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Capitolo XXXII

https://youtu.be/P3CINajzwy4


I'm not bullet proof when it comes to you

 Don't know what to say when you made me the enemy 

After the war is won

There's always the next one 

I'm not bullet proof when it comes to you


Armor - Landon Austin




Ore 16.00 – Los Medanos de Coro

<< Io non amavo Alexander Went, Fenice. Io con Alexander Went ci ho fatto un figlio >>.

Irina ebbe la stessa identica sensazione di una scossa elettrica che la attraversava dalla testa fino ai piedi. Lo stomaco le si attorciglio su se stesso. Le gambe per un secondo sembrarono volersi sciogliere. E il cuore non si fermò semplicemente perché era mosso da un riflesso involontario.

Un proiettile sparato nel petto avrebbe fatto meno male.

Perché forse si era aspettata di tutto, ma non quello. Non l'ultima cosa che Xander avrebbe mai voluto avere.

Selena sorrise, allargando le braccia come a dire che Alexander Went aveva apprezzato quel corpo e tutti i suoi tatuaggi.

<< Otto anni fa, Fenice >> disse la ragazza, sorridendo come se stesse raccontando una favola a un bambino, << Otto lunghissimi anni fa, prima che Alexander Went diventasse quello che tu hai creduto di conoscere: il perfetto, infallibile agente dell'F.B.I., con una Ferrari rossa e gli occhi azzurri. Io l'ho incontrato molto prima di te, principessa, e quello che ho visto era solo un ragazzo bello e ricco, stupido e vuoto quanto qualsiasi altro che ho incrociato sulla mia strada. Io lo credevo tale. Ma poi ho capito di essermi sbagliata, Fenice, perché era molto peggio >>.

Selena si interruppe, come per darle in tempo di capire cosa aveva appena detto, o forse per riuscire a tenere in piedi quel sorriso che sembrava improvvisamente incrinarsi sul suo volto.

<< Sapeva illudere, Alexander Went, e sapeva farlo molto bene. Aveva soldi, aveva un padre che lavorava nel posto giusto... Se voleva una cosa, bastava allungare la mano e prenderla. Voleva me, e mi ha avuta, facendo promesse vuote e stupite; dicendomi che forse io ero quella giusta, quella che lui cercava. Eppure indugiava. Mi ha persino fatto conoscere i suoi genitori, quel piccolo ragazzino stupido e viziato... Che casa stupenda, potevamo avere. Che vita ricca che potevamo fare... >>.

Selena sembrava parlare come se vedesse quello che stava raccontando; come se avesse davanti ogni singolo momento vissuto. A un certo punto però l'espressione sul suo viso cambiò, diventando gelida.

<< E poi è sparito >>.

Irina capì, di colpo.

Selena Velasquez era la stessa spogliarellista di cui le aveva parlato, una sola volta, la madre di Xander; quella che lui aveva portato a casa...

Otto lunghi anni, nei quali lui non aveva mai parlato di tutto quello. Nei quali era rimasto in silenzio, con lei soprattutto. Forse perché la vicenda di Selena era troppo, incredibilmente, simile a quella di Fenice?

<< La conosci già la mia storia, Fenice >> riprese Selena, mentre il leggero vento del deserto le scompigliava i capelli biondi, << E' un peccato che tu non possa sentirla dalle labbra del tuo amato Xander... Un figlio. Lui che con il suo ego smisurato non era in grado di bastare nemmeno a se stesso. Non ti ha mai parlato di me, vero? >>.

Irina non rispose. Aveva la lingua incollata al palato, e non era nemmeno certa di essere ancora viva.

<< Però Diego da lui ha preso qualcosa di buono. Ha dei bellissimi occhi azzurri >>.

Selena aprì le labbra in un sorriso, denso di cattiveria, e Irina continuò a rimanere ferma, immobile, congelata.

Dentro di lei, tutto si stava sbriciolando. Qualcosa si stava sgretolando con il fragore di uno specchio che veniva spaccato, spargendo intorno a se solo pezzi luminosi e taglienti.

Era questo che non aveva conosciuto di Xander.

<< Lui... Lui lo sapeva? >>.

La voce le uscì dalla gola come un sussurro, ma Selena sembrò udirla e comprendere la sua domanda.

<< Oh, non lo so. So solo che l'ho cercato e non l'ho mai trovato >> rispose, << Suo padre l'aveva spedito nell'F.B.I., dopo che si era fatto accoltellare in una rissa... Ho tentato di rintracciarlo, ma l'unica volta che si sono riuscita, ho trovato solo Steve Went, che mi ha cacciato dicendomi che ero solo una sgualdrina dei bassifondi. Sapeva che ero incinta; mi ha dato dei soldi e mi ha detto di sparire >>.

Irina deglutì. Avrebbe voluto che qualcuno venisse a scuoterla, per farle riprendere coscienza, per farle riprendere a respirare, però nessuno si avvicinò. Nemmeno Dimitri.

<< Avanti, principessa >> la vezzeggiò Selena, << Con chi credevi di avere a che fare, quando hai incontrato Alexander Went sulla tua strada? Con un principe che ti ha salvata dall'uomo nero? Davvero pensavi che uno come lui non avesse fantasmi? >>.

Irina non sapeva cosa pensava. Sapeva solo che non era pronta per qualcosa del genere.

Forse Xander non le aveva mai raccontato nulla perché era stato all'oscuro dell'esistenza di Diego, ma lei non era comunque pronta ad accettare.

Un figlio, per quanto voluto o meno, era pur sempre un legame. Un legame molto più forte di uno creato con un anello o con una promessa. Era tangibile, reale, vero, e aveva dei diritti, delle priorità.

Xander si era ritrovato con una famiglia già pronta, quando aveva iniziato a pensare di farsene una sua.

E a giudicare dalla sua reazione, non era ancora pronto. Forse non lo sarebbe mai stato.

<< Avresti dovuto vedere la sua faccia quando l'ho incontrato qui un anno fa >> continuò Selena, << Non sapeva se insultarmi o chiedermi scusa... Da come ha parlato, credo proprio non sapesse nulla di Diego, perciò puoi perdonarlo per il silenzio, Fenice. L'ha voluto conoscere, l'ha voluto vedere, sai? E mentre tu facevi la sbirra, lui era indeciso se sposare te o sposare me >>.

Fu un attimo.

Qualcosa nell'anima di Irina si spezzò definitivamente, e non aveva nulla a che fare con il cuore. Era qualcosa di molto più profondo, qualcosa che riguardava solo lei, indipendentemente dal suo nome.

Questa era la realtà.

Questo era qualcosa che non avrebbe mai potuto cambiare.

Questo era qualcosa che non era dipeso da lei.

Questo era.

Qui finiva tutto; finiva la distinzione tra il prima e il dopo, finiva la distinzione tra Irina e Fenice, finiva la distinzione tra il bene e il male. Qui finiva il suo tentativo di capire chi era sulla base del suo passato e di quello che aveva vissuto, e sulla base di ciò che credeva sarebbe diventata. Qui finiva il tempo di cercare di essere la somma degli eventi della sua vita, e iniziava il momento in cui sarebbe stata solo quello che era davvero. Non una somma, ma un insieme omogeneo. Non Irina, non Fenice. Solo lei.

Perché gli spazzi in cui far rimarginare cicatrici erano finiti, e non ce ne erano altri.

Alzò la testa, gli occhi che fissavano Selena e i suoi maledettissimi tatuaggi, uno per ogni giorno della sua esistenza, misera quanto quella di Fenice.

Ora era chiaro.

Erano solo due ragazze usate e abbandonate a se stesse; due ragazze cresciute troppo in fretta, vittime di un mondo che le aveva schiacciate approfittando della loro ingenuità. Nate nel posto sbagliato, osservate da occhi maliziosi, legate a una catena troppo corta che le feriva lentamente e inesorabilmente. Avevano solo reagito in modo diverso al loro destino.

Questa era l'unica verità.

<< Basta >> mormorò Irina, mentre la voce le usciva dalle labbra dura, quasi fredda, << Basta. Silenzio. Alexander Went è morto, e l'unica cosa che so è che ha perso la possibilità di crescere suo figlio. Se ha commesso degli errori, non sta a me giudicarli. Ne ho fatti molti anche io, e ho pagato per ognuno. Continuo a pagare per ognuno di essi.

<< Se pensi che tutto quello che stai facendo mi stia distruggendo, bè, devo darti ragione. Lo stai facendo, ma quello che ancora non sai è che non mi importa nulla di quanto io possa perdere, da oggi in poi. So perché mi odi; mi odi perché io e te siamo uguali. Siamo state vittime dello stesso destino, ma io ho saputo lasciarmelo alle spalle. Tu no >>.

Il sorriso morì sul volto di Selena; chiuse le braccia, guardò per una frazione di secondo verso suo fratello Jorgen e poi gli fece un cenno con il capo. Perse tutta la sua sfacciataggine, tutta la sua baldanza, come se si fosse resa conto che davanti aveva una nemica nuova. In realtà non l'aveva mai davvero conosciuta; sapeva a memoria la sua storia, ma non sapeva nulla di quello che aveva provato.

<< Io sopravviverò, Fenice, tu no >> disse lentamente Selena, << Perché ho qualcosa per cui vivere, e tu no. Chiunque io sia, chiunque io possa diventare, ci sarà sempre mio figlio ad aspettarmi. Non importa chi sia suo padre. Ma tu, Fenice, tu non hai nessuno da cui tornare. Quelli che ami muoiono >>.

Forse era vero, ma non aveva importanza, non in quel momento.

<< Ho solo me stessa, da cui tornare >> ribatté Irina, << Forse una volta non bastava, ma adesso è più che sufficiente. Fai partire questa gara, Selena. Adesso >>.

Senza aggiungere altro, Irina si voltò e raggiunse la Ferrari F12 , mentre sentiva gli occhi di Dimitri Goryalef seguirla fino all'auto. Ma non la seguirono solo gli occhi, perché se lo ritrovò davanti, le iridi di ghiaccio piantate nelle sue.

<< Gli errori degli altri non sono i tuoi errori, Fenice. Tu sei qualcosa che lei non sarà mai. Io sono qui anche per ricordarti questo >>.

Le rivolse un'occhiata; era un'espressione che Irina aveva già visto, quando intorno a loro c'era solo ghiaccio e lei si era ritrovata di nuovo sola. Non aggiunse niente; salì sulla Huracan e accese il motore, mentre Irina tornava a respirare.

Era vero, quelli non erano errori suoi. Come non lo erano stati quasi tutti quelli in passato. Lei aveva sbagliato una sola volta, e Dimitri lo sapeva. Lui c'era, quel giorno, quando aveva deciso volontariamente di entrare nella Black List. Però questo non toglieva che facesse male, troppo male.

Tutto iniziava allora. William, Xander, la Black List, la Russia, tutto.

Per quanto la determinazione fosse forte dentro la sua testa, capì di non essere in grado di guidare. Dentro di lei, qualcosa continuava a gridare incessantemente, ma non poteva tirarsi indietro. Non adesso, non ora che tutto era chiaro.

Alexander Went aveva un figlio, per di più dalla donna che voleva ucciderla.

Irina salì sulla Ferrari, chiuse la porta e rimase immobile nel silenzio dell'abitacolo.

Poi imprecò. Imprecò così forte che forse persino fuori dall'auto e sopra il rombo dei motori si sentì la sua voce.

Poi guardò a destra, verso la Lamborghini Huracan arancione e assurdamente le venne da pensare che era un colore che non si addiceva affatto al Mastino. Lui amava il nero, o il grigio. Aveva il finestrino abbassato, Dimitri. La guardava senza pietà, senza derisione, senza giudizio. La guardava e basta, come sapeva fare solo lui, e non era giusto. Non era giusto, perché era tutto sbagliato.

C'era solo una lunga, lunghissima lingua di sabbia tra lei e la vittoria di quella stupida gara. L'oceano scintillava tranquillo alla sua sinistra, e le auto correvano placide alla sua destra, sopra la strada sopraelevata che collegava il Venezuela con la penisola di Paraguanà. Tutto e tutti erano ignari di quello che lei stava affrontando in quel momento, perché il mondo andava avanti comunque, con lei o senza di lei.

Irina girò la chiave, accese il motore e strinse i denti. Gli occhi si incollarono alla figura sottile di Selena, che con in mano due fumogeni bianchi, si apprestava a dare il via. E guardava lei.

Aveva Dimitri Goryalef contro di lei, a bordo di una Lamborghini Huracan, e altri otto piloti di cui non conosceva il nome, ma di cui vedeva le auto. Porsche, Lamborghini, Ferrari, Lotus, Mercedes...

Poi, Fenice premette l'acceleratore.

Nuvole di sabbia si sollevarono dalle ruote posteriori della Ferrari F12, una fontana dorata sotto il sole del pomeriggio, con un ringhio selvaggio del motore. Scodando, l'auto partì, lasciando dietro di se soltanto solchi nel terreno, mentre le lancette del cruscotto della Ferrari si muovevano impazzite.

In un attimo, la strada davanti a lei venne invasa dalla polvere e dalla sabbia, che rendevano tutto come avvolto dalla nebbia. Sentiva il ruggito del motore della Ferrari proprio dietro le sue spalle, le gomme che affondavano nel terreno e gli occhi puntati sulla strada.

Come un uragano, le auto si mossero nella foschia secca e gialla, fari rossi e bianchi a rompere la monotonia dei colori.

Poi, la sabbia smise di vorticare, e Irina si ritrovò ultima.

Davanti a lei, una lunghissima lingua di sabbia, e nove auto a farle letteralmente mangiare la polvere. La stessa polvere che fino a un attimo prima era lei a pensare di far ingoiare.

All'inizio non capì il perché di tutto quel vantaggio, poi vide le loro gomme.

Larghe, tassellate, con intagli profondi. Pneumatici da sabbia.

Lei aveva gomme di serie.

Errore da principiante.

Mai avrebbe pensato di sbagliare in pieno come in quel momento. Mai pensò di essere stata tanto stupida in una gara.

Però la F12 tirava. Tirava sollevando nuvole di sabbia, mentre Irina smetteva di accelerare in modo disperato e sfiorava il pedale, facendola scivolare sul terreno sconnesso, nel tentativo di farle riprendere aderenza.

Non era come guidare sul ghiaccio, dove si scivolava; qui il rischio era infossarsi, far annegare le ruote nella polvere.

Le ci vollero pochi istanti per capire che doveva trovare un punto di equilibrio, una velocità sufficiente a non farla sprofondare ma che le faceva mantenere la presa degli pneumatici.

Qualunque fosse, sicuramente non era sufficiente, perché vedeva i suoi avversari allontanarsi sempre di più.

Imprecò.

Non riusciva a concentrarsi, non riusciva a trovare la calma giusta per guidare la Ferrari come avrebbe guidato Fenice. La sua testa continuava a pensare solo a una cosa.

Diego Velasquez.

Che in realtà doveva chiamarsi Diego Went.

Per un attimo, pensò di lasciare l'acceleratore e fermarsi.

Che senso aveva quello che stava facendo, adesso?

Poi la vide.

La Lamborghini Huracan di Dimitri comparve nel suo capo visivo, a una ventina di metri da lei, i fari accesi e la sabbia sollevata dalle ruote. Lo vide rallentare quel tanto che bastava a rimanerle davanti, proprio davanti al muso.

"Gli errori degli altri non sono i tuoi errori".

Come sempre, il russo era stato intelligente. Aveva le gomme giuste, e la Huracan sembrava un serpente che strisciava nel deserto, fluida, veloce, sicura. Gli pneumatici tassellati, anche se ribassati, le consentivano di artigliare la sabbia e trascinare la Lamborghini a una velocità che la Ferrari in quelle condizioni non avrebbe mai raggiunto.

Dimitri tirò fuori la mano e le fece un unico cenno.

"Mettiti in scia".

Irina annuì, ma lo fece più che altro per se stessa. Strinse il volante con la mano e lasciò che Dimitri la aiutasse a prendere velocità. La Lamborghini tracciava una strada sufficientemente piana per evitare che affondasse, e la velocità iniziò a farla quasi fluttuare sul terreno.

Qualcuno su cui contare c'era ancora, allora.

Irina li vedeva, i suoi avversari, a metri di distanza, ma la Huracan sembrava un treno, tanto era veloce e stabile sul terreno. Forse Dimitri doveva averla preparata apposta, perché non sbandava, non si muoveva di un millimetro...

Poi, la Lotus Exige verde andò in testa coda all'improvviso, come se qualcuno l'avesse speronata. Si affossò dentro un'enorme buca, prima che Irina avesse modo di capire cosa fosse successo.

Un gigantesco pick-up nero, uno Chevrolet Silverado elaborato, con enormi ruote tassellate, quasi si impennò quando sbucò da destra da dietro una mezza duna di sabbia, travolgendo la Porsche blu che le stava davanti. Alla guida, dietro un paio di occhiali da sole, Jorgen Velasquez.

Ecco dove stava il divertimento di Selena.

Non era una corsa; era una gara a chi non si faceva ammazzare.

La Huracan accelerò e lei fece lo stesso, cercando di rimanerle incollata il più possibile. Il Silverado si muoveva nel deserto con disinvoltura, veloce come le auto da corsa che inseguiva. Nonostante la stazza, era un mezzo fatto a posta per quel tipo di terreno, e niente l'avrebbe fermato.

Irina digrignò i denti, gli occhi incollati al pick-up che si dirigeva trasversalmente lungo la strada, dritto verso la Ferrari 488 rossa. La vide sbandare, evitandolo per un soffio, prima si superarlo con una accelerata brusca.

Il Silverado nero rallentò, e Irina capì che la prossima sarebbe stata lei.

O Dimitri.

Jorgen puntò il muso verso la Huracan, e Irina imprecò.

Poteva prendersela con tutti, lei compresa, ma con il Mastino no. Perché se c'era una persona che doveva battere Dimitri Goryalef, quella era lei, sempre e comunque.

Affondò il piede sull'acceleratore e il motore della F12 ruggì imbestialito, facendola balzare letteralmente in avanti. Si infilò tra la Huracan e il pick-up e Jorgen, colto alla sprovvista, sterzò bruscamente, la polvere che si sollevava come una fontana.

Dimitri si spostò di una ventina di metri più a destra, proprio sulla spiaggia. Irina si accorse solo in quel momento che vicino all'acqua la sabbia era più compatta, e le gomme sprofondavano molto di meno. Seguì il russo, prima affiancandosi e poi superandolo, mentre gli schizzi dell'oceano bagnavano la carrozzeria arancione della Lamborghini.

Il Silverado perse terreno, forse perché era comunque molto pesante, e Irina si avvicinò alla Huracan nera e alla Maserati bianca, in testa alla corsa.

La Ferrari ringhiò, quando il pedale dell'acceleratore finì la sua corsa e lei inserì un'altra marcia, mentre l'auto sobbalzava sulla sabbia bagnata ma dura quasi come l'asfalto... Schizzò in avanti, il motore alle sue spalle che spingeva e vibrava, e Dimitri dietro di lei. Le fece cenno di proseguire, per poter arrivare in testa alla corsa, e poi guardare il Silverado.

Irina capì.

No, non gli avrebbe permesso di vedersela con Jorgen.

Gli fece un unico cenno con la mano.

"Fammi strada".

Dimitri capì, e non protestò.

Si fidava abbastanza da fare quello che gli diceva.

Come un proiettile arancione la Huracan le passò di fianco, le gomme tassellate che le permettevano una migliore presa sulla sabbia, e le si mise davanti esattamente come aveva fatto prima. Nel giro di una manciata di secondi raggiunsero la Maserati Ghibli in testa, ma il traguardo sembrava ancora lontano.

Troppo lontano.

Volando sulla sabbia come fosse dotato di ali, un secondo pick-up, questa volta rosso, si parò davanti a loro. Era diverso, più piccolo e con enormi sospensioni che lo tenevano a mezzo metro da terra, ed incredibilmente veloce.

Dimitri fu costretto a sterzare per togliersi dalla sua traiettoria, e lei se lo ritrovò dietro.

Quell'affare sembrava deciso a seguirlo e... schiacciarlo.

Irina ci avrebbe messo un attimo a superare la Ghibli e a strappare dalle ruote dei suoi avversarsi una sola possibilità di vittoria, ma capì di non volerlo fare.

Il russo era forte, molto più forte di lei, e sarebbe stato in grado di cavarsela da solo come aveva sempre fatto. Però era stato lui a tornare, era stato lui a dirle quella frase "Tu sei qualcosa che lei non sarà mai"...

Il Silverado nero si fece strada seguendo il pick-up rosso, con l'unico obiettivo di concentrarsi sul Mastino.

Dimitri non accelerò, come se volesse darle il tempo di raggiungere la testa della gara, bloccando Jorgen e l'altro mezzo. Irina vedeva i fari anteriori della Huracan diventare sempre più piccoli, mentre lei riusciva a riprendere terreno correndo sulla battigia umida della spiaggia.

Li avrebbe ostacolati, era questo che il Mastino voleva fare.

Irina ebbe un solo secondo per pensare; affondò il piede sul freno, e la Ferrari sbandò come se a guidarla ci fosse stata un'ubriaca.

Con un colpo secco di freno a mano, le ruote posteriori della F12 si bloccarono, facendola strisciare sulla sabbia. Irina sterzò a sinistra e l'auto girò su se stessa, tornando perfettamente dritta.

<< Questo è aver perso la mano? >> domandò a voce alta, anche se nessuno poteva sentirla.

Per poco non colpì la Ghibli, che evitò la Aston Martin blu per un soffio. Nel casino generale, la Mercedes SLS aveva recuperato terreno, mentre la Huracan nera correva in testa.

Con un colpo di muso, la Lamborghini si tolse da davanti la SLS, facendola finire sulla battigia. Irina si avvicinò al lungomare per sfruttare la compattezza del terreno, gli occhi che correvano ogni tre secondi allo specchietto retrovisore...

Vedeva la Huracan arancione di Dimitri giocare al gatto e il topo con i due pick-up, in un turbine di polvere e ruggiti di motore, Jorgen Velasquez sempre più vicino al posteriore della Lamborghini...

Irina tornò a guardare davanti a se, e finalmente vide la fine di quella strada, due fumogeni bianchi a delineare il traguardo e una Nissan GTR nera ad aspettarli.

Non capiva chi ci fosse davvero in testa, perché aveva la Huracan nera a destra e la Aston Martin a sinistra e la polvere vorticava rendendo tutto più confuso.

Vedeva la figura sottile di Selena che si stagliava all'arrivo, le mani sui fianchi e i capelli che svolazzavano nel vento...

Voleva umiliarla; voleva piombarle davanti e dimostrarle che non era riuscita a piegarla, in nessun modo; voleva sbatterle letteralmente in faccia la Black List tatuata sul muso della F12...

Poi, lo vide, uno scintillio nero nello specchietto retrovisore.

Il pick-up nero, quello guidato da Jorgen, puntava di nuovo Dimitri. Anzi, sporgendosi dal finestrino, gli puntava una pistola addosso.

Forse la sua testa si riprese in quell'istante, perché calcolò che se lei avesse vinto o meno, Jorgen avrebbe sparato alle ruote della Huracan arancione e Dimitri non avrebbe mai finito quella gara. Calcolò che se lei si fermava al traguardo, lui non ci arrivava.

Irina imprecò, lasciò andare l'acceleratore e decise che non voleva perdere più nessuno, in nessuno modo. Tirò il freno a mano e la F12 andò in testa coda, il muso rivolto verso la partenza e la coda verso il traguardo.

Quella stupida gara poteva andarsene a fanculo, insieme a Selena e a tutto il resto.

Come un missile, la Ferrari puntò verso il Silverado nero, cogliendo alla sprovvista tutti, Jorgen per primo. Velasquez tentò di spostarsi, ma nell'afferrare il volante la pistola gli cadde di mano, finendo sotto le enormi ruote dentate e sotto la sabbia dorata... Dimitri si spostò di lato, facendo sbandare il pick-up rosso...

Irina strinse i denti, affondò il piede sull'acceleratore e puntò dritta dritta verso il Silverado.

Bastò toccare la ruota destra del mezzo, per farlo sbandare. Come su una rampa, il pick-up prese il volo schiacciando il muso della Ferrari, poi con un tonfo sordo atterrò di sbieco sulla sabbia, dondolando impazzito, le sospensioni che si sfondavano e non riuscivano più a tenerlo dritto.

Alla fine si ribaltò, in un fragore di metallo e polvere che volava.

Una, due, tre volte. L'enorme mezzo, diventato improvvisamente un banale giocattolo su quattro ruote, si accartocciò sulla sabbia, mentre Irina lo evitava per un soffio. Il pick-up rosso si accasciò quando una delle sospensioni della ruota destra di spaccò, facendolo afflosciare, e la Huracan arancione correva verso l'arrivo.

Irina fece in tempo a tagliare il traguardo, senza nemmeno capire con quale posizione, prima che il Silverado si fermasse definitivamente. Perse il paraurti davanti, ma quello che le importava era non aver perso nessuno.

Aveva perso con onore, almeno.

Vide Dimitri, vivo e vegeto a una cinquantina di metri di distanza, la Huracan nera, la Aston Martin e la Ghibli ferme a un centinaio di metri da loro, e capì che non le importava affatto il risultato di quella gara.

Uscì dalla Ferrari per guardare verso il pick-up, ma non riuscì nemmeno a voltarsi. Un paio di mani la afferrarono per le spalle e la costrinsero a voltarsi, prima di tirarle un pugno dritto in faccia.

Irina non ebbe il tempo di difendersi, ma capì che era stata Selena. Sentì la testa andarle in mille pezzi, la portiera della F12 che le si infilava tra le costole, e la vernice gialla della Ferrari sotto le dita...

Cadde a terra, sorda a qualsiasi tipo di rumore, ma sensibilissima al dolore. Fu come se qualcosa le esplodesse nello stomaco, quando il calcio di Selena la colpì in piena pancia, e lei finì con la schiena contro la Ferrari, l'asfalto sotto i palmi delle mani e il calore del motore sulla pelle.

Avrebbe reagito, se solo avesse capito ancora chi era.

Vide due braccia afferrare Selena e scaraventarla a terra, mentre sia Felix sia Dimitri la trascinavano via, prima di guardarsi in faccia espressioni di ghiaccio. La donna sputò a terra, gli occhi iniettati di sangue, ringhiando come una bestia, la vena del collo che stava per esplodere sotto tutti i tatuaggi.

<< Questo è per aver tentato di ammazzare mio fratello >>.

Irina sbattè le palpebre per schiarirsi la vista, ma riuscì solo a distinguere la figura di Dimitri che si frapponeva tra lei e la donna, e quella di Felix che tratteneva Selena prima che le si gettasse di nuovo addosso.

<< Sapevo che eri un traditore, Mastino >> continuò la donna, << Ho solo giocato con te, figlio di puttana... >>.

Dimitri rimase in silenzio, come se quella ragazza non meritasse nemmeno una risposta.

<< Basta >> disse all'improvviso Felix, come se volesse riportare la situazione a una parvenza di normalità che non esisteva, << Risolveremo questa cosa al Nurburgring >>.

Trascinò Selena verso la Nissan GTR, mentre Irina la guardava, stordita e con la faccia che le pulsava. Si accorse solo vagamente che Dimitri la prese delicatamente per un braccio e la rimise in piedi, osservandola con una strana espressione sul volto.

Poi una scarica di adrenalina svegliò Irina all'improvviso, facendole guardare il russo e poi verso il deserto, dove il pick up ribaltato fumava e Jorgen barcollava fuori, un po' ammaccato ma vivo.

Il russo la costrinse a guardarlo di nuovo in faccia, anche se lo vedeva sfocato.

<< Che cosa avevi in mente? >> le ringhiò. << Volevi farti ammazzare? >>.

Irina si divincolò dalla sua presa in un moto di energia inaspettato, e non rispose.

Cosa aveva in mente?

Aveva in mente che Alexander Went aveva un figlio con Selena Velasquez, che non glielo aveva mai detto e che tutto quello risaliva a molto prima di lei; aveva in mente che avevano appena cercato di ammazzare il Mastino, e lei non era disposta a perdere l'ennesima persona che amava.

Dimitri la guardava, e lei guardava lui. Molto probabilmente sarebbero stati in grado di rimanere così per un'eternità, a fissarsi in volto senza parlarsi, perché non avevano mai avuto bisogno di parole tra loro due.

Erano bravi a lavorare in squadra, lo sapevano da quando erano stati in Russia.

Poi, un suono familiare riscosse entrambi. Non potevano fidarsi di nessuno, questo Irina doveva ricordarlo.

Sirene.

Sirene che si avvicinavano sempre di più, sempre più velocemente, mentre lampeggianti rossi e bianchi iniziavano a baluginare in lontananza. Fu come piombare indietro di anni, quando la polizia era il nemico numero uno, e ogni gara si concludeva sempre nello stesso modo.

Dimitri spostò lo sguardo alle sue spalle, mentre Selena alzava gli occhi al cielo. Minuscolo, un puntino nero si avvicinava sempre di più, volando rapido proprio verso di loro.

Un elicottero.

Irina trovò strano guardare le sirene e sentirle stranamente ovattate; persino il rumore dei motori che si allontanavano le sembrarono soffocati.

Dimitri la afferrò di nuovo per un braccio, e lei lo guardò un po' intontita.

<< Dobbiamo andarcene. Ce la fai a guidare? >> domandò.

Irina annuì, anche se in realtà non lo sapeva. Era lucida, era presente, allora perché si sentiva così strana? Forse era semplicemente per il fatto del bambino... O no? Era davvero lucida?

<< Non lo so... >> mormorò alla fine.

Dimitri la fissò per una manciata di secondi, come a esaminarla davvero. Sinceramente non voleva separarsi dal Mastino, in quel momento; le sembrava un punto fisso, qualcosa a cui poteva aggrapparsi se le girava la testa...

<< Puoi guidare, Fenice. Ti ho vista messa peggio, in passato. Sali in macchina >> disse a voce bassa il russo, << Sali e scappa più veloce che puoi. Se c'è una persona in grado di seminare la polizia federale, sei tu >>.

Polizia federale? Sì, doveva averla chiamata Chris Carter... Aveva fatto una soffiata a McDonall...

Irina però rimase immobile, imbambolata. Aveva le orecchie che fischiavano, e la mano destra che tremava. Si sentì confusa, quasi spaesata. Selena l'aveva colpita così forte? E poi, perché aveva una strana sensazione di calore alla faccia?

Dimitri Goryalef assunse una strana espressione, e lei sentì le sue mani appoggiarsi alle sue guance, costringendola a guardarlo negli occhi. Erano bollenti, così diverse dalle iridi di ghiaccio del Mastino che sembrava impossibile che fossero parte della stessa persona.

<< Vai all'appartamento, Fenice >> ripetè Dimitri lentamente, a un centimetro dalle sue labbra, << Sali sulla Ferrari e torna all'appartamento. Mi hai capito, Irina? >>.

<< Sì >> rispose solo lei.

Dimitri la spinse verso la Ferrari, e lei salì al posto di guida, lasciando il paraurti giallo dove era. Affondò il piede sull'acceleratore nell'esatto istante in cui la prima volante si fermò nello spiazzo e un agente di polizia scendeva puntando la pistola verso di lei.

Senza pensare, Irina si lanciò verso il gruppo di Ford Mustang della polizia, costringendole a farsi da parte per farla passare.

Sibili di proiettili che bucavano l'aria la fecero sobbalzare, mentre infilava a tutta velocità la rotonda e girava a destra.

"Devo tornare all'appartamento".

Si ritrovò contromano lungo il ponte che conduceva alla sopraelevata, diretta verso il punto di partenza della gara, una Mustang attaccata al posteriore con i lampeggianti accesi, ma lo capì solo quando vide un furgone venirle incontro.

Forse non stava poi così bene.

La Ferrari piombò sulla carreggiata gettando il panico tra i pochi automobilisti che la percorrevano. Irina sterzò per evitare un furgoncino, sfiorò il guard-rail e affondò il piede sull'acceleratore.

La striscia d'asfalto scorreva sotto le ruote della F12 così velocemente da darle in voltastomaco, ed era la prima volta che succedeva. Dovette fissare gli occhi sull'orizzonte, per evitare di perdere il controllo dell'auto.

Dall'altra parte del guard-rail, le auto correvano lente nella direzione giusta, mentre lei continuava la sua corsa contromano, i fari di utilitarie scure la accecavano cercando di avvisarla che stava andando dalla parte sbagliata...

Le evitò tutte, sfiorandole una a una, senza sapere nemmeno bene come, visto che faceva fatica a vedere dall'occhio destro.

Sentiva l'elicottero avvicinarsi sopra la sua testa, le pale che facevano rumore anche sopra le sirene delle volanti. Guardò dallo specchietto retrovisore, e le sembrò che le auto si duplicassero a vista d'occhio.

Il guard-rail che la separava dalla carreggiata giusta era basso, e riusciva a vedere i profili delle auto che la percorrevano incredibilmente lente. Non potè non notare il proiettile arancione che le superò a velocità folle, inseguita da una Corvette in livrea dell'F.B.I.

Distratta dalla Huracan, Irina evitò per un soffio un tir enorme che procedeva verso di lei suonando il clacson. Scartò a sinistra, ma la motrice sbandò con uno stridore di gomme, e l'unica mossa saggia che lei fece fu quella di accelerare di colpo.

Con un fragore assordante, il rimorchio del tir perse aderenza sull'asfalto e si inclinò di lato, ribaltandosi sulla carreggiata con un tonfo. Dallo specchietto retrovisore Irina vide il tir falciare come una palla da bowling le Mustang della polizia, facendole volare via come birilli.

Prima di imbattersi in un altro ostacolo, Irina approfittò di una apertura nel guard-rail e tornò sulla carreggiata giusta, la Huracan arancione a duecento metri di distanza.

Dimitri stava guidando come aveva guidato la notte di Capodanno, fluido, preciso, assurdamente perfetto. Sgusciava tra le auto a pochissimi centimetri dagli specchietti, e chiunque ci fosse in quella Corvette non sarebbe mai stato veloce come lui.

Irina si avvicinò alla Chevrolet, accelerando bruscamente mentre le marce sfilavano rapidissime sotto le sue dita. Il poliziotto cercò di speronare la Huracan, ma Dimitri si spostò di lato e la evitò, superando a destra una piccola citycar.

La Lamborghini rallentò, e Irina riuscì a passarle davanti. Il grido del V10 le arrivò stranamente ovattato alle orecchie, così come il rumore del traffico e dell'elicottero...

Doveva tornare a casa, immediatamente.

Correva a duecento all'ora, ma il suo corpo reagiva lentamente, come se stesse solo passeggiando. Non aveva più la percezione della velocità.

Il ponte finì, e lei prese lo svincolo a sinistra; la Huracan andò a destra, la Corvette dietro Dimitri e l'elicottero sopra Fenice.

Per una frazione di secondo fu presa dal panico, mentre faceva fatica a leggere i segnali stradali e pensava a come seminare il velivolo.

Poi ebbe la prontezza di spirito di infilarsi in un tunnel, e a far perdere le proprie tracce per pura fortuna.





Ore 20.00 – Coro, Appartamento di Irina

"Se tu non fossi già morto, Went, ti avrei ammazzato".

Era l'unico pensiero che Dimitri aveva in testa, quando fermò la Lamborghini Huracan rigata, forata dai proiettili e piena di polvere nel retro dell'appartamento preso in affitto da Fenice, proprio davanti alla rimessa dove il giallo della Ferrari baluginava dietro la porta di legno scrostata. Non era una buona idea andare lì, ma sicuramente Irina non era nelle condizioni giuste per ragionare a mente fredda.

Went aveva un figlio, per di più con una spogliarellista psicopatica e senza valori, e il meglio di tutto era il fatto che non aveva detto niente a Irina.

Aveva sempre creduto che fosse una testa di cazzo, ma non fino a quel punto.

Salì le scale saltando i gradini due a due, mentre cercava di spiegarsi il motivo per cui Alexander Went non fosse mai stato in grado di ragionare con il cervello, di fronte a una donna, e chiedendosi come la sua strada avesse incrociato quella di Selena. Arrivato sul pianerottolo però capì che non era poi così importante, visto che era anche riuscito a farsi ammazzare, quindi non poteva mettere a posto proprio nulla, ne tantomeno rispondere a qualche domanda.

Emilian gli aprì la porta senza che dovesse bussare; lo guardò per qualche istante per accertarsi che stesse bene, poi fece solo un cenno con la testa verso il bagno, Ivan che aspettava fuori con un'espressione preoccupata.

Sapeva già che Irina era riuscita a scappare, non aveva dubbi che ci riuscisse, e sapeva già in che condizioni l'avrebbe trovata; quello che non si aspettava era vederla osservarsi allo specchio con aria critica, quasi ironica verso se stessa.

Irina si voltò, quando lo sentì, e Dimitri scosse il capo. Selena sapeva darle forte, per essere solo una spogliarellista.

Nonostante avesse cercato di pulirsi la faccia, Irina aveva ancora chiazze rosse sotto il naso e sul mento, uno zigomo completamente nero e il setto nasale violaceo. A completare il tutto, il sopracciglio spaccato che continuava a sanguinare abbastanza copiosamente, e tutti gli abiti imbrattati di sangue. Però era viva; malmessa ma viva.

Non dubitava più delle sue capacità di sopravvivenza; l'aveva già sottovalutata una volta, e non l'avrebbe più fatto, però non poteva non ammettere a se stesso che vederla lì gli dava un certo... sollievo.

<< Non sai darle, Fenice >> le disse lentamente, facendo un passo nel bagno mentre Ivan si allontanava, << Ma non sai neanche prenderle >>.

Irina fece una smorfia, passandosi di nuovo l'asciugamano sul viso. Grugnì qualcosa, poi tornò a bagnarsi la faccia nel lavandino, sporcando di rosso l'acqua fredda.

Selena era una ragazza di strada, cresciuta in una città violenta, e le erano bastati una manciata di secondi per ridurre Fenice a una maschera di sangue. Le aveva procurato un po' di danni, non permanenti, ma certamente fastidiosi, ed era paradossale, perché in tutta la sua vita, escludendo Challagher, nessuno era mai riuscito a farle male in quel modo... Molto probabilmente Irina stava pensando proprio all'ironia di quella situazione, mentre si guardava nello specchio. La conosceva abbastanza da sapere che si stava concentrando sulla sua faccia, piuttosto che ricordarsi della storia di Went.

<< Hai bisogno di ghiaccio >> le disse, mentre lei gettava via l'asciugamano con un sospiro.

Emilian gli portò una confezione di spinaci a cubetti, l'unica cosa sufficientemente fredda che avevano in casa, e lo avvolse in un panno. Irina lo prese, se lo piazzò sul naso e con l'altra mano tamponò con della carta igienica il sopracciglio sanguinante. A quel punto gli rivolse un'occhiata.

Chiunque avrebbe cercato di consolarla, ma lui non era chiunque.

<< Sei ridicola >> commentò Dimitri.

Irina non sembrò prendersela per il suo commento, anzi. La sua faccia spappolata e tumefatta si contorse in un sorrisetto, e Dimitri si ritrovò a dover trasformare il sorriso che aveva sulle labbra in una smorfia, per non scoprirsi.

<< Lo so >> disse solo lei, << Però fa abbastanza male >>.

<< Ti si gonfierà la faccia, ma sopravviverai >> disse Dimitri, << Non hai nemmeno bisogno di andare in ospedale >>.

<< Non ci posso andare in ospedale >> ribatté Irina, guardandolo, << Mi arresterebbero subito. E smettila di guardarmi come se fossi un fenomeno da baraccone. Lo so, sono ridicola; mi sono fatta letteralmente prendere a calci dalla mia nemica, e non sono stata nemmeno in grado di contrattaccare... Tra l'altro, quella psicopatica non ha nemmeno la patente. E' ridicolo >>.

Dimitri le porse il flacone del disinfettante, e Irina cercò di tamponare il sopracciglio. Smise di sanguinare, ma il taglio era profondo, e difficilmente si sarebbe rimarginato in fretta. Trovò curiosa la sua improvvisa voglia di scherzare, segno che non voleva toccare l'argomento Went.

<< Conviene dare due punti >> propose il russo, osservandola esaminarsi allo specchio. Le sarebbe rimasta una cicatrice più grande, senza.

Irina lo guardò.

<< Mi mancava questa cosa >> commentò ironicamente.

Uscì dal bagno un po' barcollante, e Dimitri la seguì fino in cucina. Tirò fuori da un cassetto un vecchio ago e del filo da cucito e glielo porse, quasi divertita.

<< A te l'onore >> disse, << Immagino non mi farai nessuna anestesia >>.

Lo guardò strizzando gli occhi.

<< Ci vedi? >> le chiese, serio.

<< Ho l'occhio destro annebbiato >> rispose lei, sedendosi su una sedia, << Ma ho guidato fino a qui, quindi... >>.

Irina era stranamente di buon umore, il che significava che stava cercando di mascherare in ogni modo il dolore che aveva dentro dopo la rivelazione di Selena; fare finta che non fosse successo nulla però non serviva.

Vide Emilian e Ivan affacciarsi alla cucina, stranamente curiosi di vedere cosa stava succedendo. Irina rivolse loro un'occhiata.

<< Che spettacolo esilarante, vero? >> disse, sardonica,

Emilian piegò la bocca storta in un sorrisetto.

<< E sono bastati solo due pugni >> disse, quasi ridacchiando.

Dimitri lo fulminò con lo sguardo, mentre Irina tentava di sorridere senza riuscirci. Emilian però rimase appoggiato allo stipite della porta, scuotendo le spalle come a dire che era pura e semplice verità.

Dimitri prese l'ago, lo passò sul fuoco per disinfettarlo e gettò un'occhiata a Irina. Non sembrava affatto spaventata, solo scocciata dalla situazione. Le tolse il ghiaccio dalla faccia, rivelando il suo naso violaceo, e le intimò di stare ferma.

Irina digrignò i denti, quando l'ago le si infilò nella carne e lui tirò, disegnando un solo punto, giusto per aiutare la ferita a rimarginarsi più in fretta. Imbevette dell'altra carta igienica di disinfettante e lo usò per tamponare energicamente per evitare che facesse infezione e le sfregiasse la faccia.

Vide gli occhi di Irina fissarlo per una frazione di secondo, curiosi.

<< Tutto qui? >> domandò.

Dimitri le porse nuovamente il ghiaccio.

<< Hai solo bisogno di qualche settimana, ma la tua faccia guarirà da sola >> le disse, buttando via l'ago e il filo, << Ho visto volti ridotti molto peggio del tuo >>. Gettò un'occhiata a Emilian, che inarcò un sopracciglio.

Irina lo guardò con un'espressione molto simile al fastidio, ma non fece nessun commento.

<< Dove sei stato fino ad adesso? >> gli domandò.

<< Ho seminato la polizia, prima di tornare indietro >> rispose il russo, << Non potevo farli avvicinare troppo a questa zona... Dobbiamo andarcene subito, perché questo sarà il primo posto dove verranno a cercarci. Sia l'F.B.I. sia i Velasquez >>.

Irina gettò via il tampone, improvvisamente rabbuiata. Si alzò, portandosi una mano alla testa, infastidita.

<< La prossima volta ricordami di non aiutare più agenti dell'F.B.I. >> borbottò Irina, << Se ci provo, tirami un pugno, per favore >>.

Dimitri fece una smorfia, perchè quella frase aveva un doppio senso. Carter era dell'F.B.I., ma lo era stato anche Went.

<< Dovevamo immaginare che Carter avrebbe cercato di fare il suo lavoro >> ribatté Dimitri, << E' un'idiota, ma è pur sempre un idiota che lavora per McDonall >>.

Irina scosse la testa; barcollò per un'istante, e Dimitri la afferrò per un braccio, perché aveva l'aria di voler cadere a terra. Però non fu necessario sorreggerla, e lui si pentì di averla toccata.

Non doveva, Dimitri lo sapeva.

Non doveva punto e basta.

<< Lascia le chiavi della Ferrari a Emilian, ci penserà lui >> le disse, << Tu vieni in auto con me >>.

Irina lo osservò per una frazione di secondo, dubbiosa. Improvvisamente Dimitri si rese conto di essersi appena smentito, per la prima volta nella sua vita. Voleva tenerla lontana ma voleva anche averla vicina.

<< Dove andiamo? >> chiese lei.

<< Torniamo a Caracas e ci prepariamo per il Nurburgring >> rispose lui.

Un'ora dopo, l'Audi R8 di Dimitri Goryalef, correva seguita a ruota da una Ferrari F12 gialla, per la prima volta non guidata da Fenice. Il Nissan Pathfinder guidato da Ivan, con la Huracan agganciata al rimorchio, li seguiva sempre più distante.

Nella notte, l'unica cosa che l'ex Mastino riusciva a fare era stringere il volante, e chiedersi se stesse davvero facendo la cosa giusta, mentre l'asfalto scorreva indistinto sotto le ruote dell'Audi. Irina dormiva, seduta dalla parte del passeggero, e ogni tanto le gettava un'occhiata per accertarsi che respirasse ancora.

Fenice aveva rischiato la vita per aiutarlo, quel pomeriggio, e anche se non ne avrebbe avuto bisogno, era qualcosa che Dimitri non avrebbe dimenticato. In quel momento di buio, mentre nella testa aveva solo il tradimento di Went, aveva trovato la forza di scegliere e di decidere di perdere una gara per lui.

Strinse le labbra, mentre diminuiva la pressione sull'acceleratore e lasciava rallentare un po' la R8, visto che la strada era sgombra e tranquilla, i fari che illuminavano la carreggiata dritta. Non aveva fretta, e sarebbero arrivati a Caracas comunque in piena notte, indipendentemente dalla velocità.

Lui e Irina non avevano parlato; la prima mezz'ora di viaggio la ragazza era rimasta in silenzio, tesa come una molla, fissandola strada fuori dal finestrino. L'aveva lasciata in pace, perché quando avesse avuto voglia di parlare lo avrebbe fatto. Alla fine si era addormentata, con la testa appoggiata alla portiera dell'Audi, il viso gonfio e bluastro.

Le gettò un'altra occhiata, le dita della mano strette sul pomello del cambio, i fari della Ferrari gialla dietro di loro che gettavano bagliori nello specchietto retrovisore. Alla fine allungò la mano e le scostò una ciocca di capelli del viso, senza che lei si muovesse.

Di nuovo, se ne pentì, e tornò a stringere il volante, una smorfia sul volto.

Non doveva toccarla, non quella stessa mano che aveva spezzato il collo di Edgar Matveev e aveva tolto la vita a Milad Buinov. E che aveva altro sangue sopra.

Solo che Fenice gli era rimasta dentro la pelle, e nemmeno in due anni se ne era andata.

Se Dimitri non fosse stato se stesso, non avrebbe esitato, ma era un dannato russo con la fedina penale sporca, una assassino e un ricercato. Irina doveva solo stargli lontana, per il bene di entrambi.

Fermò l'Audi a un autogrill, ed Emilian lo seguì. Parcheggiò nel buio e scese, teso e nervoso.

<< Dalle un'occhiata >> disse a suo cugino, facendo un cenno verso la R8, << Non è necessario svegliarla. Ho bisogno di un caffè >>.

Emilian annuì, e lui si allontanò.

Non era vero, non aveva bisogno di alcun caffè.

Aveva solo bisogno di stare lontano per qualche minuto da quella ragazza che era stata pronta a rischiare la vita per lui... E per non ritrovarsi a prenderle di nuovo il viso tra le mani e baciarla sulle labbra.


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