ammissione. Le nostre gambe dondolano nel vuoto. Sotto alla riva scoscesa che ascolta la nostra conversazione, il ruscello gorgoglia sopra ai nostri respiri stanchi. Potrei ignorarlo, alzarmi, andare via. Vorrei, ma non posso. Eren parla di sé, sospirando rassegnato. Parla di me, insinuando quanto capisca il mio malessere anche se non ne conosce del tutto l'entità. Eren parla di noi, perché ha visto e lo sa. Lo sa che anche se parliamo poco ci pensiamo, ci vogliamo. Lo sa? Mi ritrovo a dubitare. Lo sa o è solo una conversazione qualunque dove sono bastate due parole per riaccendere la nostra complicità? Chi sei, Eren Jaeger? Che anche dopo tre settimane d'inferno vinco me stesso, gettando via le ceneri della mia sigaretta e alzando lo sguardo verso di te che sei lì ad aspettarmi. Sei lì come se fossi ancora tra le mie braccia, quella sera. Sei lì con gli stessi occhi impauriti quanto i miei quando hai messo a dura prova la camicia che indossavo, tirandola per portarmi sulle tue labbra. E io davvero sono qui, aspettando che tu prenda le mie mani per avere una scusa indecente per farti mio, anche se non voglio?
"E' sbagliato, Eren."
Mi accorgo che mi trema la voce quando i suoi occhi si sgranano per la sorpresa. Non se lo sarebbe mai aspettato, come me d'altronde. Stringo i pugni, riguadagnando compostezza quanto basta per non scappare da lui. Se distolgo lo sguardo, condannerò entrambi a capire quanto faccia davvero male ciò che ho appena detto. I suoi occhi mi osservano seri. E' un verde più penetrante, più adulto quello che mi mostra, serio come la sua bocca chiusa in una linea marcata. L'olivastro della sua carnagione privo di qualsiasi rossore. Un battito di ciglia ponderato e il mio cuore si ferma.
"Te ne sei pentito?"
"E' ora di tornareeee!"
Chiude gli occhi, sconfitto. Sa perfettamente che il monito di Hanji mi servirà come scusa per non rispondergli. Mi alzo in fretta, troppo. Libero il terreno dal telo reso caldo dai nostri corpi e mi concentro nel piegarlo. Quando mi incammino, Eren è dietro di me con un silenzio pesante che non ci appartiene. I miei passi troppo impulsivi e i suoi troppo lenti. Siamo lontani, mentre torniamo dal gruppo. Siamo lontani a cena, anche se i nostri posti sono ovviamente allo stesso tavolo. Difficile staccarsi dal proprio compagno di laboratorio. Difficile riagganciarsi a lui, quando la sua domanda sta ancora sbriciolando tutte le pareti rocciose che ho eretto dentro al mio corpo. E lui forse ha già rubato una risposta dalle mie labbra perché non mi guarda più, neanche di nascosto. Osserva solo le sue scarpe o di tanto in tanto le mani che si tortura incessantemente. E io guardo i suoi particolari mentre dentro tremo. L'unica fottuta domanda che non mi aspettavo mette in crisi tutte le certezze che ho gestito senza sonno. Come faccio ora?
***
Ci siamo. E' ufficialmente notte. Se un mese fa alla selezione delle stanze avessimo saputo come sarebbe andata avremmo scelto lo stesso di condividere la camera in albergo? Suppongo che non lo sapremo mai per davvero. Eren è sul balcone da un buon quarto d'ora. Lo sento ancora ridere, dicendo alla madre che giornata gradevole sia stata oggi. Da quel poco che ho visto, credo che anche lei avrà captato la poca convinzione nelle affermazioni del figlio. D'altronde la perspicacia non manca a nessuno dei due. Rientra silenzioso, invadendo il piccolo ambiente con una ventata di aria gelida che lo scuote da capo a piedi. Si leva il giubbotto, abbandonandolo nella sedia accanto alla sua parte del letto. Poi il suo peso fa vibrare il materasso dove io ho preso posto da quando siamo entrati. I nostri sguardi sono incollati al soffitto. Ascoltiamo l'uno i respiri dell'altro. La sincronia si innesca velocemente mentre entrambi ci impegniamo per non muovere un muscolo. Troppo spaventati di dar moto a qualsiasi cosa diversa dalla staticità. Il calore del suo corpo si infrange prepotente sulla mia pelle fredda. E' incredibile come sia così reattivo alla sua presenza anche se mi sforzo di restare impassibile. La sua domanda è ancora lì. Aleggia su di noi in un silenzio fatto di parole. Lo vedo. Lo vedo trattenersi dal supplicare una risposta, mordendosi il labbro senza scrupoli. Il petto gli si solleva pesantemente. Ce la mette tutta per respirare senza rompere il silenzio. E poi ci sono io. Incapace di combattere con il sangue che martella nelle tempie insieme al mal di testa che trascino dalla mattina. Inalo la sua irrequietezza. L'ho fatto per tutto il pomeriggio e per tutta la sera. E così la soluzione arriva semplicemente. Un flusso di spontaneità che neanche il mio autocontrollo riesce a reprimere. Prima che me ne renda conto, l'aria si spezza nei polmoni doloranti per la troppa tensione. Un sussurro si libera sopra di noi, cedendo al bisogno viscerale che sento di rivelargli tutto. Di curare quell'espressione entusiasta intaccata dal seme del dubbio che io ho piantato.
"Non me ne sono pentito."
E' dura modulare i tremiti nella voce, ma la sua mano che si intreccia alla mia nel poco spazio tra i nostri fianchi allevia le scosse emotive che mi minacciano. Le sue dita calde percorrono la mia freddezza. Tremo ancora, più di quanto dovrei, ma non abbastanza per restare immobile. Le coperte si stropicciano sotto ai miei movimenti incerti. Le gambe si piegano. La mano libera finisce sul cuscino, poi tra i capelli. I respiri sono più rumorosi, tanto da riempiermi le orecchie. Eren si fa più vicino e la calma mi abbandona definitivamente. Il suo profumo di vaniglia precede la sua voce esitante. Guardo ancora in alto, ma lo vedo. Steso su un fianco accanto a me, a scaldarmi con la poca distanza che ci divide.
"Allora non respingermi."
Implora, sussurrando al mio orecchio. Spaventato e libero allo stesso tempo mentre le mie catene si fanno strette come le nostre mani avvinghiate. E penso tanto. Penso veloce.
Lascia perdere
Dimenticalo
Non posso
Mi alzo e vado via
Tutte queste cose perfettamente giuste si fondono nella mia mente. Le ho forgiate così a lungo per brandirle sicuro, ma quando mi giro verso di lui i suoi occhi verdi sono lì ad aspettarmi. Sono pronto a fendere l'aria con le mie convinzioni, ma ecco che il suo viso si distorce in un sorriso supplichevole. E' stanco Eren, ma non si arrende. I suoi smeraldi si piantano nei miei occhi chiari. Qualcosa dentro di me scatta.
"Mi dispiace."
Mi ritrovo a mormorare contro al suo petto. Le sue braccia si avviluppano intorno al mio corpo scosso e Dio, torno a respirare e fa così maledettamente male. Fa così male sentirsi vivi.
"Mi dispiace."
Parole tutte uguali che non riesco a smettere di pronunciare con quel poco di fiato che mi resta in corpo. Le sue mani ora libere tracciano la mia spina dorsale. Risale sulle spalle tremanti e infine tra i miei capelli. Gli stringo ancora i bordi della maglietta con forza quando si scosta per far combaciare le nostre fronti. Mi ci perdo in quegli occhi lucidi. Il viso di quel rosso che mi fa impazzire anche se sono sicuro di esserlo più di lui in questo momento. I miei capelli ancora agganciati alle sue mani e i nostri corpi ormai in simbiosi. E' così che siamo. Stretti nel calore reciproco quando parlando spezza tutte le mie difese.
"Va tutto bene, Levi."
Le parole come zucchero sciolto nelle orecchie. Non so bene se sia per quanto è successo o per quanto sto per fare, ma un'ultima frase si mette tra di noi. Non resisto più.
"Scusami, Eren."
Inghiotte i miei ansimi nella sua bocca. Mi stringe a sé, forte per assicurarsi che io sia davvero qui a baciare le sue labbra morbide. Mi abituerò mai a questa sensazione? Dei muscoli completamente sciolti su di lui che non fa che toccarmi e animarmi. Ci muoviamo scomposti. Troppo presi dal volerci unire per darci il tempo di trovare l'incastro perfetto. Le gambe si incrociano mentre le nostre lingue si cercano. E si trovano ancora e ancora e ancora. Ci fermiamo solo per respirare, ma poi tempo di guardarsi negli occhi appannati e siamo ancora insieme. Gli schiocchi delle nostra labbra si alternano ai sospiri fugaci che ci lasciamo sfuggire e la stanza si riempie di rumori umidi. Lottiamo l'uno dentro all'altro per assorbire il più possibile dei nostri sapori unici. Con le dita lo costringo a inarcare la schiena, facendolo aderire al mio corpo. Mi risponde, testardo. Ci fa ruotare, sollevandosi sopra di me senza interrompere i nostri baci neanche un istante. Esploro tutta la sua bocca, leccandone ogni parte avidamente. Eren mi tocca, desideroso, smanioso. La pelle si tende lì dove mi riscalda attraverso la maglietta che ci divide. Mi trattengo come posso, sicuro di essere già dipendente dai suoi tocchi possessivi. Ci perdiamo così. Occhi chiusi e stretti nella nostra morsa, a prevaricarci a vicenda senza mai schiacciarci per non mettere fine al nostro gioco.
***
Passano ore, non so neanche quante. Abbastanza perché Eren mi sorrida con le labbra rosse e gonfie dai troppi baci. Non che io sia messo meglio. Sicuramente il viso mi starà andando a fuoco. Senza contare le implicazioni con cui ora è presto per fare i conti, ma che comunque si fanno sentire. Ci cambiamo veloci nella privacy più totale del bagno e ci prepariamo per dormire. Eren si copre con la mano uno sbadiglio prima di sorridermi ancora e farsi strada verso il mio petto. Apro le braccia pronto a tenerlo stretto per tutta la notte se necessario, ma si ferma a qualche millimetro da me. Con i polpastrelli mi tira la pelle morbida sotto agli occhi. Osserva i suoi pollici macchiati del fondotinta rubato dal mio viso. Il suo sguardo accigliato fa la spola tra me e le sue mani.
"Ero sicuro che non fossero andate via."
Indica su se stesso il posto dove si trovano le mie occhiaie. La sua espressione seria è fuori dal contesto idilliaco che abbiamo creato, ma non per questo non mi sento di rispettarla.
"Lo sai che ho un disturbo del sonno. Non posso farci granchè."
Mi giustifico con il solito tono neutro che però non sembra dissuaderlo. Un cipiglio di preoccupazione che non accenna a svanire lo spinge finalmente tra le mie braccia. Lascio che si riposi su di me. Le mie mani sulla schiena, mentre il mio mento riposa sulla sua testa spettinata. I suoi respiri si fanno più pesanti e cadenzati e mi preparo a guardarlo addormentarsi. Prima che il sonno lo colga del tutto, lo sento dire un'ultima cosa già mezzo intorpidito dalla stanchezza.
"Levi Ackerman, io ti salverò."
E con questo mi guadagno l'ennesima stretta al cuore. Accarezzo le sue labbra ormai schiuse dal sonno. E se è Eren a dirmelo, forse potrei anche lasciarglielo fare.
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