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Capitolo XXXVIII


Ore 10.00 – Hotel Paradise

Irina guardò con attenzione la LaFerrari nera ferma davanti a lei, i fari appuntiti che la fissavano con aria arcigna, il muso a pochi centimetri dalle sue gambe e le prese d'aria che le sfioravano le caviglie. Sembrava esattamente uguale a come l'aveva lasciata, ma non per questo meno bella. De Benedetti teneva la mano appoggiata sul tetto, in attesa, la tuta la lavoro incredibilmente pulita.

<< Abbiamo guadagnato 50 cavalli >> disse lentamente, osservandola di sottecchi, << Abbiamo rimappato la centralina e rivisto alcuni parametri del motore. Ora hai 1023 cavalli, e per capire se sei in grado di scaricarli tutti a terra devi provarla >>.

Doveva provarla.

Doveva guidare.

Irina fece una smorfia. Preoccuparsi di avere paura di mettersi al volante era qualcosa a cui non aveva pensato, subito dopo l'incidente. Però non poteva non ammettere di aver auto paura, molto paura; paura di finire la propria vita dentro una scatola di metallo senza essere riuscita a portare a termine il suo compito. Poteva accadere di nuovo, poteva succedere un'altra volta... Solo che non poteva tirarsi indietro, non poteva mollare tutto adesso...

E poi lei continuava ad amare le auto.

<< Lo so >> disse a voce bassa.

Si voltò per osservare Dimitri, che a pochi metri di distanza stava prendendo in consegna la sua Lamborghini Centenario con sguardo critico. Non c'erano stati cambi di look per le due auto, perché al momento le modifiche dovevano limitarsi alle prestazioni; solo alla fine ne avrebbero toccato l'aspetto.

Il russo le fece un cenno, e lei si strinse nelle spalle.

<< Non sei soddisfatta, Irina? >> domandò all'improvviso Fadi, rimasto fino a quel momento di fianco a lei, in silenzio. Svettava nitido nel garage per via della veste bianca, tanto da sembrare una statua di marmo.

<< No, è che non sono nelle condizioni fisiche migliori per provarla davvero >> rispose con un sospiro.

Non poteva negarlo, si sentiva debole. Le faceva male tutto il corpo, e il fianco sinistro peggio di tutto il resto; la fascia intorno alla vita, che si era stretta bene per tenere la ferita al sicuro da colpi accidentali, non la faceva sentire meglio. Poteva guidare, ma non come faceva sempre; aveva bisogno di tempo, ed era la prima volta che le capitava. Non era mai stata ridotta così male da non poter impugnare il volante.

Fadi, il lungo velo bianco a coprirgli la testa, le porse la mano, forse sperando che la prendesse. Il suo viso scolpito nell'ebano sembrò incrinarsi nella preoccupazione, mentre lei non si muoveva.

<< Posso fare qualcosa? >> domandò.

Irina sorrise e scosse il capo.

<< Non credo >> rispose lentamente, << Guiderò comunque >>.

L'ombra di Dimitri si disegnò sul pavimento, quando il russo si avvicinò con aria seria. Le rivolse un'occhiata delle sue, prima di parlare.

<< Prima ti rimetti al volante, prima tornerai quella di prima >> le disse solo.

Irina annuì. Dimitri sapeva meglio di lei che non poteva mollare, e forse sapeva anche che ora Fenice doveva anche superare un trauma che non si era mai trovata di fronte. Nella sua carriera di pilota non era mai stata coinvolta in un incidente tanto grave in auto; aveva sempre avuto la fortuna di guardarli da fuori, da lontano, non ci era mai stata in mezzo, e ora sapeva cosa si provava. Ora sapeva che l'oggetto che più amava poteva diventare una scatola di morte e paura, anche per lei.

Il fatto che il russo le stesse dicendo la verità, e non cercasse di compatirla, le diede un minimo di forza. Prese le chiavi dalle mani di De Benedetti e aprì la portiera della LaFerrari.

Entrare non fu facile come la prima volta; il suo corpo si muoveva a scatti e con fatica, ma quando si ritrovò seduta sul sedile di pelle capì che la sensazione era la stessa che aveva provato la prima volta. Era ancora quell'incosciente che si faceva chiamare Fenice, e un trauma toracico non bastava a farla cambiare.

Dimitri si abbassò nell'abitacolo, gli occhi grigi che la guardavano in modo strano; Irina si sentì a disagio, perché trovò quel gesto quasi... intimo. Riuscì persino a sentire il suo profumo forte e muschiato.

<< Non distruggere anche questa >> le disse piano, con una mezza smorfia. << Non ne abbiamo altre da farti guidare >>.

No, non l'avrebbe distrutta. Se mai fosse stata tanto stupida da farlo, a quel punto i suoi debiti nei confronti di William Challagher sarebbero state noccioline. Dimitri faceva bene a ricordarglielo.

Premette il pulsante di accensione e il motore prese vita, con un ruggito leggermente più roco di quello che aveva sentito la volta precedente. Dimitri le chiuse la porta e lei si allacciò la cintura, le cinghie che strusciavano contro la benda al fianco. Ricordò solo in quell'istante della spalla di Dimitri e del fatto che negli ultimi giorni non si fosse lamentato nemmeno una volta. Era fatto di acciaio, molto probabilmente.

Accarezzò il volante e respirò profondamente. No, non aveva paura di guidare, era solo stanca e dolorante, ma lo spirito continuava a esserci.

Dimitri era rimasto di fianco all'auto, guardandola in silenzio.

Se ci fosse stato Xander lì, non avrebbe fatto altro che tentare di fermarla, dirle che non poteva, che doveva riguardarsi, che era pericoloso, che prima doveva rimettersi completamente... L'avrebbe ostacolata e lei si sarebbe sentita incatenata. Sapeva che non doveva farlo, che non era moralmente corretto paragonare Xander a Dimitri, ma fu impossibile non farlo. Fu impossibile non pensare che in quel momento l'unica cosa che stava facendo il russo era appoggiarla, anche quando non aveva senso farlo.

Abbassò il finestrino e gli rivolse un'occhiata.

<< Farò solo un giro, per capire come va >> gli disse, << Non credo di poter fare di più, per il momento >>.

Dimitri annuì.

<< Solo tu puoi sapere cosa sei in grado di fare in questo momento >> le disse, << Ma non puoi sicuramente fermarti >>.

Irina chiuse il finestrino e accarezzò l'acceleratore; persino il lieve dosso della rampa di uscita del garage le fece digrignare i denti per il fastidio al fianco, quando lo superò, senza lasciarle assaporare il ringhio sordo del motore Ferrari.

Una volta fuori, l'unica cosa che potè fare fu valutare la situazione: poteva stringere i denti e guidare come se fosse stata perfettamente in forma, rischiando di peggiorare la sua situazione fisica, o poteva lasciare l'acceleratore per un attimo e cercare di non forzare la mano e darsi il tempo di guarire almeno un po'. Mancavano due settimane al Nurburgring, ed era la che lei doveva essere nel pieno delle forze.

Decise che non avrebbe rischiato; guidò la LaFerrari con delicatezza, sfiorando l'acceleratore e accarezzando il volante, accorgendosi da qualche sfumatura dei giri motore che sembrava più pronta, più scattante. La lanciò in un paio di rettilinei e poi tornò all'hotel, sentendosi insoddisfatta; però fu un sollievo scendere dall'auto.

Dimitri non c'era; doveva essere uscito anche lui in prova con la Centenario, e diversamente da lei poteva permettersi di guidare un po' più al limite.

<< I miglioramenti ci sono >> disse rivolta a De Benedetti e Carlsson, che la osservavano con interesse, << Non ho potuto sfruttarli, ma li sento >>.

<< Hai qualcosa da segnalare? >> domandò l'italiano, quasi deluso dal suo commento poco entusiasta, << Miglioramenti? >>.

<< Forse lo sterzo un po' duro >> rispose Irina, << E... Non lo so, mi sembra perfetta anche così. E' difficile dire cosa si può migliorare ancora... >>.

De Benedetti rimase interdetto, ma di fianco a lui Carlsson si mosse per attirare la sua attenzione. Fece un paio di gesti all'italiano nella lingua dei sordomuti e aspettò che De Benedetti traducesse.

<< Chiede se la senti tua >> disse.

Irina rivolse un'occhiata allo svedese, sorpresa dalla sua domanda. Nessuno le aveva mai chiesto che sentiva "sua" un'auto, tranne Max. Max era stato in grado di cucire su di lei la Punto con la maestria di un sarto, tanto da renderla un'estensione del suo corpo. Solo lei riusciva a portarla al limite, solo lei sapeva sfruttare a fondo ogni sua caratteristica.

<< Non ancora >> rispose di getto.

Greg annuì, come se avesse capito. Le fece cenno di risalire a bordo della LaFerrari, e Irina eseguì con una certa perplessità. Carlsson prese il portatile e lo collegò nuovamente alla centralina dell'auto, per raccogliere altri dati.

Fadi, muovendosi con il suo fare da felino nel garage, si avvicinò e si sporse nell'auto.

<< Da questo si vede che Greg ha lavorato in Koenigsegg >> spiegò soddisfatto, << Sa esattamente cosa deve essere l'auto per un pilota >>.

Era evidente che l'arabo fosse molto orgoglioso della sua squadra di meccanici e della sua casa preparatrice, e Irina annuì. Poi spostò lo sguardo sullo svedese, parlandogli lentamente e a voce bassa.

<< Cosa ti servono questi dati? Non ho guidato come in gara >> domandò, incuriosita.

Lui scosse il capo; aprì un foglio di Word e rispose.

"Non è importante solo come guidi quando corri; a bassa velocità posso cogliere cose che non noto quando porti l'auto al limite".

Irina si ritrovò a pensare di aver fatto una domanda stupida, ma in fondo lei non era meccanica. Era solo una pilota e basta.

<< Oh... Non avevo pensato a questo >> convenne, continuando a guardare Greg negli occhi mentre parlava, << Farai altre modifiche, quindi? >>.

"Sì, fino a che l'auto non respirerà con te. Dovrai poterla guidare in qualsiasi condizione, anche quella di adesso".

Respirare... Mai aveva sentito una parola del genere legata a un'auto; lo svedese tornò a guardare il computer, e lei non riuscì a non osservare il suo profilo serio e freddo. Assomigliava molto al Mastino, come atteggiamento, ma i suoi occhi erano più luminosi e i suoi modi più gentili. Ne rimase affascinata, per un attimo, chiedendosi cosa si nascondesse nella testa di quell'uomo senza udito ma che sapeva sentire le auto respirare.

<< Posso offrirti un the, mentre aspettiamo Dimitri? >>.

Irina si voltò di scatto, Fadi che la osservava con un sorriso sul volto e la mano tesa. Per non essere scortese, fu costretta a prenderla, e uscì dalla LaFerrari lasciando Greg al suo lavoro.

L'idea di stare a diretto contatto con lui la terrorizzava a sufficienza, ma non poteva rifiutare di nuovo, quindi annuì.

<< Ehm... Va bene >>.

Una delle sale da riunioni dell'hotel era stata trasformata in una stanza dedicata al the e a tutti i suoi derivati, con tanto di tappeti di velluto rosso alle pareti e tavolini di legno. Fadi sembrava avere una fissa per il suo paese e l'Argentina non doveva essere proprio il suo posto preferito, se aveva costretto l'intero hotel a piegarsi ai suoi gusti... Era il potere del denaro, un potere che Irina aveva visto già fin troppe volte.

Dopo un momento di imbarazzo iniziale, decise che forse doveva sforzarsi e tentare di fare conversazione, anche in ragione del fatto che ora Fadi le faceva guidare la sua LaFerrari senza la garanzia della F12 in caso di distruzione. Doveva solo aspettare che Dimitri venisse a recuperarla.

<< Ehm... Esattamente di cosa ti occupi, in Qatar? >> domandò, stringendo la sua tazza in modo abbastanza nervoso

Fadi le versò un po' di the, gli occhi scuri che non le si staccavano di dosso. Era oggettivamente e incredibilmente bello, eppure lei aveva sempre e solo l'istinto di allontanarsi e non di avvicinarsi.

<< Commercio petrolio >> rispose l'arabo, << Ho una mezza dozzina di piattaforme petrolifere nel Mar Nero. E ho un paio di aziende d'abbigliamento in Cina, un po' di partecipazioni in marchi famosi di beni di lusso e qualche attività finanziaria... Ah, e una casa preparatrice di auto >>.

Per poco Irina non si strozzò con il the. Sì, era molto più ricco di William Challagher, per non parlare di lei stessa.

<< Oh, bè, io in questo momento non posso dire di avere molti affari... >> rispose lentamente, grattandosi la testa, << Facevo la poliziotta, fino all'anno scorso... Evidentemente non era il mio mestiere, visto che sono qui, adesso >>.

Sorrise forzatamente, e Fadi fece altrettanto.

<< Non credo che il tuo destino sia essere una persona normale >> disse, << Che cosa farai dopo il Nurburgring? >>.

Irina si strinse nelle spalle, scatenando una fitta al fianco.

<< Non ci ho pensato >> rispose, << Non so cosa succederà, e non so come tornerò. Non so nemmeno se tornerò, se è per questo... >>.

Fadi le rivolse un'occhiata e Irina si irrigidì.

<< Perché non dovresti tornare? >> le chiese. << Se non sbaglio, indipendentemente da quello che si dice in giro, nonostante tu ne abbia viste molte in questi anni, se l'unica ancora... viva >>.

Irina fece una smorfia.

Sì, aveva ragione; lei era ancora lì, nonostante tutto.

<< Questa volta è diverso >> rispose, << Una gara regolare è qualcosa che non ho mai sperimentato, e potrei scoprire che non fa per me, o che i piloti che avrò contro saranno più forti... E che io vinca o perda, Selena Velasquez cercherà di uccidermi in ogni caso... Se invece sopravvivo, credo di avere già una camera prenotata nel carcere di Los Angeles >>.

Fadi la osservava con curiosità, come se ciò che stava dicendo fosse interessante o come se non fosse abituato a sentire dell'ironia da una donna.

<< Che cosa saresti diventata, se non fossi mai stata una pilota clandestina? >> le domandò all'improvviso.

Irina rimase in silenzio; non ci aveva mai pensato. Non c'era mai stata occasione, nella sua esistenza, di poter davvero scegliere, o di fermarsi e dire "voglio diventare questo".

<< Non lo so >> rispose, sentendosi stupida, << Forse il mondo delle auto mi avrebbe trovato in qualche altro modo... O forse avrei fatto la cameriera in un supermercato... Non lo so, davvero. In questo momento mi sembra anche impossibile pensarci >>.

Qualcosa le disse che la conversazione stava andando troppo sul personale, e non era certa di volerlo. In fondo, Fadi chi era?

<< Sai che in alcuni paesi come il mio, le donne non possono nemmeno avere la patente? >> disse l'arabo, come se fosse ovvio e scontato.

<< Sì, lo so >> rispose Irina, << Infatti mi chiedo perché tu voglia aiutarmi >>.

Se era di mentalità chiusa come i suoi compatrioti, perché dava in mano a una donna un'auto da due milioni di dollari?

<< Perché sei una persona interessante >> rispose Fadi, tranquillo.

<< E tu sei annoiato, immagino >>.

La frase scappò dalla bocca di Irina prima di avere il tempo di pensare, ma era quello che pensava davvero e forse fingere di essere accondiscendete con lui non sarebbe servito a niente. Magari sentendola così spregiudicata e diretta, avrebbe smesso di essere così gentile.

Fadi scoppiò a ridere, appoggiandosi allo schienale del divano.

<< Molto annoiato >> convenne, << E' difficile trovare qualcosa da fare quando hai già tutto >>.

<< Sei sposato? >> domandò Irina, anche se sapeva già la risposta.

<< Ho tre mogli, Irina, e lo so che ti suona molto strano >> rispose divertito, << Sono tre donne molto belle e molto educate, ma fin troppo legate ai nostri valori... Troppo servizievoli, direste voi occidentali. Devote, le definiamo noi >>.

<< E figli ne hai? >>.

Fadi scosse il capo.

<< No, al momento no >> rispose.

<< Bè, sembrerebbe essere l'unica cosa che non hai mai fatto >> ribatté Irina, con una nota divertita nella voce, << Forse un bambino da crescere sarebbe un ottimo passatempo... >>.

In effetti, e il pensiero la colse all'improvviso, tutti avevano figli; William, Xander, Vera... Li avevano messi al mondo con una leggerezza tale che tra tutti, con i suoi milioni di dollari e tre mogli servizievoli, Fadi sembrava poter essere il padre migliore tra i tre.

<< A tempo debito arriveranno >> rispose l'arabo, << Ma mai nessuna donna si sarebbe permessa di dirmi una cosa del genere, sai? >>.

Non c'era rabbia, nella voce di Fadi, solo perplessità. Era sorpreso.

<< Sono abituata ad avere a che fare con uomini con molto più denaro di me >> ribatté Irina, mettendo da parte per un momento l'apprensione che provava nei confronti di quell'uomo, << Non ti ho mancato di rispetto, ho solo detto la verità >>.

L'arabo sorrise.

<< Per questo non sei una persona noiosa >> disse, << Ti chiederei di diventare la mia quarta moglie, se non sapessi che non riusciresti a sopravvivere un giorno, in una casa come la mia, per quanto denaro o auto possa darti >>.

La frase lasciò Irina interdetta e imbarazzata, perché Fadi non scherzava, lo capì dallo sguardo brillante e caldo che le rivolse.

<< Non hai davvero idea di chi sia Fenice, Fadi. Ti metteresti in casa solo un sacco di grane, con lei >>.

La voce seccata di Dimitri arrivò alle spalle di Irina, e lei tirò un sospiro di sollievo, quando lo vide arrivare. Si alzò di scatto e sorvolò sul commento che aveva appena fatto su di lei, anche se un tantino duro.

Il Mastino aveva spremuto la Centenario fino all'ultimo cavallo, ma non sembrava comunque soddisfatto. I meccanici di Fadi avrebbero lavorato sulla Lamborghini e sulla Ferrari ancora per qualche giorno, per tirare fuori le ultime modifiche e poi provarle nuovamente.

Questa volta Fadi non propose loro nessuna cena, prima che se ne andassero; solo quando furono sulla R8 diretti verso casa, Irina tornò a parlare, nonostante il fastidio al fianco. Era imbarazzata per la frase di Fadi, che il Mastino doveva aver sicuramente sentito, e si sentì in dovere di dire qualcosa, qualunque cosa pur di rompere il silenzio.

<< A giudicare dal fatto che hai guidato la Centenario senza nessuna difficoltà, credo che la tua spalla si sia ripresa... >> disse lentamente. << Non te l'ho chiesto, ieri >>.

Dimitri fissò la strada.

<< Va meglio >> rispose solo. Il tono era appena teso, quindi non era tranquillissimo.

<< Davvero la polizia ci ha rilasciato su pagamento della cauzione? >> domandò Irina, cauta, << Siamo entrambi ricercati, la nostra foto sarà in tutti i database della polizia... Perché non ci hanno riconosciuto? >>.

<< Credo che sapessero benissimo chi siamo, Fenice >> rispose Dimitri seccamente, << I documenti falsi non sarebbero mai stati sufficienti a coprirci, per lo meno non a coprire me, ma se li sono fatti bastare. Ho idea che non volessero arrestarci, dopo tutto >>.

Irina gli rivolse un'occhiata.

<< Perché? >>.

Dimitri la guardò con la coda dell'occhio.

<< Tu hai sempre un sacco di amici, in giro >> rispose.

Irina scosse il capo. Non era la spiegazione giusta, e lo sapeva anche lui.

<< Non stiamo dando sufficientemente fastidio >> aggiunse il russo.

Se erano stati lasciati liberi, qualcuno aveva dato quell'ordine; poteva essere stato McDonall, in qualche modo? O Senderson? Ma a che scopo?

Si appoggiò al sedile, osservando la strada. Si strinse il fianco e fece una smorfia, sperando di arrivare a casa il prima possibile.

Ci aveva pensato, ma non aveva il coraggio di dare voce alle sue parole; capì che le interessava di più sapere perché Dimitri avesse fatto certe scelte, piuttosto che capire cosa passasse nella testa della polizia.

Il Mastino le aveva messo in mano la vita di Yana senza quasi pensare; si era fidato così tanto da lasciare quella responsabilità. E poi, aveva rischiato di finire in carcere pur di portarla in ospedale, pur di essere sicuro che stesse bene.

Perché?

Era stata lei a prenderlo in giro, in Russia; perché riservarle quel trattamento? Perché essere così... corretto?

<< Io non avrei rifiutato >> disse all'improvviso il russo.

<< Che cosa? >>.

<< A essere la quarta moglie di Fadi >> rispose, e Irina non capì se scherzava oppure no, << Avresti davvero poche preoccupazioni... Ha una casa con trentaquattro stanze, servitù, auto di lusso e fin troppi conti correnti in attivo. Potrebbe farti trovare in garage un'auto nuova ogni mese... Basterebbe farti trovare un paio di volte a settimana nel suo letto. Al massimo sfornargli un paio di marmocchi >>.

Irina lo guardò, mentre Dimitri parcheggiava l'Audi e teneva gli occhi fissi sul volante. Ma che diavolo gli prendeva? Era rincretinito, per caso? Da quando parlava così?

<< Mi stai prendendo in giro? >>.

Il russo la guardò, le iridi grigie vagamente divertite.

<< No >> rispose, << Went è morto, Fenice. Per come la vedo io, dovresti trovarti qualcuno che ti consenta di passare il resto della tua vita nelle comodità, visto che non ne hai mai avute. Che ti permetta di alzarti il mattino senza che il tuo primo pensiero sia chi ti ucciderà, o dove nasconderti... E che ti chieda poco in cambio >>.

Irina rimase impietrita dalle parole del russo, troppo dirette e troppo fredde. La fissava quasi con fastidio, come se qualcosa di lei gli fosse intollerabile da guardare... Però sentì montarle la rabbia dentro, perché non capiva quell'improvvisa aggressività nei suoi confronti, ne la volontà di ferirla.

<< Davvero pensi che io voglia una cosa del genere? >> gli ringhiò, << Che mi interessino in qualche modo i soldi di Fadi? >>.

<< Davvero non hai capito cosa ti ho detto? >> ribatté lui, fissandola quasi con astio.

Irina inarcò un sopracciglio.

<< Mi hai appena detto di fare l'arrivista >> gli rispose seccamente.

Dimitri arricciò il labbro.

<< Sì, una volta nella tua vita fa' l'arrivista, Fenice >> ringhiò, << Domani mattina abbiamo appuntamento con Rivero >>.

Detto questo, uscì dalla R8 e Irina lo guardò andare via, lasciandola lì da sola in mezzo al garage silenzioso e con il cuore che le batteva incontrollato nel petto. Perché dirle una cosa del genere? Solo per la frase di Fadi?

Con un po' di difficoltà usci dall'auto e continuò a guardare verso le scale, dove il Mastino era sparito a grandi passi.

Si era innervosito, esattamente per cosa non era chiaro, ma continuare a fargli domande non sarebbe servito a nulla; avrebbe risposto solo quando lo avesse voluto lui, e non era adesso.

C'era qualcosa che non funzionava, tra loro due, ed era qualcosa che per quanto lei facesse finta di non capire, era legato a una sola e singola notte della Russia.

Sospirò.

Aveva scelto allora, e anche se forse non era stata la scelta giusta, non poteva tornare indietro.





Dimitri Goryalef era nervoso per via di una donna, e questo non era tollerabile.

Che Fadi ci provasse con Irina, o che ci provasse chiunque altro, poteva andare bene, se lei era d'accordo; non giudicava ciò che Fenice faceva della sua vita. Non andava bene il fatto che lui si sentisse fremere lo stomaco per il fastidio.

Che diavolo aveva?

Appoggiò i palmi sul tavolo della cucina e trasse un respiro profondo.

Quello che stava facendo non coincideva con quello che voleva fare, e il suo corpo e la sua anima glielo stavano gridando. A gran voce, facendogli tendere i muscoli e contrarre i tendini, ma soprattutto facendogli arricciare le labbra.

Trattarla male non serviva a nulla, trattarla bene lo faceva solo stare peggio.

Non aveva immaginato che sarebbe stato così difficile.

Fenice era lì, a un passo da lui; era debole mentalmente, aveva il vuoto lasciato da Went da colmare e nonostante tutto si fidava di lui. Doveva solo scendere, bussare alla sua porta, guardarla in faccia e scusarsi.

Poteva fare quella rampa di scale e andarsela a prendere, per non lasciarla più e condannarla a una vita da ricercata, da criminale, da reietta. Sarebbe stato facilissimo, se lei avesse accettato.

Digrignò i denti.

Poteva fare come in Russia, avvicinarsi e basta, fingendo che fosse solo un caso, uno modo di staccare la spina per un po'. Era già successo, Fenice aveva reagito bene, era stata in grado di gestire quella storia... Poteva farlo, e trattarla come una puttana qualsiasi, senza rispetto e senza valori.

Ringhiò tra i denti una imprecazione, prima di alzare la testa e guardare fuori.

Non avrebbe osato ferire in alcun modo la ragazza che aveva salvato la vita di Yana, anche a costo di farsi del male da solo, di rinunciare, di non avere niente.

Andò a farsi una doccia gelida e poi fece quello che aveva fatto nelle due notti precedenti: si armò fino ai denti e uscì in strada, deciso a sfogare la sua frustrazione su qualunque uomo che si sarebbe dichiarato fedele a Selena Velasquez.





Ore 16.00 – Caracas

Lo studio dell'Avvocato Ibero Gil Rivero si trovava in uno stabile lussuoso, nel centro finanziario della città. Il palazzo, alto e dalle pareti bianche, si ergeva vicino a una banca e alla sede legale di una famosa azienda di tabacco.

Per fortuna Irina era stata previdente, e aveva pensato fosse meglio presentarsi come due facoltosi imprenditori stranieri, per essere introdotti senza sospetti nello studio. Le scarpe con il tacco le facevano male alla schiena, e la benda al fianco le stringeva troppo, sotto la giacca di seta, mentre guardava l'edificio dal basso, sentendosi fuori posto.

Dimitri borbottò qualcosa, sistemandosi la cravatta con aria infastidita. L'abito scuro che portava lo rendevano incredibilmente... attraente, anche se sempre troppo ombroso.

L'uscere, un uomo in uniforme blu, li fece entrare lanciando loro un'occhiata rispettosa, segno che avevano indossato un travestimento convincente e che erano stati scambiati per quello che in realtà non erano. Presero l'ascensore e si diressero al secondo piano, dove una giovane e carina segretaria li accolse, parlando in perfetto inglese.

<< Prego, accomodatevi >> disse, lasciandoli nella sala d'attesa, << L'avvocato sarà da voi tra poco. Posso portarvi qualcosa da bere? >>.

Lo studio era grande, e quasi una dozzina di impiegati si muovevano tra le stanze con aria indaffarata. Ogni tanto qualcuno gridava al telefono o imprecava a voce bassa. Aveva l'aria di essere tutto perfettamente legale, ma Irina sapeva che in quello studio le pratiche comuni servivano solo per fare copertura agli affari loschi che l'avvocato contribuiva a condurre.

Rivero li ricevette una decina di minuti dopo, in uno studio ricoperto di legno dal pavimento alle pareti, quadri ad olio ai muri e librerie stracolme di tomi dall'aria impolverata. Il tappeto spesso e scuro attutiva il rumore dei loro passi.

L'avvocato era un uomo di media statura, leggermente sovrappeso e con un paio di odiosi baffetti sul labbro superiore. Indossava un impeccabile completo gessato e scarpe lucide. Sulla scrivania quasi vuota teneva solo un portatile bianco.

Irina e Dimitri si presentarono come Alissa Speed e Viktor Golubev, due facoltosi imprenditori europei in cerca di nuovi guadagni in America Latina. Rivero fu gentile, scambiarono un paio di battute e offrì del rum da bere, che entrambi rifiutarono.

<< La mia segreteria mi ha accennato al fatto che volete aprire una sede legale qui, e vi serve consulenza >> disse alla fine, << Che genere di attività volete intraprendere? Possiamo offrirvi consulenza specifica, gestire le pratiche legali... >>.

A quel punto, Dimitri si alzò e senza dire nulla si avvicinò alla porta, chiudendola a chiave dall'interno. Rivero smise solo di parlare, osservandolo con attenzione, e nei suoi occhi passò una scintilla: probabilmente aveva capito che non erano lì per affari legali.

<< Non siamo qui per quello che crede, avvocato >> iniziò Irina, cambiando tono di voce, << Mi è stato dato il suo indirizzo in relazione a una persona che credo conosca anche lei: Selena Velasquez >>.

L'uomo, diversamente da quanto si era aspettata Irina, non sembrò spaventato dalla situazione. Roteò il bicchiere vuoto di rum e le rivolse un'occhiata.

<< Non conosco nessuna Selena Velasquez >> disse lentamente.

Dimitri si avvicinò alla scrivania, minaccioso. Non avevano dovuto nemmeno provare la parte, o dividersi i ruoli; entrambi sapevano già come avrebbero dovuto recitare. Lei sarebbe stata quella predisposta a dialogare, e il russo a far sciogliere la lingua.

<< Non mentire >> ringhiò il Mastino, << Non siamo venuti qui per perdere tempo >>.

Appoggiò sul ripiano un lungo coltello da caccia, con il manico intarsiato, di quelli che arrivavano dritti dritti dal suo paese. L'espressione di Rovera non cambiò, ma qualcosa si tese nei suoi occhi.

<< Ho un sacco di clienti come voi >> ribatté, << Credete che vi possa raccontare gli affari sporchi che gestiscono? Non sarei vivo se lo avessi fatto anche solo una volta >>.

Sembrava sicuro, forse fin troppo. Era abituato ad avere a che fare con gente come loro, probabilmente.

<< Inizia adesso >> disse il Mastino.

<< Non conosco nessuna Selena Velasquez >> ribatté Rivera.

Se aveva paura, non lo stava dando a vedere; Dimitri appoggiò sulla scrivania una pistola, tolse la sicura e la ruotò verso l'avvocato.

<< Allora perché avrebbero dovuto darmi il suo nominativo? >> lo incalzò Irina, << Perché mandarmi da lei? >>.

<< Sono famoso per dare supporto e consulenza a molti uomini d'affari che agiscono al di fuori della legge >> rispose Rivero. << Se accade qualcosa di finanziarimente grosso a Caracas, passa attraverso di me. I miei clienti non sono due finti imprenditori da strapazzo; se esce una qualsiasi informazione da qui, sono morto >>.

Irina era sicura che Cohen non le avesse dato una pista falsa o errata; molto probabilmente Rivero aveva una testa molto dura. Lanciò un'occhiata a Dimitri.

Avrebbe preferito non utilizzare quell'opzione, ma il russo non sembrava affatto preoccupato di quello che doveva fare; ai tempi di Challagher, era sempre stato lui il "persuasore". Sperò solo che fosse sufficiente la pressione psicologica e non quella fisica.

Dimitri fece in giro della scrivania, l'abito nero che gli tirava sulle spalle. L'orecchio mozzato e la cicatrice sulla nuca lo rendevano estremamente minaccioso. A quel punto, Rivera sembrò leggermente allarmarsi. Si irrigidì, e Dimitri gli appoggiò di piatto la lama sulla spalla.

Qualcosa le disse che il Mastino sapeva usare quell'arma in molti modi, compreso procurare dolore fisico non letale. Lo vide rabbuiarsi, mentre l'avvocato guardava con la coda dell'occhio la sua mano.

<< Ripeto la domanda >> sussurrò Dimitri, << Cosa sai di Selena Velasquez >>.

<< Nulla >>.

La fronte di Rivero che sbatteva contro il ripiano del tavolo con un tonfo sordo e un gemito fece sobbalzare Irina per lo spavento; il rumore della cartilagine che si schiacciava le fece accapponare la pelle, ma mai come l'espressione di Dimitri in quel momento. Era gelida quanto il ghiaccio della Russia.

<< Non è la risposta che vogliamo sentire >> ringhiò.

Rovera alzò la testa, il naso che grondava sangue e un barlume di terrore negli occhi. Se tutto quello non fosse stato necessario per arrivare al suo scopo, Irina non sarebbe stata capace di assistere a una scena del genere, ne di guardare Dimitri comportarsi come una bestia assassina.

<< Non-conosco-Selena-Velasquez >> scandì Rivero, sputando sulla scrivania.

Dimitri sembrò innervosirsi, e Irina se ne accorse dalla vena che pulsava sul suo collo.

Lo conosceva, sapeva che avrebbe fatto a quell'uomo qualsiasi cosa necessaria pur di fargli sciogliere la lingua, e improvvisamente capì che non lo avrebbe lasciato abbassarsi a diventare un'animale; non glielo avrebbe permesso, qualsiasi vendetta non ne sarebbe mai valsa la pena, anche se si trattava di Xander. Xander era morto in fondo, mentre il Masino era vivo.

<< Dimitri, basta >>.

Il russo puntò lo sguardo su di lei per un'istante interminabile, e Irina capì di aver appena rischiato moltissimo: era nervoso, e il suo orgoglio non gli avrebbe permesso di farsi dare ordini da lei, soprattutto perché non stava ottenendo quelo che voleva.

Però Dimitri si fermò; lasciò la testa di Rovera e tenne gli occhi su di lei, prima di fare una smorfia. L'uomo sputò di nuovo.

Rimase impassibile, seduta sulla sedia, e congiunse le mani, osservando l'avvocato che la guardava con disprezzo e paura. La sua mano si mosse verso la parte inferiore della scrivania, ma Dimitri gliela bloccò. Irina capì immediatamente che doveva avere qualche dispositivo per chiamare aiuto.

Rivero impreò.

<< Stiamo solo cercando di capire chi ha aiutato Selena Velasquez a comprarsi tutti i campi di droga intorno a Caracas >> disse lentamente Irina, << E perché. Vuole distruggere la Black List e il mito di William Challagher, e non... >>.

Irina si interruppe, quando colse negli occhi di Rovera un lampo di comprensione. L'avvocato si mosse di scatto, gettò un'occhiata a Dimitri e si alzò in piedi. Il russo sembrò volerlo stendere con un pugno, ma per fortuna non lo fece.

<< Dovete giurare che non farete mai il mio nome su questa vicenda >> disse seccamente, << Ho anche io i miei scagnozzi, e fossi in voi non sarei così sicuro di uscire vivo da questo edificio >>.

Dimitri lo afferrò per la nuca, ma Irina gli lanciò un'occhiata. Non voleva che gli facesse del male, non se non era strettamente necessario. Il russo si limitò ad arricciare il labbro, avvicinandosi al suo orecchio.

<< Ti sei mai messo contro una famiglia di mafiosi russi? >> ringhiò, << Molto probabilmente no. Ecco perché sei ancora vivo >>.

Rovera gli lanciò un'occhiata, oltrepassò la scrivania e raggiunse la cassaforte che stava nascosta dietro l'antina di un armadio di legno scurissimo. La aprì dopo aver digitato una lunghissima password e tirò fuori un faldone di documenti, che appoggiò sulla scrivania. Li sfogliò rapidamente sotto lo sguardo incuriosito di Irina e alla fine tirò fuori un foglio, osservandolo con per un'istante. Alla fine glielo porse e Irina lo prese.

Era un atto di trasferimento di proprietà, datato quasi quattro anni prima, e sottoscritto proprio in quello studio. La firma era inequivocabilmente quella di George Challagher o meglio, quella di uno dei tanti falsi nomi che aveva utilizzato per l'intestazione delle sue proprietà. Però, e su quello Irina era certa di non sbagliarsi, non ricordava quel nominativo durante il processo; non doveva essere venuto mai fuori, probabilmente.

Con quel documento, diverse delle sue proprietà e dei suoi fondi in denaro venivano intestati niente meno che a... Selena Velasquez Forterra.

Irina alzò lo sguardo. Selena aveva ereditato tutto da George Challagher? Perché?

<< Che significa? >> domandò, mentre Dimitri gettava un'occhiata al documento.

<< George Challagher era mio cliente >> spiegò Rovera, << Prima che per colpa di suo figlio venisse arrestato, è venuto qui per mettere al sicuro alcuni dei suoi averi. Era una formula di protezione nel caso finisse in carcere, in modo che una volta uscito non si ritrovasse senza nulla. Ha intestato i beni a quella donna, con il vincolo che non potessero essere utilizzati fintanto che lui fosse rimasto in vita. Era convinto di vivere molto più di quanto credesse, probabilmente >>.

<< Perché Selena Velasquez? >> domandò Irina, << Non ha senso... Si conoscevano, forse? >>.

Qualcosa le disse che sì, molto probabilmente George Challagher conosceva Selena; forse era stato a letto con lui, forse era stata una delle sue amanti a Caracas, una delle donne che magari aveva cercato di soffiargli un po' di ricchezza. Forse Selena aveva fatto con lui la stessa cosa che aveva fatto con Xander...

Per un secondo, un minuscolo barlume di speranza le bruciò nel cuore.

Magari Diego non era davvero figlio di Xander; magari era figlio di George Challagher...

Magari...

Rovera tirò fuori un altro plico, questa volta molto più spesso. Irina lo prese, e sentì quel foglio di carta stranamente pesante.

Era un certificato medico.

Un certificato di paternità.

Dimitri guardò oltre la sua spalla, in silenzio.

Sì, molto probabilmente George Challagher era il padre di Diego. Ora si spiegava tutto...

Xander era stato incastrato.

Irina lesse, poi però si fermò.

Si fermò, perché il certificato recitava:

"L'esame effettuato conferma pertanto la relazione padre-figlio tra George Challagher e Selena Velasquez Forterra".

Ci fu un attimo in cui il cervello di Irina rifiutò la comprensione di quella frase; per un secondo, la sua testa sembrò bloccarsi nel tentativo di assimilare l'informazione.

Selena era la figlia di George Challagher.

Selena era la sorella di William.

Selena aveva avuto un figlio da Xander.

Eccolo, l'ultimo pezzo del puzzle. Ecco che tutto aveva definitivamente un senso.

Per un momento, Irina ebbe l'impulso di strappare quel foglio di carta e gettarlo dalla finestra e mettersi a gridare. O a spaccare qualcosa. O a picchiare qualcuno. O tutte e tre insieme.

Fu solo il fatto che Dimitri la afferrò per il braccio, stretto, forte, a farla rimanere immobile, gelida, apparentemente controllata.

<< Spiega >> disse solo all'avvocato.

<< Challagher sapeva da sempre dell'esistenza di Selena Velasquez. L'ha avuta da una prostituta d'alto borgo di queste parti, ma non l'ha mai riconosciuta né si è mai interessato a lei >> disse Rovera, quasi divertito, << La madre non è mai andata a cercarlo, o a rivendicare qualcosa da lui. Aveva troppa paura di finire ammazzata, che rischiare. Quando la storia di suo figlio ha iniziato a venire fuori, e ha capito che avrebbe potuto rischiare di perdere tutto se fossero stati arrestati, è venuto qui per elaborare un piano che gli consentisse di mettere al sicuro qualche somma di denaro importante. Gli ho consigliato di intestare qualcosa a qualcuno, una persona del tutto estranea ai suoi affari, magari anche fuori dal suo territorio naturale. Sono entrato in contatto con la Velasquez con una scusa e ho preso un campione dei suoi capelli per il test del DNA, che ha confermato definitivamente chi era. Con una scrittura privata rimasta nascosta qui l'ha riconosciuta come figlia legittima, e le abbiamo intestato una serie di beni con il vincolo che potevano essere utilizzati solo in caso di morte di George Challagher, e gli unici che potevano rilevare l'eredità erano suo figlio William o sua figlia Selena Velasquez.

<< Quella donna non doveva sapere nulla, di tutta questa storia, almeno finché Challagher fosse stato vivo. Doveva solo essere usata come copertura e rimanere all'oscuro di tutto. L'inconveniente è stato che George è morto in carcere senza poter cambiare il suo testamento, e William è uscito di prigione senza preoccuparsi dell'eredità di suo padre, o senza saperne nulla, che è molto più probabile. Con la morte di William, l'unica a poter entrare in possesso dei beni era Selena, e ho dovuto informala >>.

Irina continuava a guardarlo, stupendosi del fatto che riusciva a comprendere le sue parole e che non sentiva assolutamente nulla.

<< Sapere di essere la figlia di Challagher l'ha stupita, ma non così tanto da rinunciare all'eredità >> continuò Rovera, << Ha firmato un paio di carte e si è presa tutto >>.

Irina avrebbe tanto voluto ridere in quel momento, giusto per fare qualcosa, per dare un segno di vita. La sua testa stava elaborando tutto, anche se in realtà c'era poco da capire.

Selena era la figlia di George Challagher e aveva ereditato tutto.

Era la sorella di William e odiava lo Scorpione perché, mentre lui creava la Black List, lei stava a Caracas a prostituirsi per guadagnarsi da vivere.

Ed era quella che aveva tentato di incastrare Xander facendoci un figlio.

Questa era la sua nemica, e tra loro c'era sempre stato un filo invisibile a legarle.

<< Che altro sa? >> domandò a voce bassa.

<< Nulla >> rispose Rovera, << Ho tenuto segrete le carte perché mi è stato chiesto di farlo. Non c'è molto da dire >>.

Sì, non c'era molto da dire, e Irina capì che doveva andarsene. Immediatamente.

Guardò Rovera, e poi spostò lo sguardo sul russo.

Gli occhi grigi di Dimitri in quel momento erano quanto di più lontano dal trasparente, eppure lei seppe che aveva capito. Aveva capito cosa passava nella sua testa, e che forse il colpo più violento che aveva ricevuto fino ad allora era proprio quello.

<< Grazie >> disse solo a voce bassa, << Era tutto quello che volevo sapere. Andiamo >>.

Irina non vide il corridoio, non vide le scale, non vide la facciata del palazzo, quando uscì; non sentì la voce della segretaria che la salutava e non sentì il rumore del traffico della città. Salì solo sull'Audi R8 e lasciò che Dimitri accendesse il motore, senza muoversi.

Lì sentì addosso i suoi occhi, eppure non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarli. Fissò lo sguardo fuori dal finestrino, mentre prendeva coscienza di quanto fosse ridicola.

<< Portami a casa per favore >> disse solo.

Dimitri non disse nulla; sfiorò l'acceleratore e si diresse verso l'appartamento, nel silenzio più completo.

Xander era imparentato con William, allora. C'era cosa più ridicola?

Quando arrivarono in garage, Irina scese dall'auto e non si guardò indietro; rientrò in casa e si chiuse la porta alle spalle, lasciando il mondo fuori.

Voleva stare da sola; voleva stare da sola ed elaborare tutto quello che c'era da elaborare.

L'orologio da tavolo che c'era appoggiato sulla mensola dell'ingresso andò in mille pezzi con un fragore assordante, quando lo afferrò e lo lanciò contro la parete, eppure non le procurò alcun sollievo. Forse nemmeno distruggere l'intero appartamento le avrebbe giovato a qualcosa, così rimase inchiodata dov'era.

Imprecò a voce alta, inveendo contro il soffitto, ma neanche in quel caso si sentì meglio.

Scoprì di avere qualcosa addosso che non riusciva a far uscire.

Scoprì che forse poteva anche scoppiare.

Ma cosa diavolo stava facendo?

Per chi stava combattendo? Selena era la sorella di William e aveva un figlio da Xander... Si stava mettendo contro la famiglia di chi aveva amato...

Questo non era stato contemplato, non era stato previsto. Non in questo modo, non così.

Perché il destino le aveva giocato uno scherzo simile?

Si sedette sul pavimento, fissando le piastrelle lucide e scure.

Smise di pensare, perché non c'era più niente da pensare, in effetti. C'era solo da assimilare in qualche modo il dolore, quella coltellata al cuore che le avrebbe lasciato un'altra enorme e profonda cicatrice.




Dimitri Goryalef non poteva fare altro che stare in piedi nel mezzo del soggiorno buio, mentre attendeva che Fenice facesse quello che solo lei era in grado di fare: morire e rinascere.

Era stupito, e accadeva raramente che qualcosa lo lasciasse senza parole, però il fatto che Selena fosse la figlia di George Challagher era qualcosa che non avrebbe mai pensato. Nemmeno William doveva aver mai saputo nulla di lei, visto che non ne aveva mai parlato. E l'ironia di tutta quella storia era che Went ci aveva fatto un figlio, più o meno consapevolmente.

In ogni caso, sia lui che William erano morti, e ciò che avevano fatto da vivi non poteva ne doveva importargli più di tanto, ne tanto meno cosa avrebbero pensato. Era Fenice a dover fare i conti con i loro errori, e come sempre non si tirava indietro di fronte a responsabilità che non erano sue.

Molto probabilmente, niente l'avrebbe segnata come ciò che aveva scoperto ora; non perché fosse impossibile da accettare, ma perché era l'ultima coltellata su una ferita già squarciata.

In quel momento, non aveva spiegazioni a ciò che stava accadendo, ma sapeva che l'unica cosa che Fenice doveva fare era stare sola. Sedersi al buio e cercare di accettare qualcosa che andava al di la delle sue forze, al di la delle sue colpe.

Non lo meritava, così come non meritava tutto ciò che le era successo, eppure era lei a doverlo affrontare. Se sopravviveva a questo, sarebbe sopravvissuta a tutto, e lui era certo che potesse riuscirci. Forse questa volta ci sarebbe voluto un po' più di tempo, prima di rivederla risorgere dalle sue ceneri, ma il suo soprannome non mentiva mai.

Non aveva bisogno di lui, ora; la conosceva a sufficienza per sapere che sarebbe rimasta da sola tutta la notte, a maledire se stessa e a chiedersi perché tradirla fosse così facile; sarebbe rimasta a piangere e a versare lacrime per persone che non avevano fatto altro che prenderla in giro, perché lei era quello, era quella ragazza così forte che nemmeno il male più oscuro poteva scalfire.

Non avrebbe mai odiato nessuno Fenice, avrebbe sempre e solo biasimato se stessa.

E mentre lei rimaneva a combattere i propri demoni, lui usciva nella notte e tornava ad essere uno di essi. 

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