Chapter Sixty-Two.
Entrai in camera seguendo Harry, sapeva muoversi bene in quell'Hotel, mi guardai intorno osservando la camera nella quale avremmo dovuto trascorrere del tempo. Le pareti erano di un beige ral, il soffitto di un bianco sporco e il parquet per terra lucido e chiaro, il letto a due piazze era stile moderno, coperto da un lenzuolo bianco e una coperta grigia ai piedi, su i comodini in legno scuro, anche loro moderni, erano poggiate delle abat jour e una piccola pianta, proprio di fronte al letto stava un comò nello stesso materiale dei comodini con dei soprammobili vari e una tv a schermo piatto appesa alla parete.
Harry avanzò nella stanza lasciando cadere il suo borsone sul divano proprio sotto la finestra, e accanto ad essa, stava una porta a vetri che, dall'aspetto, si capiva la presenza di un balcone.
«Perché hai preso una camera matrimoniale?» Domandai continuando ad osservare ogni dettaglio, un tappeto stava ai piedi del divano e a due palmi dal comò si trovava una grande porta scorrevole lasciata aperta, lasciando una libera visuale al bagno, ma tutto quello che riuscivo a vedere dalla camera erano due lavandini su un mobile in legno scuro e uno grande specchio rettangolare.
«Sono più comode.» Rispose sbarazzandosi anche della giacca, un piccolo attaccapanni stava accanto alla porta che dava ai corridoi ma Harry preferì gettare la sua roba a destra e a manca.
«E..» Iniziai togliendo anche io lo zaino dalle spalle. «Quando sei solo perché la prendi?»
Mi guardò trattenendosi dal sospirare e si limitò solo ad sollevare le sopracciglia. «Ripeto, sono più comode.» Ripeté puntando poi gli occhi al bagno. «E se non hai altre domande andrei volentieri a farmi una pisciata.» Allargai un po' gli occhi aprendo bocca cercando di dire qualcosa, ma nessun suono uscii da lì quando non c'era altro dire. Si avviò in bagno e quando vidi il mini frigo del quale parlava l'uomo alla reception mi avvicinai con l'intenzione di aprirlo. «Non l'aprire se non devi prendere niente.» Sobbalzai voltandomi verso di Harry, poggiato alla porta del bagno. «Ti fottono i soldi, anche se non prendi niente a loro basta solo che lo apri.»
«Oh.» Riuscii a dire giocherellando nervosamente con le maniche della mia giacca. «Okay.»
Sparì dietro la porta del bagno lasciandomi da sola in camera, lasciai lo zaino accanto al borsone di Harry sul divano e presi posto su un lato del letto posando la giacca al mio fianco. Sbuffai giocando con le mie dita e con un piccolo e semplice anello sull'anulare destro, in realtà non sapevo cosa fare, dovevo disfare lo zaino e posare le mie cose? In realtà avrei preferito tenere tutto lì dentro e tirare fuori solo ciò che mi serviva.
Harry uscì dal bagno passandosi una mano tra i capelli, come di sua abitudine, e mi guardò accigliandosi. «Sappi che quello è il mio lato.» Fece cenno con il capo al lato del letto sulla quale ero seduta.
Abbassai lo sguardo sulla superficie del letto prima di rialzare gli occhi sul suo viso. «Non c'è scritto da nessuna parte; Harry pretendo tutto Styles.»
«Doveva essere una battuta?» Infilò le mani nelle tasche dei suoi jeans continuando a guardarmi.
«Ho sempre dormito sul lato sinistro del letto.» Ammisi.
«Bene, anche io.» Scrollò le spalle con nonchalance.
«Se tu fossi un gentleman cederesti il posto a me.» Mi alzai dal letto lasciando però la mia giacca lì.
«Credevo lo sapessi che non lo sono.»
«Si, l'ho visto da come mi hai sbattuto la porta in faccia una volta entrati in Hotel.» Mormorai, sul suo viso nacque un sorrisetto divertito che mi portò a ruotare gli occhi al cielo, prima però, che un'idea sfiorasse la mia mente. «Ho un'idea.»
«Non mi piacciono le tue idee.» Andrò dritto al punto scuotendo la testa.
«A te non piace niente che è diverso.» Mi avvicinai ancora fino a ritrovarmi ad una distanza dovuta, cercò di ribattere ma lo fermai guadagnandomi un'occhiata truce da parte sua, che ignorai. «Facciamo una gara.» Corrugò le sopracciglia aspettando che continuassi. «Contiamo fino a tre e chi arriva prima sul lato sinistro del letto, occuperà quel lato per tutta la permanenza.»
«Non farò questa cosa con te.» Tagliò a corto.
«Oh, andiamo!» Lo implorai.
«Perché vuoi farlo? Non hai cinque anni.»
«Non avrò cinque anni ma tu ti stai comportando come un settantenne.» Incrociai le braccia al petto stuzzicandolo con delle provocazioni.
«Settantenne, eh?» Domandò imitando le mie azioni, così incrociò anche lui le braccia al petto ricambiando lo sguardo con il quale lo guardai.
«Si, mi sbagliavo. Non sei poi così competitivo come pensavo, se rinunci così facilmente a delle sfide così stupide non oso immaginare che reputazione tu abbia quando combatti.» Decisi di andarci pesante, sperando che avrebbe ceduto e che non mi buttasse dal balcone presente in camera.
«Frena quella lingua biforcuta.» Mi ammonì puntandomi l'indice contro, ma i suoi occhi non rispecchiavano il suo tono di voce burbero e freddo, riuscivo a capire che non fosse sul serio incazzato per il mio commento.
Afferrai il suo indice nella mia mano portandolo verso il basso. «Accetti?» Domandai ancora. «Sono stata seduta su quell'auto per cinque ore, questa piccola gara servirà sgranchirmi un po'.»
Sospirò strattonando il suo dito dalla mia mano. «Cosa mi tocca fare.» Mormorò pensando che non lo sentissi, ma quando si voltò guardandomi sorrisi consapevole della mia vittoria. «Conto io fino a tre, non mi fido di te, la sai lunga.» Annuii cercando di non alzare gli al cielo per il suo ultimo commento, poggiò la sua schiena al comò e lo stesso feci, pronta a correre e prendermi il mio lato di letto. «Uno, uno e un quarto..» Lo guardai aprendo la bocca pronta a dirgli che diavolo stesse facendo ma non mi diede modo di farlo. «Shh, uno e mezzo..» I suoi occhi erano puntati sul letto esattamente come i miei. «Due e tre!» Esclamò veloce correndo, sgranai gli occhi schiudendo le labbra pronte a dirgliene quattro, ma non prima di aver corso anche io, Harry arrivò per prima rimbalzando sul letto mentre invece io atterrai sulla sua schiena, quando emise un lamento sofferente tra la sua risata.
«Non vale, hai barato!» Lo ripresi colpendolo alla spalle e alzando la voce cercando di restare offesa ma in realtà mi lasciai andare con la sua risata, finendo col ridere anche io.
«No, hai detto di contare fino a tre ed è quello che ho fatto.» Si difese ancora divertito e inerme sotto il mio peso.
«L'hai fatto nel modo sbagliato!» Continuai a ridere, il profumo della sua maglietta o dei suoi capelli proprio sotto il mio naso quasi mi stordii, ed ero tentata di cingere il suo corpo con le mie braccia e nascondere la mia testa nell'incavo del suo collo, ma non lo feci. Sarei passata per una stupida e non volevo dare modo ad Harry di parlare di questo mio ipotetico comportamento.
«Beh, tu hai distrutto la mia schiena penso che, siamo pari adesso.» Replicò girando un po' la testa.
«Dovremmo annullarla e lasciare che sia io a contare.» Proposi quando provai a sollevarmi posando i palmi delle mie mani sulla superficie del letto.
«Oppure..» Le mie intenzioni furono bloccate dalle sue successive mosse, si girò su un fianco in modo che scivolassi proprio sul lato destro del letto quando lo richiamai urlando e continuando a ridere, non perse tempo e velocemente si posizionò sul mio corpo reggendosi con i palmi delle sue mani ai lati della mia testa. «Lasciamo tutto così, tanto si sa che dormirai su questo lato.» La mia risata presto si affievolii lasciando solo la traccia dell'accenno di un sorriso, come d'altronde il suo sorrisetto soddisfatto per la sua vittoria tarocca, ben preso la sua espressione tornò seria mentre i suoi occhi continuavano ad osservare incessanti il mio viso, scendendo sulle mie labbra indugiando su di esse, ma ritornò presto su i miei occhi, e deglutii quando si abbassò sui i gomiti, il suo petto era contro il mio come esattamente qualsiasi altra parte dei nostri corpi, sperai non sentisse i miei battiti accelerati o le mie gote accaldarsi, passò velocemente la lingua sulle sue labbra, e seppur fosse un gesto involontario e completamente spontaneo e abitudinario su di lui era completamente provocante. Avvicinò la sua mano al mio viso e trattenni un respiro quando lentamente e accuratamente passò una ciocca di capelli dietro il mio orecchio, schiusi le labbra non avendo idea di cosa fare o come comportarmi.
Ma ben preso le mie domande smisero di echeggiare nella mia testa quando sospirando e stringendo un po' i denti, Harry si tirò via dal mio corpo, alzandosi e allontanandosi da qualche passo da me.
Mi tirai a sedere scivolando verso i piedi del letto in modo molto goffo e impacciato, dopo la prossimità dei nostri corpi e quel contatto visivo che sembrò durare un'eternità.
«Vado a recuperare il menù per il pranzo, possiamo ordinare da qui.» Non ebbe il timore ti guardami negli occhi, cosa che al posto suo avrei cercato di evitare, quando non risposi e abbassai lo sguardo sulle mie gambe con i battiti ancora accelerati sentii i suoi passi battere contro il parquet chiaro della camera.
Alzai giusto in tempo gli occhi sulla sua schiena, prima che la figura sparisse dietro la porta.
Sfiorai la ciocca di capelli sistemata dietro l'orecchio da Harry, ripensando al suo tocco delicato, come se avesse quasi paura di farmi del male, quelle mani che, chiuse in un pugno avevano sganciato pugni e sferrato colpi, quelle mani così belle anche quando le nocche delle sue dita erano malconce per via di quella sua passione illegale. Ma sapeva essere delicato e il suo tocco sapeva essere dolce, ma questo succedeva solo quando il suo orgoglio o la sua facciata da duro cazzuto non prendevano il sopravvento su di lui.
Harry entrò circa cinque minuti dopo con il menù del ristorante, non ero molto entusiasta dell'idea di mangiare perché sapevo che il cibo negli Hotel è assolutamente orribile, solo perché ero un disastro ai fornelli non significava che non adorassi la buona cucina. Era già tarda mattinata quando arrivammo a Londra perciò non aspettammo molto prima di ordinare qualcosa da mangiare, pensai fosse la miglior cosa restare sicuri della scelta, così ordinai uno dei piatti tipici della cultura britannica; Pezzi di pollo in salsa curry, pomodori e yogurt.
Non feci molta attenzione all'ordinazione di Harry, ma non sembrava avere molti problemi con piatti stranieri. Il nostro pranzo arrivò esattamente quindici minuti dopo e per tutto il pranzo si sentii solo il rumore delle nostre posate battere contro i piatti in porcellana e vista l'assenza di un tavolo ci arrangiammo sul tavolino che non era poi così scomodo vista anche la presenza del tappeto.
In realtà la mia voglia di scendere di sotto e pranzare in una sala piena di gente era pari a zero, non avevo molta voglia di socializzare anche se con Harry avrei speso qualche parola volentieri, ma in quel momento non sembrava essere interessato a quello, o almeno a tutto quello che sembrava avere a che fare con me.
Mandai giù l'ultimo boccone prima di far scivolare l'acqua fresca dalla mia bocca, Harry si pulì velocemente la bocca prima di alzarsi da terra ed entrare in bagno.
Sospirando sperai che non si comportasse in quel modo schivo per tutto il tempo.
***
«Dove vai?» Domandai standomi seduta per terra ai piedi del letto facendo zapping alla tv.
Harry stava leggermente incurvato accanto al divano maneggiando con il suo borsone, lo tirò in spalla prima di voltarsi completamente verso di me.
«Ad allenarmi.» Rispose soltanto, il suo abbigliamento non diceva questo, indossava ancora i jeans stretti e neri,una maglietta del medesimo colore e delle scarpe davvero sconsigliabili per allenarsi, ma probabilmente teneva il cambio nel borsone.
«Di già?» Lo guardai accigliata.
«Sono già in ritardo.» Continuò seccato, guardai l'ora dal cellulare che segnava appena le tre e mezza del pomeriggio, in ritardo? Aveva almeno digerito? Aprii bocca ma nessun suono uscii da lì, così la richiusi quando mi passò davanti avvicinandosi alla porta che dava ai corridoi. «Non combinare danni durante la mia assenza e non metterti dei casini, starò via un paio d'ore circa o forse più.» Si raccomandò come se fossi una bambina.
«Ci proverò.» Stavolta quella seccata apparii io mentre stringevo il telecomando tra le mani, puntando nuovamente gli occhi sullo schermo.
«Ti conviene.» Detto questo sparì dietro quella porta per la seconda volta, esattamente quando scese a prendere il menù.
«Ti conviene.» Imitai con una smorfia la sua voce e la sua espressione continuando a cambiare canale.
Nulla di interessante trasmettevano a quell'ora, se non vecchi film bianco e nero o telefilm noiosi, dopo la vasta scelta di canali, decisi di fermarmi su MTV Music, quel canale non mi deludeva mai.
Lay me down di Sam Smith risuonava nella camera, chiusi gli occhi seguendo la voce dolce del cantante e pensando a quanto mi sarei annoiata da sola in questa camera d'Hotel, non avevo nemmeno portato qualcosa da leggere ed ero dell'idea che in quell'Hotel non ci fosse nulla di divertente da fare, l'unica soluzione era fare un giro per Londra ma magari per quel giorno avrei passato in modo da non far innervosire Harry già al primo giorno.
La suoneria del cellulare mi fece sobbalzare almeno cinque centimetri da terra, avevo dimenticato di aver tolto la vibrazione, mi alzai dal pavimento tirando fuori il cellulare dalla mia tasca anteriore; E zia Judith lampeggiò sullo schermo, segnalando una sua chiamata.
«Pronto?» Risposi.
«Tesoro, sono Judith!» Sorrisi al suo solito entusiasmo.
«Ciao zia, come stai?» Portai gli occhi al cielo, avrei potuto così passare una parte del mio pomeriggio noioso.
«Io bene e tu? Ho chiamato per sapere come ti vanno le cose lì in quel paese strano.. aspetta com'è che si chiama? Carfen?» Tirò ad indovinare, non avvicinandosi minimamente.
Ridacchiai avvicinandomi alla porta a vetri che dava al balcone e spostai la tenda così da guardare fuori.«Vanno bene le cose.» Mentii per la medesima volta. «E te? Come va con il lavoro?» Domandai. «O con Clark?» Affinai la voce provocandola.
«Si chiama Clayton.» Mi riprese facendo formare un piccolo sorriso sulle mie labbra. «E penso sia il periodo più bello della mia vita, sia in campo lavorativo che in amore.»
«Aspetta, cosa? Amore?» Domandai sollevando le sopracciglia.
«Devi vederlo, è bello come il sole, gentile, premuroso. E' un galantuomo.» Concluse, e avrei potuto immaginarla con gli occhi sognanti. Sorrisi abbassando lo sguardo sulle mie scarpe. «Beh piccola, se non ti chiamo io, tu non mi cercheresti per niente.» Usò un tono autoritario che però su di lei non risultò duro come avrebbe voluto.
«Zia Judith, mi dispiace ma-»
«Il lavoro ti aiuta a non pensare.» Deglutii puntando gli occhi di nuovo fuori dalla porta a vetri. «A non ricordare quei momenti brutti, ma il passato non si può rimuovere tesoro.»
«Lo so, tra poco è anche il suo compleanno.» La mia voce diventò sottile e fievole, mentre i momenti degli anni passati a trascorrere il compleanno di mia madre fecero spazio nei ricordi.
«La mia Jen avrebbe compiuto quarant'anni questo mese.» La sua voce si spezzò cercando di nascondere però quel piagnucolio infine.
Il mio labbro cominciò a tremare quando le lacrime iniziarono a sgorgare fuori dai miei occhi. «E io l'unica volta in cui sono andata a trovarla è stata il giorno del suo funerale.» Tirai su con il naso asciugando le lacrime con il dorso della mano, non volevo finire col piangere disperata e singhiozzante, perché sapevo che una volta scappato il primo singhiozzo non avrei cessato più di piangere.
«Basta ricordala, ricordare ogni momento felice passato con lei, ogni momento t-triste, ogni tappa della sua vita e così l'avrai sempre accanto.» Balbettò un po'.
«Lo faccio zia, lo faccio.» Non riuscii a controllare le mie lacrime che correvano per i miei zigomi e andavano a nascondersi nel mio collo e la voce completamente rotta dal dolore. «Ma a me non basta ricordarla, non voglio solo ricordare quei momenti, avrei voluto averla con me, fisicamente, ancora per molto tempo, ascoltare la sua voce, i suoi consigli, la sua risata. Avrei voluto rifugiarmi ancora una volta tra le sue braccia ma non posso farlo e quei ricordi servono solo a farmi più male.»
«Scarlett, non fare così, mhh? I periodi brutti sono fatti per essere superati, ti mettono alla prova, basta circondarsi di persone giuste, di persone che ti aiutano e che ti vogliano bene e credimi, sono felice che tu non sia rimasta a Brighton, lo sono perché avresti sofferto il doppio.» Tirai su con il naso ascoltando ogni sua singola parola, sapevo che aveva ragione, lì a Brighton non c'era nessuno a cui importava realmente di me, se non mia zia Judith e, tempo fa pensavo anche mio nonno, ma non mi aveva cercata, nemmeno una chiamata, un messaggio, nulla. Non avevo cambiato numero da quella disgrazia, e da lì avevo capito che razza di famiglia eravamo. «Da quando sei lì, ti sento più serena, certo forse non in questi momenti, ma quando ti chiamo e ti sento ridere mi si riempie il cuore, spero che ti trattino come meriti tesoro, sei la figlia che non ho mai avuto.» Sapevo che delle lacrime solcavano le sue guance e potevo immaginarlo dalla sua voce tremolante ma piena d'amore e di quel calore famigliare di cui avevo tanto bisogno.
«Ti voglio bene.» Asciugai le guance umide con la manica della maglietta imponendomi di non farne scendere altre.
«Ti voglio bene anche io tesoro.»
La chiamata continuò e diventò più leggera, non riuscii ad essere disinvolta come all'inizio ma comunque non versammo altre lacrime, mi chiese per sdrammatizzare e cambiare argomento se avessi conosciuto qualcuno, risposi di aver conosciuto molte persone in quel periodo in realtà guadagnandomi uno sbuffo e; Certo fai pure la finta tonta, sai bene a cosa mi riferisco ma se non ne vuoi parlare.. proverò a farti pressione un'altra volta.
E l'avrebbe fatto sul serio.
Inutile dire che portai gli occhi al cielo quando la sua lieve risata arrivò alle mie orecchie attraverso l'aggeggio elettronico. Non ero mai stata il tipo di persona a cui piaceva raccontare la propria vita privata, certo, non che fosse mai stata chissà cosa.
Ma comunque ero felice del fatto che cambiando discorse riuscì a strapparmi un, seppur piccolo, sorriso.La salutai e ci promettemmo di sentirci presto, e lei aggiunse; Spero anche di rivederti presto.
Non mi sarebbe dispiaciuto per niente andarla a trovarla ma mi mancava il modo, anche se l'idea di prendere un bus non suonava affatto male, lasciai cadere la chiamata e una volta tornata nella home del cellulare, l'icona del wifi disponibile era apparso in alto a destra.
Non avendo nulla di meglio da fare pensai di fare un giro su Internet e perché no? Magari leggere un libro online. Così mi accomodai sul divano togliendo le scarpe, mi sdraiai di schiena piegando le ginocchia mentre cercavo qualcosa da leggere. Non trovai nulla di interessante così continuai a cercare, mi azzardai a cercare anche boxe clandestina, ma non trovai nulla, speravo di trovare qualcosa che mi spiegasse almeno come funzionasse, anche se qualcosa avevo già intuito, non ero affatto stupida ma pensavo ci fosse qualcosa di più che dei semplici racconti personali, postati su siti inutili. Sospirai prima di iniziare a leggere un racconto scritto da una ragazza, era carino ma non mi prendeva come avrei voluto, arrivai a leggere circa una decina di capitoli da una lunghezza notevole, questo dovevo ammetterlo. Chiusi la pagina quando con il respiro smozzato e il dito tremolante pigiai sulla casella dei messaggi, deglutii osservando i mittenti degli ultimi arrivati.
Gyne.
Sconosciuto.
Sconosciuto.
Visualizzai ancora una volta quei due messaggi vuoti con un groppo in gola, e anche se mi dicevo e ribadivo che non era nulla, che non avesse importanza, una parte del mio cervello non la pensava così.
Trasalii quando la breve suoneria accompagnata dalla vibrazione segnalò l'arrivo di un'altro messaggio.
Da: Sconosciuto.
Schiusi la bocca, bloccando velocemente il cellulare posandolo nella tasca dei miei leggings e infilando velocemente le scarpe ai piedi mi avviai fuori dalla camera. In realtà non sapevo nemmeno dove andare, ma non volevo rimanere minuti di più in quella stanza, da sola, in balia di quei messaggi.
Proseguii dritta per il corridoio ignorando una coppietta sui vent'anni mangiarsi la faccia proprio fuori la porta della loro camera, mi domandai se fosse così faticoso, aprire la porta dietro di loro ed entrare dentro. Una volta arrivata all'ascensore aspettai che le porte di aprissero, entrai premendo il tasto apposito, che avrebbe dovuto mandarmi alla hall, si muoveva abbastanza lentamente sbuffai ogni qual volta che scendeva di un paio di piani fino a quando finalmente le porte si aprirono nuovamente.
Cercai di ricordare dove fosse posizionata la reception guardandomi intorno, la hall era piena di gente, molte di loro conversavano in un salottino e vittima di un lapsus ricordai che la reception fosse proprio vicina a quel salottino. Infatti, una volta adocchiata mi avvicinai velocemente, l'uomo che si occupò dell'ordinazione della nostra camera era ancora lì.
«Salve signorina, ha bisogno di qualcosa?» Domandò raddrizzando la sua postare e accennando un sorriso.
Avevo bisogno di qualcosa? Ero uscita così di fretta dalla camera pronta ad indirizzarmi lì senza avere un'idea chiara di cosa avrei potuto chiedere.
«Salve, umh-» Iniziai grattandomi il collo, i suoi occhi curiosi mi guardavano attendendo una risposta, sollevai le sopracciglia schiudendo le labbra e raddrizzando le spalle quando seppi cosa chiedere. «Può dirmi come posso raggiungere la palestra?»
«Oh, vuole raggiungere il suo ragazzo?» Domandò con un sorriso furbo mentre sistemava alcuni foglie sul ripiano più basso del bancone.
Aprii la bocca cercando di rispondere, ma lo feci solo dopo qualche secondo balbettando pure. «N-no l-lui non ..- » Deglutii bagnando il mio labbro con la lingua. «D-dove si trova la palestra?»
Il suo ragazzo.
Mio.
Mi chiesi cosa si provasse ad averlo tutto per sé.
Alzò gli occhi puntandoli nei miei prima di rivolgere lo sguardo alle mie spalle. «Dietro quella parete si trovano un paio di grandi porte d'alluminio, una per il centro benessere e l'altra per la palestra, non dovrà confondersi, entrambe hanno dei cartelli hai lati che la indirizzeranno bene.» Mi indicò la grande parete piena di quadri semplici e cornici in legno.
«Grazie.» Sorrisi gentilmente.
«Si figuri.» Ricambiò il sorriso prima di abbassare nuovamente lo sguardo ai suoi fogli.
Sembrava davvero occupato, lo lasciai lavorare intanto che mi avvicinai e aggirai quella larga parete, delle luci illuminavano quell'area quasi nascosta, era fatto proprio bene quell'hotel. Lessi i cartelli ai lati delle porte abbassai la maniglia della porta che portava alla palestra, un lungo corridoio mi si presento davanti, alla mia sinistra si trovavano i bagni per gli uomini e per le donne con gli spogliatoi invece andando avanti un grande arco rettangolare alla mia destra era l'entrata della grande palestra per metà piena.
Forse la gente preferiva il centro benessere.
La musica di sottofondo rendeva piacevole il tapirulan, la cyclette e molti altri attrezzi da palestra del quale non conoscevo il nome, ero il tipo che preferiva una corsa all'aria aperta che restare rinchiusa in una palestra asfissiante. Feci girare i miei occhi per tutta la sala in cerca della figura di Harry, ma non riuscivo a vederlo, un paio di addominali si posizionarono davanti alla mia visuale avvicinandosi sempre di più, alzai lo sguardo incontrando quello di un uomo sulla trentina, tutto pompato con i pantaloni di una fin troppo stretti.
Mi acciglia quando si fermò proprio di fronte a te, potevo sentire la sua puzza di sudore farsi sempre più forte e volevo solo vomitare. «Scusa ragazzina, ma mi serve quell'attrezzo.» Fece cenno con la testa.
Abbassai lo sguardo rendendomi conto di essere proprio in piedi davanti un'attrezzo che serviva ai bicipiti, almeno credevo. «Oh, scusa.» Mi spostai imbarazzata mordicchiando l'interno della mia guancia, alzai lo sguardo ancora per la grande sala ma di Harry nessuna traccia.
«Sei venuta qui per allenarti o per restare lì in palata?»
Corrugai le sopracciglia guardando quell'uomo in modo seccato e scocciato, la sua superiorità era insopportabile. «In realtà stavo cercando una persona.» Risposi sulla difensiva stringendo anche i denti.
Sul suo viso comparì un sorriso divertito mentre si sistemava sull'attrezzo. «Magari quella persona non è qui.» Mi accigliai stringendo le braccia sotto il seno. «Infondo al corridoio ci sono delle stanze private, se a questa persona non piace molto essere circondato da persone e dalla musica probabilmente sarà lì.» Aggiunse iniziando ad allenare i suoi bicipiti che secondo il mio parere erano in ottima forma.
In effetti Harry era quel tipo di persona.
«Controllerò.» Ammisi. «Grazie.» Mormorai.
«E' stato un piacere.» Scrollò le spalle, così quando iniziò ad ignorarmi uscii di lì.
Osservai per bene il lungo corridoio avvicinandomi alle prime stanze, le porte erano di alluminio, e di vetro la parte superiore. Così riuscii a vedere chi ci fosse dietro ogni porta, le prime erano occupate da altre persone, altre invece erano completamente vuote.
Pensai che forse avesse finito di allenarsi o fosse in bagno, perché non riuscivo a trovarlo da nessuna parte, le ultime stanze che controllai erano vuote, diedi per scontato che lo fossero anche le altre.
Ma dei sussurri, mormorii e delle risatine attirarono la mia attenzione, due ragazze si trovavano in fondo al corridoio completamente spiaccicate contro una porta, non capivo cosa stessero facendo ma sembrava piacergli.
Mi avvicinai in modo vago e mi accorsi che indossavano un'abbigliamento da palestra, entrambe avevano dei pantaloncini e una canotta di colore diverso, mi avvicinai ancora provando a non guardarle e a non guardare cosa ci fosse dietro a quella porta, così mi limitai a fissare la cartina della palestra sul lato opposto della stanza.
Ottimo luogo dove appendere una cartina.
Pensai.
Proprio in modo al corridoio.
«Guarda Maryon, dio se è sexy.» Disse una di loro con voce bassa e sul punto di una crisi ormonale.
«Sexy? Questo è un dio greco.» Portai gli occhi al cielo per un'affermazione simile. «Ma se entro accidentalmente e gli chiedo il numero di telefono? Non penso rifiuterebbe una uscita con me.» Mi accigliai incrociando le braccia sotto il seno, ma che razza di discorsi facevano?
«E io scusami? L'ho visto per prima.» Replicò l'altra seccata.
«Ma tu non hai il coraggio di entrare.»
Iniziarono a discutere come se chiunque stesse dietro quella porta fosse l'ultimo uomo sulla faccia della terra. Così, stanca di quell'argomento mi voltai, ero curiosa anche io di vedere chi fosse vista la loro perdita di ragione, i miei occhi in un primo momento di posarono alle due ragazze circa della mia età chinate che si nascondevano dietro la porta, cercando di non farsi vedere dal vetro nella parte superiore.
E quando alzai gli occhi da loro puntandoli proprio a quel vetro che mi permetteva di vedere all'interno della stanza, li spalancai schiudendo la bocca.
Harry.
In quella dannata stanza si trovava Harry e tutti quelli apprezzamenti erano per Harry.
E iniziai a capire tutto.
Non riuscivo a vederlo bene dall'altro lato del muro, ma riuscivo a vedere i suoi capelli raccolti con il mio elastico. Lo stesso che mi sottrasse quella notte in quella spiaggia tanto nascosta quanto paradisiaca.
Chissà se pensava a me ogni volta che lo indossava.
Iniziai a pensare, ma a scrollarmi quei stessi pensieri furono di nuovo le ragazze.
«Lasciami provare e poi non ho bisogno del tuo permesso per flirtare con un ragazzo.»
L'altra del quale non conoscevo il nome cercò di rispondere ma mi schiarii la voce attirando la loro attenzione.
«Cerchi qualcuno?» Mi chiese, Maryon se non mi sbagliavo.
«In realtà no, ho già trovato chi cercavo.» Lanciai un'occhiata alla porta alla quale erano spiaccicate.
Una di loro spalancò la bocca mentre l'altra si occupava di parlare, o meglio chiedere. «Sei con lui?»
Annuii sospirando. «Me lo presenti?! Dio è così sexy!» Chiese l'altra.
Aprii bocca per ribattere ma fui preceduta dalla ragazza che voleva entrar dentro e tentare un suicidio, conoscendo Harry. «Sta zitta, potrebbe essere la sua ragazza.» La riprese sussurrando.
«Non penso abbia gusti così sciatti da andare con ragazze simili.» Continuò l'altra sempre sussurrando.
Avrei voluto ringraziarla per il complimento, ma pensai che i suoi gusti non si limitavano ad essere solo sciatti visto che sembrava andare molto d'accordo con Ana.
«Hai ragione.» Dissi, Maryon diede una sberla sulla nuca all'amica per quel suo commento. «Non stiamo insieme, non sono il suo tipo e credetemi non lo siete neanche voi.»
«Cosa ne sai tu?» Avrei voluto prendere a sberle quella ragazza, ma ero sicura che le avrei fatto abbassare la cresta, limitando i suoi modi altezzosi.
«Lo conosco solamente molto bene.» Scrollai le spalle con un sorriso compiaciuto sul viso. «Conosco i suoi gusti e ..» Mi permisi una piccola pausa. «Il suo orientamento sessuale.»
I loro visi impallidirono e dovetti trattenermi dal scoppiare a ridere per le loro espressione sconvolte e piene di delusione.
«C-che cosa?»
«E' gay. » Sussurrai annuendo poi premendo le labbra in una linea sottile. «Avete capito quello che ho detto?» Chiesi quando oltre la perdita di colore e il piccolo mutamento d'espressione non ebbero altra reazione. «Gli piacciono i peni.» Da quando ero così disinvolta? Mi stupii di me stessa, Gyne e i ragazzi mi stavano influenzando parecchio. «Ma non prendetevela, a tutti almeno una volta nella vita capita di invaghirsi di qualcuno che preferisce il sesso opposto.» Inclinai il capo fingendomi dispiaciuta per loro.
«N-noi.. dovremmo a-andare.. » Balbettò Maryon, l'altra sembrava non avere più veleno da sputare.
Sorrisi e afferrò l'amica per il braccio spingendola lontana dalla porta e lungo il corridoio, scossi la testa ridendo e sperai solo che Harry non venisse mai a saperlo oppure mi avrebbe usata senz'altro come saccone. Mi avvicinai alla porta poggiando le mani appena sotto il vetro, lasciai vagare i miei occhi sui muscoli contratti delle braccia di Harry e il suo addome nudo coperto solo dall'inchiostro nero dei tuoi tatuaggi, solo nei pantaloncini scuri erano posati sui i suoi fianchi, delle scarpe da ginnastica ai piedi e delle fasciature stavano intorno alle sue mani proteggendogli le nocche. Sferrava pugni al saccone facendolo oscillare dappertutto, riuscivo a sentire il rumore dei colpi e il suono della catena che teneva sospeso il saccone al di fuori della porta.
La sua espressione rimase incazzata, mentre tirava ganci con entrambe le mani, posizionava le mani chiusi in due pugni davanti al viso prima di sferrare altri corpi e il suo petto si alzava e si abbassava in modo frenetico.
Scosse la testa come se si fosse appena risvegliato da suoi pensieri e scagliò un'altro pugno contro il saccone continuando a farlo oscillare avanti e indietro.
E mi chiesi cosa occupasse così tanto i suoi pensieri.
Era forse sua madre?
Si fermò cercando di stabilizzare il suo respiro dopo aver scagliato una serie di pugni, lasciò che il saccone continuasse ad oscillare e si voltò proprio nella mia direzione inchiodando i suoi occhi nei miei. Trasalii quando i suoi occhi così cupi sembravano guardarmi con rabbia facendo qualche passo indietro, continuava a respirare in modo erratico e nascose una smorfia di dolore quando abbassò il capo osservando le sue nocche.
«Cosa fai qui?» Alzò la voce così che potessi sentirlo anche da fuori, mordicchiai il mio labbro quando mi avvicinai di nuovo lentamente alla porta, indirizzò di nuovo la sua attenzione alla mia figura, attraverso quel vetro che gli permetteva di vedermi. «Entra.» Ordinò voltandosi di nuovo verso il saccone.
Abbassai la maniglia aprendo la porta, entrai dentro richiudendola alle mie spalle e mi guardai intorno. Una lunga panca stava poggiata al muro con il suo borsone aperto sopra,la stanza non era molto grande, quindi oltre che il saccone da boxe, la panca e un tappetino a terra apposito per il riscaldamento non c'era molto, ma essendo una piccola palestra privata, si trovava un'altra porta, dove sopra c'era un piccolo cartellino con su scritto; Doccia e spogliatoio.
Harry mi guardava ancora attendendo una mia risposta, ma mi ero distratta osservandomi intorno.
Mi schiarii la voce provando a non posare gli occhi sul suo corpo. «Mi annoiavo.» Risposi semplicemente. «Ho chiesto all'uomo di stamattina dove si trovasse la palestra.»
«Pensi che qui non ti annoierai?» Domandò dandomi le spalle e stringendo le fasciature sulle sue mani.
Osservai la sua schiena e le sue spalle larghe. «Non mi andava di restare da sola.» Deglutii.
Mi guardò per un bel po' di secondi e involontariamente e velocemente l'occhio mi cadde sul suo corpo ma mi ricomposi subito distogliendo lo sguardo puntandolo su un condizionatore d'aria posizionato in alto su una parete. «Siediti sulla panca, e sta buona e calma fin quando non finisco l'allenamento.» Annuii prima sedermi accanto al suo borsone.
«Ti stai allenando già da due ore.» Gli feci notare.
«Ho ancora disponibile mezz'ora.» Replicò iniziando a colpire il saccone, non dandomi così modo di ribattere in qualche maniera.
Avevo la completa visuale della sua schiena nuda e contratta sotto ogni colpo che sferrava, erano contratti perfino i muscoli delle sue gambe. Che non volevo stare da sola era vero, ma era anche vero che volevo fuggire da quei messaggi e da quel mittente, con Harry, fin dall'inizio mi sentivo protetta, sentivo che comunque, nonostante il suo caratteraccio e tutte le volte che litigammo per le cose più futili, avrei potuto sempre contare su di lui, mi stava aiutando con questa storia di Aaron, aveva chiesto aiuto a Niall chiedendogli di scoprire chi l'avesse mandato attraverso delle chiamate e mi aveva portato con lui per un mio misero capriccio.
Abbassai gli occhi sul suo borsone lasciato aperto al mio fianco, quei guantoni sembravano perseguirmi, ogni volta che puntavo gli occhi su quel borsone, loro spuntavano come funghi. Aveva iniziato a sedici anni con tutto, un ragazzino, mi aveva che aveva chiesto aiuto ad Alan, che però gli negò, che aiuto avrebbe mai potuto dargli? Ma comunque Harry trovò ugualmente chi l'aiutò, mi aveva anche detto che il Negro non una persona così male, non che poi io l'odiassi ma mi infastidiva, mi infastidiva il modo in cui mi chiamava; Scimmia.
Non pensavo di somigliare ad una scimmia.
Sfiorai il tessuto dei guantoni con i polpastrelli delle dita, sorrisi poi quando la bottiglietta d'acqua che comprai anche per Harry la mattina svuotata per metà.
Allora ne avevi bisogno, eh.
Pensai puntando gli occhi sulla sua figura di spalle, alcune piccole ciocche sudate scapparono dall'elastico andando a posarsi sul retro del suo collo, si spostò spontaneamente lasciando la completa visuale del suo profilo, strinse i pugni e serrò la mascella quando colpì nuovamente il saccone. Le gocce di sudore imperlavano la sua pelle, la fronte, il petto e la schiena.
E proseguì così per una bella mezz'oretta, lui che colpiva senza controllo quel saccone tenuto sospeso da una catena cigolante e nascondendo di tanto in tanto delle smorfie di dolore alle mani non protette dai guantoni, e io ad osservare con quanta ferocia sganciava quei colpi, come se avesse il suo peggior nemico sotto gli occhi, arrivai anche alla conclusione che con un solo pugno da Harry fosse stato in grado di far saltare tutti i denti ad una persona. Ma dovetti ammettere che in quella mezz'ora furono più i momenti passati ad ammirare il modo in cui il suo corpo si muoveva, come i suoi muscoli di contraevano e come fosse incredibilmente sexy con quella pelle tatuata e sudata.
Ma scuotendo la testa feci fuori uscire questi pensieri strani da essa.
Respirò profondamente dover aver sferrato un ultimo colpo al saccone, indietreggiò di un passo fissando le sue nocche fasciate, si voltò avvicinandosi alla panca sulla quale ero seduta, così guardai tutto tranne che lui. Si chinò un po' tirando fuori dal borsone al mio fianco la bottiglietta d'acqua, tolse via il tappo e portando la testa all'indietro scolò completamente la metà che rimaneva d'acqua, sorrisi guardando il suo pomo d'Adamo fare su e giù ad ogni suo sorso.
«Menomale che non ne avevi bisogno stamattina.» Gli feci notare incrociando le gambe sulla panca.
Si staccò dalla bottiglia scrollando le spalle. «Ma già che c'era..» Si allontanò buttando la bottiglia di plastica in un cestino affianco alla porta e si avvicinò di nuovo al suo borsone. Rimosse le fasce dalle sue nocche e notai che vari tagli, alcuni più profonde degli altri, si trovavano su di esse. Ignorò completamente le ferite e non diede peso nemmeno a del sangue salito in superficie, schiusi le labbra quando afferrò una maglietta caduta sulla panca asciugando il sudore sulla sua fronte, sul suo collo e sul suo petto.
«Stai sanguinando.» Gli ricordai sollevando le sopracciglia.
«Lo so.» Gettò la maglietta nel borsone in modo disordinato.
«Dovresti stare attento che i tagli si infettino.» Sperai mi desse ascolto e si curasse, la mattina avevo visto dell'acqua ossigenata quindi in teoria curava le sue ferite.
Raccolse il suo borsone dalla panca portandolo alla spalla ignorandomi completamente, ma quando si ricordò della mia presenza riuscii a guadagnarmi una sua occhiata. «Vado a farmi una doccia, se inizi ad annoiarti sai dove trovarmi.» Ammiccò con uno stupido occhiolino mentre cercava di nascondere il sorrisetto che andava a formarsi sulle sue labbra.
Si divertiva nel prendersi gioco di me, sapevo non fosse serio che sta solo cercando o di farmi arrabbiare o qualcosa del genere, ma non riuscii a non arrossire sgranando leggermente gli occhi.
Sparì dietro la porta dello spogliatoio e della doccia lasciandomi ancora impietrita in quella piccola stanza.
Portai i palmi delle mie mani sulle mie guance e sbuffai quando le sentii ancora accaldate, frenai la fervida immaginazione che non sapevo nemmeno di possedere prima che iniziasse a viaggiare su un'ipotetica doccia con Harry.
Scossi la testa nascondendo il viso tra le mani in un lamento sottile.
***
«Hai ordinato cosa prendere?» Chiesi ad Harry.
Era arrivata ora di cena, non avevo preso nulla da sgranocchiare durante il pomeriggio e quindi ero arrivata a scegliere qualcosa da ordinare con un certo languorino. La tv accesa faceva da sottofondo, visto e considerando che nessun dei due la guardava, avevamo liberato il tavolino da quei soprammobili orribili e deciso che sarebbe stato un ottimo tavolo dove mangiare. Ad Harry non entusiasmava molto l'idea di consumare un pasto al ristorante dell'Hotel in mezzo a tutta quella gente e stranamente per una volta mi ritrovai d'accordo con lui.
«Ordino per entrambi la stessa cosa.» Scrollò le spalle poggiando la schiena ai piedi del divano.
«Cioè?» Domandai scettica.
«Kaiseki.» Lesse dal menù.
Storsi le labbra in smorfia al suono di quella parola. «Già dal nome non mi piace.» Ammisi pressando poi le labbra in una linea sottile.
«Fa parte della gastronomia giapponese.» Lanciò il menù sul tavolino.
«Non mangio né il cinese né il giapponese.»
Sgranò gli occhi dilatando un po' le narici assumendo una espressione sconvolta, peccato fosse completamente finta o, mi azzardai a pensare, giocosa. «Stai scherzando? Dimmi di si.»
«No, non sto scherzando.» Scossi la testa facendomi scappare un piccolo sorriso quando la sua smorfia facciale diventò buffa.
«Non riesco a credere che in questo mondo esista ancora qualcuno che non mangia del cibo orientale.» Si sistemò meglio sul tappeto, poggiando il suo avambraccio sul suo ginocchio.
«Credimi, è più strano il fatto che tu non mangi la maionese di quanto non lo sia io con il cibo orientale.»
«Io almeno ho assaggiato almeno una volta quella merda gialla.» Cercai di ribattere in qualche modo ma mi bloccai quando ragionandoci bene io non avevo mai assaggiato nulla della cucina orientale.«Hai mai assaggiato la cucina giapponese?» Non risposi, mi limitai a mordicchiarmi l'interno guancia, i suoi occhi mi dicevano che la sapevano lunga e che stesse per combinare qualcosa. «Bene, vada per il Kaiseki.»
Fece per alzarsi da terra quando lo fermai richiamandolo e poggiando una mano sul suo braccio.«Dimmi almeno di cosa si tratta. Cioè, io non mangio cibo crudo.»
Sospirò e si alzò ugualmente dal pavimento avvicinandosi al telefono della camera sul suo comodino. «Posso solo dirti quello che c'è scritto lì.» Indicò il menù. «Non è solo un piatto, è un pasto che include più portate.» Spiegò.
«Oh bene.» Mormorai.
«Abbiamo anche il tavolo come i giapponesi, meglio di così.» Aggiunse digitando dei numero sul telefono, portai gli occhi al cielo a quel suo commento prima di abbassare lo sguardo sul tavolino basso di fronte a me.
Parlò con qualcuno dall'altro lato della cornetta e ordinò la nostra cena, non ero nemmeno così tanto sicura si pronunciasse così ma ero sicura di una cosa, non avrei toccato cibo. Ero abbastanza difficile quando si trattava di mangiare.
Dopo un po' bussarono alla porta, io non mi spostai di un centimetro dal tappeto su cui ero seduta e Harry mise via il suo cellulare aprendo la porta, entrò un cameriere con un carrellino con sopra i piatti. Avevo chiesto ad Harry di ordinare per una persona visto che mi aveva detto che comprendeva più portate ed io non ero molto propensa a mangiare giapponese.
«E tutto quello sarebbe per una persona sola?» Domandai scettica.
«Si, signorina.» Rispose il ragazzo.«Accanto ad ogni piatto abbiamo fatto mettere dei piccoli biglietti con su scritto il nome del piatto descrivendo in breve di cosa si tratta.» Sistemò lentamente i piatti sul tavolino come gli chiedemmo, come gli chiesi gentilmente di fare, Harry voleva solo liquidarlo e ogni volta che diceva qualcosa di scortese rimediavo con qualcosa di carino, non volevo passare per quella ineducata e scontrosa con qualcuno che non conoscevo.«Adesso vado.» Mi sorrise prima di rivolgere un sorriso più contenuto ad Harry.
«Va.» Harry si avvicinò al tavolino con nonchalance.
«Harry!» Sussurrai rimproverandolo.
«Buon appetito.» Sembrava scoraggiato ma continuò a tenere una facciata composta.
«Grazie mille.» Accennai un mezzo sorriso, fece cenno con il capo e uscì dalla camera.
«Smettila di sorridere come un ebete.» Mormorò Harry osservando le portate o meglio i biglietti, prendendo posto al mio fianco.
Corrugai le sopracciglia, stava scherzando?«Ho solo cercato di far passare in secondo piano la tua scontrosità contro quel povero ragazzo.»
«Non penso basti così poco per far passare in secondo piano il mio carattere, non conosci i ragazzi.» Scosse la testa afferrando un biglietto tra le mani.
«Guarda, non ti rispondo nemmeno.» Risposi un po' indignata dalle sue supposizioni.
Mi lanciò un'occhiata sorridendo prima di abbassare lo sguardo su quel foglio di carta. «Amuse-gueule, penso si inizi da qui.»
«Pensi?»
«Vuoi iniziare dal dolce forse? Frutta e crema ghiacciata.» Guardò le portate cercando quel piatto e asi accigliò quando lo trovò, iniziai a ridere quando il vedere non sembrava male ma era in un piatto enorme quando il dessert aveva la forma di un piccolo sorbetto. «Era necessario portarlo a questo punto?» Si chiese ritornando ai biglietti.
«Andiamo con ordine, dai.» Mi ricomposi schiarendo la voce ma il sorrisetto divertito continuò ad esserci. «Inizia tu.»
«Così se c'è qualcosa che non va muoio io, mi sembra giusto.» Allungò la mano afferrando quello che doveva essere amuse-gueule se non sbagliavo. Non erano necessarie le bacchette, si trattava di un pomodoro tagliato a metà, svuotato e riempito di qualche poltiglia strana.
«Ehi, l'hai voluto tu.»
Allungai la mano afferrando il cibo anche io e mentre ero indecisa se dare il primo morso o no, Harry ne stava già divorando un'altro, mi ordinò di mangiarlo dicendomi che era buono ma non sapevo se credergli o meno.
I gusti cambiano da persona a persona.
Pensai.
Bagnai le mie labbra velocemente con la lingua prendendo un grande respiro, chiusi gli occhi e ne presi un morso, non era male, si sentiva molto il formaggio. Ma quando Harry mi chiese cosa ne pensassi rimasi sul vago non dandogli la soddisfazione che voleva.
«Passiamo al sushi e sashimi.» Spostò la prima portata lasciando spazio alla seconda, nonostante altri amuse-gueule erano presenti sul piatto.
«No scordatelo, questo non lo mangio.» Dissi sicura di me scuotendo la testa.
Ignorò quello che dissi cercando qualcosa sul tavolo. «Ecco, prendi queste, ti serviranno.» Mi porse delle bacchette.
Curiosa le afferrai ma non le avrei usate. «Non mangerò il sushi.» Ribadii.
«Allora prendi il sashimi.» Scrollò le spalle.
«Non sapevo nemmeno che esisteva un piatto chiamato sashimi.» Ammisi rigirando le bacchette tra le dita.
«Smettila di farti tutti questi fottuti problemi e assaggia questo.» Avvicinò del sushi tra le sue bacchette e l'avvicinò alla mia faccia.
Sgranai gli occhi e provai a dire qualcosa. «C-che sapore ha?» Domandai deglutendo, alternando lo sguardo dal viso di Harry e il sushi davanti alla mia bocca.
«Non ha un sapore molto deciso.» Rispose aspettando che aprissi la bocca mandando già quel pesce crudo. «Sentirai comunque il wasabi, oppure verdure come avocado o alghe.»
«No che schifo dai! Alghe? Penso che passerò.» Mi tirai indietro facendolo ridacchiare.
«Almeno prova.»
«Prova tu.» Replicai accigliandomi.
«Lo farò, non preoccuparti per me.» Si avvicinò di più e allungò di nuovo la mano. «Lo assaggerai almeno una volta nella tua vita, quindi, perché non adesso?»
Sospirai sbattendo i palmi sulle mie cosce.«Se mi succede qualcosa ti ammazzo nel sonno.» L'avvertii.
«Si certo.» Portò gli occhi al cielo.«Apri la bocca.» Lo fulminai con lo sguardo e riluttante aprii la bocca, sfiorò le mie labbra con le bacchette e afferrai con i denti quel famoso sushi.
Tirò via le bacchette con un sorrisetto e chiusi gli occhi masticando e cercando di mandarlo giù invano, era orribile, non riuscivo ad inghiottirlo e temevo di vomitare.
«Non è male.» Commentò Harry afferrando con le bacchette ancora del sushi, ma stavolta lo portò alla sua bocca.
Non è male? Non ti vomito addosso perché mi sto controllando.
Pensai riducendo gli occhi in due fessure.
Passammo ad altri piatti, Harry non mangiò molto ma assaggiò tutto e tutto sembrava piacergli, mi chiesi come diavolo facesse, erano pochi i piatti che riusci a mangiare senza problemi tipo un piatto con verdure servite con carne, pesce o tofu e preferii la carne, con il pesce non andavo molto d'accordo. Mandai giù anche una portata chiamata gohan, un piatto di riso condito a seconda della stagione e nient'altro, oh assaggiai di nuovo l'antipasto, era la cosa più normale che mangiai quella sera.
«Puoi finire tu il dessert.» Enfatizzò sull'ultima parola stiracchiando le braccia.
«Facciamo a metà.»
«Non credo di possa fare.» Osservò, in effetti era troppo piccolo. «Finiscilo tu, io prenderò un'altro di questi.» Fece accenno al sushi guadagnandosi una smorfia disgustata da parte mia.
Feci come mi aveva detto e presi un primo assaggio del dolce, non era niente male. Gli chiesi più volte di assaggiarlo ma rifiutò sempre, finché non si alzò da terra.
«Ti alleni ogni giorno così tanto?» Domandai di punto in bianco, si voltò puntando gli occhi nei miei e feci correre i miei occhi sulle sue nocche, aveva disinfettato tutto a quanto pare, sorrisi.
«Cosa centra questo?» Chiese accigliato.
«Era solo una domanda.» Scrollai le spalle finendo il dolce e spostando il piatto.
«Solo tre volte a settimana.» Tirò fuori il pacchetto di sigarette e l'accendino dalla tasca e l'accese subito dopo.
«Non puoi fumare qui.» Gli feci notare.
«E' una camera per fumatori.» Replicò, sospirai scuotendo la testa, non riusciva a stare senza quella merda?
Decisi comunque di farmi i fatti miei quella volta, almeno per quanto riguardava il fumo.«Sei venuto a Londra per .. per gli incontri di boxe, no? Quando ne avrai uno?» Pizzicai nervosamente i polpastrelli delle dita o strofinando i palmi ripetutamente.
Mi guardò impassibile, forse costatando se rispondermi o urlarmi contro di farmi i fatti miei. «Questa sera stessa.» Girò il capo lasciando che quella piccola nube di fumo andasse a dissolversi.
«Q-questa sera?» Balbettai assumendo un'espressione confusa e sorpresa.
Avrebbe dovuto combattere quella stessa sera.
«Si, vado via da qui verso le nove, gli incontri iniziano sempre mezz'ora dopo. Spero per te che resterai in camera e non combinerai casini in giro per l'Hotel.» Perché si raccomandava sempre su questo? «O che tu mi segua di nascosto perché allora si che mi incazzo sul serio Scarlett.» Ed eccolo che l'Harry sempre incazzato, intimidatorio e con pazienza pari a zero risalì in superficie, per tutta la durata della cena era stato piacevole.
«Quindi io non posso venire?»
«No, non hai capito cosa ti ho detto? Non è un posto per te.» Sibilò.
«Va bene, ho capito.» Sbuffai al suo cambiamento repentino.«Non mi muoverò da qui.»
Erano appena le otto e un quarto e mi liquidò entrando in bagno dopo aver spento la cicca della sigaretta in un portacenere.
Mi alzai dal pavimento sedendomi di peso sul letto e osservando la tv, avevo in mente di farmi un bel bagno rilassante ma l'avrei fatto solo quando Harry se ne sarebbe andato e guardando l'ora dal mio cellulare non sarebbe mancato molto. Harry uscì dal bagno passandosi una mano tra i capelli e sospirò quando si chinò afferrando il borsone e portandoselo in spalla.
Le lancette dell'orologio sembravano correre.
«Vai via adesso? Sono solo le otto e mezza.»
«Lo so.» Rispose velocemente prima di avviarsi alla porta, lo so? Solo quello? Si girò un'ultima volta prima di girarsi mi guardò come se volesse dirmi qualcosa ma nulla uscii dalla sua bocca,trattenne un respiro e rigirandosi ancora si chiuse la porta alle spalle scomparendo dietro ad essa.
Cercai di non pensare a quel suo comportamento così strano ma era difficile non farlo, i suoi cambiamenti d'umore, mi davano a che pensare, si comportava come un qualsiasi ventenne, scherzava, mi prendeva in giro, faceva battute squallide e molto altro, ma cambiava l'attimo dopo, bastava una parola, una sola, e ritornava l'Harry apatico a tutto. Entrai in bagno riempiendo la vasca d'acqua non molto calda ma abbastanza da far rilassare i miei muscoli tesi, e aggiunsi del bagnoschiuma formando uno lieve strato di schiuma. Slegai i miei capelli da quella crocchia orribile lasciando l'elastico sul mobiletto accanto ai due lavabi, tirai via dalla mia testa la maglietta e tolsi via le scarpe ai piedi, mentre cercavo il cesto dei panni sporchi la porta del bagno venne aperta, sobbalzai risucchiando un sospiro e alla bell'è meglio cercai di coprirmi il petto coperto solo da un semplice reggiseno nero quando Harry entrò e i suoi occhi caddero immediatamente lì. Spalancai gli occhi e i suoi risalirono velocemente al mio viso.
«C-cosa fai q-qui?» Il sangue affluii velocemente su per le mie gote accaldandole, ero certa di essere un pomodoro quando il calore scese lungo il collo.
«Ho dimenticato il cellulare.» Rispose deglutendo e non staccando mai gli occhi dal mio viso, sbatté le palpebre prima che facesse qualche altro passo dentro, sfiorò il mio braccio nudo con il suo superandomi, respirai profondamente ripetendomi che questo non poteva succedere a me, era davvero troppo imbarazzante. Si voltò con l'intenzione di uscire dal bagno ma si fermò alle mie spalle ad un passo da me, il suo respiro batteva sul mio collo e mi mordicchiai il labbro chiudendo gli occhi quando il suo profumo invase i miei sensi, sospirò dove essersi avvicinato di più ma si tirò indietro immediatamente avvicinandosi alla porta lasciata aperta, non mi guardò, non mi guardo come prima che uscisse dalla camera, andò via senza accennare nient'altro e quando sentii la porta della camera sbattere con un gran tonfo sussultai.
Ma non persi tempo a chiudere la porta del bagno servendomi della chiave lasciando scivolare la maglietta sul pavimento.
Diamine Harry, smettila di fare così.
Mi lamentai.
Mi confondeva, mi confondeva un casino, tutto di lui era così sfumato, nulla era chiaro.
Era la persona più complessa che avessi mai conosciuto.
Spazio Autrice;
Bonjour Scarlettine! Ecco qui un nuovo capitolo, nuovo di zecca!
Primo giorno in Hotel per Harry e Scarlett, sapevo bene che molte di voi avevano si aspettavano un bel boom boom hahah non vi dico che sto facendo le cose con calma perché siamo al capitolo sessantadue, penso si sia capito. Ho già stampato bene in mente il momento in cui i due ragazzi si danno alla pazza gioia, e non sarà adesso. (Ehehe soffritee!)
Chi ci sarà dietro a quel; Sconosciuto?
Sarà il bene? Sarà il male? O sarà... booh!
No okay, Silvia Raffaele è un mito.
Quanto è strano il comportamento di Harry? E perché lo è?
Vi comunico che all'inizio del prossimo capitolo ci sarà un bel Harry's pov xx
Ecco qui la foto di copertina vista meglio x
Piccolo spazio pubblicità.
Change! di Sharon_Vielle
Passate in tante xx
See you soon.
All the love. xx
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