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https://youtu.be/uelHwf8o7_U

  Just gonna stand there and watch me burn

But that's alright, because I like the way it hurtsJust gonna stand there and hear me cryBut that's alright, because I love the way you lieI love the way you lie


[ Love the way you lie - Rihanna ft. Eminem ]  




Dicono per un pilota nulla sia di più suggestivo che correre con la propria auto verso il tramonto.

Nulla esalta la sinuosità delle fiancate dell'auto come i raggi arancioni che le solcano, così simili a muscoli guizzanti sotto la pelle; nulla eguaglia il soffio del vento che modella la carrozzeria, che docilmente ne disegna i contorni; nulla eguaglia il rumore degli pneumatici che baciano l'asfalto, chilometro dopo chilometro. Nulla eguaglia la sensazione di avere il proprio destino nelle mani, di avere la propria meta davanti agli occhi, di poter decidere quando cambiare strada.

Nulla più di un viaggio lega un pilota alla sua auto.

Il ruggito del motore è la musica di sottofondo. E' la colonna sonora di una vita vissuta sempre con il piede sull'acceleratore, dell'adrenalina che scorre nelle vene, del gusto della sfida.

Perché anche il viaggio per il pilota è una gara.

Quel sole che splende lontano è l'obiettivo, la vittoria, il traguardo da tagliare. Bisogna essere i più veloci, i più coraggiosi, i più ambiziosi, per riuscire a stargli dietro e continuare a bearsi della sua luce... E non farsi catturare dalla notte.

Una Punto corre veloce sul nastro di cemento che la porta lontano dalla città, verso le montagne. Corre così veloce da essere solo una scheggia bianca sull'asfalto rovente, una scia di luce che abbaglia chi la incrocia, una folata di vento per chi la osserva passare.

La Punto corre, ma non verso il tramonto.

I raggi del sole si infrangono sui suoi fari posteriori, mentre il sole cala alle sue spalle, mentre le luci della città si accendono. Gli pneumatici fischiano sull'asfalto, quando disegna le colline come la matita di un artista, come il pennello di un pittore. Il vento la spinge, risalendo il pendio, e la Punto corre veloce, corre leggera, corre come se volesse scappare da quel tramonto.

Come se cercasse la notte.

E' bianca, quell'auto. Di un bianco accecante, lucido, così lucido che i disegni che la ornano sembrano dotati di vita propria. Sembrano animarsi, sembrano vivere nel fuoco della luce del tramonto. Sembrano scortare quell'auto come spiriti lontani, come ricordi non ancora sbiaditi di una vita distante eppure così vicina.

Sulla fiancata sinistra, uno scorpione nero. Nero come la notte, nero come il petrolio che ha alimentato il suo fuoco. Nero come il veleno che l'ha lentamente ucciso.

Sulla fianca destra, un mastino. Un mastino dal ringhio feroce, feroce come il modo in cui ha affrontato la vita. Feroce come il modo in cui ha lottato, come il modo in cui non si è mai piegato.

Sul muso, nomi. Tanti nomi, tanti soprannomi, incisi neri sulla vernice bianca, incisi come tatuaggi su una pelle non ancora segnata. Incisi come li portavano tatuati i loro proprietari.

E al centro, sul tetto, fiamme rosse. Fiamme rosse come l'inferno, rosse come il sangue che è stato versato. Rosse come la passione che ha sempre guidato i nomi incisi su quell'auto. Fiamme nelle quali spicca una fenice.

Una fenice ad ali spiegate, in un volo senza fine, le piume disegnate dal vento e gli occhi accesi. Una fenice risorta innumerevoli volte, una fenice bianca e nera, come l'anima di chi l'ha forgiata, di chi l'ha guidata, di chi l'ha posseduta.

Non solo un simbolo; non solo un marchio.

Fenice guida.

Guida lontano da ciò che è stata, dal suo nome, dalla sua fama, dalla sua vita. Ad ogni chilometro segnato dal tachimetro, ad ogni marcia ingranata, a ogni litro di carburante consumato, i ricordi riaffiorano, alimentando la sua determinazione.

<< Hai talento, Irina. Sarai la mia pilota >>.

La voce di William Challagher le rimbomba nella testa, mentre ricorda la stretta di mano che ha segnato la sua esistenza. Ricorda il primo affondo sull'acceleratore, la prima sbandata, la prima gara, la prima vittoria. Ricorda la Black List, quella vera, quella dello Scorpione, quella che lei ha distrutto e ricreato.

<< Io ti amo, Irina, sempre e comunque >>.

Alexander Went la stringe in un abbraccio, avvolto dal gelo della Russia, e le sussurra quelle parole piene di amore eppure sbagliate. Tutto quello che sembrava dover essere non è stato, perché il suo spirito è sempre stato troppo forte, troppo indomabile, per essere piegato da un amore fatto di sbarre dorate.

<< Questa è la tua auto, Fenice >>.

E' Max a darle le chiavi, è Max ad ascoltare la sua voce descrivere cosa vorrebbe, come dovrebbe essere la sua auto. E' lui la prima persona che la vede non più come Irina, ma come Fenice.

E poi volti, persone, nomi, soprannomi.

Che cosa è rimasto di loro? Di alcuni solo un ombra, di altri un ricordo, di altri ancora una tomba.

Mai come ora capisce quanto quel soprannome scelto per caso, Fenice, sia stato profetico.

Irina Dwight è morta e risorta molte volte. E' caduta e si è rialzata così spesso da dimenticare quante sono state le sconfitte e le vittorie. E' diventata qualcosa, qualcuno, che non ha niente a che fare con l'immagine che vede la gente, con l'idea che le persone hanno di lei.

Credono che tornerà un giorno.

Non lo farà.

Guida veloce, Irina. Guida lontano da quel tramonto, lontano da quel giorno che sta finendo e che lei ha vissuto in ogni sua parte, in ogni suo minuto.

Scappa, perché il tempo di Fenice è terminato.

Troppe sono le cicatrici che porta nel cuore; troppi sono i ricordi che conserva nella mente; troppo il dolore che custodisce nell'animo.

Ciò che è stata la sua salvezza, è diventata anche la sua rovina. Ciò che le ha mostrato il suo talento, le ha strappato la sua purezza. Ciò che l'ha liberata le ha messo una catena al collo.

E' stata tutto ciò che le è stato concesso di essere: criminale e poliziotta. Buona e cattiva. Irina e Fenice.

Ha capito quanto la vita può essere crudele e beffarda. Quanto il destino può essere ingiusto. Ha creduto di avere qualcosa quando in realtà non ha mai davvero avuto niente.

L'adrenalina ha smesso di scorrere nelle sue vene. Il rombo del motore ha smesso di essere la sua musica. La velocità ha smesso di essere il suo ossigeno.

Sei un pilota fintanto che non hai paura di correre.

Sei un pilota fintanto che non ti stanchi di correre.

Fenice stringe il volante mentre l'asfalto scorre sotto le sue ruote, le nocche che sbiancano, il cuore che batte forte. Sa di essere pronta, sa che deve farlo, ma fa male.

Però non si ferma.

Non si ferma, guida finché il tramonto non cala alle sue spalle, fino a quando il cielo cambia colore. Solo allora, quando l'oscurità inizia ad accarezzare la carrozzeria della Punto, si ferma.

Si ferma, lo spiazzo di una collina vuota intorno a lei. L'erba verde e il vento che soffia dal mare.

Allora Fenice si volta, e vede Los Angeles.

La città in cui è nata, in cui ha ricevuto il suo battesimo, in cui ha conosciuto William Challagher, in cui ha amato Alexander Went, in cui ha riportato Dimitri Goryalef. La città in cui Fenice ha sofferto come nessuno, ma in cui è diventata leggenda.

Ovunque hanno parlato di lei. Della sua scalata alla Black List, della sua sfida allo Scorpione, del suo coraggio. Del suo viaggio in Russia, della Mosca-Cherepova, dell'astuzia nel catturare la Lince. Dei suoi inseguimenti nel porto, dei suoi successi come poliziotta. Del suo affrontare da sola una pazza psicopatica nel degrado di Caracas, dell'aver domato le curve del Nurburgring. Del modo in cui ha affrontato quello che le si è parato davanti, sempre e comunque.

Tutti conoscono la sua auto, tutti conoscono il suo soprannome.

Ma nessuno sa quello che è rimasto nel suo cuore. Nessuno sa quanto dolore c'è, quanta morte è rimasta.

Nessuno sa che Fenice ha vissuto sempre con il piede sull'acceleratore, e non ha mai imparato a frenare.

Perché se avesse frenato, non sarebbe mai diventata Fenice.

Il vento soffia leggero su Los Angeles, spinge le nuvole oltre l'orizzonte e copre ogni rumore lontano.

In silenzio, Fenice percorre con mano leggera la carrozzeria della Punto. Tocca lo scorpione, il mastino, tutti i nomi della Black List. Sfiora la fenice.

Quella è stata la sua prima auto, ed è l'unica cosa che davvero le è rimasta. E' l'unica cosa che Fenice non ha mai davvero perso. L'unica cosa importante per un pilota.

L'ultima cosa che la lega al suo passato.

L'ultima cosa che non le permette di dimenticare.

Che cosa rimarrà di quella storia? Della sua storia?

Nulla.

Fenice è pronta.

Il sole continua la sua corsa verso l'orizzonte, quando il fuoco divampa.

Come le fiamme della sua fenice, il fuoco si alza nel cielo e avvolge la Punto. Divampa mangiando tutto, mangiando lo scorpione, il mastino, lo Black List e la fenice stessa. Brucia come l'inferno, brucia come il dolore che ha nel cuore, brucia i ricordi e i pensieri, i volti e le voci.

Brucia, senza che nessuno la fermi, illuminando la notte che cala, oscurando con il fumo le stelle nel cielo.

L'auto brucia davanti agli occhi di Fenice, senza che lei si muova, mentre lacrime calde e silenziose le rigano le guance. Le lingue di fuoco danzano nel vento caldo, crepitano, sfaldando l'acciaio e la gomma, facendo implodere i vetri, facendo cigolare la lamiera.

Come colei che l'ha guidata, la Punto muore davanti agli occhi distratti del mondo, che non conosce altro che la storia della ragazza pilota, prima criminale poi poliziotta. Che era stata tradita da chiunque aveva incontrato sul suo cammino.

Ora lo sa. Sa che non c'è altra scelta, non c'altra strada per lei.

Se vuole rinascere davvero, deve morire ancora un'ultima volta.

Come lo Scorpione, Fenice rimarrà leggenda.

Irina Dwight guarda l'auto bruciare, illuminando la notte che dovrà affrontare. La notte a cui deve sopravvivere. La notte che fa terminare il giorno lungo, dolce e doloroso che è stato la sua vita fino ad ora.

Un pezzo della sua anima si strappa, e fluttuando nel vento finisce tra le fiamme. E' una sensazione forse molto simile alla morte, ma è stata lei a sceglierlo.

Quando della Punto non rimane che cenere, Irina si volta. Le lacrime non hanno ancora smesso di scendere, il dolore non ha ancora smesso di farsi sentire, eppure lei è ancora viva.

E' appena rinata.

I fari di una auto grigia la abbagliano da lontano. Corre veloce, corre come è abituata a fare, corre da lei.

Non è sola, lo sa.

Non lo sarà, quando affronterà le notti piene di ricordi e di dolore.

Non lo sarà, quando le sembrerà impossibile dimenticare.

Non lo sarà, quando continuerà a pensare di aver perso tutto.

Si volta di nuovo, per guardare l'ultima volta la sua auto, la sua compagna di vita, un oggetto che sempre e per sempre avrebbe rappresentato la sua morte e la sua rinascita.

Ora non rimane altro che una carcassa vuota, annerita, bruciata.

Distrutta.

Solo allora, Irina riprendere a respirare.

E questa volta, dalle ceneri nessuna Fenice è risorta.

Questa volta, l'unica ragazza che si volta e si allontana si chiama solo Irina. 

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