Capitolo XXXVI
Ore 10.00 – Hotel Paradise, Caracas
Dimitri fermò la Lamborghini Centenario di fronte all'ingresso del garage interrato dell'Hotel Paradise, i fari della F12 di Irina che baluginavano nello specchietto retrovisore. Accarezzò il volante di morbida pelle nera, l'abitacolo illuminato dalla strumentazione futuristica, la lancetta digitale del contagiri che si muoveva appena. La spalla gli mandò una fitta, ma la ignorò, perché era completamente concentrato sulla vettura.
In pochissimi chilometri, il V12 da 770 cavalli gli aveva dimostrato tutta la sua potenza, facendolo schizzare oltre il muro dei cento orari in meno di tre secondi netti. Era l'auto più potente che avesse mai guidato fino ad allora, un toro selvaggio da combattimento, l'ideale per la sua unica vera gara regolamentare al Nurburgring.
Scese lentamente la rampa, facendo attenzione a non far toccare il fondo bassissimo della Centenario, e scoprì che il garage dell'hotel era stato trasformato in una officina in piena regola. Fadi poteva sempre avere quello che voleva, con il suo cospicuo libretto degli assegni, e in quel momento apprezzò quel suo innato egocentrismo.
Quattro uomini li aspettavano al centro del garage, disposti uno di fianco all'altro; li guardarono con curiosità, quando la Lamborghini e la Ferrari sgusciarono sinuose dalla rampa.
Dimitri si fermò proprio davanti a quello che aveva l'aria di essere giapponese, a giudicare dal colore della pelle e dal taglio degli occhi. Silenziosa e docile la Centenario ubbidì al suo comando, ma per un attimo il suo motore ruggì, come se volesse in realtà accelerare e schiacciare il ragazzo che aveva davanti. La F12 si fermò al suo fianco, il V12 che si addormentava con un ringhio sordo.
Sganciò la cintura con una smorfia per via di una nuova fitta alla spalla, e scese dall'auto. Non guardò nemmeno per un attimo i quattro; i suoi occhi si puntarono su Irina, la cui attenzione venne immediatamente catturata dalla vettura parcheggiata in fondo al garage.
La LaFerrari che Fadi aveva promesso era lì solo per Fenice, e Dimitri era curioso di scoprire la sua reazione quando avrebbe scoperto che sarebbe stata lei a guidarla.
<< Magnifica >> commentò Fadi, sbucando dalle scale, affosso sempre la sua veste bianca e quel suo passo incredibilmente cadenzato, << Armonia delle forme, design fuori dai soliti standard Lamborghini... Un'opera d'arte >>.
Irina si voltò di scatto verso di loro, mentre l'arabo rivolgeva la sua attenzione alla Centenario, che si fece ammirare come una donna bella e vanitosa. La luce dei neon si rifletteva sulla sua carrozzeria affilata, lucida e appuntita. Irina si avvicinò, distogliendo gli occhi dalla LaFerrari.
<< E' una delle più belle auto che io abbia mai visto >> disse lentamente Fadi, girando intorno alla Centenario con la mano che sfiorava la vernice nera. << C'è qualcosa in lei di selvaggio >>.
<< Selvaggia o no, deve diventare ancora più potente >> disse Dimitri, << Voglio 1000 cavalli sotto il cofano, e voglio riuscire scaricarli tutti a terra >>.
Fadi annuì, mentre i quattro meccanici si avvicinavano. Indossavano tute nere con la scritta "Fenix" sul petto, e sembravano tutti abbastanza giovani. Il più vecchio non dimostrava più di quarant'anni.
<< Possiamo fare più o meno qualunque cosa, anche migliorare una vettura che è già praticamente perfetta >> disse quello che portava gli occhiali, il più anziano, i capelli scuri e i tratti squadrati, << Sono Karl Weber, e sono il capo team della Fenix. Ho lavorato in Mercedes, nel dipartimento della AMG, e dopo in Lamborghini. Credo di partire avvantaggiato, con la tua auto >>.
Era tedesco, si sentiva dall'accento. Gli porse la mano e Dimitri la strinse.
<< A lavoro fatto tireremo le somme >> disse il Mastino.
Il secondo meccanico era il giapponese dai capelli scuri, il volto liscio e gli occhi sfuggenti.
<< Tatsui Kato, dal Giappone >> si presentò il ragazzo, << Vengo dalla Toyota. E' un piacere conoscervi >>. Accennò un inchino e Dimitri vide Irina rivolgergli un piccolo sorriso.
Fu la volta dell'italiano, un ragazzo con i capelli ricci e gli occhi scurissimi.
<< Michelangelo De Benedetti >> si presentò, << Dall'Italia, ovviamente. Ho iniziato come progettista all'Alfa Romeo >>.
Dimitri vide negli occhi di Irina la sorpresa; molto probabilmente non si era aspettata qualcuno che avesse lavorato su auto italiane che non fossero Ferrari.
<< L'Alfa Romeo? >> disse la ragazza, << Conosco benissimo quel marchio... >>.
Gli gettò un'occhiata, ma Dimitri fece finta di nulla. Quello che si era spacciato per anni per la Lince aveva una Alfa Romeo, ed entrambi lo ricordavano benissimo.
De Benedetti annuì.
<< Le sospensioni dell'Alfa Romeo 8C sono roba mia >> disse, << La conoscete? >>.
<< Oh, è un'ottima auto >> convenne Irina, << Credo abbiate fatto davvero un bel lavoro con quella macchina >>.
<< E' troppo piccola >> si intromise Dimitri, << E troppo leggera. Però ammetto che è molto agile >>.
Era la verità, e De Benedetti non sembrò offendersi; Irina gli rivolse un'occhiata, ma la ignorò di nuovo. La 8C era un'ottima macchina, però non era ancora la massima espressione che quella casa automobilistica poteva raggiungere. Aveva un passato glorioso a cui rendere conto.
<< E' un'Alfa Romeo: o la ami o la odi >> disse De Benedetti, con un'alzata di spalle.
Fu la volta dell'ultimo meccanico, quello più alto di tutti, dai capelli chiari e gli occhi azzurri. A presentarlo fu Karl, sfiorandogli appena il braccio con la mano, come se volesse attirare la sua attenzione.
<< Lui è Gert Carlsson, uno dei migliori ingegneri che la Volvo abbia mai avuto. E' svedese ed è stato un paio di anni in Koennisegg >>. Gert fece uno strano gesto con la mano, senza dire nulla. << Purtroppo è l'unico progettista di auto al mondo che non può sentire il rombo dei motori delle auto che costruisce: è completamente sordo. Se avrete bisogno di comunicare con lui, basterà parlargli in modo sufficientemente lento da fargli leggere il vostro labiale >>.
Dimitri lo osservò per un paio di secondi; il destino sapeva essere davvero beffardo, certe volte, ma lui non credeva nel destino, perciò non si dispiacque troppo per la condizioni di Gert, come avrebbe invece fatto Irina. Quel meccanico era lì perché amava il lavoro che faceva, indipendentemente dal fatto che sentisse o meno il rumore di un motore, ed era bravo; non si spiegava in altro modo la sua parentesi alla Koennisegg.
<< Perché lavorate tutti per Fadi? >> chiese seccamente Dimitri.
Era l'unica vera domanda da porre, visto che non c'era motivo per cui quei quattro ingegneri rimanessero a lavorare per una scuderia piccola e sconosciuta, e dove il proprietario non era in grado di sfruttare nemmeno il cinquanta per cento delle auto che preparavano. Lui non sarebbe mai rimasto, per esempio.
I quattro si guardarono per qualche istante, forse incerti su cosa rispondere. Alla fine fu Fadi a rompere il silenzio.
<< Vorrei rispondere semplicemente perché li pago più di qualsiasi altra azienda possa permettersi di fare >> disse, << In realtà è perché non do regole al loro lavoro. Sono artisti delle auto: possono creare tutto ciò che hanno nella loro testa, a patto che sia potente e veloce >>.
Era una buona risposta, e Dimitri decise di rimanere in silenzio. Irina si mosse appena, quando Fadi si avvicinò.
<< I miei ingegneri saranno a vostra disposizione per le prossime due settimane >> continuò, << Dimitri, consegna le chiavi della Centenario a Weber; lui è Kato penseranno alla tua auto. Irina, se vuoi seguirmi... >>
Fenice inarcò un sopracciglio, perplessa, e Dimitri la vide rivolgergli un'occhiata, come a domandargli se potesse seguirlo. Nonostante tutto, continuava a non fidarsi di quell'arabo; le fece un cenno con la testa, invitandola a fare come diceva Fadi. In quel caso le conveniva non fare troppo la difficile, visto che la LaFerrari nera continuava ad attendere la sua nuova proprietaria.
<< Visto che guidi una Ferrari F12... >> iniziò Fadi, avvicinandosi all'auto nera parcheggiata in fondo al garage e osservando Irina con un sorriso velato sulle labbra, << Ho pensato che sarebbe stato interessante proporti un piccolo accordo extra >>.
L'arabo appoggiò la mano sul tetto della LaFerrari, e Irina apparve perplessa. Osservò prima Fadi e poi l'auto, come se stesse cercando di interpretare la scena e non ci riuscisse. Non si aspettava nulla, tanto meno quello che stava per accadere, e Dimitri trattenne un sorrisetto.
Non poteva negarlo: gli piaceva quella sua caratteristica, quella di non aspettarsi regali da nessuno.
<< Ti propongo di guidare questa LaFerrari, portandola dove nessuno ha mai osato fare >> continuò Fadi, i denti bianchi scoperti in un sorriso perfetto che irritò Dimitri più del dovuto, << Io ti do l'auto che hai sempre desiderato, e tu cercherai in ogni modo di vincere quella gara al Nurburgring. Tu avrai una macchina degna del tuo nome, e io avrò il mio riconoscimento come miglior preparatore del mondo. Ci stai? >>.
Dimitri lo osservò, in silenzio. Come promesso, non aveva fatto alcun riferimento allo scambio che avevano accordato, ne al fatto che ora sul libretto di quell'auto ci fosse il nome di Irina Dwight. Fenice non doveva sapere, non per il momento, perché non avrebbe accettato se avesse saputo che in cambio di quella LaFerrari lui aveva ceduto la sua Centenario, e lei doveva avere quell'auto. Non gli importava che Irina gli dicesse grazie. Non doveva farlo.
<< Stai scherzando? >> sbottò Irina, stupita, << E se te la distruggessi? >>.
<< Ho un'ottima assicurazione che mi risarcirà completamente del danno >> rispose Fadi, lanciando un'occhiata a Dimitri.
Come si era aspettato il russo, Irina esitò. Era restia ad accettare qualsiasi favore, perché la vita l'aveva abituata a restituire tutto con gli interessi; Dimitri aveva messo in preventivo la sua reazione. Per una volta non si sarebbe dovuta guardare le spalle, visto che avrebbe garantito per lei. La vide voltarsi, dubbiosa, come se si aspettasse una fregatura dietro a quella storia.
<< E' solo un'auto, Fenice >> le disse lentamente, << Un'auto che ti avvicina di più al tuo obiettivo e basta. Se pensi di poterla guidare, accetta >>.
Era quello che Irina doveva sentirsi dire, per poter dire di sì. Ogni altra scusa non sarebbe stata sufficientemente forte, per farla rischiare così tanto. La ragazza annuì, poi si voltò verso l'arabo.
<< E' solo un prestito >> disse, << E se dovessi distruggerla, ti darò la mia F12 e ripagherò il resto di tasca mia... Ci stai? >>.
Fadi annuì, e Irina gli porse la mano.
<< Come desideri, Irina. Ho sentito dire che non è saggio contraddire Fenice >>.
<< Non ti resta che salire >> disse Michelangelo De Benedetti, quando Irina percorse tutto il perimetro della carrozzeria della LaFerrari con la mano, la vernice liscia e lucida sotto le dita, il cuore che le batteva forte nel petto, il freddo del metallo che le dava una scossa in tutto il corpo.
Era sua.
Quella bestia da quasi 1000 cavalli era sua. In prestito, ma pur sempre a sua disposizione; sarebbe stata lei a guidarla, sarebbe stata lei a portarla in strada.
Non aveva mai accettato auto in dono, meno che mai in prestito, ma per quella qualcosa le diceva che doveva mettere da parte il proprio orgoglio e i propri principi.
Guardò De Benedetti, e sorrise.
Nell'esatto istante in cui l'aveva vista, LaFerrari le aveva fatto capire di essere la sua auto da sempre. L'aveva chiamata, un po' come aveva fatto la Punto ai suoi tempi. La serigrafia sugli specchietti con la fenice era il segno del destino che la legava a quella macchina, e lei non aveva potuto non accettare il compromesso. Forse se ne sarebbe pentita, ma in quel momento era l'unica cosa che voleva davvero fare.
Si chiese solo come avesse saputo Fadi che lei adorava la LaFerrari.
Guardò Dimitri, che stava parlando con Weber e Kato; la cicatrice bianca sulla sua nuca brillò per un'istante, il collo teso e le spalle rigide.
Scosse il capo. Non poteva essere stato lui; non era tipo da romanticismi del genere.
De Benedetti e Carlsson le furono assegnati come meccanici ufficiali, e iniziarono immediatamente a lavorare. Tra i due, Irina fu più incuriosita da Gert; lo osservò mentre disponeva in ordine perfetto il pc portatile, il quaderno degli appunti e la matita sulla scrivania improvvisata con un'asse di legno e due cavalletti. Sembrò posizionare tutto in modo preciso, come se si fosse uno schema nella sua testa che andava rispettato scrupolosamente. Alla fine accese il pc e si sedette, aggrottando la fronte.
De Benedetti tirò fuori un metro da sarta e un foglio di carta; le fece cenno di avvicinarsi e Irina lo guardò inarcando un sopracciglio.
<< Devo misurarti >> spiegò lui.
<< Perché? >>.
De Benedetti sorrise.
<< Dobbiamo rendere quell'auto un guanto >> rispose, << Ogni cosa dovrà essere tarata sulla persona che la guiderà, affinché possiamo tirarne fuori il massimo. Le tue caratteristiche ci aiuteranno a renderla un abito su misura >>.
Era strano, ma aveva un senso. Irina lasciò che l'italiano le misurasse l'altezza, la circonferenza delle spalle, la lunghezza delle gambe e delle braccia, il giro vita, persino il numero di scarpe. Dovette solo chiederle quanto pesava. Vide Dimitri dall'altra parte del garage sottoposto allo stesso trattamento, silenzioso e leggermente infastidito; i suoi occhi grigi la scrutarono un paio di volte, come a verificare la sua reazione.
Una volta terminato, De Benedetti le fece segno di salire sull'auto.
<< Vediamo come impugni il volante >> disse scherzosamente.
Irina si avvicinò alla LaFerrari, e quando la sua mano sfiorò la maniglia sentì una scossa percorrerla. L'unica cosa che le venne da pensare fu che quella era una Ferrari che nemmeno Xander aveva mai guidato...
"Se fossi qui, non crederesti a quello che sto per fare, Xander".
Deglutì e afferrò la maniglia.
La portiera si aprì verso l'alto, silenziosa, e Irina guardò il sedile in pelle rossa che la invitava a sedersi.
Era bassa, bassissima, e Irina si calò letteralmente nell'abitacolo che odorava di nuovo. Allungò le gambe sotto il volante squadrato, osservando i tre quadranti rotondi del contagiri, del tachimetro e della strumentazione; sfiorò i pedali e trattenne il fiato, mentre la LaFerrari la accoglieva come se fosse stata costruita su di lei.
Per la prima volta nella sua vita, Irina sentì l'anima di un'auto.
Non era la F12, potentissima e selvaggia; era qualcosa che andava oltre il concetto di velocità e potenza. Era l'espressione più pura della conoscenza e della passione di una scuderia che aveva scelto come proprio baluardo un cavallino rampante, infuso in un oggetto forgiato nel metallo che riusciva a diventare quasi vivo.
Ogni particella di quell'auto parlava, sussurrava di gare e vittorie, mormorava di passione e amore per le corse, raccontava di spiriti liberi e di sfide accettate. Irina riusciva a sentirlo, lo sentiva nella pelle d'oca che le venne quando accarezzò il volante, lo sentì nel brivido caldo che le percorse la schiena, mentre avvolta dal sedile respirava piano, il cuore che batteva forte nella cassa toracica.
In quell'auto c'era l'anima di chi amava correre, legalmente o meno, in una pista o in una strada. L'anima di centinaia di persone come lei.
Forse c'era anche l'anima di Xander e di William.
Non era e non sarebbe mai stata un'auto qualunque.
Non era una Ferrari, era La Ferrari.
Nessuno le disse di farlo, ma Irina chiuse la porta e premette il tasto Start.
Il garage venne invaso da quel suono primordiale, un ringhio feroce ma controllato, che racchiudeva in sé tutta la potenza di 973 cavalli e di un pizzico di follia. Si voltarono tutti verso di lei, sussultando, ma Dimitri fu l'ultimo a farlo. Si girò lentamente, come se sapesse già che Fenice non avrebbe mai resistito alla tentazione di guardare quell'auto e basta; come se sapesse già che quella era l'auto di Fenice, legata a lei dal filo indissolubile del destino.
E per la prima volta da mesi, per la prima volta da quando lo aveva ritrovato, Irina lo vide sorridere.
Sapeva ancora farlo.
Irina strinse il volante, guardò il cruscotto, appoggiò le spalle al sedile e si allacciò la cintura. Una leggera, leggerissima vibrazione proveniva dal cofano posteriore, dove il motore sussurrava quasi con dolcezza, e i suoi piedi sfioravano la pedaliera in alluminio. Era tutto incredibilmente perfetto, in quell'auto, e lei se ne sentì parte in modo inspiegabile.
Fadi si avvicinò, il turbante che gli svolazzava alle spalle. Le fece cenno di abbassare il finestrino, gli occhi scuri che scintillavano sul volto dai tratti quasi disegnati, e Irina ricordò che quell'auto gli apparteneva, e lei l'avrebbe avuta solo in prestito. Le avrebbe chiesto davvero solo un po' di pubblicità in cambio, o come sempre stava prendendo una grossa fregatura?
"Dimitri non mi avrebbe spinta a farlo, se non si fosse fidato di lui".
<< Fai un giro, Irina >> le disse sorridendo, << Conoscetevi >>.
Se fosse stata solo Irina, non avrebbe rischiato di guidare un'auto da un milione di dollari che non era nemmeno sua; in quel momento, però, Fenice scalpitava, e non le importava nulla di chi fosse quella macchina. Non le importava nemmeno il prezzo da pagare; in fondo, niente poteva essere peggio di quanto non avesse già scontato.
Annuì e richiuse il finestrino. Accarezzò l'acceleratore e LaFerrari si mosse delicatamente, fluida e docile, come se avesse capito che l'unica intenzione di Irina era quella di portarla fuori dal recinto e di farla scatenare. Non era la F12; era paziente, posata, quasi addomesticata. Percorse la rampa di uscita lentamente, per non far toccare il fondo sul pavimento, e uscì all'aria aperta, dove il sole splendente baciò la vernice nera della LaFerrari.
Il motore ruggì, e Irina sorrise.
Premette l'acceleratore.
Forse sentirono il rombo del motore in tutta Caracas, perché Fenice si sentì tremare dentro, quando LaFerrari la incollò al sedile, libera e senza briglie.
Quello che la gente vide fu solo un proiettile nero schizzare per le strade, una specie di missile con le ruote, così veloce che nessuno riuscì a leggerne la targa; si lasciò dietro solo la polvere e il vento, come un fantasma.
Bastarono pochi minuti a Irina per comprendere che quell'auto si piegava al suo volere come nessuna prima di allora, che la assecondava solo come sapeva fare la Punto. Era un'estensione del suo corpo, ogni manovra una proiezione del suo pensiero, e forse non era semplicemente perché era una delle migliori vetture al mondo. Era perché era sua.
Quando fermò la LaFerrari nel garage dell'albergo, le mani sudate e il cuore che batteva all'impazzata nel petto, Irina scoppiò a ridere. Tremava, tremava come una foglia, e non era per la paura; era l'adrenalina pura che le scorreva nelle vene, era il suo animo da pilota che si risvegliava dopo il coma profondo. Con quell'auto, aveva ritrovato la voglia di guidare e basta, come la prima volta che aveva corso nella sua vita. Come quella sera che aveva preso la macchina di Dominic e aveva sfidato il mondo dello Scorpione.
Scese dalla LaFerrari, gli occhi di Dimitri che la seguirono fino al bancone dove De Benedetti e Georg attendevano, palesemente impressionati. Lo svedese le fece un cenno con il capo, prese il portatile e si avvicinò al lato passeggero dell'auto.
<< Come va? >> domandò l'italiano, e la sua espressione sembrava sorpresa. Non avevano mai avuto a che fare con Fenice.
<< E' fantastica >> rispose Irina, << Non credo di aver mai guidato nulla del genere in vita mia >>.
<< E noi possiamo farla andare ancora meglio >> disse De Benedetti, divertito, << Abbiamo del materiale su cui lavorare, ora. In un paio di giorni potremmo avere già qualcosa da farti provare >>.
Come potevano rendere migliore qualcosa che sembrava già perfetto?
Irina annuì; anche se non avessero cambiato nulla nella LaFerrari, l'auto era già fantastica così.
Spostò lo sguardo sullo svedese, che era seduto al lato passeggero della LaFerrari e teneva il portatile sulle ginocchia, mentre sullo schermo scorrevano immagini di dati e grafici. Georg era concentrato, digitava sulla tastiera e aggrottava la fronte. Lei si sporse per guardare, e lui si scostò appena per lasciarle guardare lo schermo.
<< Stai scaricando i dati di guida dalla centralina? >> domandò a intuito. Parlò lentamente e a voce bassa, tanto in ogni caso il meccanico non l'avrebbe sentita.
Georg però sembrò comprendere, perché annuì e le rivolse un'occhiata. Con il dito le mostrò una serie di numeri, che però lei non riuscì a interpretare.
<< Mi dispiace, non so cosa vogliano dire >> disse.
Georg aprì un documento di scrittura sul pc, e digitò rapidamente un paio di righe.
Sterzi tanto e freni poco. Quando giri a sinistra tendi a usare maggiormente il sovrasterzo, mentre quando giri a destra no. Forse hai bisogno di un volante diverso.
<< Puoi capire tutto questo solo da questi dati? >> chiese Irina, stupita.
Georg annuì.
<< Questi meccanici sono alcuni dei migliori in circolazione >> si intromise Fadi, la voce che proveniva da dietro le sue spalle, << E sono qui semplicemente perché io voglio solo il meglio per le mie auto. Possono fare qualsiasi cosa... Tranne renderti un pilota >>.
Irina si voltò di scatto, ritrovandoselo praticamente a trenta centimetri di distanza. Avrebbe fatto un passo indietro, se non si fosse stata la LaFerrari a bloccarla. L'arabo si muoveva con leggiadria e leggerezza, e lei continuava a trovarlo minaccioso, nella sua gentilezza.
Fadi sorrise e le porse la mano, invitandola a lasciar lavorare i meccanici. Irina ne approfittò per guadagnare un po' di distanza.
<< Sei ancora sicuro di volermi far utilizzare la tua auto? >> domandò, cercando con gli occhi la figura rassicurante di Dimitri.
Fadi continuò a sorridere
<< Come potrei essere sicuro di non volerlo? >> ribattè, << O meglio, come potrei negartela? Porti il nome della mia casa preparatrice. Quell'auto è sempre stata lì aspettando solo te. Ho sempre amato credere che ogni persona e ogni oggetto abbiano un destino >>.
Irina non seppe che dire, perché Fadi era uno strano uomo in un corpo troppo attraente. Non era più abituata a tutta quella gentilezza, a quella reverenza, non da una persona ricca e particolare come lui. Si rese conto che la diffidenza era diventata la sua caratteristica principale, che vedeva nemici in ogni volto e in ogni angolo. Era stata tradita così tante volte che ormai non era più in grado di riconoscere davvero gli amici.
<< E' pur sempre un'auto da due milioni di dollari... >> disse a voce bassa.
<< Nelle mani di una donna che la sa usare >> concluse Fadi. Aprì le braccia e sorrise di nuovo. << Posso permettermi di offrirvi nuovamente la cena, questa sera? >>.
Irina si sentì tendere; non aveva davvero voglia di rimanere in compagnia di Fadi, non con Dimitri con una spalla ancora fresca di ferita e con Yana a casa sua, però non sapeva se poteva osare un rifiuto. Non conosceva Fadi e non sapeva cosa aspettarsi da lui; le dava l'idea di essere un uomo capriccioso, dietro tutti quei salamelecchi.
<< Credo... Credo di dover chiedere a Dimitri >> rispose lentamente.
<< Fa' pure >>.
Irina si voltò; Dimitri era appena sceso dalla Centenario, la spalla rigida. Disse un paio di cose a Weber, che annuì e appuntò qualcosa su un quaderno. A quel punto le rivolse un'occhiata, e lei si sentì come scoperta.
<< Fadi chiede se vogliamo rimanere nuovamente a cena >> disse a voce bassa, << Che... che facciamo? >>.
Il russo la fissò.
<< Tu che vuoi fare? >> ribatté.
<< Non... Non lo so >> mentì Irina, << Mi sta facendo usare la sua auto, in fondo... Possiamo rifiutare, o è scortese? E poi c'è Yana a casa... >>.
Gli occhi grigi di Dimitri si ridussero a due fessure, mentre la guardava. Non si era fatto la barba, e il suo viso risultava ancora più minaccioso.
<< Non è uno a cui piace sentirsi dire di no, non da una donna, visto che nella sua cultura le donne devono obbedire e basta >> rispose a voce bassissima, forse per non farsi sentire da nessuno.
Si avvicinò e Irina si morse il labbro.
<< Perché sei tanto terrorizzata da quell'uomo, Fenice? >> aggiunse Dimitri improvvisamente. << Non può essere peggio di Challagher >>.
Irina si sentì trapassata; il russo aveva capito. Chissà come, aveva compreso che Fadi la metteva in difficoltà.
<< Lo so che non è William >> rispose lentamente, sentendosi molto stupida, << Solo che lo trovo... Troppo diverso >>.
Dimitri inarcò un sopracciglio. Per un attimo sembrò quasi che volesse ridere.
<< Sei troppo abituata a farti trattare male, Fenice >> disse alla fine, << Non ci fermeremo, comunque. Parlo io con lui >>.
La superò, e Irina non capì la sua reazione. Lo guardò parlare con Fadi, che annuì senza far morire il suo sorriso sulle labbra. Non le aveva dato l'idea di essere così tradizionalista, visto che lasciava guidare la sua LaFerrari a una donna... Forse dietro c'era altro, ma preferì non innervosire ulteriormente Dimitri con altre domande.
<< Possiamo andare >> disse il russo tornando verso di lei, << Fra un paio di giorni torneremo per verificare le modifiche alle auto >>.
Salutarono tutti e risalirono sulla F12, mentre Irina tirava un sospiro di sollievo. L'unica cosa che rimpianse fu di dover lasciare lì la LaFerrari.
<< Cosa gli hai detto? >> domandò, mentre accendeva il motore della F12 e si avviavano verso casa.
<< Che dovevi prepararci la cena >> rispose Dimitri, con un tono di voce strano.
Irina lo guardò con la coda dell'occhio, senza sapere se stesse scherzando o meno.
<< Davvero? >>.
<< No >>. Il russo sbuffò. << Gli ho spiegato che c'è mia nipote a casa e che ha bisogno di una cena decente, fatta da una persona che la sappia cucinare >>.
Dimitri apprezzava le sue doti in cucina; bè, era un nuovo passo avanti. Sorrise appena, senza farsi vedere.
Quando arrivarono a Campo Claro e lasciarono la F12 in garage, Irina vide Dimitri tenersi la spalla con una smorfia, mentre scendeva dall'auto. Evidentemente doveva avere ancora qualche problema, e la cosa la preoccupò. Il russo però non disse nulla, e anche questo volta preferì non infastidirlo; sperava solo che se avesse avuto bisogno di qualcosa, lo avrebbe detto, a lei o a chiunque altro.
Quella sera Yana fu entusiasta della possibilità di darle una mano a cucinare, e Irina le lasciò apparecchiare la tavola; quando finì si fece aiutare a pelare le patate e gliele lasciò mettere nell'olio bollente per friggerle, tenendola d'occhio affinché non si bruciasse. La bambina ridacchiò diverse volte perché sfrigolavano allegramente ogni volta che versava delle patate nuove nella padella.
<< La mamma non ti fa mai cucinare? >> le chiese, vedendola particolarmente contenta.
<< No, perché deve sempre fare tante cose e prima fa sempre la pappa per Serjey >> rispose Yana, << E poi a casa devo fare i compiti, qui no >>.
<< Ok, allora sfruttiamo questa occasione >> disse Irina sorridendo, << Possiamo fare anche una torta, cosa ne pensi? >>.
Yana annuì energicamente.
<< Sìììììì >>.
<< Allora passami le mele, che le laviamo >>.
Fu una gioia per gli occhi vedere Yana impegnarsi a fondo per mescolare l'impasto della torta nella terrina, tanto che suo padre si affacciò un paio di volte per capire cosa la stesse divertendo così tanto. Persino Emilian si lasciò andare a una risata, quando la vide impiastricciata di farina. Solo Dimitri non si affacciò nemmeno una volta alla cucina, tenendosi alla larga.
Cenarono seduti tutti al tavolo, e non parlarono di nulla fuorchè diargomenti innocui, perché i russi con Yana davanti non osavano discutere dei loro affari. In compenso la bambina parlò parecchio, facendo domande e vantandosi della torta che aveva preparato personalmente, tra l'ilarità generale. Per evitare che si offendesse, Irina garantì che in effetti il suo contributo era stato determinante per la riuscita della ricetta.
Ogni tanto gettò qualche occhiata a Dimitri, che continuava a rimanere serio e distante; doveva essere preoccupato, un po' per la storia di Boris e un po' per il fatto che Yana era lì con loro. E ogni tanto si stringeva la spalla.
Alla fine, Irina mise Yana a dormire nel suo letto, o almeno tentò di farlo. Si sentì come ai tempi in cui Tommy viveva con lei, mentre infilava il pigiamino alla bambina e la convinceva a infilarsi sotto le lenzuola. Non aveva perso la mano, tutto sommato, ma le si strinse lo stomaco comunque.
Yana voleva che rimanesse a dormire con lei, ma Irina si rese conto di essere preoccupata per il russo e di voler accertarsi delle sue condizioni, prima che si dileguasse nell'appartamento di Emilian e Ivan. La bambina acconsentì a dormire da sola ma con una piccola lucina accesa, così la lasciò nel letto e le rimboccò le lenzuola, promettendole che sarebbe tornata il prima possibile.
Trovò il Mastino davanti allo specchio del bagno, a torso nudo e con le sopracciglia aggrottate, mentre si strappava con aria infastidita la benda che Irina gli aveva messo la sera prima.
<< Vuoi una mano? >> sussurrò Irina, rimanendo sulla soglia, incerta se entrare o meno.
Dimitri le rivolse un'occhiata.
<< No >>.
La ferita si stava annerendo e aveva un brutto aspetto; probabilmente c'era un inizio di infezione, e i punti si erano incrostati di sangue. Dimitri gettò nel lavandino la benda insanguinata e si guardò nello specchio.
Irina si morse il labbro, conscia del fatto che il russo odiava ogni forma di premura, soprattutto se arrivava da lei, però non poteva fare finta di niente. Non poteva fingere che non le importasse nulla di lui, anche se lui riteneva fosse sbagliato.
<< Hai la febbre? >> gli domandò.
<< No >>.
Non voleva che si avvicinasse per via di quello che era successo la notte prima, Irina lo capì. Però che non poteva guardarlo maciullarsi, non solo per una questione di orgoglio. Andò a recuperare la bottiglia di disinfettante che aveva comprato quella mattina e si avvicinò, rischiando un'occhiataccia.
<< Non ci provare >> ringhiò il russo.
Irina si bloccò, però non indietreggiò. Dimitri era di nuovo sulla difensiva, e lei non aveva alcuna intenzione di attaccare. Era un po' come avvicinarsi a un animale selvatico: si conoscevano, si erano osservati, ma rimanevano comunque due creature di mondi diversi. In quel momento, il lupo solitario che c'era nell'animo di Dimitri voleva solo essere lasciato in pace e solo lui ne sapeva il motivo.
<< Va bene, fai da solo se preferisci >> disse a voce bassa Irina, appoggiando il disinfettante sul mobiletto, << Vado a finire di lavare i piatti >>.
Lo lasciò in solitudine, e tornò dopo più di venti minuti. Più di una volta si chiese perché alternassero momenti di empatia e momenti di totale distacco, ma forse era semplicemente perché avevano caratteri troppo diversi.
Il lavandino era pieno di macchie di sangue e di garze usate, quando si affacciò alla porta del bagno. Il russo si stava fasciando di nuovo la spalla, e la bottiglietta di disinfettante era un po' meno piena. Le rivolse un'occhiata e le fece un cenno.
<< Legamela... Per favore >> disse bruscamente, riferendosi alla benda.
Irina si avvicinò con cautela, e fissò il tessuto con una graffetta, nascondendo di nuovo la Lince con la faccia sfregiata. Inevitabilmente gli sfiorò la pelle nuda, calda come sempre, e Dimitri sembrò irrigidirsi, la vena del collo che si gonfiava. Le rivolse un'occhiata e lei indietreggiò, la sensazione di aver sbagliato la mossa addosso.
Perché faceva così? Perché a momenti alterni sembrava disprezzarla, e in altri la trattava con malcelata gentilezza? Perché non si decideva ad usare un atteggiamento unico, nei suoi confronti?
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma in quell'esatto istante comparve Yana, in pigiama e con gli occhietti assonnati.
<< Irina... Zio Dim... >> disse, stropicciandosi la faccia, << Non mi piace questo letto... Non riesco a dormire... >>.
Si avvicinò al russo, i piedini scalzi che si muovevano senza far rumore sul pavimento freddo. Dimitri si infilò il maglione scuro addosso e le rivolse un'occhiata dall'altro in basso.
<< Non voglio stare da sola... >> aggiunse Yana.
Irina si avvicinò con l'intenzione di porgerle la mano e accompagnarla a dormire, ma Dimitri fu più veloce: si abbassò e la prese in braccio come una grande bambola di porcellana.
Si sentì gelare, immaginando i punti di sutura sulla ferita che gli strappavano la carne.
<< Non... >> iniziò, poi si corresse, << La spalla! >>.
Dimitri la zittì con gli occhi; non era dell'umore giusto per farsi dare ordini. Usò il braccio buono per trasportare Yana fino alla camera, Irina dietro di loro che pregava che la spalla del russo reggesse.
<< Qualcuno dorme con me, per favore? >> domandò Yana, stropicciandosi di nuovo gli occhi.
Irina guardò Dimitri, e Dimitri guardò lei. La bambina li fissò entrambi, il braccio appoggiato sulla spalla buona del russo, e per una frazione di secondo Irina sudò freddo, terrorizzata. Qualcosa nello stomaco le disse che Yana era pronta a chiedere che venissero entrambi a dormire con lei.
Nello stesso letto.
Di nuovo, Dimitri fu più veloce, come se conoscesse abbastanza sua nipote da sapere cosa poteva frullarle per la testa. Mise giù Yana e la spinse dentro la camera, l'espressione imperscrutabile.
<< Va' a dormire con lei >> disse rivolto a Irina, senza ammettere repliche.
Lei annuì.
<< Non me ne andrò, sono nella stanza di fianco >> aggiunse, rivolto direttamente a Yana.
La bambina sembrò sufficientemente rincuorata e finalmente si decise ad andare a letto, mentre Irina non riuscì a trattenersi nel guardare la schiena del Mastino che si allontanava.
Era un bravo fratello e un bravo zio, al di la di tutto.
Quando il giorno seguente Irina si svegliò, Yana dormiva ancora della grossa. Guardò l'orologio e si rese conto che erano solo le sei del mattino, ma si alzò lo stesso, leggermente agitata. Aveva fatto un paio di brutti sogni; William era tornato a trovarla e stavolta era venuto anche Xander.
Trovò Dimitri già in cucina, che beveva una grossa tazza di caffè, vestito come se dovesse uscire. Irina si accorse che mancava una fetta dalla torta che aveva lasciato la sera prima nel piatto sul bancone di marmo, ma non fece commenti e lo salutò a voce bassa.
<< Boris sarà al Nurburgring >> disse all'improvviso Dimitri, senza guardarla, << Ne sono praticamente certo >>.
<< Pensi sul serio che Selena gli abbia promesso aiuto a Mosca? >> chiese Irina, cogliendo l'occasione della sua improvvisa loquacità sull'argomento, << O c'è qualche altro motivo per il quale ha deciso di unirsi a lei? >>.
<< Credo che i Velasquez gli abbiano promesso di uccidermi >> rispose Dimitri, posando la tazza nel lavandino, << Se saranno loro a farlo, su di lui non cadrà alcun sospetto e i russi lo accetteranno come Lince se si dovesse proporre. Non potrebbe essere accusato di nessun omicidio, e nessuno potrebbe negargli il mio posto, visto che è il membro più anziano della nostra famiglia... E' stato Boris a tradirmi, in tutti i mesi che sono stato in giro per l'Europa: è così che gli uomini di Selena mi hanno trovato. Era una delle persone più vicine che avevo, in quei momenti. Non mai avrei messo la mano sul fuoco sulla sua fedeltà, ma non avrei nemmeno immaginato che potesse davvero escogitare un piano così subdolo, non nei miei confronti >>.
Le sembrò che volesse imprecare; era furioso, Irina lo capì dal gonfiore della vena sul suo collo. Più che per il tradimento, sembrava arrabbiato dal fatto che non avesse pensato a un'ipotesi del genere. Poteva? In fondo Boris era pur sempre suo zio, il fratello di suoi padre, e sapere che non gliene importava nulla dei legami di sangue lasciava dispiaciuta lei, chissà Dimitri...
Il russo guardò fuori dalla finestra.
<< E' sempre andato più d'accordo con Challagher, che con il resto della famiglia >> disse, e con quella frase sembrò chiudere in discorso.
Irina sospirò. Il quadro della situazione era più chiaro, ma non ancora completo. A quel punto, mancava un'unica informazione: dove Selena Velasquez avesse preso i soldi per costruire il suo impero e per portare avanti la sua crociata. Lo disse al russo e lui scosse il capo.
<< Ivan ha controllato ogni fonte, ogni possibile crimine negli ultimi anni che possa essere collegato a lei e che possa spiegare come abbia ottenuto quei soldi >> disse freddamente, << Non c'è niente. Niente rapine, niente furti, niente traffici illeciti. Qualcuno deve averla finanziata >>.
<< Potrebbe essere stato Boris? >> ipotizzò Irina.
<< Potrebbe, ma a quel punto Selena dovrebbe avergli promesso qualcosa di più di un semplice omicidio >> rispose Dimitri, << Conosco Boris, e lui non gioca più di quanto non possa guadagnare >>.
Poteva avergli promesso qualsiasi cosa, magari la stessa Los Angeles, ma ogni ipotesi fatta rimaneva un'ipotesi, finché non arrivavano alla verità.
<< A chi potremmo chiedere? >> domandò più che altro a sé stessa.
Dimitri non rispose; lei non aveva conoscenze in quelle zone, se non quelle che in qualche modo aveva ereditato dallo Scorpione...
Poi, venne folgorata.
<< Simon Cohen >>.
Perché non aveva mai pensato a lui?
Molto probabilmente sarebbe stato un buco nell'acqua, ma Cohen era vissuto e molto probabilmente viveva ancora in Messico, e forse poteva sapere qualcosa. Magari bastava anche solo una voce, una piccolissima informazione, per farli svoltare.
Dimitri si girò, le braccia incrociate e gli occhi che la scrutavano.
Erano anni che Irina non lo vedeva. Da quando era diventata una poliziotta, aveva perso i contatti con tutti quelli che non erano amici di vecchia data e parenti. Aveva ancora il suo vecchio numero di telefono in rubrica, ma poteva averlo cambiato...
<< Devo contattarlo >> disse, saltando in piedi, << Potrebbe sapere qualcosa... Non abbiamo poi molte altre strade, da percorrere >>.
Dimitri annuì.
<< Prova >> disse solo.
Trovare Simon Cohen non si rivelò facile. Il vecchio numero era passato a una nuova persona che non lo aveva mai sentito nominare, così fu costretta a fare un lunghissimo giro di telefonate che non la portò da nessuna parte. Sfruttò un paio di nomi che le diede il russo, e qualcuno che ripescò dalla memoria, gli unici di cui aveva conservato un contatto. Tutti, nessuno escluso, diceva che Cohen era uscito dal giro già da un bel po' di anni, e nessuno lo aveva più cercato.
Sbuffò, e quando Yana entrò in cucina stropicciandosi gli occhi, mise da parte il cellulare e le preparò la colazione. Dimitri nel frattempo sembrava sparito.
Nel pomeriggio si fece aiutare da Ivan a fare qualche altra ricerca, e scoprì che Simon aveva aperto una rivendita di pneumatici a Città del Messico. Si fece dare il numero di telefono e chiamò, sperando di trovarlo. Fu fortunata, perché la segretaria ebbe la gentilezza di dire a Simon se voleva parlare con una certa Irina Dwight, prima di mentire e dire che non era in officina.
<< Come posso dimenticarmi di te, Fenice! >> esclamò il nero, quando la sua voce la raggiunse da chilometri di distanza, facendole quasi tremare il telefono in mano, << Come stai, ragazza? >>.
Irina mentì spudoratamente a ogni domanda di Simon, perché non poteva raccontare per telefono cosa stesse facendo e dove fosse, e Cohen sembrò capirlo. Non gli disse nemmeno di Xander. Avrebbe voluto parlare di più con lui, ma le telefonate lunghe erano pericolose e già stava rischiando molto così, chiedendogli informazioni particolari.
<< Ho solo bisogno di un favore, Simon >> disse Irina alla fine, << Sai qualcosa di una certa Selena Velasquez? >>.
<< Non mi dice nulla, Fenice >> rispose Cohen, << Chi è? >>.
<< Una donna che ha tutta l'intenzione di farmi fuori >> rispose Irina, << Sto cercando di scoprire da dove arriva, e perché odia così tanto la Black List >>.
Simon rimase un momento in silenzio. Forse stava cercando nei cassetti della sua memoria, nei nomi delle persone che aveva incontrato in Messico. Irina sperò trovasse qualcosa, ma non era ottimista.
<< Posso chiedere in giro, Irina >> disse alla fine Cohen, << Ma non ti garantisco di trovare le informazioni che cerchi. Ho qualche vecchia conoscenza che potrebbe aiutarmi, però potrebbe anche essere uno spreco di tempo. Sono troppi anni che non mi interesso di gare clandestine, e ho perso un po' di contatti... >>.
<< Lo so, ma non so dove sbattere la testa. Mi farai sapere? >>.
<< Ti farò sapere, Irina >> disse Simon, poi aggiunse: << Sei sola, in questa cosa? >>.
Irina si gettò un'occhiata alle spalle, per accertarsi che Dimitri non fosse nei paraggi. Cohen doveva ricordarsi per forza di lui, e doveva ricordare anche la loro famosa inimicizia.
<< No, non sono sola >> rispose lentamente, << Ma è meglio che tu non sappia chi c'è con me... >>.
<< So che non è lui >> ribatté piano Cohen, << Sta' comunque attenta, ragazza >>.
Simon sapeva di Xander; un nodo le si strinse in gola.
<< Lo farò, grazie >>.
Simon sembrò sorridere dall'altra parte della linea.
<< E comunque, si sente parlare di te anche qui, Fenice >>.
Irina fece una piccola smorfia.
<< Sentirai sempre parlare di me, Simon. Aspetto tue >>.
Lo salutò e chiuse la telefonata. Per un momento, il nodo allo stomaco le fece venire la nausea.
<< Irina? >>.
Yana la chiamò dal soggiorno, dove stava disegnando seduta al tavolino di cristallo. Ingoiò quella strana sensazione che le attanagliava lo stomaco e la raggiunse. La bambina le porse la sua creazione e Irina la osservò con un sorriso: era un paesaggio marino con tante persone stilizzate ma incredibilmente riconoscibili grazie ai piccoli particolari che Yana aveva inserito. C'era Vilena, Iosif, Serjey, Emilian, Ivan, Dimitri... e lei, Irina. Non in un angolo, non in disparte, ma al centro, proprio vicina al Mastino.
<< Te lo regalo >> disse la bambina, << Ti piace? >>.
<< Molto Yana, grazie >> rispose Irina, << Ma perché ci sono anche io? >>.
La bambina sembrò sorpresa dalla domanda.
<< Perché sei mia amica e io ti voglio bene >> rispose, << E io voglio che fai parte della mia famiglia >>.
Irina sorrise, anche se si sentì morire dentro. Yana era ancora troppo piccola per capire che quelle come lei non erano destinate a una vita normale, che far parte della famiglia di qualcuno le rendeva un pericolo per tutti quelli che le stavano intorno. Come dirle che era impossibile, che non bastava il suo affetto a renderla migliore?
Si abbassò verso Yana e le prese una manina.
<< Anche io ti voglio bene, piccola >> le disse solo.
La bimba la abbracciò, e in quell'abbraccio Irina sentì tutto il peso delle scelte sbagliate della sua vita. Non avrebbe mai avuto una famiglia, una vita normale, semplicemente perché lei non era fatta per quello. Non era fatta per scegliere l'ovvio e lo scontato, e il prezzo da pagare era anche accettare di non avere affetti a cui aggrapparsi.
<< Facciamo merenda? >>.
<< Facciamo merenda >> sospirò Irina.
Ore 17.00 – Caracas, La Tahona
Dimitri scavalcò la recinzione del capannone grigio del quartiere disabitato di La Tahona, e atterrò all'interno del perimetro dell'edificio, l'Audi R8 parcheggiata nascosta dietro un grosso cespuglio. Non sembrava esserci nessuno, nel secondo deposito Torec, e lui ruppe il lucchetto della saracinesca con un colpo del calcio della pistola. Aprì la serranda e si infilò dentro, al buio.
In un paio di tentativi trovò l'interruttore della luce, ma attese qualche secondo ad accenderla. Si accertò che non ci fosse nessuno, prima di farlo. Alle orecchie non gli arrivò alcun rumore, solo il cinguettio di qualche uccellino solitario.
Quando i neon sul soffitto si accesero dopo un breve sfarfallio, trovò esattamente quello che pensava: auto. Una ventina di auto coperte da teli neri erano disposte in fila, una vicino all'altra, immobili come statue.
Dal profilo ne riconobbe alcune, ma fu una in particolare ad attirare la sua attenzione: era una Lamborghini, si vedeva dal taglio a cuneo della carrozzeria.
Si avvicinò e alzò appena il telo: la vernice era grigio carbonio, le pinze dei freni gialle, i cerchi enormi e le minigonne nere.
Era una Reventon.
Abbassò il telo e passò a un'altra auto. Sotto il tessuto c'era una Dodge Viper verde.
Forse erano le auto che Selena aveva intenzione di portare al Nurburgring; le aveva nascoste per tenerle al sicuro e per garantirsi un effetto sorpresa...
Sotto un altro telo, trovò una Audi A5 rossa.
Fu la macchina successiva, a insospettirlo.
Una Porsche Boxter gialla.
Dimitri rimase a guardare l'auto per qualche secondo, prima di realizzare.
Tornò verso la prima macchina, e strappò via il telo da sopra la Reventon. Aprì la portiera e guardò dentro, tra i sedili in pelle, dove la targhetta in carbonio recitava "001".
Quella era la Lamborghini di William Challagher; non una simile, era la sua. Quella che aveva rubato con il suo aiuto e quella che aveva usato a Las Vegas l'anno in cui Went era venuto a Los Angeles.
Dimitri imprecò, mentre scopriva una a una le altre auto, e tutte le vetture appartenute ai piloti della Black List venivano alla luce.
L'Audi A5 di Robert O'Correl, Lupo Grigio, il numero sei della Lista.
La Dodge Viper verde di Jim Whitman, il numero quattro.
E poi la Mazda MX7 di Hiro Kawashima, il Dragone, il numero cinque. La Mercedes CLK di Vipera, Vera Gonzalez. La Mustang arancione di Cavallo Pazzo. La Shelby GT di Brett Goldsmith. La Lotus blu di Gregory Horne.
C'erano tutte, e c'erano anche le seconde auto dei piloti, e quasi tutte quelle appartenute a William Challagher.
Imprecò, perché capì che mancavano solo due auto, alla collezione di Selena Velasquez.
La Ford GT rossa del Mastino, e la Punto bianca di Fenice.
Il cellulare gli vibrò in tasca, e fu costretto a tirarlo fuori. Non avrebbe risposto, se sul display non fosse comparso il numero di Irina.
<< Cosa c'è? >> ringhiò a voce bassa.
<< Ciao zio Dimitri, posso andare con Irina a prendere il gelato? >>.
La voce innocente di Yana quasi lo fece imprecare, perché in quel momento era l'ultima cosa che Dimitri si aspettava.
<< Perché me lo chiedi? >> domandò.
<< Irina ha detto che devo chiedere a te, se posso uscire >> spiegò Yana, seriamente, << E io voglio andare con la sua macchina gialla... Possiamo, per favore? >>.
Dimitri rimase per qualche secondo con gli occhi puntati sulla Reventon, ma la sua testa era a casa, di fronte a quella bambina che chissà come riusciva a ottenere sempre quello che voleva. Doveva essere stata Fenice a dirle di chiedere a lui il permesso, ben conscia del fatto che Caracas non era una città sicura per una bambina. Molto probabilmente era quasi certa che dicesse di no.
<< Dove dovete andare, di preciso? >> chiese.
Sentì Yana fare la stessa domanda a Irina, e la voce della ragazza che rispondeva.
<< Alla gelateria all'angolo con il Centro Commerciale Lider >> rispose Yana, anche se sembrava non aver capito bene, visto che sembrava dubbiosa.
Dimitri guardò l'orologio.
<< Va bene, vi raggiungo lì tra una ventina di minuti >> rispose, << Fate venire Emilian e Iosif, con voi. E potete prendere l'auto gialla >>. La bambina gridò, entusiasta. << E dì a Fenice di stare attenta, chiaro? >>.
<< Sì sì, grazie zio! >> disse Yana, e chiuse la telefonata.
Per un secondo, Dimitri dimenticò di avere davanti tutte le auto della Black List, e si ritrovò a trattenere un sorriso, di fronte all'entusiasmo fanciullesco di Yana. Si fidava di Fenice, ma era meglio tornare indietro a controllare; doveva anche dirle quello che aveva trovato, e non sapeva come avrebbe reagito.
Dove le aveva prese Selena quelle macchine?
Ricoprì le auto con i teli, uscì dalla rimessa e risalì sulla R8. Ci mise più o meno venti minuti ad arrivare alla gelateria che aveva indicato Yana, e fu fin troppo facile individuare la F12 di Irina, perché nonostante fosse parcheggiata in disparte, un capannello di persone si era assiepato intorno alla Ferrari e la guardava con ammirazione. Fermò la R8 di fianco e scese.
Yana era seduta su una panchina e dondolava le gambe, un enorme cono gelato stretto in mano che si scioglieva lentamente e le disegnava rivoli colorati tra le dita. Irina stava cercando di evitare che si sporcasse, tamponandole i lati del cono con i tovaglioli di carta, ma non ci riusciva perché Yana rideva come una pazza cercando di leccare il gelato e di non farlo cadere. Non era abituata a mangiarlo, in Russia faceva sempre troppo freddo, ma sembrava apprezzarlo molto, visto come lo gustava.
Irina scoppiò a ridere, quando la bambina sbagliò le misure e infilò anche il nasino nel gelato, sporcandosi la faccia. Sembrava particolarmente leggera, in quel frangente, come se tutto il resto, i Velasquez, Went, le auto e le gare, non esistessero.
Dimitri inchiodò, di fronte a quella scena; si gelò a una decina di metri da quella panchina, perché capì che quando l'avessero visto, quando sarebbe ripiombato nelle loro vite in quel minuscolo spiraglio di spensieratezza, la loro serenità sarebbe svanita in uno sbuffo di fumo. Lui portava i guai, portava il nero, portava il mondo dal quale entrambe dovevano tenersi lontane.
Non era giusto, lo sapeva. Non era giusto che Yana fosse condannata dal proprio cognome e che Irina fosse segnata da una scelta sbagliata.
Come se lo avesse sentito arrivare, Fenice si voltò di scatto verso di lui, il sorriso che si incrinava appena; lo salutò con la mano, e Dimitri si avvicinò. Fenice aveva l'aria colpevole.
<< So che non è sicuro, però non sono riuscita a dirle di no... >> si giustificò a voce bassa.
Dimitri scosse il capo. Nessuno era in grado di negare qualcosa a Yana, figuriamoci lei.
<< Ho forse detto qualcosa? >> ribatté lui.
Irina sembrò colta alla sprovvista. Magari si aspettava che la sgridasse, che le dicesse che come al solito aveva fatto una stronzata...
<< Ehm... No, scusami >> mormorò Irina.
<< E' una bambina >> disse Dimitri, << Merita anche il rischio, qualche volta >>.
Fenice sembrò fulminata dalle sue parole, e il Mastino rimase in silenzio, distogliendo gli occhi da lei. Yana li guardava, curiosa, leccando il suo gelato con gusto.
Non c'era quasi nessuno nel piccolo parco davanti alla gelateria; c'erano solo un paio di bambini che giocavano sull'altalena, guardati a vista dalle nonne. Dimitri gettò una fugace occhiata a Fenice, che aiutava di nuovo Yana con il gelato, e la trovò smagrita. C'erano ancora troppe cose che la consumavano, forse troppi pensieri e troppi ricordi che non si sarebbe lasciata alle spalle finché tutta quella storia non sarebbe finita...
Poi, Irina sembrò irrigidirsi; rimase di fronte a Yana, in piedi, gli occhi che lentamente si spostavano verso di lui. Un'ombra nera comparve al lato del parco, e Dimitri imprecò sotto voce.
<< Sembra che Jorgen Velasquez si sia già ripreso >> commentò Fenice.
Quel figlio di puttana era lì, e sicuramente voleva vendetta per l'incidente della gara di Los Medanos, e per il fatto che non era riuscito per l'ennesima volta a ucciderlo. Forse voleva Yana, forse voleva usare lei come punto debole sia suo sia di Fenice...
Il Pathfider di Emilian, fino ad allora immobile a bordo strada, si mosse lentamente, aggirando il parco e dirigendosi verso la Koennisegg Agera che era ferma vicino al marciapiede.
<< Cosa c'è? >> domandò Yana, accorgendosi della faccia di Irina. Una goccia di cioccolato le cadde sui pantaloni.
La ragazza si abbassò.
<< Forse dobbiamo andare >> rispose lentamente, << C'è una persona che mi sta un po' antipatica, qui intorno... >>.
Dimitri arricciò il labbro, gli occhi incollati alla Koennisegg; alle sue spalle però sentì il rumore di un motore, e la sagoma della Nissan GTR di Felix Moreau si fermò a un centinaio di metri da loro. Dovevano essere più di due, molto probabilmente.
Yana era rimasta a Campo Claro a sufficienza; se dovevano subire un agguato ogni due giorni, era suo dovere rimandarla al più presto a casa. Anche subito. Anche adesso.
Irina strinse la mano di Yana e la aiutò a scendere dalla panchina, mentre lui afferrava il braccio di Fenice e la spingeva verso le auto parcheggiate. Emilian li copriva da Jorgen, ma Felix era comunque alle loro spalle...
Il gelato di Yana cadde spiaccicandosi sull'asfalto, quando lei e Irina iniziarono a correre verso l'Audi R8, ma la bambina non si lamentò e seguì Fenice in silenzio. Dimitri coprì loro la fuga, Felix che si limitava a osservarli da dietro i vetri scuri dell'auto.
<< Yana se ne deve andare >> ringhiò Dimitri, << Dobbiamo portarla all'aeroporto, adesso. Il nostro aereo cargo è ancora lì >>.
Irina annuì. Tirò fuori le chiavi dell'auto e strinse la mano di Yana.
<< E papà? >> domandò la bambina, improvvisamente spaventata.
Dimitri arricciò il labbro. Iosif era sul Pathfinder... Doveva far tornare a casa anche lui, non poteva permettere che Yana rimanesse orfana.
<< Tu prendi Yana, io penso a Iosif >> disse Irina di getto.
Nella sua voce passò una nota di rabbia, qualcosa che assomigliava al ringhio basso e minaccioso di un'animale selvatico messo in trappola. In quell'istante, Dimitri vide i suoi occhi brillare, brillare di una luce nuova, una luce che non avrebbe visto in altre occasioni.
Era arrabbiata, arrabbiata solo come poteva esserlo una madre. Non c'era nessun legame di sangue tra lei e Yana, ma era come se fossero legate da una catena invisibile e incomprensibile, la stessa che legava lui a sua nipote.
Per la prima volta nella sua esistenza, Dimitri Goryalef si sentì in sintonia con qualcuno.
Yana era estremamente importante per entrambi, più di loro stessi, più di tutto il resto. Lo vide negli occhi di Fenice: se lui era disposto a fare qualsiasi cosa per salvare quella bambina, lei avrebbe fatto altrettanto. Lo aveva già fatto, aveva messo Yana prima di lei già in passato; senza chiedere niente, senza aspettarsi nulla.
Dimitri non pensò, perché non ci fu bisogno di farlo.
<< No, tu prendi Yana >> ordinò, << Portala all'aeroporto di Caracas >>.
Irina sbiancò.
<< Io? Sei tu quello più veloce! >> disse, << Hai molte più possibilità di me di scappare! Non puoi... >>.
Dimitri la afferrò per un braccio.
<< Fa' quello che dico, Fenice >> ringhiò, << Con te Yana è più al sicuro che con chiunque altro. Falla arrivare a casa >>.
Irina deglutì.
Dimitri si fidava di lei, si fidava di lei così tanto da mettere le sue mani la vita di una delle persone più preziose della sua esistenza; diversamente da lui, Irina era sempre stata in grado di proteggere chi le stava intorno. Era lei quella che aveva cresciuto un bambino di pochi mesi mentre di notte faceva la pilota clandestina.
Yana sarebbe stata al sicuro, e lo sarebbe stata la stessa Fenice, perché per proteggerla Irina avrebbe dovuto salvaguardare anche se stessa.
<< Va bene >> disse Irina, << Stai attento, per favore >>.
Dimitri annuì e aiutò Yana a salire sul posto del passeggero sulla F12. Un attimo dopo, il motore della Ferrari ruggiva, Irina inseriva la retro e sgommava via.
Dimitri si voltò verso la Nissan GTR ferma cento metri più in là.
"Non avete capito con chi avete a che fare".
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