IF I STAY WITH YOU, YOU'LL LEAVE ME
EREN
Stai calmo. Non balbettare. Non arrossire. Fai respiri profondi. Fino a cinque minuti fa questi mi sembravano tutti ottimi consigli. Peccato che non riesca a metterne in pratica mezzo ora che Armin mi siede accanto, impaziente. Gioca con i lacci del suo zaino, aspettando che io trovi il coraggio di dirgli quello per cui l'ho fatto alzare un'ora prima e che, a detta sua, l'ha gettato nel panico più totale. Fisso imperterrito gli scalini consumati dell'entrata sul retro della scuola, ma nulla mi vieta di sentirmi lo sguardo del biondo addosso. Mi arrovello, cercando un qualsiasi modo per rompere il ghiaccio. Scarto anche le opzioni più banali. Ogni volta che provo a partire tutto ciò che vedo è Levi. Il suo nome mi sembra l'unica cosa sensata che mi viene alla mente, ma da bravo codardo quale ho scoperto di essere non riesco a dirlo. Mi ritrovo presto a valutare di lasciar perdere. Ritiro tutto e scappo, ma poi mi torna in mente ieri sera e una stretta allo stomaco mi ricorda le possibili conseguenze. Solo che mentre mi torturo le punte dei capelli, la forza di volontà non sembra farsi viva. Mi abbandono a qualche respiro di frustrazione, quasi sull'orlo delle lacrime, quando una voce timida incrina le mie riflessioni.
"Eren, noi non abbiamo molti segreti. Se siamo qui, immagino tu voglia dirmi qualcosa riguardo alla persona per cui hai lasciato Mikasa... giusto?"
Non ho ancora il coraggio di alzare la testa, ma immagino Armin mordersi nervosamente il pollice mentre esprime ad alta voce le sue ipotesi, come sempre giuste. E non posso che essergli grato per aver dato una spinta a questo momento imbarazzante. Forse è per questo che provo ad andare avanti. Non posso lasciare una persona così speciale a mani vuote. Gli devo dimostrare un po' di gratitudine per essere un amico così perfetto.
"Armin, so che da quando te l'ho detto ci hai pensato. Ti sarai scuramente chiesto chi è questa persona. Allora dimmi... hai qualche idea?"
Dimentico l'aria primaverile che scalda le nostre mattine e ripiombo nel freddo inverno di un mese fa. Il fischio nelle orecchie è talmente intenso che a stento recepisco la risposta del biondo.
"Sì... ci ho pensato. Ti confesso però che brancolo nel buio. Noi tre siamo sempre, beh... sempre stati, insieme. L'unico punto cieco per me nella tua vita è il laboratorio di astronomia. Dei tuoi Giovedì non ci hai mai raccontato nulla e così ho pensato che potessi aver conosciuto qualche ragazza..."
Nel mio corpo tutto smette di funzionare. Qualsiasi energia residua va veloce alle orecchie, amplificando il suono delle parole del mio migliore amico. Armin... Non fa che stupirmi con la sua intelligenza soprannaturale.
"Eren, se devo dirti la verità ho anche guardato la lista dei partecipanti al corso. Sai, per.... Farmi un'idea... Scusami, se ho indagato così tanto..."
Rido senza divertimento, prima di interromperlo.
"Arm, tranquillo. Non devi scusarti. Capisco di averti caricato di un bel peso. Io avrei fatto altrettanto. Allora, dimmi come sono... andate le tue ricerche?"
Sussurro l'ultima frase, interrotto dal nodo che mi si forma in gola. Perché l'aria non sembra mai bastare quando ne avresti più bisogno? Anche Armin cerca di catturarne un po' prima che torni a parlare. Dice tutto in modo troppo veloce e sconnesso, quasi si vergognasse di essersi spinto così in là per ottenere informazioni.
"Beh nella lista erano presenti solo quattro ragazze. Ne conosco solo una di vista e l'ho scartata subito. Non vi ho mai visti parlare e nelle poche volte che l'abbiamo incontrata in corridoio non vi siete minimamente guardati. Non un'occhiata né altri segnali che mi facessero sospettare nulla. Le altre tre ragazze sono state una ricerca a vuoto. Ho visto che sono più grandi di noi e... insomma Eren non ti ho mai visto in compagnia di una ragazza che non fosse Mikasa o una del nostro gruppo. Non un pettegolezzo da nessuno né dettagli da tua madre. L'unica persona con cui hai fatto amicizia ultimamente, a detta sua, è--"
E' da un pezzo che lo sto fissando ormai. Agita le mani in aria, inconsapevole di quanto stia farneticando, completamente assorbito dai suoi ragionamenti. Senza volere sta rivalutando proprio ora l'intera questione davanti al mio sguardo sconvolto. Non se rende conto subito, ma io vedo senza problemi il filo conduttore che sta tracciando e mi sono tramutato in pietra circa cinque minuti fa. Ora il guizzo di ingegno che gli attraversa gli occhi celesti frantuma le mie ossa di marmo. Un silenzio fulmineo lo lascia a mezz' aria con la bocca ancora aperta. Per la prima volta stamattina, ringrazio che il suo sguardo sia rivolto nel vuoto di fronte a sé e non verso il sottoscritto, ormai nel panico fino al midollo.
"Oh mio Dio. Oh.Mio.Dio. Oh... m..."
Armin ormai è un cumulo di rantoli bofonchiati. Il suo sguardo assente spazia nel vuoto per un po'. Quanto non saprei dirlo, troppo impegnato a combattere con l'ansia di un rifiuto. Mi accorgo che non riesco a staccarmi dal suo volto. Temendo e aspettando un'espressione di disgusto che per fortuna tarda ad arrivare. Solo quando si rivolge a me, realizzo che avevo smesso di respirare. D'istinto sfrego i palmi sudati contro ai jeans, come se questo potesse essermi d'aiuto, quando l'affermazione di Armin precipita come un macigno tra di noi.
"Sei fidanzato con Levi Ackerman."
Non una domanda, non un'ombra di insicurezza nella sua voce indebolita. Il suo viso ancora paralizzato dalla sorpresa è l'unico veicolo di emozioni da analizzare. Non me lo sarei aspettato, ma la sua ammissione colpisce anche a me. Nonostante mi fosse fin troppo chiaro quello che c'è tra me e Levi, non l'avevo mai detto ad alta voce. Questa è in assoluto la prima volta in cui il pensiero prende concretamente forma nelle parole del mio migliore amico e non capisco come mi faccia sentire. Tutto suona tremendamente strano, quasi irreale, ma assolutamente ed inequivocabilmente giusto. Come se non potesse essere altrimenti anche se forse lo è già. E questa paura mi riporta al motivo principale per cui ho deciso di regalare ad Armin un infarto in età prematura.
"Mi dispiace non avertelo detto prima, ma avevo bisogno di tempo per capire come stavano le cose."
Dico semplicemente, ormai tranquillo nel lasciarmi andare alla rassegnazione. Il dado è tratto e non c'è più nulla da fare per riprenderlo. Armin sembra addolcirsi. Una luce rianima i suoi occhi alienati e mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Non posso evitare di arrossire ora che sono completamente esposto però il suo sorriso sincero è quello che mi scalda veramente, scacciando i brividi che mi hanno tormentato.
"Certo, Eren, lo capisco. Senti, sono un po' sorpreso quindi scusami per le mie reazioni. Dammi tempo per elaborare la cosa, ma voglio che tu sappia che tra noi non cambia nulla e io ti sosterrò sempre, riguardo a qualunque cosa ti renda felice."
Ricambio il suo sorriso che presto si trasforma in un abbraccio. Uno di quegli abbracci fraterni che ci siamo scambiati poche volte, ma che hanno sancito il legame indistruttibile che ci unisce. Non posso fare a meno di continuare a sorridere contro alla sua spalla, sicuro che lui stia facendo lo stesso. Mi sento più leggero di quanto avrei mai sperato e un bel sospiro di sollievo non me lo toglie nessuno. Mentre sciogliamo la nostra stretta e ci alziamo per raggiungere gli armadietti, Armin mi scruta ancora. Un cipiglio interrogativo gli solca le sopracciglia. Era prevedibile che avesse parecchie domande da farmi. Non mi sorprendo.
"Eren come mai hai deciso di dirmelo proprio oggi?"
"Beh ieri io e Levi abbiamo avuto una discussione sul doverci nascondere. Voglio fargli capire che ho intenzioni serie e non intendo vergognarmi di noi due. Ammesso che sia questo il problema..."
"Cosa intendi?"
"Intendo che lui non mi ha fatto pressioni per questa cosa. Anzi sembra fin troppo sicuro di voler tenere tutto segreto. Si preoccupa per me, per la mia reputazione e le conseguenze e gli credo, ma qualcosa mi dice che c'è sotto dell'altro. Non hai idea di quanto sia complicato quel ragazzo, Arm..."
Mi lascio scappare uno sbuffo in cui si libera tutta la tensione accumulata da ieri sera.
"Beh comunque sono deciso a vivere la nostra relazione alla luce del sole. Per questo ho deciso di dirtelo. Volevo che fossi il primo perché mi fido di te e poi... c'è una cosa in cui mi devi aiutare."
Mi fermo strategicamente per soppesare la reazione del biondo. Non è affatto raro che nel nostro rapporto egoistico io gli chieda dei favori e non è raro che lui mi assecondi. Dimostrargli un minimo di rammarico per metterlo sempre in mezzo ai miei guai, mi sembra il minimo.
"Certo, Er, quello che vuoi. Dimmi."
Ruota la serratura circolare del suo armadietto, quasi distratto dai numeri che compone ogni giorno, finché le mie parole non lo gelano sul posto.
"Devi aiutarmi a dirlo a Mikasa."
Le dita gli tremano visibilmente. Il suo caschetto biondo gli investe il viso nello scatto verso di me. Mi guarda come se fossi un pazzo in una missione suicida e ha maledettamente ragione.
"Eren, sei matto? Ci ucciderà. Quando vorresti farlo esattamente? Io... non sono preparato. Già sta male per come è finita. Se ora le diremo che l'hai in un certo senso tradita e per di più con un ragazzo... Oddio, non oso pensare a cosa potrebbe succedere."
Armin ormai si è passato in rassegna le unghie di tutte le dita. Credo di aver aumentato esponenzialmente il suo livello di stress e sono riuscito a farlo tra le sette e trenta e le otto. In altre circostanze andrei fiero del mio nuovo primato, ma in questo istante brividi di agghiacciante coscienza mi freddano. Armin ha ragione. Mikasa non mi perdonerà mai. Dio solo sa cosa potrebbe accadere, anzi cosa accadrà quando glielo dirò, perché non ho intenzione di retrocedere. E dall'espressione di terrore sul viso del biondo so per certo che anche lui l'ha capito.
"Tranquillo Arm. Non lo faremo oggi. Prima ho bisogno di chiarire con Levi e poi ci serve un piano. Dobbiamo capire come gestire la cosa. Per questo il tuo supporto mi è indispensabile, cervellone."
Armin mi osserva, completamente rassegnato e impegnato in una silente accettazione di morte certa. Continua ad armeggiare con i libri che gli servono, rilassando le spalle in uno sbuffo disperato. Si concentra sulle proprie scarpe da ginnastica, analizzando la situazione.
"D'accordo. Vedremo di affrontare anche questa così te ne potrai andare in giro tranquillo con il tuo Levi."
Trattengo un sorriso. Quando fa così ritorno immediatamente alla nostra infanzia. Al suo broncio affranto che non è mai durato per più di dieci secondi. Anche stavolta il suo viso si illumina ancora prima che io possa rassicurarlo.
"Hey Eren, ma aspetterai un po' prima di inserire Levi nel gruppo, vero?"
Mi coglie del tutto di sorpresa con un quesito del genere. Decisamente non me lo aspettavo e non mi impegno per nascondere il disorientamento. Alzo le spalle, abbastanza tranquillo sulla risposta.
"Ma certo, Arm. Come mai?"
"Ah bene, perché quel tipo mi fa una paura fottuta."
Lo stomaco si contrae impotente sotto all'uscita imprevista del biondo. Non riesco a decidere se quello che mi fa venire la lacrime agli occhi sia il linguaggio volgare che non gli ho mai sentito usare o il contenuto della frase in sé. Fatto sta che entrambi ci pieghiamo in due contro agli armadietti, ridendo complici in un continuo scambio di occhiate divertite. Un paio di studenti si girano curiosi di cosa ci stia togliendo il fiato, ma non potranno mai capire davvero perché sia così difficile respirare in questo momento. E' un miracolo che non finiamo per terra in preda alle convulsioni che la battuta di Arm ha scatenato in entrambi. Non so bene per quanto tempo andiamo avanti così finché il suono della campanella ci costringe a fermarci. Cerchiamo di ricomporci. I respiri ancora affaticati e gli occhi lucidi dalle risate. Reprimo a stento una seconda ondata di ilarità quando ci guardiamo per salutarci. Lo lascio andare in classe, approfittando dei dieci minuti strategici per avviarmi veloce al bagno nel corridoio adiacente. La paura di non trovarlo ad aspettarmi indebolisce i miei passi prima di svoltare l'angolo. Poi la sua chioma corvina che contrasta contro ai muri bianchi mi fa rilassare. La leggerezza guadagnata con Arm mi accompagna da lui. Per un breve momento dimentico tutto ed entrando in bagno lo stringo a me. Le sue mani fredde spingono senza forza contro al mio petto. Ci vuole poco prima che disegnino righe irregolari sulla mia maglietta e mi finiscano sulla schiena. Mi avvolge in vita anche quando allento la presa intorno alle sue spalle per guardarlo in viso. Quella che mi ritrovo davanti potrebbe essere la sua solita espressione di indifferenza, ma una scintilla di diffidente curiosità gli alza appena il sopracciglio. Decido di restare in silenzio, aspettando che sia Levi a parlare. Cerco di essere serio, ma il sorriso che avevo in viso non è del tutto scomparso. La sua compagnia d'altronde mi fa sempre questo effetto, soprattutto visto che non ero sicuro di trovarlo.
"Cos'è quel sorrisetto? Hai mangiato arcobaleni a colazione?"
Oggi è uno di quei giorni, ma non ne rimango sorpreso. Ringhia quasi Levi. La voce bassa e roca più del dovuto, quasi volesse spaventarmi. E' estremamente facile per lui allontanare le persone a comando, eppure non ha capito che con me non funziona. L'ho visto crollare troppe volte per non accorgermi che dietro a tanta irruenza si nascondono paura e timore o peggio. Spesso, come in questo caso, dietro alla linea tagliente in cui costringe gli occhi c'è solo una devastante tristezza. Non perdo tempo a rispondere alla sua provocazione, almeno non a parole. Mi chino su di lui e, prima che possa arretrare, le mie labbra sono sulle sue. All'inizio non risponde al bacio, probabilmente confuso dalla mia inusuale reazione, ma non passa molto tempo prima che il suo corpo risponda ai movimenti del mio. E' un bacio particolare il nostro. Un bacio in cui gli cingo il viso, tenendolo stretto a me quando lo sento divincolarsi. Un bacio in cui le sue mani non possono fare a meno di accartocciare il tessuto della mia maglietta sulla schiena. Eppure anche se siamo così complici, litighiamo. Spingiamo con forza l'uno nella bocca dell'altro. Ingoiamo i reciproci sospiri per farli sparire, negando il piacere che non dovremmo provare visto che stiamo discutendo. Di solito i baci del corvino indeboliscono le mie ossa, riducendomi a un sacco di sabbia in balia delle sue tempeste. Invece ora mi sento forte abbastanza da sostenerlo mentre lui si aggrappa a me. E' stanco Levi. Tormentato da quello che probabilmente l'ha tenuto sveglio per tutta la notte. Si lascia trascinare dalla mia rara prepotenza, incapace di interromperci. Non faccio fatica a vedere le sue occhiaie sotto al correttore che le copre diligentemente. A malincuore ci stacchiamo, solo ed esclusivamente perché a corto di fiato. Restiamo comunque inevitabilmente intrecciati l'uno all'altro. Le mia dita infilate tra le sue ciocche setose e le sue mani incollate alla mia vita, strette come se dovessi scomparire da un momento all'altro. Le sue iridi tormentate mi inondano di senso di colpa.
"Stiamo facendo tardi in classe."
Nota. Un tono fermo, ma non troppo, accompagna il suo tentativo di fuga, ma rimaniamo immobili. Nessuno dei due vuole davvero andarsene. Il peso dei nostri pensieri grava troppo su entrambi.
"L'ho detto ad Armin."
La sua presa si rafforza. Immagino il suo cuore fermarsi quando un respiro mozzato spezza il ritmo cadenzato del suo petto.
"Non stai dicendo sul serio."
Non una domanda. Parla, dando voce alle sue speranze. Un mero tentativo di razionalizzare e accantonare la paura che lo sta travolgendo anche se dubito che un osservatore esterno lo noterebbe sul suo viso piatto.
"Sì e poi sarà il turno di Mikasa e poi tutti gli altri."
Gli spiego semplicemente. Credevo sarei stato molto più agitato, ma mi rendo conto che non ce n'è motivo. Levi sonda i miei occhi. Forse per capire se le mie intenzioni sono serie o forse solo perché gli farebbe piacere vedere un minimo di rimorso accompagnare le mie decisioni. Mi dispiace sinceramente deluderlo, ma non sono disposto a cedere.
"Sei un idiota."
Mormora fra sé e sé. La sua presa si sposta lentamente dalla mia vita al bordo della mia maglietta. Non so bene come, ma mi ritrovo con la schiena schiacciata contro al muro. Avevo dimenticato quanto può essere violento quando perde il controllo.
"Sei un fottutissimo idiota, Eren."
Sibila a qualche millimetro dal mio viso. Il suo fiato caldo esce denso dai respiri pesanti. Rabbia. Rabbia cieca in quelle che sono diventate due fessure vitree. Il mio corpo si fa sempre più piccolo contro alla sua morsa stringente. Dovrei ringraziarlo perché è evidentemente in lotta con se stesso per non farsi sopraffare del tutto dall'ira. In un gesto quasi automatico gli cingo i polsi con le mani, sperando che sia sufficiente per non farlo andare oltre.
"Calmati, Levi. Ieri mi hai chiesto cosa volessi davvero e hai avuto la tua risposta. Ora i nostri problemi possono considerarsi risolti."
Levi non accenna a calmarsi. Se possibile ogni mia parola serve solo a inasprire il suo viso contratto dall'ira. Quando mi risponde la sua voce bassa penetra e scuote ogni fibra del mio corpo. Un terremoto di emozioni che mai assoceresti ad un tipo così apparentemente freddo.
"Io non ti ho chiesto un cazzo. Stai facendo un casino, Eren. Fammi un favore: quando realizzerai lo schifo in cui hai trasformato la tua vita non venire a piangere a me."
Dolore. Questo è decisamente dolore. Non tanto perché mi tenga ancora premuto contro al muro né per la collera con cui ha sputato ogni lettera. E' il contenuto in sé che mi ferisce. Mi fa male al punto da annullare ogni buon proposito con cui mi sono svegliato. Non so perché, ma improvvisamente negli specchi sopra ai lavandini ci siamo io e Levi ad urlarci addosso cose che neanche capisco. Cose che credevo di non pensare neanche e che spero che lui non pensi, ma non sono più sicuro di niente.
"Smettila di trattarmi come un bambino di cinque anni. Ho preso la mai decisone e questo è quanto. Cosa te ne frega della mia reputazione e quelle altre stronzate? E' la mia vita. Non me ne preoccupo io. Chi ha dato a te il diritto di farlo?!"
Urlo, spingendolo via da me e gettando benzina sul fuoco che invade i suoi occhi.
"Sì invece. Sei solo un bambino! E' ovvio che non sai cosa fai. Per te c'è solo la tua dannatissima vita perfetta. Non ne sai niente della sofferenza. Sei un moccioso del cazzo."
Urla anche lui, inveendomi addosso con tutta la forza del suo odio. Stento a riconoscerlo, a riconoscerci e se possibile ribatto più forte, frustrato da come ci stiamo facendo a pezzi per niente.
"No che non lo so perché non mi racconti mai niente. Dimmi di cosa hai tanta paura e non venirmi a raccontare che è perché vuoi salvarmi il culo. Lo so che c'è dell'altro. Chi pensi di prendere in giro? Dimmelo, Levi. Dimmi la verità. Perché non vuoi stare con me?"
Mi faccio avanti mentre lui indietreggia. I nostri volti sono di nuovo a qualche respiro infiammato di distanza. Non so neanche più chi sia ad avere la meglio, persi nelle nostre grida in una battaglia di soli sconfitti perché finché entrambi soffriamo niente ha davvero senso.
"Lo vedi che ancora non ci arrivi? Non sono io che non voglio stare con te. Io non voglio che tu stia con me!"
Urla, esasperato. Ci manca poco che cada all'indietro, quando mi spinge furioso lontano da lui. Cerca di nasconderlo il dolore che incrina il suo tono tagliente, ma per quanto mi riguarda è in bella vista che prega di uscire dal fondo andato a male in cui si sta consumando. Non importa che si nasconda dietro alle ciocche troppo lunghe dei suoi capelli o che preferisca guardare il pavimento piuttosto che il mio sguardo ormai spento. Non conta il numero di respiri che si concede per rilassare i muscoli. Ormai anche la mia rabbia è andata via. E' incredibile come la tristezza di Levi sia così rarefatta, ma allo stesso tempo così pregante da infilarsi in ogni fessura dei nostri animi. Cammino lentamente. Sono pochi i passi che mi servono per raggiungere la sua schiena. Ho paura che si scosti quando lo avvolgo, bloccandogli le braccia. Tuttavia serve a poco la sua resistenza. Appena gli lascio un bacio tra i capelli i suoi nervi si sciolgono come neve al sole, lasciandosi completamente abbandonare su di me.
"Basta, Levi. Basta litigare."
Gli sussurro all'orecchio, ben attento a non costringerlo a guardarmi. So che è troppo presto per un confronto diretto. La sua testa scivola all'indietro nell'incavo del mio collo. Gli occhi chiusi vogliono certamente preservarlo da emozioni troppo evidenti sul suo volto, ma va bene così.
"Dimmi di cosa hai paura."
Un sospiro e un silenzio lungo un'eternità in cui i nostri cuori si sincronizzano. Faccio fatica a riconoscere la sua voce, così provata mentre parla e mi stringe le mani con le sue per tenermi dove sono.
"E' solo questione di tempo prima che tu ti renda conto che non vado bene per te. Se stiamo insieme mi lascerai, Eren."
La campanella decreta la fine della prima ora. Un'orda di studenti invade il corridoio. Sappiamo entrambi che anche la nostra privacy sta per essere infranta. Levi si stacca da me che sono ancora paralizzato sul posto dalla sconcertante rassegnazione con cui mi ha rivelato i suoi timori.
"Dobbiamo andare, Eren. Abbiamo già perso la prima ora."
Si rivolge a me, quasi del tutto normale se non fosse per quella piccola traccia di dolore che accusa nello sguardo schivo. Annuisco lentamente, così inerme da non riuscire a fare nulla finché la sua mano non afferra la maniglia della porta. Stringo il suo polso delicatamente, facendolo voltare ancora verso di me.
"Levi io tengo tantissimo a te. Qualunque cosa succeda non ti lascio. Io voglio stare con te."
Se potessi quantificare la verità delle mie parole e il bisogno viscerale di essere creduto, direi che entrambi sono infiniti. Tuttavia Levi sembra non capirlo o forse preferisce non farsi carico di questo rischio.
"Ci vediamo dopo."
Sussurra senza un briciolo di energia nella voce stanca. Le ciglia si alzano e si abbassano negli sguardi incerti che mi lancia e con cui sembra che mi stia memorizzando come se non dovesse vedermi mai più. Nulla mi salva dal rispondere a quelle occhiate disperate con un'espressione rammaricata e un sorriso debole, ma carico di dolcezza ed empatia. E per un secondo le sensazioni che tento di trasmettergli sembrano attecchire sul fondo ruvido del suo spirito tormentato. Si sporge verso di me senza staccare la mano dalla maniglia e punta dritto al mio viso, facendomi sentire come una calamita dalla quale è attirato controvoglia. Con le labbra tremolanti mi lascia un bacio troppo leggero sulla guancia. Lascia andare un sospiro trattenuto che mi riscalda la pelle e senza più incrociarmi si volta verso la porta e sparisce dalla mia vista.
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