Capitolo XXXIX
dedicato a quei pazzoidi di:
Buon viaggio di nozze, ovunque andrete!
Ore 16.00 – Caracas, Studio Rivero
Irina si mosse appena sulla sedia, gli occhi puntati sull'avvocato Rivero, mentre lui rimava tranquillo dietro la sua scrivania, il naso ancora nero per la botta che gli aveva fatto dare Dimitri, le mani appoggiate sul ripiano. Questa volta Irina non aveva indossato la maschera della donna d'affari: si era presentata in jeans, camicia e giacca, esattamente come doveva essere Fenice. Ed era venuta da sola.
Sapeva che sarebbe stato pericoloso presentarsi di nuovo in quello studio, dopo quello che era successo, ma non aveva potuto ignorare il suo bisogno di sapere. Per due giorni era rimasta in silenzio, chiusa tra le pareti dell'appartamento di Campo Claro, provando solo ed esclusivamente dolore, la mente piena di pensieri e di domande. Era difficile accettare, comprendere tutto quello che sembrava una enorme pantomima.
Poi, si era resa conto che avrebbe dovuto sapere tutto, per poter riuscire a dare un senso alle cose, o almeno a tentare di farlo.
Dimitri non sapeva dove si trovava, non lo sapeva nessuno; aveva chiesto in prestito il Pathfinder ed era andata via, senza che Emilian le chiedesse nulla, come se sapesse già che doveva fare qualcosa che non richiedeva la presenza di nessuno. Non importava che ora dietro la porta dello studio ci fossero due guardie armate pronte a difendere l'avvocato, o che Selena avesse potuto per caso seguirla o mandare qualcuno a farla fuori. Era qualcosa che doveva affrontare in solitudine.
Si strinse le mani, prese un respiro profondo e guardò Rivero.
<< Raccontami tutto dall'inizio, per favore >> disse.
L'avvocato storse il naso, la fronte imperlata di sudore, il fastidio palese sul suo volto. All'inizio non aveva quasi voluto farla entrare, poi lei aveva garantito di essere sola e ci aveva ripensato. Le aveva messo i due scagnozzi alle calcagna, prima di farla accomodare nello studio.
<< George Challagher e io ci conoscevamo da molti anni >> iniziò, sfiorando il bicchiere di rum che teneva sul tavolino, << Da quando ha iniziato a frequentare il Messico e l'Argentina per affari, quando ancora suo figlio non andava nemmeno a scuola. Ogni tanto passava a trovarmi, a chiedere qualche consulenza, a cercare dei canali per dei lavori da queste parti.
<< Una volta rimase qualche settimana a Caracas, e volle un consiglio per un buon locale dove trovare donne disponibili e belle che potessero soddisfarlo... Litigava spesso con la moglie, ricordo, e William doveva avere più o meno due anni. Diceva di aver bisogno di staccare un po' la spina. Gli dissi di andare in un posto a ovest di Caracas, dove molto probabilmente trovò un paio di prostitute interessanti con cui dilettarsi. Una rimase incinta, non so quanto volontariamente o meno >>.
Rivero bevve un sorso di rum, divertito. Forse era una storia già sentita, da quelle parti.
<< George lo venne a sapere mesi dopo, quando tornò qui e chiese nuovamente di quella donna al locale. Un po' di domande nei posti giusti, e scoprì che il bambino doveva essere suo. La donna lo confermò. Si chiamava Jamina Velasquez Rivera, si era sempre guadagnata da vivere facendo la prostituta e si diceva che fosse una che ci sapesse fare, nonostante ormai fosse vecchia, per il suo campo. In ogni caso, non chiese nulla a George, nemmeno che riconoscesse la figlia o che le desse del denaro per mantenerla, cosa assai rara per una donna che faceva il suo mestiere. Era una donna orgogliosa, pare. Dal canto suo, Challagher non la cercò mai più, ne si preoccupò di lei.
<< Per venticinque anni non ha mai cercato sua figlia, e molto probabilmente, conoscendolo, non ha mai nemmeno pensato a lei. Quando poi a Los Angeles ha lasciato le cose in mano a suo figlio e lo ha visto cacciarsi nei guai con la storia di un agente dell'F.B.I., ha preferito mettere al sicuro qualcosa del suo patrimonio >>.
Già, Irina ricordava che William aveva detto che aveva saputo fin dall'inizio che Xander era un infiltrato, e che lo aveva lasciato avvicinare per rendere la sua vita un po' più interessante. Doveva saperlo anche suo padre, che era stato più previdente e meno spocchioso.
<< Abbiamo intestato un quarto del patrimonio di Challagher alla Velasquez, che è sempre risultata una persona incensurata, al di fuori di ogni sospetto >> spiegò Rivero, << Certo, con un lavoro poco onorevole, ma pur sempre un angioletto, in confronto ai crimini dei Challagher. Ricevette una semplice eredità, con un vincolo molto preciso: il riconoscimento della ragazza come figlia naturale di George. Abbiamo messo tutto nero su bianco con una scrittura privata, che ho consegnato alla Velasquez quando mi è arrivata la notizia che William Challagher era morto >>.
Irina scosse il capo.
<< Perché quando William è uscito di prigione, non ti sei fatto vivo con lui? >> domandò, << Aveva un patrimonio su cui contare, anche se era un ricercato... Si sarebbe potuto nascondere meglio, avrebbe potuto trasferirsi all'estero... >>.
"Invece di finire in un lago ghiacciato a bordo di una Bugatti".
Rivero fece una smorfia.
<< La fuga di William è stata tenuta segreta per diverso tempo dalla polizia, e quando si è saputo in giro che era fuori, non è stato raggiungibile in alcun modo >> rispose stizzosamente, << Si trovava in Russia, e non voleva essere contattato da nessuno... Dicevano fosse troppo impegnato a cercare Fenice >>.
Le rivolse un cenno con la testa, il mento alzato come a invitarla a dire qualcosa; lo stomaco di Irina però era contratto e la gola si era chiusa...
<< Non ci credo >> disse lentamente, << Sapevi dove si trovava, potevi mandare qualcuno a contattarlo... Ti sei arreso troppo facilmente >>.
<< In realtà abbiamo mandato qualcuno a contattarlo >> rispose Rivero, piccato, << Ma evidentemente la fedeltà non è mai stata qualcosa che i Challagher sono stati in grado di guadagnarsi davvero >>.
Irina lo fissò.
<< Chi? >>.
<< Un certo Sebastian Mackay >> rispose Rivero, << L'abbiamo rintracciato poco dopo la fuga di Challagher dal carcere. Ci aveva garantito che avrebbe riferito a William dell'eredità, ma non lo ha mai fatto e non sappiamo perché. Quando abbiamo cercato di contattare qualcun altro, William è morto e non abbiamo più potuto fare nulla >>.
Sebastian.
Il meccanico dello Scorpione, quello che aveva creato per lui le auto più potenti, e che era riuscito a salvarsi dal carcere. Irina lo ricordava perfettamente, era una delle persone che aveva visto di più durante quegli anni, da sempre considerato uno dei più vicini e fedeli allo Scorpione. Si era sbagliata, come si era sbagliata su Dimitri.
Quindi Sebastina era ancora vivo e molto probabilmente libero. Non sapeva esattamente come fossero andate le cose quando William era fuggito di prigione, ma le aveva raccontato di essere stato aiutato da qualcuno all'esterno che poi aveva liquidato con una valigetta di denaro. Forse Sebastian lo aveva fatto fuggire, ed era stato scaricato non appena William aveva deciso di non fidarsi più di nessuno. Quando il meccanico era venuto a conoscenza dell'eredità, per ripicca era stato zitto.
<< Mackay è tornato qui a chiedere informazioni sul denaro, quando William è morto >> continuò Rivero, << Ma ovviamente non era suo diritto disporre di nulla. A quel punto, per evitare grane, ho contattato la Velasquez e l'ho fatta venire qui >>.
Chissà la faccia di Selena, quando aveva scoperto di essere la figlia di Challagher e la sorella di William... Chissà cosa aveva pensato, quando aveva scoperto che Diego era figlio dell'agente dell'F.B.I. che aveva messo dietro le sbarre lo Scorpione...
Forse però in realtà non le interessava davvero; forse alla fine non era importante cosa avesse pensato quella donna. Magari a lei non importava nulla, interessava solo il denaro di cui era diventata proprietaria.
<< William sapeva di sua sorella? >> domandò a voce bassa.
<< Nessuno dei due era a conoscenza dell'esistenza dell'altro >> rispose Rivero, << Ma credo che la Velasquez sapesse già da un po' chi fosse suo padre, o almeno lo sospettasse. Lo odiava a morte. Ha voluto tutto fino all'ultimo centesimo. Non l'ho mai più rivista da queste parti >>.
Bene, William era morto senza sapere di avere una sorellastra... E senza sapere di avere un figlio. Non era certa di sapere se fosse meglio così, però deglutì e smise di farsi domande. Doveva rimanere lucida, almeno fino a che non fosse tornata a casa.
<< George Challagher sapeva che Selena Velasquez aveva un figlio? >> chiese.
Rivero si strinse nelle spalle.
<< Non si è mai nemmeno posto il problema su che tipo di vita abbia condotto sua figlia >> rispose, << Non aveva alcun interesse nei suoi confronti... Però sarebbe legittimata maggiormente ad avere l'eredità >>.
<< E se io le dicessi che William Challagher ha un figlio? >> domandò Irina di getto.
Rivero si strinse di nuovo nelle spalle, tirando fuori un sigaro spesso e nero.
<< Lo ha riconosciuto? >>.
<< No >>.
<< Allora legalmente non vale nulla >> rispose l'avvocato, << Dovremmo fare gli accertamenti del caso, e comunque si tratterebbe di dividere la fetta di denaro in tre parti. Denaro che da quando ho capito è già stato speso >>.
<< Perché la moglie di George Challagher non ha riscosso nulla? Lei era ancora viva, due anni fa, e credo lo sia ancora adesso >>.
<< Aveva una piccola parte di patrimonio personale >> rispose l'uomo, << Ho saputo che si è ritarata in una città nell'ovest della Francia e che non ha più nulla a che fare con la gente con cui avevano fatto affari il marito e il figlio >>.
Già, la morte di William doveva averla distrutta; ricordava quando l'aveva incontrata al cimitero di Los Angeles, sfatta, esausta, triste. Non aveva mai davvero curato suo figlio, e l'aveva capito troppo tardi e nel modo peggiore. Forse lei era quella che aveva più rimorsi di ogni altro.
<< Sembri più interessata ai risvolti familiari di questa storia, che ai soldi >> commentò Rivero, << Cosa ti importa di chi sapeva o non sapeva? Si tratta di soldi, e il denaro non ha occhi >>.
Irina gli rivolse una smorfia mezza divertita, anche se non lo era per niente. Nessuno poteva capire come lei il dramma che si era consumato nelle vite delle persone che in quel momento non c'erano più; nessuno come lei poteva capire la responsabilità che aveva in quella storia.
Si alzò lentamente e guardò l'avvocato.
<< So benissimo che il denaro non ha occhi >> rispose, << Non ha nemmeno padroni, se per questo. Io non ho mai ragionato sul valore dei soldi, ho sempre ragionato sul valore delle relazioni. Grazie per le sue informazioni, mi saranno utili. E ora, se ha intenzione di uccidermi, lo faccia pure >>.
Cosa le diceva che l'avrebbe lasciata andare? Forse le aveva appena detto cose che dovevano rimanere segrete, e farla uscire da lì viva equivaleva a farsi puntare una pistola alla nuca, l'aveva detto lui.
Rivero la fissò, inarcando un sopracciglio, il sigaro che spargeva la sua cenere sul pavimento.
<< Non è saggio mettersi contro qualcuno che ha come compagno il capo di una famiglia russa >> rispose senza guardarla.
Irina annuì, indietreggiò e superò i due uomini di Rivero, uscendo dallo studio con molta più calma rispetto alla prima volta in cui era stata lì. Ebbe anche il tempo di salutare la segretaria all'ingresso.
Si sentiva strana, e non c'erano parole per descrivere cosa passava in quel momento nella sua testa.
Sembrava tutto un'enorme, gigantesca presa in giro.
William Challagher aveva una sorellastra argentina nata da una relazione clandestina di suo padre, una ragazza di cui non aveva mai nemmeno sospettato dell'esistenza, lasciata a crescere in una città piena di criminalità e allo sbando. Lui ricco e carismatico, lei povera e spiantata. Troppo distanti anche solo per sfiorarsi.
Quella stessa ragazza aveva incrociato sul suo cammino Alexander Went, e lo aveva usato per rifarsi una vita. Un ragazzo troppo bello, ma forse troppo ingenuo, che come sempre era stato guidato dal suo ego e aveva cercato una persona da salvare. Non aveva salvato nessuno, alla fine; aveva contribuito semplicemente a rendere Selena una donna sempre più arrabbiata, sempre più sola e sempre più inferocita con il mondo. Era nato Diego, quel bambino che aveva i suoi occhi e che era una vittima innocente dei loro errori.
Poi, era arrivata lei.
Irina aveva incrociato le strade di tutti loro, e con il soprannome di Fenice era riuscita a fare quello che nessuno prima di loro aveva mai fatto: renderli deboli. Deboli fino all'autodistruzione.
William e Xander avevano lasciato dietro di loro qualcosa, qualcosa che avrebbero meritato di vedere e conoscere, eppure erano morti. Lei, che non aveva nulla all'infuori di se stessa, era ancora viva.
Mentre guidava il Pathfinder di Emilian, la sua testa implose.
Troppe domande, troppo dolore, troppo rimpianto, troppo di tutto per poter essere sopportato tutto insieme.
Affondò il piede sull'acceleratore, il motore che ruggiva, e si diresse verso l'Hotel Paradise. Non conosceva altro modo per svuotare la testa, per cercare di non impazzire, ed era quello di fare l'unica cosa che l'aveva tenuta in vita fino ad allora: guidare.
Nessuno si aspettava di vederla, quando si presentò nel garage dell'Hotel e chiese di poter vedere la LaFerrari.
<< Non è ancora pronta... >> rispose titubante De Benedetti.
<< Non importa. Ci lavorerete sopra mentre la provo >> rispose Irina, << Ho dieci giorni per prepararmi al Nurburgring, e non posso sprecare nemmeno un minuto >>.
Non aveva senso come risposta, ma l'unica cosa che Irina voleva fare in quel momento era mettersi al volante e guidare, concentrandosi solo sulla strada e dimenticandosi tutto il resto.
Carlsson, che fino a quel momento si era limitato a guardarla, le fece un cenno con la mano. Lo raggiunse, e vide che le stava porgendo le chiavi della LaFerrari. Forse non poteva parlare, ma aveva capito benissimo che Irina in quel momento aveva un problema e che quel problema andava risolto solo con un'auto.
Senza aspettare che De Benedetti le desse il permesso di farlo, Irina accese il motore dell'auto che ringhiò sordo e violento, eppure non ancora sufficiente a coprire le voci che gridavano nella sua testa.
Non poteva, lo sapeva; il suo corpo aveva bisogno di riposo e delicatezza, ma questo a Irina non importava. Il suo fisico poteva ancora reggere, la sua mente no; era più vicina alla follia di quanto fosse mai stata in tutta la sua vita, e doveva scegliere se impazzire o provare a resistere.
Agganciò la cintura che strusciò contro il suo fianco, il dolore che si irradiava fino alle costole; strinse il volante, allungò le gambe e sfiorò l'acceleratore.
Con un ruggito, la LaFerrari schizzò fuori dal garage, senza che Irina si guardasse nemmeno una volta indietro.
Ore 19.00 – Campo Claro, Appartamento di Dimitri
Ormai Fenice era sempre la prima ad uscire e l'ultima a rientrare, da sette giorni a quella parte, e Dimitri non si stupì di non vederla ancora girare per la casa a quell'ora; non si stupì nemmeno di trovare per l'ennesima volta Ivan che tentava di preparare una cena con quello che rimaneva nel frigo ormai vuoto.
<< Vado a comprare qualcosa di già pronto >> brontolò Emilian, quando capì che la situazione stava sfuggendo di mano al ragazzo, << Non credo di potermi sorbire ancora una zuppa di cavoli e patate... >>.
Il russo prese le chiavi del Pathfinder dal mobile, per poi girarsi verso Dimitri.
<< Fenice? >> domandò, << Prendo qualcosa anche per lei? >>.
Dimitri annuì, anche se sapeva che Fenice non avrebbe toccato cibo. Tornò a guardare fuori dalla finestra, la cicatrice sulla nuca che tirava fastidiosamente.
La scoperta del legame di sangue che legava Selena e William era qualcosa che Irina stava facendo fatica a elaborare, e lo dimostrava il fatto che non ne avevano più parlato. Anche stavolta, Fenice si era chiusa in un religioso silenzio e cercava di evitare l'argomento; quello che però era nuova, nel suo comportamento, era quell'iperattività irrefrenabile che l'aveva colta.
Era una settimana che Fenice non faceva altro che passare il suo tempo al Paradise a guidare, e tutto il resto era diventato secondario, anche il suo stato fisico.
Si alzava il mattino alle sette, raggiungeva il garage di Fadi e iniziava a macinare chilometri su chilometri dentro la LaFerrari, fermandosi solo per far fare delle modifiche a De Benedetti e Carlsson. Guidava forte, spremendo l'auto fino all'ultimo cavallo, ignorando le disposizioni di riposo assoluto che le avevano dato dall'ospedale. Tornava sempre la sera dopo le otto, faceva una doccia e poi andava a letto, spesso senza portarsi mai nulla dietro da mangiare. L'aria sembrava essere l'unica cosa a tenerla in piedi.
Si erano incrociati tante volte: da Fadi, in casa, in garage, in giro in prova con le auto, eppure Fenice non aveva mai accennato a cosa le passasse per la testa. Non aveva cercato nemmeno di dare una spiegazione a quello che stava facendo, o a giustificarsi per il suo silenzio.
Si allenava, aveva detto solo.
Si allenava per arrivare al Nurburgring sufficientemente preparata per battere Jorgen Velasquez e Felix Moreau, ed era quello che voleva far credere a tutti.
Dimitri invece vedeva i suoi occhi, e sapeva che Fenice stava solo cercando di zittire i pensieri e di anestetizzare il dolore. E di scappare, molto probabilmente anche e soprattutto da se stessa.
Forse era troppo da affrontare anche per lei, e non bastava la solitudine che Dimitri le aveva lasciato per riuscire ad elaborare, ad accettare. La mente di Irina funzionava in modo diverso da tutti loro, ed era questa la sua caratteristica: era empatica, e il dolore di altri diventava anche il suo; gli sbagli degli altri diventavano anche i suoi. Anche quando gli errori non erano i suoi, come in quel caso.
Went, la persona che le aveva messo una catena dorata al collo, aveva avuto un figlio dalla sorellastra di William Challagher, l'uomo che l'aveva umiliata e le aveva rovinato la vita, e non le aveva detto nulla.
L'unica sua responsabilità, in tutto quel casino, era essere finita nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Molto probabilmente, Fenice stava cercando un senso a tutto quello che aveva scoperto, ma non avrebbe mai potuto trovarlo, questo Dimitri lo sapeva.
Non poteva permettersi di dire a Irina cosa fare, ne tanto meno come reagire, però non poteva non accorgersi che aveva bisogno di una mano, questa volta. In passato era stato diverso, ma ora il Mastino aveva gli occhi per vedere davvero la sofferenza di Fenice, una sofferenza che lei esprimeva con il silenzio, il digiuno, lo sguardo basso e l'isolamento. Aggiungendo, in questo caso, una buona dose di autodistruzione.
Dimitri continuava a non avere dubbi sul fatto che alla fine Irina sarebbe risorta di nuovo, ma qualcosa gli diceva che forse lo spirito di Fenice aveva bisogno di una spinta, perché al Nurburgring avrebbe dovuto essere se stessa molto più che al cento per cento.
L'aveva lasciata al Paradise alle cinque, dopo aver dato un'occhiata alla Centenario, e dovette attendere fino alle nove prima di vedere i fari della Volvo XC90 di Carlsson che la riaccompagnava a casa. L'auto non indugiò un attimo più del dovuto sul marciapiede di fronte al palazzo, e Irina non si girò a guardare indietro; tenne gli occhi sul selciato, i capelli lunghi che le svolazzavano sulle spalle.
Lo svedese era un ottimo meccanico, Dimitri lo aveva capito quando lo aveva visto mettere mano alla LaFerrari, e per quanto lo conoscesse davvero poco, valutava fosse anche un bravo uomo. Il fatto che non parlasse era secondario, anche nell'eventuale ipotesi che potesse interessarsi a Irina. Era stato lui a riportare Fenice a casa, ogni sera, ed era lui a venirla a prendere.
"Sarebbe una buona persona con cui dividere la tua vita, Fenice, perché non te ne accorgi?".
Sentì i passi di Irina di sopra, che si infilava nella doccia ed evitava accuratamente il cibo che Emilian le aveva lasciato sul tavolo.
Dimitri sbuffò, spazientito. Non lo aveva mai fatto in quei sette giorni, ma salì di sopra e bussò alla sua porta.
Forse furono i capelli ancora bagnati, o il fatto che indossasse una maglietta vecchia e larga, o i piedi scalzi, ma quando Dimitri la vide la trovò esausta, pallida, smagrita e con ombre scure sotto gli occhi. Non l'aveva mai vista in quello stato, quasi consumata.
Irina lo lasciò entrare senza dire niente, i capelli troppo lunghi che le inumidivano la maglietta, gli occhi sfuggenti e le labbra strette. Non aveva voglia di vedere nessuno, era evidente, ma non significava che fosse giusto.
<< Abbiamo ancora quattro giorni >> le disse lentamente, << Poi caricheremo le auto sul cargo e andremo in Germania con qualche giorno di anticipo >>.
Irina annuì.
<< Ok >> disse solo.
Dimitri le rivolse un'occhiata.
<< Hai mangiato? >>.
<< Non ho fame >>.
<< Non è così che vincerai quella gara >> ribatté il russo.
Irina sembrò stizzita.
<< No, ma mi sto allenando. Lo hai detto anche tu che ne avevo bisogno >> rispose.
Sì, aveva bisogno di allenamento, ma non in quel modo, non così. Dirglielo però non sarebbe servito a nulla, perché in quel momento le orecchie di Fenice erano chiuse, e scontrarsi con lei non era la mossa migliore per darle una mano.
<< Conserva le forze per il Nurburgring, Fenice >>.
<< E' quello che sto facendo >> rispose bruscamente lei, facendogli cenno di andarsene, << Sto per andare a dormire >>.
Dimitri fece una smorfia. Dormire... Lo sapeva che di notte rimaneva sveglia, perché era sveglio anche lui.
La lasciò sola, sperando che nel buio e nella solitudine riuscisse a ritrovare qualche pezzo di se stessa, e sbuffò di nuovo. Sarebbe stato difficile, questa volta.
Quando però, a notte fonda, si vestì per uscire e dirigersi in uno dei quartieri nord di Caracas, per sondare le voci che giravano sui Velasquez, sentì qualcuno muoversi dietro la porta del suo appartamento.
Irina sapeva che lo avrebbe trovato sveglio, perché Dimitri dormiva poco e quando lo faceva non era mai profondamente. Quello che non si aspettava era di trovarlo vestito, pronto per uscire.
Il russo la guardò, ferma sulla porta, come se volesse capire se era davvero sveglia oppure no. Forse era semplicemente in trance, perché improvvisamente si rese conto di non sapere perché si trovava sulla sua porta... In fondo, non si era comportata bene con lui negli ultimi tempi, e non poteva chiedergli niente... Forse voleva solo sentire un po' di presenza umana, mentre la sua testa impazziva definitivamente.
<< Scusami >> mormorò alla fine, colta dal panico, << Non volevo... Credo... >>.
Dimitri inarcò un sopracciglio.
<< Cosa vuoi? >>.
Irina fece un passo indietro, senza riuscire a interpretare il suo tono.
<< Niente. Non... Non lo so nemmeno cosa voglio >> rispose, << Scusami, me ne vado >>.
Prima che potesse avviarsi per le scale, Dimitri la afferrò per un braccio e la trascinò letteralmente dentro l'appartamento, facendole morire il fiato in gola per lo spavento. Ringhiò qualcosa, poi sparì nel corridoio e Irina rimase immobile, appoggiandosi con la schiena al muro per trovare qualcosa che fosse almeno falsamente stabile.
Era buio, nel soggiorno, e lei non capì se trovò quel posto rassicurante o se le venne voglia di scappare.
Dimitri non tornò se non dopo dieci minuti, trovandola seduta per terra a guardarsi i piedi e senza dire una parola. Irina si sentì stupida, ma comprese di aver bisogno di una presenza umana qualsiasi, mentre aspettava che il giorno arrivasse. Non era come le altre notti, in cui da sola aveva guardato l'alba levarsi nel cielo continuandosi a chiedere perché lei potesse vederla e altri no; c'era un motivo per il quale i suoi piedi l'avevano portata fino a lì.
Forse Dimitri aveva una risposta, forse poteva darle una spiegazione a tutto quel casino che c'era nella sua testa... O forse poteva tirarle uno schiaffo e farla rinsavire.
Rimase zitta mentre Dimitri si aggirava per la stanza silenzioso, come se avesse capito che ancora non era ora di parlare, o per darle il tempo di ambientarsi in quella stanza. Posò sul tavolino un paio di bicchiere vuoti e una bottiglia di vodka, mentre Irina sospirava. Alla fine lo guardò dal basso verso l'alto, incerta.
Non sapeva come cominciare, ma forse non ce n'era bisogno. Il russo doveva aver già capito, perché riempì i due bicchierini e iniziò a bere dal suo, in un tacito invito a parlare.
<< Come hai fatto, Dimitri? >> domandò a voce bassa Irina, << Come hai fatto ad accettare? >>.
Il russo le rivolse un'occhiata poi, inaspettatamente, si avvicinò e si sedette a terra, proprio di fianco a lei, non troppo vicino da riuscire a sentirne l'odore, ma nemmeno troppo lontano da non percepirne la presenza. Con un gesto automatico, lo vide sfilare la pistola dalla tasca e appoggiarla sul pavimento tra loro due, come per segnare uno spazio, uno spazio che forse non doveva essere oltrepassato.
Fu strano averlo così vicino, seduto vicino a lei, ombroso e serio.
<< Come ho fatto ad accettare cosa, Fenice? >> ribatté il Mastino.
<< A... Al fatto che tua sorella... >> le parole le morirono in gola, pesanti.
<< Al fatto che Lora sia morta? O al fatto che sia morta e che abbia dovuto rinunciare a tutto quello che aveva davanti? O al fatto che io non avessi più mia sorella? >>.
C'era una sorta di fredda consapevolezza, nella voce del Mastino, quasi rabbiosa; però aveva compreso in pieno ciò che Irina voleva dire. Gli rivolse un'occhiata di sbieco, preoccupata dal fatto di poterlo avere infastidito, con quella domanda, ma lui sembrò ignorare la sua presenza.
<< Non si accetta mai una cosa del genere, Fenice >> rispose alla fine.
Non era una buona premessa, e Irina si strinse le ginocchia. Qualcosa dentro di lei bruciò, mentre si sentiva piccola e disperata.
<< Io non posso vivere così >> ribatté, << Non posso continuare ad alzarmi la mattina e pensare che la fuori c'è il figlio di Xander e che lui non lo vedrà mai. Non posso pensare che Vera stia facendo crescere un bambino che sia il figlio dello Scorpione. Non posso pensare che William non sapesse di avere una sorella... Non posso continuare ad avere queste cose nella testa >>.
Erano giorni che quei pensieri vorticavano nel suo cervello, giorni in cui nemmeno il rumore del motore della LaFerrari riusciva a zittirli veramente. Era troppo da sopportare, troppo da accettare e riuscire ad andare avanti.
<< Se fossero vivi, cosa farebbero? Se fossero qui, cosa direbbero? >>, continuò, ma poi la voce le morì in gola.
Dimitri si limitò a guardarla con la coda dell'occhio, il braccio appoggiato sul ginocchio in un gesto stranamente naturale, la barba appena accennata che gli dava un aspetto selvatico e rude.
<< Loro non sono qui, Fenice >> rispose lentamente, << Non stanno soffrendo per tutto questo come stai facendo tu >>.
<< Appunto, Dimitri, non sono qui >> ribatté Irina, << Non sono qui e se lo fossero non soffrirebbero, perché quei bambini sono i loro figli! Quei bambini avrebbero un padre! Invece non hanno niente, perché sia William sia Xander hanno incontrato me, sulla loro strada! >>.
Aveva la gola strozzata, mentre parlava, perché dirlo a voce alta sembrava fare ancora più male che pensarlo.
<< Te lo ripeto, Fenice, e te lo ripeterò all'infinito: questi non sono i tuoi errori >> disse lentamente Dimitri, quasi stizzito, << Non sono colpe tue, sono colpe di altri. Tu non lo vedi, ma io sì >>.
<< Tu non capisci >> lo interruppe Irina, << So che non sono colpe mie, ma quei bambini c'erano prima di me! Diego esisteva prima che Xander incontrasse me, Sean è stato concepito prima che io distruggessi la Black List! Avevano molto più diritto loro di avere i propri genitori, che io si guadagnarmi una stupida libertà che mi è sempre stata stretta! >>.
Era palese, era evidente, che se Irina non avesse mai incontrato Xander lui non sarebbe mai morto; o che se si fosse piegata a William, lui non si sarebbe mai buttato in un lago ghiacciato. Era stata egoista, aveva dato per scontato che esistesse solo lei in quel mondo incasinato che aveva creduto di detestare, ma nel quale aveva sempre voluto tornare, alla fine.
<< Lo hai sempre detto anche tu, Dimitri, dal primo momento in cui ci siamo incontrati: sono sempre stata pericolosa >>.
Rimase in silenzio, e sentì Dimitri respirare profondamente. Forse non aveva voglia di rimanere lì ad ascoltare le sue lagne, forse non gli importava di quanto senso di colpa avesse addosso, visto che anche a lui aveva praticamente tolto tutto. Magari se ne voleva solo andare, lasciandola da sola a smaltire il suo dolore come aveva fatto fino ad allora.
Magari, se davvero le avesse tirato una sberla e le avesse detto una frase delle sue, come aveva fatto in Russia, si sarebbe ripresa.
Sperò che lo facesse, sperò che davvero le stampasse cinque dita sulla faccia, anche se avrebbe fatto molto male.
Il russo però appoggiò la schiena al muro, gli occhi che vagavano sulla parete, i muscoli del collo tesi e la pistola ancora a dividerli.
<< E' vero, sono sempre stato io a dire a Challagher che eri una minaccia >> disse lentamente, << Sono io che gli ho detto più volte che farti entrare nel nostro giro sarebbe stato pericoloso. Ed ero sempre io quello disposto anche a ucciderti, pur di finirla con tutto quel casino. Ti ho visto esattamente per quello che eri, e se mi avessero chiesto perché ti credevo pericolosa, forse non avrebbero nemmeno capito. Non sei mai stata una di noi, e non potevi diventarlo davvero, perché eri e rimani incorruttibile... >>.
Tacque, e Irina lo guardò.
<< Non potevi sapere cosa sarebbe successo, come non potevo saperlo io, e come non poteva saperlo Went, o Challagher >> continuò Dimitri, << Non poteva saperlo nessuno. Hai sempre detto di credere nel destino, ma per come la vedo io, Challagher era destinato a morire, in un modo o nell'altro. Era troppo corrotto, troppo nero per poter tornare indietro. Forse anche Went era destinato a morire, forse era troppo sicuro di se e avrebbe comunque commesso un errore che gli sarebbe costato la vita... Ma tanto, Fenice, qualunque cosa io dirò, non servirà a farti cambiare idea, e tu continuerai a pensare che la loro morte è solo colpa tua >>.
Dimitri la guardò con la coda dell'occhio, una lieve smorfia sul volto.
Certo, era colpa sua.
<< Il punto, Fenice, è solo uno: il passato non si può cambiare. Devi imparare a conviverci, e non hai altra scelta >>.
Irina lo guardò, e per la prima volta nel profilo di Dimitri vide qualcosa che assomigliava alla saggezza. Si sentì minuscola, di fronte a ciò che Dimitri aveva vissuto; si sentì stupida e lagnosa, e l'unica cosa che fece fu stringersi le gambe con le braccia, rannicchiata contro il muro.
Passarono interminabili minuti di silenzio, e Irina ebbe modo si ascoltare nel buio il respiro del Mastino, sentire il fiato che entrava nei suoi polmoni e poi ne usciva, lento, profondo. Lui non parlò, e Irina non si sentì in dovere di farlo, ne costretta. Forse amavano entrambi il silenzio.
Passò un po', mentre lei osservava con la coda dell'occhio Dimitri, nella penombra. Comprese solo allora una delle caratteristiche che aveva sempre sottovalutato nel russo: la pazienza. Una calma, consapevole pazienza, al di la dei suoi brontolii o delle sue smorfie, con la quale sapeva attendere. Aveva aspettato per dieci anni la vendetta, e ogni altra attesa doveva sembrargli ridicola.
<< Come hai fatto ad accettare la morte di tua sorella? >> chiese alla fine Irina, sapendo che quella era una domanda diversa, dalla prima che gli aveva fatto, << Se non vuoi rispondere non farlo >>.
Era una domanda molto intima, e molto dolorosa, e non era certa di poterla fare. Non si trattava di dirle semplicemente se aveva accettato o meno, significava rivelarle come era riuscito ad andare avanti.
Dimitri le rivolse un'occhiata.
<< Non l'ho accettata, Fenice >> rispose alla fine, << Per anni ho cercato la vendetta, ho aspettato, e alla fine ho ucciso Vladimir Buinov facendogli pagare ciò che aveva tolto a mia sorella. Ma Fenice, questo non l'ha riportata indietro; non ti fa sentire meglio. Ti toglie solo l'unico motivo per il quale credi di essere andato avanti.
<< Chi dice che il tempo guarisce mente. Ci sono ferite che gli anni possono rimarginare, ma altre rimangono aperte per sempre. Quando ti strappano ingiustamente qualcuno, e te lo strappano con la violenza e l'odio, non puoi mai dimenticare. Non puoi dimenticare ogni possibilità tolta, ogni occasione rubata, ogni giorno non vissuto... Devi imparare a conviverci. Imparare ad accettare che ogni mattina, quando ti alzi, lei non sia lì. Devi imparare che non è giusto, ma che non puoi cambiare gli eventi. Qualunque cosa tu faccia, i morti non ritornano. Puoi ancora amarli, puoi ancora provare dolore, ma ad un certo punto devi andare avanti. Perché altrimenti così a morire siete in due >>.
C'era qualcosa di profondo in quelle parole, qualcosa che scese nello stomaco di Irina e lo scaldò appena. Lo sentiva ancora nella sua voce, il dolore di Dimitri, perché c'era e lui lo stava ammettendo. Erano passati anni, e forse sembrava come il primo giorno. Lui capiva, ora ne era certa; capiva cosa aveva dentro e che stava tentando di trovare un equilibrio prima di impazzire.
<< Perché sei qui, Dimitri? >> domandò all'improvviso Irina, << Non intendo perché sei venuto a Caracas... Intendo perché sei seduto qui, adesso >>.
Il russo le rivolse un'occhiata.
<< Questo è il mio appartamento >> rispose solamente.
Irina si sentì scoperta, quasi in colpa.
<< Non... Non voglio dire questo... Voglio dire... >>.
<< Rispondi tu, Fenice. Perché sono qui? >> la interruppe lui, fissando il muro.
Irina lo guardò, senza capire. Il russo era serio. In realtà, era lei ad essere andata lì. Forse semplicemente perché aveva bisogno di parlare con qualcuno, o perché...
<< Perché ho bisogno di uno schiaffo in faccia >> rispose alla fine lei.
Sul volto di Dimitri si disegnò un piccolissimo sorrisetto.
<< Sono giorni che studi il tracciato nel Nurburgring e ti alleni per svuotare la testa >> disse, << Ma questo non ti servirà a vincere quella gara, se non sei Fenice >>.
Irina tornò a guardare quel russo dall'espressione di ghiaccio, e si chiese perché. Si chiese perché fosse in grado di capire cosa passava in quella sua stupida testa, soprattutto quando la sua testa non funzionava. Si chiese perché fosse ancora seduto lì di fianco a lei, ad ascoltare le sue stronzate. Si chiese perché in un notte gelida della Russia l'avesse baciata.
Dimitri Goryalef non faceva mai qualcosa, se non aveva un buon motivo.
<< Che senso ha quello che sto facendo? >> disse lentamente, << Mi sono messa contro la sorella di William e la madre del figlio di Xander... Ha senso? Anche se vincessi quella gara, cosa guadagnerei? La vendetta? E che vendetta? E' stata Selena a uccidere il padre di suo figlio... >>.
Dimitri rimase in silenzio, e Irina si rese conto di essere arrabbiata. Prima di pensare a cosa stava facendo, si strappò la catenina che teneva al collo con i due anelli appesi e la lanciò per terra, facendo riverberare il suo del metallo contro le mattonelle.
La sua vita era stata tutta una presa in giro.
<< Xander sapeva dell'esistenza di Diego >> sussurrò, << Lo sapeva e non mi ha detto nulla. Xander aveva sempre paura di ferirmi... Eppure credo che saperlo non mi avrebbe fatto male come mi sta facendo male tutto questo >>.
Il russo continuò a non parlare.
<< Mi alzo la notte e penso a cosa avrebbe potuto fare con suo figlio. Ed è lo stesso per William. Penso che William si è ammazzato perché non sono stata capace di aiutarlo... Penso che Xander è morto prima che ci parlassimo davvero. Vivrò con il rimorso di tutto questo, e non posso farcela >>.
<< Ti serve solo tempo, Fenice >>.
<< Il tempo non serve a me, serviva ad altri >> ribatté Irina, gelida.
<< Non è vero >> ringhiò Dimitri, << Il tempo lo ha chi se lo guadagna >>.
<< Allora io mi sono guadagnata tutto questo tempo a spese di altri? >>.
Dimitri arricciò il labbro.
<< Continui a sottovalutare ciò che sei, Fenice >> rispose, << Ogni giorno che hai vissuto è il premio per le rinunce che hai fatto. Ogni ora che vivi non ti è stata regalata, te la sei guadagnata. Hai salvato la tua famiglia, hai difeso tuo fratello, hai cresciuto tuo nipote, hai sfidato i russi a casa mia e hai vinto la Mosca-Cherepova, hai salvato per due volte Yana... E hai messo in discussione la figura dello Scorpione >>
<< Non sono stata io ad arrestarlo >> lo interruppe Irina, ignorando completamente il peso delle parole del Mastino, il loro significato, << Xander l'ha battuto, e tu l'hai aiutato a trovarci. E' dipeso tutto da te... >>.
<< Te lo ripeto, Fenice >> ringhiò il Mastino, << Prima o poi, tu avresti battuto William Challagher. Prima o poi, con la tua auto, saresti riuscita a spodestare lo Scorpione dal primo posto... E io non ti avrei mai fermato, una volta che ti avessi vista pronta. Molto probabilmente, quello era il tuo destino >>.
Cadde il silenzio, e Irina fissò il buio.
Si rese conto che la sua testa vagava in tutte le direzioni, che i pensieri non erano coerenti l'uno con l'altro e che prima si sentiva triste, abbattuta, e poi follemente arrabbiata. Stava impazzendo, perché ora la sua mente gli diceva di cambiare ancora argomento.
<< Non ne abbiamo mai parlato >> continuò Irina a voce bassa, << Perché... Perché hai aiutato la polizia a trovare il luogo dove si nascondeva William quattro anni fa? Se tu non lo avessi fatto, non saresti finito in carcere >>.
Dimitri abbassò lo sguardo per una frazione di secondo, prima di rispondere.
<< Era finita, Fenice. Ero io il primo della Lista, ero io a dover decidere >> rispose, << Saremmo comunque finiti in carcere, prima o poi. Ciò che cambiava era quello che riguardava te: Challagher non ti avrebbe ammazzato, non ne aveva la forza, e l'unica cosa che avresti guadagnato sarebbe stata qualche altra notte passata a farti mettere le mani addosso da lui. E sinceramente, Fenice, nemmeno uno come me dorme sonni tranquilli sapendo che una ragazza abbandonata a se stessa viene violentata a pochi isolati da casa sua >>.
La voce di Dimitri fu tagliente come una lama, e Irina capì che non era un argomento di cui amava parlare. Si strinse di nuovo le ginocchia e sospirò.
Più il tempo passava, più capiva di avere di fronte una persona con centinaia di sfaccettature.
<< Perché hai sempre finto di essere ciò che non sei, Dimitri? >>.
Il russo fece l'ennesima smorfia.
<< Fingere? Io non ho mai finto niente, Fenice >> rispose seccamente, << Non ho mai finto di essere il peggior pilota della Black List, non ho mai finto di essere un assassino. Il sangue che ho versato è reale, anche quando si tratta di un ragazzino... Non ho mai finto di essere quello che sono >>.
Invece si sbagliava, e Irina ora lo capiva.
<< Allora non hai nemmeno finto di avermi salvato la vita >> ribatté.
Dimitri tacque.
<< Quello che ho fatto per te non conta >> ringhiò alla fine, << Avevo un debito nei tuoi confronti... Ho un debito nei tuoi confronti >>.
Debiti, non debiti... Non centrava niente, tutto quello.
<< Allora in Russia non hai nemmeno finto di venire a letto con me? >>.
Dimitri arricciò il labbro, in una smorfia innervosita e tesa. La follia la stava rendendo audace e tagliente, e non era certa fosse la mossa giusta, in quel momento. O forse era lei a voler rischiare, a voler mettere in discussione l'ultima briciola di dignità che le era rimasta.
<< Non tirare in ballo quella storia, Fenice >> ringhiò il Mastino, << E' stata una notte >>.
"Per me non è stata solo una notte".
Il pensiero trafisse Irina involontariamente, rapido, brutale.
<< Forse per uno di noi non è stato così >> sussurrò.
La sua voce cadde nel silenzio, e per la prima volta da tantissimo tempo, Irina si ritrovò a sperare che Dimitri facesse come aveva fatto in Russia, senza domande, senza esitazioni.
Ma il Mastino la guardò e le ricordò troppo quello dei tempi di Challagher: freddo, gelido, brutale. Prima che potesse fare qualcosa, si ritrovò incollata al russo, che le strinse il mento con la mano e la costrinse a guardarlo negli occhi, freddo come il ghiaccio.
<< Vuoi che ti strappi i vestiti di dosso, Fenice? >> ringhiò infuriato, << Vuoi che un assassino venga a letto con te? Vuoi che ti tratti alla stregua di una puttana di basso profilo e ti prenda su questo pavimento, fregandomene di cosa cazzo penserai di me domani mattina, o di quanto male possa farti? O preferisci che ti umili come ha già fatto Challagher? Che cosa ti serve che faccia, per capire che non me stai sbagliando opinione? Che non sono quello che vuoi pensare che io sia? >>.
Fu come essere colpiti da una secchiata di ghiaccio, come ricevere un pugno nello stomaco, e Irina si ritrovò a fissare quelle iridi grigie e a chiedersi quanta rabbia avesse in corpo Dimitri Goryalef. Però, c'era una cosa di cui era certa, qualcosa che andava oltre il suo cuore che batteva forsennato nel petto per la paura.
Dimitri non le avrebbe fatto del male; voleva solo spaventarla, voleva solo dirle chiaramente di stargli lontano, forse perché era stata lei per prima a ferire lui. Chi era lei per potersi mettere di trattare in quel modo il Mastino, il vero numero uno della Black List?
<< O forse vuoi usarmi, Fenice? >> continuò Dimitri, fissandola, << Vuoi usarmi per svuotarti la testa? Siamo adulti, e l'abbiamo già fatto una volta... >>.
<< Io non ti voglio usare >> ribatté Irina, seccamente.
Dimitri fece una smorfia.
<< No? >> ringhiò lui, e Irina si sentì trapassata come da una freccia gelida, << Allora se siamo ancora qui a guardarci in faccia, Fenice, significa solo una cosa: io non voglio niente da te, come tu non lo vuoi da me >>.
La lasciò andare di colpo, e Irina sentì quasi un dolore fisico al suono di quelle parole, perché forse non era vero quello che diceva. Non era vero e lei lo sapeva da mesi, da anni; lo sapeva da quella notte della Russia, quando aveva capito che ciò di cui aveva bisogno non era la protezione, o di essere salvata; quello di cui aveva bisogno era essere libera e di essere appoggiata, affiancata solo come Dimitri era stato in grado di fare. Tutto il resto, tutto quello che era successo dopo era stato un errore.
Questa volta davvero solo suo.
Poteva dirglielo; poteva dirgli che se non fosse stata quello che era avrebbe cercato un punto di contatto con lui; poteva dirgli che non gliene fregava nulla di quando sangue avesse sulle mani... Ma non le fece. Rimase in silenzio, a stringersi le ginocchia, con le lacrime calde che iniziarono a colarle lungo le guance.
La sua testa rischiava di scoppiare, perché c'erano troppi pensieri che vorticavano lì dentro.
Si alzò in piedi di scatto, cercando di ingoiare il magone che le stringeva la gola, e Dimitri fece altrettanto.
Si guardarono in silenzio, e per la seconda volta Irina sperò che il Mastino facesse quello che aveva fatto in Russia; non si sarebbe tirata indietro, perché sarebbe stato capace di farle dimenticare tutto in un attimo. Era stato anche capace di farle dimenticare Xander.
Non accadde nulla, e lei capì non sarebbe mai più successo. Dimitri non avrebbe mai fatto il primo passo, non si sarebbe lasciato umiliare di nuovo da lei.
<< Mi dispiace >> disse alla fine, abbassando lo sguardo, << Scusami >>.
<< Per che cosa ti stai scusando, Fenice? >> ribatté Dimitri.
Il russo la guardava, e nella profondità dei suoi occhi Irina vide qualcosa che non riuscì a decifrare.
<< Per tutto >> rispose alla fine.
Dimitri scosse il capo, la vena sul suo collo che pulsava visibilmente sotto la pelle.
<< Smettila di scusarti di esistere, Fenice >>.
Qualcosa nello stomaco di Irina si sciolse lasciandola così, improvvisamente indifesa, improvvisamente spogliata di qualsiasi corazza; vacillò quasi, mentre il suo animo martoriato chiedeva solo contatto umano.
Non uno qualunque; solo quello di Dimitri.
Si alzò in punta di piedi e gli strinse le braccia al collo, sapendo che il Mastino non avrebbe gradito quel contatto. Forse l'avrebbe odiata, forse si sarebbe tirato indietro, ma aveva bisogno di sentirlo vicino, forse perché in fondo lo era già, in modo diverso da tutti gli altri.
Dimitri rimase immobile come una statua; poi la sua mano si mosse lentamente e Irina la sentì appoggiarsi sulla sua schiena. Era bollente come sempre, in contrasto con i suoi modi di fare e il suo sguardo, ma lì stava il bello. Dimitri non era niente di tutto quello che lei aveva sempre creduto, prima di conoscerlo; era meglio, era unico.
<< Se hai il coraggio di fare questo, Fenice, significa che sei davvero esausta >> lo sentì dire, << Va' a letto e ritrova te stessa, perché essere te è l'unica cosa che ti farà arrivare alla fine di tutto questo >>.
Con un gesto delicato Dimitri la spinse via, e Irina capì di aver ottenuto fin troppo da lui, quella sera, e di non poterli chiedere di più. Annuì e si allontanò, anche se il suo stomaco tornò a pesare come un macigno.
Dimitri aveva ragione: doveva staccare. Doveva ritrovare se stessa, ritrovare la forza di correre l'ultimo chilometro della gara, e per farlo aveva un solo modo.
Ricordarsi il suo nome, Fenice, e rinascere.
Rinascere come una nuova Fenice.
Dimitri non vide Irina per tutto il giorno, e scoprì che non si trovava al Paradise solo quando ci andò lui a controllare i lavori sulla Centenario. La LaFerrari nera non era al suo posto, ma seppe da Karl Weber che era "sotto i ferri", e che Fenice non era venuta lì quella mattina. Aveva telefonato e aveva detto che non si sarebbe allenata quel giorno.
Forse aveva ascoltato il suo consiglio, dopo quella notte che lui non avrebbe dimenticato tanto facilmente. Non aveva commesso lo stesso errore della Russia, non aveva scelto egoisticamente di prendersi Irina anche solo per qualche ora, accontentando forse entrambi. Doveva essere lei a scegliere, questa volta, e se era sufficientemente intelligente come lui la credeva, non avrebbe rischiato. Infatti Fenice non aveva sbagliato, non aveva voluto replicare quello che era successo in Russia.
Ed era ciò era giusto.
Non la vide nemmeno quel pomeriggio, ma sentì il Pathfinder rientrare verso le sei e mezza e Irina tornare nell'appartamento. Mezz'ora più tardi sentì bussare alla porta, e quando la aprì, per la prima volta nella sua vita, Dimitri rimase piacevolmente sorpreso.
Irina si era tagliata i capelli.
I lunghi, lucidi capelli mossi di Fenice, quelli che aveva sempre legato in una coda stretta e alta quando gareggiava e che le arrivavano a metà schiena, non c'erano più. I riccioli appena accennati che Challagher amava sfiorare nelle serate al Gold Bunny, gli stessi in cui lui aveva passato le dita una sola volta, avevano lasciato spazio a un caschetto mosso, lungo fino a poco sotto le orecchie. Un taglio che le dava freschezza e a tratti malizia.
Irina sembrò imbarazzata, forse perché sapeva di aver fatto qualcosa di diverso dal solito e che lui non si era aspettato, e si toccò il braccio.
<< Ehm... Ho mandato Emilian a prendere qualche pizza? Per te va bene? >> domandò, incerta.
Dimitri inarcò un sopracciglio, perplesso. Voleva dirle che quel cambiamento le stava bene, ma tenne quel commento per se.
<< Una pizza? Va bene. Sei tu quella che comanda, qui >> rispose solo, secco.
Irina arrossì.
<< Mi dispiace per stanotte >> aggiunse, << Mi è... sfuggita di mano la situazione >>.
Una piccola smorfia fuggì tra le labbra di Dimitri. Le scuse se le era aspettate, diversamente dai capelli.
<< Non ti sfugge mai di mano la situazione, Fenice >> rispose, << Le auto saranno pronte domani. Tu lo sarai? >>.
La ragazza annuì, i capelli che si muovevano morbidi intorno al suo viso.
<< Devo arrivare alla fine, Dimitri >> disse, << Dopo avrò tempo per disperarmi >>.
Dopo avrebbe avuto il tempo di riuscire ad essere felice, ma questi erano punti di vista. Lei continuava a pensare che fosse colpa sua quello che stava succedendo; in realtà senza di lei sarebbe stato tutto molto peggio.
Fu strano, ma la cena passò rapida e stranamente rilassata, Emilian che osservava Irina con curiosità e interesse, come se quel cambio di capelli significasse qualcosa. In realtà, Irina parlò poco, limitandosi a qualche occhiata nei suoi confronti. Tornò presto al suo appartamento, e quella notte ne lui ne lei si incrociarono nel buio.
<< Questo taglio ti dona molto, Irina >>.
Fadi sorrideva, mentre aspettavano di fronte alla Centenario e alla LaFerrari, coperte da teli bianchi, immobili come statue al centro del garage. De Benedetti e Carlsson erano in piedi dietro la Ferrari, Tatsui Kato e Karl Weber dietro la Lamborghini.
<< Grazie Fadi >> rispose Irina con un velato sorriso.
La presenza di Dimitri al suo fianco era rassicurante, di fronte ai complimenti dell'arabo. Con un cenno della testa fece capire che voleva vedere le auto. Non voleva perdere altro tempo, ne aveva già speso troppo a disperarsi.
Fu Carlsson a consegnarle le chiavi, con un gesto quasi solenne e un'occhiata d'intesa; De Benedetti scoprì la macchina nell'esatto istante in cui anche la Lamborghini vedeva la luce.
I fari appena bruniti le gettarono un'occhiata nervosa, quando la LaFerrari si mostrò in tutta la sua feroce bellezza. La vernice era rimasta nera, un nero profondo e lucido, ma gli specchietti ora erano rossi, come rosse erano le strisce sulla fiancata e sotto il muso. E in più, nell'angolo in basso a destra, vicino alle ruote posteriori, spiccava una fenice, piccola e rossa, esattamente uguale a quella che lei aveva tatuata sulla schiena. Sotto, una dicitura: non "Fenix"... Proprio Fenice, proprio il suo soprannome.
Lo seppe in quel momento, Irina: quella molto probabilmente sarebbe stata l'ultima auto che avrebbe guidato come pilota clandestina, l'ultima auto che avrebbe guidato in gara. Dopo quella non ci sarebbe stato più nulla, lo sentì nel profondo del suo cuore.
Guardò Dimitri, che le rivolse un'occhiata. Era stato lui a dire a Carlsson e De Benedetti della fenice rossa; era l'unico a saperlo. Gli sorrise, prima di posare lo sguardo sulla Centenario.
Nera anche lei, ma di un nero più vicino al grigio titanio che piaceva tanto al Mastino, tagliata dall'aria e modellata dal vento, con piccole, quasi invisibili serigrafie gialle sotto i paraurti e sotto le minigonne. Gli specchietti gialli spiccavano in tutto quel nero, così come il logo Fenix su una delle razze dei cerchi in lega. Niente simboli della Black List per lui.
Affiancate l'una all'altra, la Ferrari e la Lamborghini sembravano uscite direttamente dall'inferno per sfidare Selena Velasquez e le sue auto; per la prima volta due marchi come quelli, da sempre contrapposti, si alleavano contro un nemico comune. Fenice e la Black List erano in grado di fare anche quello, di unire gli opposti per farli diventare un'unica cosa.
<< Avete davanti le due auto più potenti che la Fenix sia stata in grado di creare fino ad oggi >> disse Fadi, orgoglioso. << Trattatele bene >>.
Irina sorrise e tornò a guardare Dimitri.
<< Facciamo un giro? >> domandò.
Il russo ghignò, poi le lanciò le chiavi della Centenario. Irina le prese al volo, sorpresa.
<< Se vuoi davvero capire se sei pronta, guida un'auto che non è stata preparata per te >> disse, << Prova la mia, Fenice. Io farò uno strappo alla regola e domerò la tua LaFerrari >>.
Dimitri le sfilò le chiavi della Ferrari dalle mani, e Irina si ritrovò senza parole, perché il russo sorrise. Sorrise con quel mezzo ghigno che sapeva fare solo lui. E sorrise anche lei, perché ancora una volta, il Mastino si fidava di Fenice.
Lo guardò mentre saliva sulla LaFerrari, chiedendosi se per caso fosse stato davvero il destino a mettere quel russo sulla sua strada, sei anni prima.
<< Ricorda Fenice, non importa che auto guidi >> disse il Mastino, << Importa quanto sei disposta a vincere >>.
Spazio Autrice:
dal prossimo capitolo.... Nurburgring!
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