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JUST FORGET

                                                                                             EREN

Esco più in fretta che posso, lasciando mia madre sconvolta in cucina. Sicuramente si chiederà perché suo figlio sia uscito di casa con ben mezz'ora di anticipo. Una parte di me si fa la stessa domanda da quando ho spento la sveglia stamattina. È la prima volta che mi capita di svegliarmi prima che lo faccia quel fastidioso trillo. Sarà che in queste due notti non ho praticamente chiuso occhio. Eppure la risposta in realtà la conosco. Da quando Levi non si è più fatto sentire né vedere ho passato i secondi a immaginare questo momento. Così ora, mentre cammino a passo svelto verso casa sua, do un'ultima occhiata al cellulare. Lo schermo tristemente vuoto non fa che rimandarmi all'ultimo messaggio di Levi, ricevuto dopo la nostra bellissima serata.

Ho bisogno di un po' di tempo da solo. Non cercarmi

Rileggo queste parole da giorni, ma ancora mi sento svenire ogni volta che le ripasso. Non saprei dire cosa è più forte. La preoccupazione per lui o il timore che semplicemente voglia lasciarmi. Entrambe giocano nel mio stomaco, provocandomi una nausea e un'insonnia che rende il mio viso sbattuto simile a quello del corvino. La possibilità che potrei non rivederlo striscia insidiosa nel mio petto. Cerco di assopirla quanto basta da suonare il campanello. La porta si apre troppo in fretta, rivelando una coda castana più ordinata del solito.

"Oh Eren, ciao."

Hanji mi rifila un saluto smorzato. Non credevo l'avrei mai vista priva della sua aria sconclusionata, ma ormai sono due giorni che anche a scuola non indossa altro se non questa espressione preoccupata che non le si addice.

"C'è Levi?"

La professoressa non mostra segni di sorpresa. Probabilmente si aspettava che sarei arrivato a tanto.

"Non credo verrà a scuola, Eren. Faresti meglio ad andare."

"Lo so che non verrà. Non viene più da Lunedì... ma vorrei parlargli un attimo, per favore."

Volevo che suonasse come una preghiera e invece la frustrazione inacidisce le mie parole. Gli occhi grandi di Hanji mi compatiscono in silenzio.

"Eren, farai tardi a scuola..."

Fa un sforzo per non guardarsi alle spalle, ma la sua mossa cattura la mia attenzione. Senza volerlo mi sporgo oltre alla sua spalla, stando a guardare la porta bianca che si stringe intorno al suo corpo, occludendo la visuale. Levi dev'essere dietro di lei. Saperlo così vicino senza poterlo vedere fa più male di quanto mi aspettassi. Con fatica immane rimando giù il groppo che si forma in gola.

"Mi sono svegliato prima apposta. Glielo ripeto: voglio vederlo. Per favore."

Stringo i pugni, scacciando l'angoscia che mi opprime i polmoni. Hanji si fa sempre più contrita, cercando nei miei occhi un briciolo di compressione che non otterrà. Non capisco perché improvvisamente l'intero universo marci contro di me. Persino lei che sembrava così ben disposta, ora potrebbe arrivare a sbattermi la porta in faccia. Faccio un passo in avanti. Hanji si allarma, intuendo le mie intenzioni. Se solo aprisse ancora un po' vedrei quei due occhi plumbei che sicuramente le stanno perforando la schiena.

"Eren..."

La padrona di casa solleva una mano, intimandomi di fermarmi. In altre circostanze la prenderei sul serio, ma è troppo agitata per pensare che sia convinta di quello che fa. E' Levi stesso che le ha detto di non farmi entrare. Ha proprio pensato a tutto... Non riesco a credere che dopo tutto quello che abbiamo passato non abbia neanche il coraggio di guardarmi in faccia. Credevo che se mai avesse voluto lasciarmi si sarebbe almeno preso la briga di farlo di persona. Per cosa poi? Una serie di considerazioni del tutto affrettate mi salgono alla testa. Non riesco più a ragionare, troppo perso nelle sensazioni scomode che mi infiammano i nervi. Faccio per parlare, quando un'altra figura si fa viva accanto ad Hanji.

"Eren, vieni con me. Ti do un passaggio a scuola."

Erwin appoggia una mano sulla spalla della moglie, dicendole con gli occhi di indietreggiare. Hanji mi rivolge un saluto silenzioso, facendo passare Erwin sul portico prima di richiudere la porta. Resto a fissarla per un tempo indefinito. Poi il mio professore preferito mi fa cenno di seguirlo. Mi accomodo accanto a lui in auto. Il suo breve sorriso cordiale mi calma leggermente.

"Allora? Hai preparato tutto per la partenza? Manca poco ormai."

Mi chiede, del tutto tranquillo. So che non sono parenti, ma il viso indifferente del prof. Smith potrebbe fare a gara con quello di Levi. Anzi, certe volte mi sembra persino più bravo del corvino a non far trasparire emozioni.

"Sì, è tutto a posto, tranne il fatto che il mio ragazzo non vuole vedermi e io non ho nessuna intenzione di partire senza sistemare la faccenda."

Sbotto, totalmente snervato dalla nonchalance con cui accenna al mio viaggio, nonostante conosca bene la situazione corrente. Lui tuttavia non fa una piega. Si limita a ridere attraverso il naso, mentre svoltiamo l'angolo che porta nel parcheggio riservato ai docenti.

"Eren, ascoltami. So che tieni a Levi-"

"Io lo amo."

Ringhio, scattando verso i suoi occhi cerulei che tradiscono sorpresa per qualche istante. Mi fa il favore di non ridere però, dando più veridicità alla serietà con cui lo sto fissando.

"D'accordo. Ora lasciami andare avanti. So che lo ami e quindi devi essere piuttosto... scosso, data l'imprevedibilità degli ultimi eventi..."

Mi posa la grande mano sulla spalla in una carezza morale che accolgo senza troppe proteste.

"Segui le lezioni stamattina. Fai tutto come al solito, senza gesti azzardati. Non andare da lui. Non cercarlo al telefono. Passa la mattina e finita la scuola vieni in aula professori, okay?"

Mi osserva in cerca di un barlume di lucidità sul mio viso aggrottato. Sulle prime vorrei mandarlo a quel paese, dirgli che non può chiedermi di fare finta di niente. Dirgli che sono già due giorni che brancolo nel buio e ritengo ridicolo che chi sa qualcosa se ne stia qui a dirmi di starmene buono. Tutto questo fa avanti e indietro sulla mia lingua che all'ultimo blocco tra i denti. Il prof. Smith è una persona di cui mi sono sempre fidato. E' stato a lui a propormi per il viaggio. Finora  non ha voluto che il mio bene e so che ama Levi. A modo suo l'ha sempre protetto.

"Per favore Eren. Fidati di me."

Faccio appello a tutta la mia forza di volontà e con un bel respiro mi limito ad acconsentire.

"D'accordo... Farò come vuole."

"Bravo. Ora vai in classe. Ci vediamo dopo."

Mi dà un ultimo cenno d'intesa. Mentre scendo dall'auto le gambe tremano leggermente per lo shock. Oggi il fracasso dei miei compagni nei corridoi è più insopportabile del solito. Solo adesso riconosco delle fitte lancinanti alle tempie. Era prevedibile che il mio corpo risentisse dello stress e della mancanza di Levi. Tra la folla punto dritto verso il caschetto biondo fonte di ogni rassicurazione. Ancora prima che possa dire qualcosa, il mio amico mi legge tutto in volto.

"Non è andata bene, vero?"

Chiede con tono dispiaciuto.

"Non ho risolto niente se non avere la conferma che non vuole vedermi. Oggi però dopo le lezioni Erwin mi aspetta in aula professori."

Scrollo le spalle. Improvvisamente la fiducia nel prof. Smith viene sobbarcata dalle paranoie più strane. Non voglio perdere Levi.

"Se mi lascia, mi ammazzo."

Esalo, lasciandomi cadere con la schiena contro agli armadietti e fin giù sul pavimento. La testa mi finisce tra le mani. Sul ginocchio si appoggia la mano di Armin che mi cerca con i suoi occhi splendenti nel baratro in cui sto affondando.

"Eren, non dirlo neanche per scherzo!"

Mi scontro con il suo viso preoccupato.

"E chi scherza?! Quello non vuole più vedermi, Armin! Dopo tutto quello che c'è stato se deve andare così, tanto vale mandare tutto a puttane!"

L'armadietto vibra sotto alla violenza del mio pugno. Quando alzo la testa mezzo corridoio è su di noi. Scorgo anche gli occhi neri di Mikasa che mi guarda seria, prima di sparire tra la folla.

"Er, calmati. Stai facendo una scenata. Respira."

La voce bianca di Armin mi riscuote. Mi concentro sui suoi capelli biondi. Sul viso troppo infantile e la bocca che accenna sempre un vago sorriso. Piccoli dettagli che mi ancorano al presente, mentre con respiri esagerati riprendo padronanza della situazione.

"Devi imparare a controllarti Er. Se il prof. ha detto di vedervi non tutto è perduto e smettila di saltare alle conclusioni. E' difficile, ma prova a fare una cosa alla volta. La mattinata passerà in fretta, credimi."

La campanella sancisce la fine dell'arringa del biondo. Ci rialziamo con la promessa di vederci in mensa. Mentre vado a lezione, mi ripeto le sue parole come un mantra nella mente. In sottofondo immagini della stupenda serata con Levi che vanno via via sbiadendo.

***

Saluto Armin che ha trascorso il pranzo tentando di rincuorarmi. Non so davvero come farei senza il suo sostegno. Un'altra cosa di cui sentirò la mancanza semmai partirò davvero. Questi due giorni mi hanno fatto mettere in discussione qualsiasi piano futuro. Il viaggio a Parigi attualmente è di nuovo il mio incubo peggiore. Combatto contro l'ansia, mentre una parte di me è già tristemente pronta a rimuovere ogni ricordo della storia con Levi. Continuo a non capire se la mia sia arrendevolezza o un innato sesto senso che ha già in mano la verità. Ripongo i libri nell'armadietto mai più contento che le lezioni siano finite. Quando mi volto un viso familiare mi blocca il passaggio.

"Ciao."

Dico più per spavento che per altro.

"Ciao a te."

Il suono della sua voce candida, ma decisa rivive nella mia testa. Mi sembra di non sentirla da un secolo ed effettivamente due mesi di silenzio non sono pochi per un'amicizia così importante. Mikasa incrocia le braccia, pensierosa. Io resto fermo ad osservare i dettagli del suo viso che non mi rivelano niente del suo stato d'animo.

"Senti Eren, mi dispiace... per... qualunque cosa stia succedendo con il tuo... ragazzo."

Si schiarisce la voce prima della parola ragazzo. Non oso immaginare lo sforzo che sta facendo. Ringrazio che guardi in basso così da poter nascondere lo stupore.

"Ah... Armin ti ha detto qualcosa?"

"No, no. Ti ho visto stamattina... e beh... siamo amici da troppo perché io non colga certe cose, ti pare?"

I suoi occhi neri sono nei miei. Una scintilla di speranza li accende. Suppongo che i miei non debbano essere molto diversi. Finalmente dopo tante occhiate taglienti rivedo il lato dolce di Mikasa che mi scalda il cuore.

"Amici?"

Chiedo, esitante, ma assolutamente bisognoso di una risposta affermativa.

"Senti, voglio essere sincera. Riguardo alla nostra storia... Quello che mi ha ferita sono state le bugie e le omissioni..."

Con le spalle minimizza quelle che potrebbero essere delle accuse più che giustificabili. Un senso di vergogna mi opprime ancora al modo terribile in cui ho gestito le cose. Faccio per ribattere, ma mi zittisce con la mano.

"Non dico che mi sia passata del tutto, ma non ho dimenticato l'amicizia che ci lega da diciassette anni, Eren. Non volevo che partissi senza farti sapere che ... mi serve tempo, ma credo di voler vedere le cose tornare come prima... Ecco, l'ho detto."

Fa un sospiro di sollievo, mentre io mi impegno per contenere l'entusiasmo. Ci sorridiamo, consapevoli che ci vorrà un po' per sciogliere l'imbarazzo degli ultimi mesi, ma anche tranquilli nel sapere che possiamo ancora salvare il nostro rapporto.

"Grazie Mikasa, davvero."

"Si.. beh, okay. Allora io spero che ti vada tutto bene, Eren e ... ci vediamo quando torni, okay?"

Dice, iniziando ad incamminarsi verso l'uscita. Le sorrido ancora  e per la prima volta da mesi mi concedo di guardarla andare via senza sentirmi in difetto. Mi godo questa bella notizia e il petto un po' più libero da un peso che ho portato fin troppo. Purtroppo però il corridoio deserto mi ricorda perché sono ancora a scuola oltre l'orario delle lezioni. Le suole che stridono sul pavimento traslucido opprimono le mie riflessioni. Raggiunta l'aula insegnanti, Hanji ed Erwin mi guardano dalla porta in vetro ancora prima che entri. Il cuore batte fortissimo. Non ricordo l'ultima volta in cui sono stato così agitato.

"Ciao Eren, siediti dai."

Hanji mi indica la sedia di fronte alla loro. Si scambiano uno sguardo complice. Il silenzio mi uccide.

"Allora possiamo parlare ora? Io parto fra due giorni... Non so se qualcuno se lo ricorda."

Dico, ormai oltre al limite della pazienza. Nessuno dei due sembra offendersi. Sulle prime mi sorprendo, poi mi ricordo che loro hanno a che fare con Levi e le sue risposte acide da molto più tempo di me.

"Eren, all'inizio non ero sicura di volerti parlare. Ho sempre pensato che Levi dovesse gestire da solo le sue faccende personali e non stesse a noi intrometterci, ma... al momento non lo riteniamo..."

"Lucido."

La sostiene Erwin con il suo tono pacato.

"Esatto e non ho scordato che, quando ti ho chiesto di essergli amico, ti ho detto che se avessi avuto bisogno ci sarei stata. Quindi ora ti raccontiamo cosa è successo e qualunque cosa vorrai fare in seguito, noi ti sosterremo."

Annuisco, attento a non interrompere. Hanji si alza e viene davanti a me. Le gambe appoggiate alla cattedra. Il marito resta seduto dall'altra parte del tavolo. Si aggiusta gli occhiali prima di iniziare a gesticolare.

"So che l'hai accompagnato alla Centrale per le notizie su sua madre la scorsa settimana. La sera in cui siete usciti a cena, Nanaba ha chiamato. All'inizio ho pensato di non disturbare Levi dato che era con te, ma quando ha iniziato a farsi tardi gli abbiamo chiesto di rientrare. Al mattino di solito non ci vediamo perché noi usciamo prima di lui e insomma, avevamo paura che non avremmo più trovato il momento giusto per dirgli quello che ci hanno comunicato..."

Ascolto ogni sillaba come se fosse fondamentale. Ricostruisco per bene gli eventi nella mia mente. Il cuore nel frattempo si è completamente fermato. Che io sappia già cosa sta per dirmi? No, è impossibile.

"Hanno trovato la madre di Levi, Eren."

"E... non è una bella notizia?"

Mi sforzo di chiedere, totalmente spaesato dal tono grave con cui Erwin ha esposto la cosa.

"Era la seconda ragazza. Quella non iscritta nella lista delle persone scomparse."

Aggiunge Hanji.

"Oh. Allora alla fine ha accettato comunque di fare il test del DNA?"

"Non c'è stato bisogno di chiedere, Eren."

A questo punto la confusione è evidente sul mio viso. Erwin prende parola prima che possa chiedere ancora.

"Kuchel Ackerman è morta due anni fa. Aveva contratto l'AIDS. Non essendo iscritta nel registro non c'era modo che la notizia della sua morte potesse arrivare fino a qui. Dall' ospedale di Mitras hanno confermato il tutto."

Cos'è questa sensazione di vuoto in cui mi sento precipitare? Anche Levi si sarà sentito così? Il tonfo sordo del cuore pompa nelle orecchie, ovattando le voci dei miei interlocutori e la mia che esce flebile e distante.

"Devo vederlo. Devo vederlo subito."

"Eren, calmati."

Hanji mi blocca per le braccia . Solo ora mi rendo conto di darle contro per afferrare la maniglia e correre da Levi.

"Adesso vieni a casa con noi. Se ti presenti da solo non ti farà entrare. Intanto cerca di riprenderti."

Li seguo veloce verso l'auto. Respiri erratici mi accompagnano nel breve viaggio per le vie di Shiganshina. Anche se ne fossi in grado, non riuscirei a mascherare l'ansia adesso. Le gambe vanno da sole e posso dire addio alle mie unghie. Quando arriviamo davanti alla porta quasi mi sembra di cedere. Mi muovo in silenzio dietro ad Hanji attraverso il soggiorno e su per le scale. La Prof. mi fa segno di fare silenzio con il tipico gesto che usa anche in classe. Socchiude la porta della camera di Levi. Ignoro l'apprensione che le cambia il viso e mi avvicino al suo cenno. Noi usciamo mima con la bocca, lasciandomi vicino all'entrata. Appena la sua coda sparisce sulle scale, mi faccio forza ed entro nella stanza. Il familiare profumo di Levi mi invade le narici, offuscando brevemente tutto il resto. Tuttavia la visione che ho davanti mi riporta drammaticamente alla realtà. Il corvino è rannicchiato sul letto. Il petto si solleva a stento quando respira per parlare.

"Vattene."

Sussurra, senza neanche alzare lo sguardo dalle coperte.

"Levi... sono... sono io..."

Avanzo piano. Temo seriamente che con qualche mossa più avventata possa scappare. Non dice più nulla né cerca il mio sguardo. Resta inerme, lasciando che il materasso sprofondi nel punto che occupo. Mi stendo di fronte ad un Levi che faccio fatica a riconoscere. Le ciocche corvine disordinate sul viso, la pelle nivea sporcata da un grigiore che si interrompe nei cerchi violacei sotto agli occhi. E che occhi... vuoti e arrossati da un pianto recente. Persino i suoi vestiti solitamente perfetti sono sgualciti.

"Levi... mi dispiace tanto."

Rifletto sull'inutilità di quelle parole che sono bastate a farlo scattare. Preme il viso sul mio petto. Lo stringo a me, accogliendo in silenzio il pianto convulso che mi riversa addosso. Mi artiglia la maglia sui pettorali. La schiena si scuote per i respiri convulsi che i polmoni fanno senza il suo controllo. Non ho mai visto nessuno piangere così. D'altronde non ho mai conosciuto qualcuno che abbia perduto tanto. Lo stringo più forte, soffocando le lacrime che mi pungono gli occhi ogni volta che i singhiozzi aumentano incontrollati. Arriva al punto in cui i vuoti d'aria sono tanto ampi da darmi l'impressione che stia soffocando. Prova a trattenersi, finendo per esplodere in ondate più grandi che gli consumano l'ossigeno. Ho l'impressione che stia sfogando tutto il dolore che ha sopportato da quando è al mondo. Il male è talmente grande che mi sembra continui per un'eternità. Non so dire quanto passi prima che, a poco a poco, le sue scapole sotto alle mie mani rallentino. Con un respiro intenso calma i tremori del suo corpo ancora avvinghiato al mio. Solleva il volto, incontrandomi. Gli occhi gonfi e assenti restano comunque i più belli che abbia mai visto.

"Non ho più una famiglia."

La voce rotta in più punti e rovinata dalla sofferenza. Sembra lo spettro del ragazzo sprezzante e un po' ruvido che ho imparato ad amare.

"Hai Hanji ed Erwin."

Lo consolo, catturando le lacrime che riprendono a scivolare sulle ciglia folte.

"Non è lo stesso."

Bisbiglia, mordendosi il labbro che trema per un pianto incessabile.

"Non sei da solo. Loro ti amano. Io ti amo."

A queste parole mi guarda davvero. Gli occhi spenti scintillano con la luce di una rivelazione. Mi osserva come se solo ora realizzasse che sono qui al suo fianco. Si guarda le mani ancora attaccate alla mia maglia, confuso. Scioglie la presa e si mette a sedere sul letto, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Mi guarda ancora, di sbieco. Mi metto a sedere anche io, provando ad annullare la distanza che crea con il braccio teso, ma si sposta ancora. Tra un respiro pesante e un altro, si passa le dita tra i capelli spettinati.

"Eren... l'altra... l'altra sera al parco... ero davvero felice."

Non riesce a finire la frase senza che le parole vengano spezzate dal pianto, forte tanto quanto quello di prima. Non ce la faccio più a vederlo così. Mi alzo e lo raggiungo, inginocchiandomi di fronte a lui. Poso le mani sulle sue gambe.

"Ne avremo tante altre, Levi."

Sussurro dolcemente nel vano tentativo di farlo stare meglio. Avrei dovuto saperlo che non avrebbe funzionato. Levi affossa il viso nelle mani, soffocando i respiri spezzati. Continua a scuotere la testa in diniego, aprendomi una voragine nel petto.

"Come no? Certo Levi... Ne avremo quante ne vuoi."

All'ennesimo cenno negativo del corvino perdo il senso del tempo e dello spazio. La vana speranza di interpretare male le sue parole distorte è troppo debole.

"Non posso stare con te, Eren."

"No, no, sei sconvolto. Non dire cose che non pensi."

Le mani mi tremano quando le toglie debolmente dalle sue cosce e si tira in piedi, costringendomi ad imitarlo.

"Non farlo, Levi. Ti scongiuro, pensaci."

Imploro, fissando la sua schiena così intensamente da poterla bucare. Si gira verso di me quasi disgustato dal dovermi guardare negli occhi. L'espressione sofferente è abbastanza per farmi capire che non lo vuole davvero eppure la bocca non accenna a fermarsi.

"Non ce la faccio, Eren. Devi trovarti qualcun altro. Qualcuno migliore di me. Io non posso continuare."

Trema. Gli trema la voce dolorante. Gli tremano le gambe cedevoli. Gli tremano le mani che stringe nei pugni. Trema tutto Levi con gli occhi bagnati che vagano ovunque nella stanza, posandosi fugacemente su di me che lo fisso al colmo della disperazione, amplificando la sua.

"E' davvero... questo che vuoi?"

Mi tuffo nel suo sguardo vivo di un dolore devastante, così animato e scosso come non credevo l'avrei mai visto. Vacilla su di me, lacerando ogni brandello di coraggio e forza con cui volevo sostenerlo. Poi serra saldamente le palpebre, ma il dolore non passa. Agita il corpo in un respiro innaturale che annienta tutte le sue energie, costringendolo ad appoggiarsi alla parete. Lì, su quel muro bianco, è così distante che sembra come morto. Ed è il silenzio della perdita che un attimo dopo fa crollare anche me. I suoi ansimi si placano. I suoi occhi stanchi e sconfitti si piantano nei miei. Qualcosa dentro di me si spezza.

"Voglio che mi dimentichi, Eren."

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