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Uno strano incontro

Cambiai profondamente: mi adeguai alla gente del mio rango e accantonai in parte la via che mia madre mi aveva trasmesso, riponendo in un baule i suoi libri e i suoi diari.

Gli anni del college passarono in fretta e io mi inserii in quel contesto sociale che mi era stato a lungo imposto. Di tanto in tanto sentivo mio padre per telefono, che era sempre in viaggio per lavoro. Qualche rara e-mail e gli auguri per le feste o il compleanno: il nostro rapporto ormai era ridotto a questo.

D'estate passavo le vacanze tra la nostra casa di Palm Beach e le feste degli amici, in un turbinio interminabile di alcool ed eccessi, senza mai una vera relazione, stando accanto a quelle persone che avevano un ruolo in un gioco astuto e perverso di incontri e rapporti, i quali servivano a costruire le basi di un futuro fondato su scambi, favori e, soprattutto, denaro.

Ecco il vero segreto di quel mondo fatto di cristallo: tutto ruotava attorno a pezzi di carta verde. Non c'era niente che non avesse un prezzo, per cui, alla fine, nulla ti poteva ferire, se avevi abbastanza potere e abbastanza soldi per comprarlo.

Iniziato da poco l'ultimo anno, il mio ragazzo del momento mi trascinò al Ruby, sulla Mason Street, non molto lontano da dov'era la mia casa di San Francisco, il che non mi metteva particolarmente di buon umore. La compagnia, però, era accettabile e la serata prese una buona piega, finché non iniziai ad avere la sensazione che qualcuno mi stesse fissando.

Certo, in una discoteca piena di gente è un po' difficile rendersi conto di qualcosa, ma quella sensazione era così forte... sempre più forte. Eravamo appoggiati a una colonna, Matt tutto concentrato sul mio collo, quando lo vidi: un tipo seduto al bar che mi guardava, con un drink in mano e qualcosa di familiare.

Matt aveva altri programmi per quella sera, così lasciammo il locale per andare all'albergo prenotato per la serata; all'indomani saremmo rientrati in aereo. La notte trascorse senza grandi emozioni: Matt era un bravo ragazzo, educato, sportivo e piacevole, ma lì si fermava il mio interesse per lui, i cui argomenti principali riguardavano sport ed economia.

Continuava a tornarmi in mente quel viso: sapevo di averlo già visto, nonostante fosse lontano e le luci soffuse mi avessero impedito di vederlo bene. Non riuscivo proprio a ricordare dove o quando lo avessi incontrato prima.

Durante tutta la settimana fui ossessionata da quel ricordo, così il week-end successivo tornai al Ruby con un paio di amiche. Prendemmo un tavolino ed iniziammo a fare le solite cose. Dopo un'oretta si ripresentò quella sensazione e iniziai a cercare quell'uomo. Lo trovai, appoggiato a una colonna. Stava lì a fissarmi, senza nascondersi troppo, né a nascondere di avermi notata anche l'altra volta: dubitavo si fosse appoggiato per caso alla stessa colonna dov'ero io con Matt.

A quel punto la presi come una sfida e mi misi anch'io a fissarlo, nel tentativo di riuscire a capire dove lo avevo visto. Le mie accompagnatrici non tardarono a trovare compagnia, esattamente come avevo previsto, e, quando rimasi sola al tavolo, finalmente lui si avvicinò. Senza parlare si sedette alla mia destra, poggiò i gomiti sul tavolino, si avvicinò e fissò i suoi occhi sui miei.

Un brivido mi corse lungo la schiena: non era assolutamente possibile. Quello sguardo, quegli occhi, li ricordavo ora benissimo, ma erano passati tredici anni e non poteva essere lui, uguale a quella sera. Mi appoggiai allo schienale della sedia, tendendo la schiena. Inspirando profondamente, continuai a squadrarlo per fugare ogni dubbio.

«È passato molto tempo», esordì con tono tranquillo e deciso, avvicinando la sedia alla mia.

Il poterlo vedere da vicino confermò la mia ipotesi. Era ancora più bello di come lo ricordavo, con un fascino palpabile e uno sguardo vitreo e accattivante... o forse era la mia percezione di lui ad essere più matura di quella di una bambina.

Mi tese la mano invitandomi ad alzarmi e lo seguii. Usciti dal locale, non mi ricordai nemmeno più di chiedergli come fosse possibile tutto ciò.

In realtà non dipese da me, lo comprendo solo ora. Ero una pedina semplice da gestire per lui, il suo potere poté guidare la mia mente senza grandi sforzi, affinché non intralciassi i suoi piani e non corressi troppi rischi. La verità, talvolta, necessita della giusta maturità per essere accettata.

Aprì lo sportello dell'auto per farmi salire e mi accompagnò in un locale decisamente più tranquillo, dove parlammo per alcune ore.

Non mi accorsi del tempo che era trascorso, finché non si offrì di riaccompagnarmi a casa. Io non avevo mai pensato di tornare a casa, eppure mi feci accompagnare al vecchio indirizzo, considerando che comunque non avevo nessuna prenotazione.

Alexander, questo era il suo nome. In tre ore di intensa conversazione, gli raccontai di me più di quanto nessuno in tutto il campus abbia mai saputo. Era come se per lui fossi un libro aperto.

La casa era deserta, tutto uguale a come lo avevo lasciato, persino la mia stanza era ferma a sei anni prima. Che strana sensazione: una fitta al cuore, una morsa allo stomaco che tentai di scrollare via con una doccia calda e un po' di sonno.

La mattina seguente mi alzai consapevole del fatto che avrei saltato le lezioni del lunedì: volevo vedere di nuovo Alex. Avevo il suo numero ed ero intenzionata a trascorrere un'altra sera con lui, prima di tornare alla mia routine. Prenotai il volo per il rientro e uscii il più rapidamente possibile da quella casa.

Ripercorsi alcuni luoghi della mia infanzia, cercai volti familiari e lasciai scorrere le ore. Incontrai Kayla, da cui appresi della morte di Amy, avvenuta due anni prima: anche il suo caso era rimasto irrisolto. La guardai pensando che tutto ciò non poteva essere casuale. Dal canto suo non volle approfondire il discorso, forse per paura, o forse per tenermi fuori da qualcosa che era meglio non sapessi.

La vidi rattristarsi nel sapere che avevo abbandonato la via, ma non mi fece nessun rimprovero, al contrario si dimostrò comprensiva, come sua consuetudine. Mi chiese se fossi stata a salutare mia madre e le risposi con un semplice gesto di negazione col capo; proprio non riuscivo ad andare sulla sua tomba. Nonostante gli anni trascorsi, faceva ancora troppo male, forse perché in realtà non avevo mai affrontato la sua perdita.

Dovemmo salutarci per via dei suoi impegni. Mi fece promettere di non sparire e di chiamarla, ma, a tutt'oggi, non l'ho ancora fatto: non saprei cosa dirle e non potrei spiegarle quello che sono diventata.

La sera andai a cena in un piccolo ristorante che ricordavo essere molto carino. Mentre aspettavo la prima portata, squillò il cellulare: era Alex. Passò a prendermi alle dieci e di nuovo cademmo in un interminabile susseguirsi di parole. Non avrei più voluto andarmene e, nel contempo, non volevo nemmeno restare in quella città. Finimmo col parlare di Matt, del mio "ragazzo" e delle mie storie, procedendo a ritroso nel tempo. Sembrava capisse sempre cosa stessi provando e finii col sentirmi tranquilla e a mio agio, anche quando gli raccontai di Max.

Non scesi troppo nei dettagli, tuttavia gli fu palese quanto quella storia fosse stata importante per me.

«È stato il tuo primo amore, giusto?» mi chiese, con una voce gentile e suadente.

Non seppi oppormi e le parole continuarono ad uscirmi spontanee.

«È stato il mio unico amore.»

Dovetti interrompermi qualche istante, per riprendere il controllo della mia voce. Un nodo mi attanagliava la gola a quel ricordo e sentivo le lacrime farsi strada, però non volevo tornare a piangere per qualcuno che per me non aveva versato una lacrima e che mi aveva portato via tutto solo con una telefonata.

«L'amore è solo un'illusione che ci creiamo per darci aspettative di vita migliori, pensando di poter alleggerire il nostro fardello, ma è qualcosa che non esiste. Ognuno di noi deve affrontare i suoi problemi da solo.»

Così riacquistai la mia decisione e mi protesi verso il mio interlocutore, con quell'atteggiamento un po' sfacciato che mi distingueva ormai.

«Nessuno li risolverà per noi, anzi. Al massimo, ce ne potrebbe creare di nuovi. Nuovi problemi, nuove complicazioni. Dolori inutili e auto-inflitti che si possono tranquillamente evitare con un po' di attenzione e discernimento.»

Conclusi il discorso, tornando a rilassarmi sulla sedia e sistemandomi i capelli.

In contrapposizione alla mia freddezza, lui mi rispose con un sorriso alquanto dolce, chinando leggermente il capo come a volermi meglio inquadrare, sempre fissandomi negli occhi, come se volesse scavare in fondo alla mia anima. In quel momento, però, la cosa mi infastidì. Certi particolari, certi dettagli, volevo restassero sepolti per sempre, sotto strati di pietra costruiti in quegli anni, perciò scrollai leggermente la testa per distogliere lo sguardo dal suo.

Forse se ne rese conto, non so, ma anche lui si ritrasse, cancellando quel sorriso, ma mantenendo un tono dolce seppur sommesso.

«Sarà come dici tu», disse, lasciando in sospeso per un istante la frase. «Eppure, in te si percepisce un tripudio di emozioni. Ti vedo così forte e fragile al tempo stesso. Ti immagino come una Valchiria, al galoppo contro eserciti di guerrieri, ma che alla fine torna tra le braccia del suo uomo, con tutta una dolcezza e una femminilità che la maggior parte delle donne nemmeno riesce a immaginare».

Rimasi senza parole, sbigottita da quella raffigurazione che, in qualche modo, faceva di nuovo riemergere il viso di Max dai miei ricordi. Abbassai lo sguardo, guardando l'angolo del tavolo, in silenzio. Non avevo la forza di costruire nessun castello di carte in quel momento, né di viaggiare sull'onda dei ricordi cercando una vena filosofica nichilista che potesse sostenermi.

«Non è una colpa, bensì è un pregio, una ricchezza interiore che gli esseri umani sottovalutano», proseguì, pur mostrandosi consapevole del mio stato d'animo.

Alzai gli occhi e lo guardai con serietà. Forse il mio tono tranquillo tradì una parte di quell'amarezza e di quella rabbia che avevo celate nella parte più profonda e buia della mia anima.

«I sentimenti ti fanno raggiungere vette inimmaginabili d'estasi, ma possono anche ucciderti con una sadica crudeltà, con un filo di voce, nel tempo di un respiro, lasciandoti agonizzante fino a che non riesci ad estirpare ogni briciola residua di quella che tu chiami ricchezza.»

Non riuscivo a comprendere le sue parole, non riuscivo a vedere quella preziosità e lui sembrò sorpreso di ciò.

«Ogni dolore ha una sua fine e spesso siamo noi a decidere la sua durata. Più lo si reprime, più diviene forte e vivido nei ricordi.»

Stranamente, le sue parole sembravano quasi nostalgiche, come se ciò di cui stavamo parlando fosse qualcosa che conosceva, ma che era per lui solo un'ombra lontana.

«Tu ne sei la prova. Spero che questo non ti offenda, non è ciò che voglio. Credo che sia giunta anche per te l'ora di affrontare i tuoi dolori, per far rimarginare queste vecchie ferite ancora sanguinanti.»

Mentre parlava con quel suo tono dolce, mi si avvicinò e mi sfiorò il viso delicatamente, cingendolo con la sua mano e continuando ad accarezzarlo col pollice per un minuto. Sembrava volermi trasmettere un po' di sicurezza e di calore, invece, ricordo che sentii solo un brivido freddo.

Si era ormai fatto tardi e così, sottraendomi a quella presa, gli chiesi di riaccompagnarmi a casa. Provavo una serie di emozioni contrastanti, che sembravano voler distruggere ciò che avevo costruito in tutti quegli anni.

La mattina seguente, partii di buon'ora per tornare al campus, senzaaver quasi chiuso occhio.


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